PROBLEMI CONGOLESI, CAUSE RUANDESI

Una moratoria di sei mesi per le FDLR

Editoriale Congo Attualità n. 220 – a cura della Rete Pace per il Congo

Il 2 luglio, a Luanda, in Angola, si è tenuto un vertice dei ministri della Difesa della Regione dei Grandi Laghi e dell’Africa meridionale. Al centro di queste riunioni, il disarmo dei membri delle FDLR.

Secondo il comunicato finale, i ministri della CIRGL e della SADC hanno «preso atto della decisione delle FDLR di arrendersi e di deporre le armi volontariamente». Il comunicato precisa che «la resa e il disarmo volontario devono essere effettivi entro i sei mesi a partire dal 2 luglio 2014»,altrimenti si dovranno prendere altre decisioni. «È evidente che se non ci saranno dei progressi, si dovranno riprendere le operazioni militari», ha dichiarato François Mwamba, coordinatore della delegazione della RDCongo.

Il Generale Abdallah Wafy, Vice – rappresentante della Monusco e responsabile delle operazioni di disarmo e smobilitazione, ha affermato che «nel Kivu ci sono una decina circa di membri delle FDLR ricercati per atti di genocidio commessi in Ruanda. Essi non rientrano nel processo di disarmo e smobilitazione in corso. Devono invece arrendersi per rispondere davanti alla giustizia delle accuse mosse contro di loro. Per tutti gli altri che volessero volontariamente decidere di ritornare in Ruanda, la Monusco è pronta a facilitare il loro rimpatrio. Per quanto riguarda coloro che, per motivi personali, non volessero tornare in Ruanda, la Monusco è pronta a facilitare il loro trasferimento temporaneo nella provincia dell’Equateur, a ovest della RDCongo, come richiesto dal governo congolese, lontano dal Kivu, lontano dalla frontiera ruandese, in attesa di trovare un altro paese ospitante come loro destinazione finale».

Un percorso ancora tutto in salita

Si tratta di un percorso ancora tutto in salita. Per molti motivi.

Per quanto riguarda i centri di raggruppamento di Kanyabayonga (Nord-Kivu) e di Walungu (Sud-Kivu) che accolgono temporaneamente i membri delle FDLR che si arrendono e che consegnano le armi, le autorità militari e politiche competenti dovrebbero assicurarsi che si trovino a una distanza dalla frontiera ruandese sufficiente da impedire qualsiasi dubbio, pretesto o conflitto tra il Ruanda e la RDCongo.

È irrealistico pensare che coloro che sono ricercati dalla giustizia ruandese e internazionale decidano da sé di arrendersi e di deporre volontariamente le armi. O vengono consegnati dalle autorità delle FDLR o occorrerà mantenere su di essi la pressione militare in vista del loro arresto.

Molti membri delle FDLR, pur essendo innocenti, se rientrano in Ruanda, temono di essere accusati e arrestati per atti di genocidio, divisionismo, ideologia di genocidio. A questo rischio vanno incontro anche i più giovani, quelli di età inferiore ai 30 anni, perché, secondo Kigali, sono “figli di genocidari” e, quindi, educati secondo l’”ideologia genocidaria”, benché non siano implicati nel genocidio del 1994 in quanto a quel tempo erano ancora bambini o non erano ancora nati.

Per quanto riguarda coloro che non desiderano comunque ritornare in Ruanda, bisognerebbe capirne il vero motivo. Forse alcuni sono implicati in atti di genocidio commessi in Ruanda nel 1994 e sanno che, ritornando al loro paese, potrebbero essere accusati e arrestati, anche se finora non sono stati ricercati dalla giustizia ruandese. Altri forse non vogliono tornare in Ruanda semplicemente per motivi familiari, avendo sposato delle Congolesi, formato una nuova famiglia e trovato un lavoro. Forse sperano addirittura di poter continuare a vivere nel Kivu, ma la loro presenza vicino alla frontiera con il Ruanda sarebbe ancora fonte di conflitto.

Un’ipocrita reticenza

A proposito di coloro che esitano a ritornare in Ruanda, François Mwamba ha riconosciuto che «non si tratta solo di disarmarli, ma occorre anche creare, in collaborazione con il Ruanda, le condizioni che permettano il loro rimpatrio». Ma il Generale Abdallah Wafy ha dovuto ammettere che, «anche se il Ruanda non si oppone al loro ritorno, si tratta però di un ritorno “senza condizioni”». È questo cinico atteggiamento delle autorità ruandesi che blocca l’intero processo di resa, disarmo e ritorno volontario dei membri delle FDLR.

Per facilitare questo processo, la comunità internazionale dovrebbe esigere dalle autorità ruandesi la disponibilità a dialogare con loro e a garantire, dopo il loro ritorno in patria, la loro libertà, la loro sicurezza, la loro integrazione sociale e il rispetto dei loro diritti. È davvero incomprensibile e deplorevole il silenzio della comunità internazionale a questo riguardo. Dopo aver imposto alle autorità della RDCongo il dialogo con il Movimento del 23 Marzo, essa si dimostra impotente e incapace anche solo di suggerire alle autorità ruandesi un dialogo con le FDLR. Quanta ipocrisia! Due pesi, due misure! Forte con i deboli, debole con i forti!

Paesi terzi da cercare

Circa quanti non vogliono ritornare in Ruanda, il vertice di Luanda non ha preso in considerazione la proposta evocata dalla Monusco e dal governo congolese, quella di Paesi terzi disposti ad accoglierli. Quindi, il loro trasferimento nel centro di permanenza provvisoria di Irebu, nella provincia dell’Equateur, nell’ovest del Paese, in attesa di essere trasferiti in un paese terzo, rischia di trasformarsi in una loro permanenza definitiva, lontano sì dalle frontiere con il Ruanda, ma sempre su territorio congolese. Ciò potrebbe permettere al governo ruandese di continuare ad accusare il governo congolese di ospitare dei “genocidari” e di continuare a strumentalizzare tale presenza come pretesto per continuare a intervenire politicamente e militarmente, direttamente o indirettamente per mezzo di una nuova “ribellione”, nella RDCongo, violandone la sovranità nazionale e l’integrità territoriale.

Per evitare tali nefaste conseguenze e dare al popolo congolese una possibilità concreta di pace, un’eventuale permanenza definitiva sul territorio congolese dei membri delle FDLR che non desiderano ritornare in Ruanda dovrebbe essere, in linea  di principio, esclusa.

Di conseguenza, l’Onu, la comunità internazionale e il governo congolese dovranno ripresentare, al momento della verifica a metà percorso, la proposta di Paesi terzi disposti ad accoglierli.