Congo Attualità n. 211

INDICE

EDITORIALE: Per rimediare a una legge sull’«impunità»

1. L’ASSEMBLEA NAZIONALE HA APPROVATO LA LEGGE SULL’AMNISTIA

2. UNA LETTERA DI HRW AL PRESIDENTE KABILA

3. LE FDLR ANNUNCIANO LA FINE DELLE OSTILITÀ

a. Le dichiarazioni delle FDLR

b. I fatti sembrano smentire le dichiarazioni

c. Le reazioni

4. GLI ALTRI GRUPPI ARMATI

a. I combattimenti contro l’ADF

b. Gli ex ribelli dell’M23 in Uganda

c. Arresa e disarmo dei gruppi Maï-Maï

5. IL RAPPORTO DEL GRUPPO DEGLI ESPERTI DELL’ONU PER LA RDCONGO

 

EDITORIALE: Per rimediare a una legge sull «impunità»

1. L’ASSEMBLEA NAZIONALE HA APPROVATO LA LEGGE SULL’AMNISTIA

Il 3 febbraio, l’Assemblea Nazionale dei Deputati ha adottato, con 344 SI, 29 NO e 15 astensioni, la legge sull’amnistia per atti di guerra, atti d’insurrezione e infrazioni politiche. La maggioranza e l’opposizione hanno raggiunto un accordo sul periodo di copertura dell’amnistia: dal 18 febbraio 2006, data della promulgazione della Costituzione, al 20 dicembre 2013, data in cui il Governo ha approvato il progetto di legge. In tal modo, anche gli Enyele della provincia dell’Equatore, gli ex militari di Jean Pierre Bemba e i membri di Bundu dia Kongo potranno usufruire dell’amnistia. Solo il gruppo parlamentare dell’UDPS e alleati hanno rifiutato il compromesso, chiedendo che il periodo coperto dall’amnistia fosse esteso fino al 2001. «Ci sono dei membri di Bundu Dia Kongo che sono stati arrestati nel 2002. Perché devono essere esclusi dall’amnistia?» ha denunciato l’oppositore Jean Claude Vuemba. Lo stesso gruppo chiedeva che anche i condannati per l’uccisione di Mzee Laurent Désiré Kabila, assassinato nel gennaio 2001, potessero beneficiare dell’amnistia in nome della riconciliazione nazionale. Ma la maggioranza si è detta totalmente contraria a questa proposta, considerata troppo illogica e infondata.
Le associazioni per la difesa dei diritti umani avrebbero voluto che anche i prigionieri politici potessero usufruire di quest’amnistia, come richiesto nelle conclusioni delle concertazioni nazionali. Il problema è che la maggior parte di loro sono accusati di reati comuni, non di reati politici e sono, quindi, automaticamente esclusi dall’amnistia.[1]

L’Associazione Congolese per l’Accesso alla Giustizia (ACAJ) ha dichiarato di temere che questa legge incoraggi l’impunità invece di frenarla. «Se non si istituisce una commissione specifica per monitorarne l’applicazione, questa legge rischia di favorire l’impunità», ha affermato Georges Kapiamba, presidente dell’associazione, aggiungendo che «Si rischia di concedere l’amnistia a persone che hanno commesso stupri, crimini di guerra e crimini contro l’umanità. È ben noto che molti combattenti hanno ucciso uomini, donne, bambini e anziani. Come identificarli, come distinguerli dagli altri se non vi è nessuna inchiesta?».

Da parte sua, la Nuova Società Civile Congolese (NSCC), un’organizzazione per la difesa dei diritti umani, ha chiesto ai parlamentari di prendere in considerazione la questione del risarcimento alle vittime delle violenze i cui autori saranno amnistiati. «Come pensare di poter ottenere la riconciliazione nazionale se non c’è alcuna forma di  risarcimento per il marito che ha perso la moglie, per la moglie che ha perso il marito, per i figli che hanno perso il padre, la madre o entrambi, per le popolazioni che hanno visto bruciare il loro villaggio, le loro scuole, i loro ospedali?», ha insistito il coordinatore dell’organizzazione, Jonas Tshiombela, concludendo: «La coesione nazionale passa anche attraverso la giustizia per le vittime».[2]

Il 5 febbraio, in un comunicato stampa, la Rete Nazionale delle ONG per i diritti umani della RDCongo (RENADHOC) ha disapprovato e respinto con fermezza la legge sull’amnistia adottata in Parlamento. Per la RENADHOC, questa nuova legge sancisce:

– la banalizzazione dei crimini e di altre gravi violazioni dei diritti umani e del diritto umanitario internazionale;
– il perpetuo riciclaggio di criminali ciclici nella gestione delle istituzioni politiche e della vita pubblica della RDCongo, invece di sanzioni penali e riparazioni corrispondenti alla gravità delle violazioni dei diritti umani commesse dai presunti beneficiari dell’amnistia;

– la consacrazione dell’impunità e, quindi, la perpetuazione dei gruppi armati, endogeni ed esogeni, nella RDCongo;

– la stabilizzazione dell’instabilità e il consolidamento dell’insicurezza nella RDCongo: un vero e proprio premio ai signori della guerra e ai loro protettori;

– la frammentazione continua e la satellizzazione progressiva degli attributi fondamentali della Repubblica, al posto della coesione nazionale, essenziale affinché la RDCongo esca definitivamente dalla sua attuale situazione di Stato fragile per diventare finalmente uno Stato emergente.

Pertanto, la RENADHOC chiede al Presidente della Repubblica, Capo dello Stato e Garante della Costituzione, di non procedere alla promulgazione di questa legge sull’amnistia, per non sancire un atto di alto tradimento al vertice dello Stato.

 2. UNA LETTERA DI HRW AL PRESIDENTE KABILA

Il 29 gennaio, Human Rights Watch (HRW) ha inviato una lettera al presidente Joseph Kabila per sottomettergli alcune raccomandazioni specifiche per porre fine all’impunità di cui usufruiscono i responsabili dell’M23 e di altri gruppi armati implicati in gravi violazioni dei diritti umani nella RDCongo.

HRW si è detta soddisfatta delle disposizioni contenute nella dichiarazione firmata dal governo congolese, a Nairobi, il 12 dicembre 2013 dopo la sconfitta dell’M23, che impedirebbero ai dirigenti dell’M23 ritenuti presunti responsabili di crimini di guerra e di crimini contro l’umanità di usufruire dell’amnistia. Ora è fondamentale che si prendano le misure necessarie affinché queste persone siano arrestate e consegnate alla giustizia. È necessario iniziare delle procedure giudiziarie per assicurarsi che i responsabili dei crimini passati non ne commettano più e affinché le vittime, le loro famiglie e la società congolese nel suo insieme ottengano giustizia.

Nel luglio 2013, il governo congolese ha formalmente chiesto l’estradizione di quattro dirigenti dell’M23 fuggiti in Ruanda: Innocent Zimurinda, Baudouin Ngaruye, Eric Badege  e Jean-Marie Runiga. Queste persone sarebbero ancora in Ruanda. Inoltre, HRW è in possesso di informazioni secondo cui esponenti della giustizia militare congolese hanno emesso dei mandati di arresto contro più di una dozzina di capi dell’M23 ricercati per crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Sette di queste persone sono iscritte sulle liste delle sanzioni (divieto di viaggiare all’estero e congelamento dei beni) delle Nazioni Unite e degli Stati Uniti. Si tratta di Eric Badege, Innocent Kaina, Sultani Makenga, Baudouin Ngaruye, Bosco Ntaganda, Jean-Marie Runiga e Innocent Zimurinda.

Molti di questi responsabili dell’M23 si trovano ora in Ruanda e in Uganda, anche se

nell’accordo quadro per la pace, la sicurezza e la cooperazione, firmato ad Addis Abeba nel febbraio 2013, i Paesi firmatari, tra cui la RDCongo, il Ruanda e l’Uganda, si erano impegnati a “non ospitare, né fornire qualsiasi tipo di protezione a persone accusate di crimini di guerra, crimini contro l’umanità, atti di genocidio e crimini di aggressione, o a persone sotto sanzioni dell’Onu”.

Se il governo congolese vuole ottenere l’estradizione di queste persone, in conformità con le norme internazionali, dovrà soddisfare una serie di condizioni relative ai diritti umani, fra cui la garanzia di un trattamento umano degli accusati una volta detenuti in Congo, il rispetto del diritto a una procedura regolare e ad un processo equo e l’esclusione dell’applicazione della pena di morte, una pena crudele e disumana che, nella RDCongo, non è ancora stata abolita.

HRW ritiene che uno dei modi migliori per rispondere a queste condizioni e per garantire un processo equo e credibile ai responsabili dell’M23 e a molte altre persone coinvolte in gravi crimini commessi nella RDCongo, sarebbe la creazione di tribunali specializzati misti, una istituzione nazionale integrata nel sistema giudiziario congolese, con il mandato di trattare i crimini di guerra e i crimini contro l’umanità commessi nella RDCongo nel corso degli ultimi due decenni. Sarebbero composti da pubblici ministeri, giudici e altro personale congolese e non congolese. Il personale non congolese si ritirerebbe gradualmente nella misura in cui questi tribunali speciali acquistano legittimità, credibilità e indipendenza.

Per garantire che i diritti degli accusati siano rispettati e che i procedimenti giudiziari nei loro confronti siano equi e credibili:

1. Il governo congolese dovrebbe mantenere gli accusati in condizioni che soddisfino le norme internazionali di detenzione. Nei centri in cui sarebbero detenuti i prigionieri, ci dovrebbero essere degli genti di polizia penitenziaria della Monusco a tempo pieno, per avere la garanzia che non siano maltrattati, che siano autorizzati ad avere accesso alle visite dei familiari, degli avvocati e di altri visitatori, come gli esperti della Monusco per i diritti umani e i membri di organizzazioni umanitarie internazionali.

2. Il governo congolese dovrebbe garantire che gli imputati possano beneficiare di un processo equo e di procedure regolari che includano il diritto di far ricorso.

3. Il governo congolese dovrebbe garantire che gli accusati non siano oggetto della pena di morte. L’abolizione di questa pena potrebbe garantire la cooperazione giudiziaria con un certo numero di Paesi che rifiutano di concedere l’estradizione verso Paesi in cui la pena di morte non è ancora stata abolita.[3]

Il 7 febbraio, a Goma, anche l’Ambasciatore degli Stati Uniti responsabile della politica contro i crimini di guerra e i crimini contro l’umanità, Stephen Rapp, ha affermato che i responsabili di questi crimini che non potranno usufruire della legge sull’amnistia, dovranno rispondere dei loro atti davanti alla giustizia. Pertanto, ha proposto la creazione di un tribunale misto specializzato per la RDCongo, per processare i responsabili di crimini gravi commessi in modo particolare nell’est della RDCongo. Il diplomatico statunitense ha dichiarato che, dopo la guerra contro l’M23 e gli altri gruppi armati che hanno commesso crimini nell’est del Paese, è assolutamente necessario istituire una Corte di Giustizia specializzata, per garantire una giustizia indipendente e per facilitare l’estradizione dei criminali che si sono rifugiati nei paesi limitrofi. Inoltre, Stephen Rapp ha precisato che, se si riuscisse a creare tale tribunale, non vi si dovrà includere personale proveniente dal Ruanda, dall’Uganda e dal Burundi, in quanto Paesi implicati nel conflitto. L’idea di istituire un tribunale speciale internazionale per processare i responsabili di crimini di guerra in RDCongo era già stata lanciata in agosto 2013 da cinquantadue figure femminili che avevano firmato una dichiarazione contro lo stupro come arma di guerra e che avevano chiesto l’istituzione di un Tribunale Penale Internazionale per la Repubblica Democratica del Congo.[4]

 3. LE FDLR ANNUNCIANO LA FINE DELLE OSTILITÀ

 

a. Le dichiarazioni delle FDLR

Il 2 febbraio, il segretario esecutivo dei ribelli hutu ruandesi, il colonnello Wilson Iratageka, ha affermato a RFI che il suo movimento, le Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR) cessa ufficialmente le ostilità contro il Ruanda. Secondo il colonnello Wilson Iratageka, il movimento ha ufficialmente deposto le armi dal 30 dicembre 2013. Ultimamente, il gruppo è specificamente preso di mira dalla Monusco che, dopo la neutralizzazione dell’M23, ha dichiarato che il disarmo delle FDLR era ormai diventato una sua priorità. Recentemente, i ribelli ruandesi le avevano inviato diverse lettere in cui affermavano di essere pronti a deporre le armi, ma con la condizione di un dialogo con Kigali. Questa volta, il colonnello Wilson Irategeka dichiara che la cessazione delle ostilità è ufficiale: «Le FDLR hanno deciso di deporre le armi, perché ogni volta che Kigali ha voluto attaccare la RDCongo e saccheggiare le sue risorse naturali, ha fatto ricorso al pretesto di voler attaccare le FDLR perché, secondo le sue autorità, le FDLR sono un gruppo armato che potrebbe attaccare il Ruanda. Quindi, per dare una possibilità alla pace nella regione dei Grandi Laghi, con la partecipazione delle FDLR, abbiamo sempre chiesto alla comunità internazionale di chiedere a Kigali di accettare i negoziati con i partiti politici di opposizione, tra cui le FDLR». Nonostante che le FDLR abbiano dichiarato di aver cessato le ostilità dal 30 dicembre scorso, un attacco avvenuto nel Parco Nazionale dei Virunga il 13 gennaio ha causato la morte di una guardia del parco e di tre attaccanti presentati come membri delle FDLR. Su tale incidente, il colonnello Wilson Irategeka ha affermato che i suoi uomini non hanno nulla a che fare e che i responsabili dell’attacco in questione erano degli elementi armati inviati dal governo di Kigali.[5]

Il presidente ad interim delle FDLR, il generale Victor Byiringiro, conferma che il movimento ha deposto le armi dal 30 dicembre. Questa affermazione dei ribelli hutu ruandesi solleva qualche dubbio sia sul versante del Ruanda che della comunità internazionale. Victor Byiringiro, il cui vero nome è Gaston Iyamuremye, è oggetto di sanzioni da parte dell’Onu in quanto membro chiave della leadership militare e politica delle FDLR. RFI l’ha intervistato.

RFI: Perché avete deciso di deporre le armi?

Victor Byiringiro: Avevamo già cercato di farlo nel 2001, quando eravamo a Kamina. Avevamo deposto più di 1.000 armi e acquartierato un’intera brigata. Abbiamo tentato di nuovo nel 2005, a Roma. Ma queste due iniziative sono fallite. Non si è voluto accompagnarci. Questa volta, ritentiamo la stessa cosa, invitando la comunità internazionale ad accompagnarci, ma ci rivolgiamo soprattutto ai Capi di Stato africani. Noi ruandesi abbiamo avuto molti morti, sia all’interno del paese, sia qui in RDCongo dove siamo rifugiati … Questo è il motivo per cui abbiamo deposto le armi in favore della pace: per cercare una soluzione pacifica attraverso mezzi politici.

In concreto, cosa significa?

Abbiamo avviato un processo di raccolta di tutte le nostre armi per deporle da qualche parte. E questo perché abbiamo già avuto un’esperienza negativa nel 2002, quando avevamo deposto le armi e perfino mandato una nostra delegazione in Ruanda per una missione esplorativa. Quando ritornò, fummo bombardati a Kamina. Fu la Monuc (ora Monusco) con l’esercito congolese. È stato un momento triste per noi. Ma ora tenteremo un’altra volta, chiedendo alla comunità internazionale e soprattutto ai Capi di Stato africani di accompagnarci per aiutarci a ottenere un dialogo inter- ruandese altamente inclusivo.

Ma il Ruanda rifiuta questo dialogo. Dice che non dovete che rientrare come hanno fatto altri membri delle FDLR.

Se Kagame [il presidente ruandese Paul Kagame] dice “no” al dialogo, è affare suo. Ma noi siamo determinati a rovesciarlo ad ogni costo. Lo cacceremo dal potere pacificamente, perché abbiamo deposto le armi. Lo faremo politicamente e pacificamente. Questo regime non è democratico. È il motivo per cui noi, che siamo l’opposizione a questo regime, cerchiamo di mettere insieme tutte le forze politiche proprio per rovesciare questo regime e sostituirlo con un sistema democratico.

Come sperate di tornare in Ruanda se fate questo tipo di discorso?

 Sì, è nostro desiderio ritornare in Ruanda, è il nostro paese. Ma constatiamo che Victoire Ingabire delle FDU, Deo Mushayidi del PDP-Imanzi, Bernard Ntaganda del PS-Imberakuri stanno languendo in prigione, perché sono degli oppositori all’attuale regime. Questo è il motivo per cui non siamo ancora tornati. Vogliamo tornare in Ruanda per essere liberi e per partecipare al suo sviluppo …

 Lei stesso è oggetto di sanzioni da parte dell’Onu. Non teme, deponendo le armi, di essere perseguito dalla giustizia internazionale?

Non ho commesso alcun peccato. Sono un rifugiato, qui nella RDCongo. Non ho paura di nulla. Se mi si chiederà qualsiasi cosa, io risponderò. Ma so di essere completamente innocente.[6]

b. I fatti sembrano smentire le dichiarazioni

Il 4 febbraio, l’amministratore del territorio di Lubero ha dichiarato che, nelle ultime due settimane, varie centinaia di famiglie stanno fuggendo dalle atrocità commesse dai ribelli ruandesi delle FDLR/Foca. Questi spostamenti di popolazione hanno luogo soprattutto a Mumole, villaggio situato tra i territori di Lubero e Wakilale. I suoi abitanti si stanno dirigendo verso Luofu e Kayna, a pochi chilometri di distanza. La società civile di Mumole ha segnalato casi di stupri contro le donne e di saccheggio delle colture e delle abitazioni commessi dalle FDLR/Foca. Questi uomini armati seminano terrore anche a Miriki, Kalevia, Luhanga, Mashuta, Ngerere e Buleusa, villaggi vicini a Mumole. Gli abitanti di questi villaggi si stanno spostando verso Kanyabayonga. Le FDLR accusano la popolazione locale di connivenza con i Maï-Maï Sheka, una milizia guidata da Sheka Taberi Tabo, un signore della guerra che aveva stretto alleanza con l’ex M23 e che è accusato di numerosi atti di violenza contro i civili. Da parte sua, il comandante del 5° settore dell’esercito nazionale basato a Lubero assicura che sono già stati presi dei provvedimenti per garantire la sicurezza della popolazione di questa zona.[7]

Il 5 febbraio, fonti amministrative locali hanno dichiarato che, negli ultimi due giorni, più di 3.000 persone hanno abbandonato la località di Bukalo, per cercare rifugio presso famiglie ospitanti a Muhangi, Buyinda e Kasuho, località situate rispettivamente a 35, 47 e 70 km a sud-ovest di Butembo. Secondo le fonti, questi sfollati fuggono dai ribelli delle FDLR presenti nella loro località. L’amministratore di Lubero e il comandante del 2° settore dell’esercito affermano di non essere informati di questa situazione. Tuttavia, essi promettono di prendere delle misure urgenti per garantire la sicurezza della popolazione di questa zona.[8]

c. Le reazioni

Su quanto annunciato dalle FDLR circa la fine delle loro ostilità, il Rappresentante permanente del Ruanda presso le Nazioni Unite, Olivier Nduhungirehe, ha dichiarato di aspettare per vedere come andranno a finire le cose. Per quanto riguarda i negoziati con le FDLR, da parte sua è un no fermo e definitivo: «Per noi, l’importante è che consegnino realmente le armi alla Monusco e che accettino quindi il programma di rimpatrio. Abbiamo un centro di smobilitazione nel nord del paese che ospita dei membri delle FDLR. Quindi, se dicono di deporre le armi, devono presentarsi alla Monusco. Se si rifiutano di farlo, la sua brigata d’intervento istituita dalla risoluzione 20-98 del Consiglio di Sicurezza procederà a neutralizzarle. È stato detto più volte che non ci sarà alcun negoziato con le FDLR che sono un movimento genocida. In Ruanda, siamo d’accordo di reintegrare le FDLR nella società. Ma coloro che hanno commesso dei crimini e coloro che hanno commesso il genocidio dovranno rispondere dei loro crimini alla giustizia».

Il portavoce del governo congolese, Lambert Mende, ha dichiarato che «la decisione delle FDLR di porre fine alla loro lotta armata permetterebbe effettivamente di accelerare il ritorno alla pace nella regione dei Grandi Laghi. Se fosse confermata, tale decisione sarebbe in linea con le condizioni dell’ultimatum che è stato dato dal Presidente della Repubblica a tutti i gruppi armati, nazionali o stranieri. Abbiamo sempre detto che le FDLR non hanno nulla a che fare con la RDCongo e che, in mancanza di un loro disarmo volontario, vi sarebbero costrette con la forza. Abbiamo già iniziato a farlo, nonostante che il Ruanda, per ragioni a noi sconosciute, non vuole riconoscerlo». Lambert Mende ha aggiunto: «Ci aspettiamo che le FDLR cessino tutte le operazioni offensive nei confronti di un paese che non è il loro e da cui non hanno nulla da pretendere. Quindi ci aspettiamo che depongano le armi e che decidano di aderire al programma di rimpatrio nel loro paese. Per il resto, si tratta di un problema tra loro e il loro paese». Ma Lambert Mende ha avvertito: «Da parte nostra, continueremo a perseguirli finché non saremo sicuri che abbiano deposto tutte le armi», precisando che «coloro che deporranno le armi e che aderiranno al programma DDR [disarmo, smobilitazione e reinserimento], potranno usufruire della protezione delle autorità congolesi e della comunità internazionale».

Anche la Monusco si mostra esitante, dicendo di voler prima verificare se la dichiarazione delle FDLR impegna l’intero movimento o se rappresenta solo l’opinione di qualcuno. Secondo il suo parere, le FDLR potrebbero solo cercare di prendere tempo, perché dopo la sconfitta dell’M23, la Monusco ha fatto della lotta contro le FDLR la sua nuova priorità.

Secondo una fonte prossima alle FDLR, la nuova direzione del movimento starebbe cercando di convincere quelli più anziani, compresi quelli accusati di genocidio, in vista di un dialogo con il governo ruandese. Sul terreno, gli osservatori confermano l’assenza di attività militare delle FDLR da alcune settimane. L’attacco del 13 gennaio nel Parco Nazionale del Virunga potrebbe essere stato solo un incidente sul percorso.[9]

Il 3 febbraio, la Monusco ha avvertito che i ribelli ruandesi attivi nell’est della RDCongo, le FDLR, saranno “neutralizzati” se non deporranno loro stessi le armi. «La Monusco è pronta a riceverli e a smobilitarli ma, in caso contrario, saranno neutralizzati dalla Monusco e dalla sua brigata d’intervento», ha dichiarato un esponente della Monusco, dopo le vaghe dichiarazioni delle FDLR. «Abbiamo deposto le armi volontariamente. ( … ) Non c’è alcun combattente delle FDLR con le armi», aveva dichiarato il 2 febbraio Wilson Irategeka, segretario esecutivo del movimento. «Non abbiamo ceduto le armi, le abbiamo deposte. Non le abbiamo consegnate alla Monusco e non è questione di cederle prima di avviare dei “negoziati con Kigali”», ha aggiunto il comandante dei ribelli. Ma il Ruanda rifiuta qualsiasi forma di negoziati con le FDLR, perché sostiene che alcuni dei loro membri hanno partecipato al genocidio del 1994.

Dopo la sconfitta dei ribelli del Movimento del 23 marzo (M23) all’inizio di novembre, Kinshasa e la Monusco avevano annunciato che le FDLR sarebbero state l’obiettivo successivo. Le FDLR sono sparse nel centro-est del Nord Kivu e nel Sud-est del Sud Kivu, dove a volte collaborano con i ribelli burundesi delle Forze Nazionali di Liberazione (FNL). Accusate di commettere molte atrocità contro la popolazione civile, le FDLR, stimate in circa 1.500 combattenti, sono una minaccia soprattutto per la popolazione locale. Anche il presidente ruandese Paul Kagame continua a considerarle un pericolo costante.[10]

La Monusco ha affermato di non credere alle dichiarazioni di intenti delle FDLR e ha chiesto loro di consegnare le armi e di arrendersi. Il Vice Rappresentante speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite nella RDCongo, il generale Abdalla Wafy, ha affermato che, fin quando i ribelli non abbiano consegnato le armi, saranno attaccati dalla Monusco e dall’esercito congolese. «Finché non abbiano consegnato le armi, la Monusco non si sente vincolata dalle loro dichiarazioni d’intenti», ha dichiarato Abdalla Wafy, secondo cui i ribelli devono consegnare le armi, per poter dimostrare che le loro dichiarazioni non sono destinate a scoraggiare le operazioni militari contro di loro.
Secondo il capo della Monusco, Martin Kobler, un impegno verbale delle FDLR non è sufficiente, occorrono dei fatti: «Non c’è che un solo processo valido, quello del disarmo. Ogni combattente deve consegnarsi alla Monusco con la propria arma. Nel frattempo, la pressione e le operazioni militari continuano». La Monusco chiede anche che Sylvestre Mudacumura, capo delle FDLR ricercato dalla Corte Penale Internazionale, sia consegnato alla giustizia. Nemmeno è tollerata alcuna impunità per tutti coloro che, in seno alle FDLR, sono accusati di genocidio. «La lotta contro le FDLR è la priorità», ha insistito il capo della missione dell’Onu in RDCongo.[11]

Secondo alcuni osservatori, il rifiuto del regime ruandese a negoziare con le FDR deriverebbe dalla paura di perdere il suo fondo di commercio, qualora esse non esistessero più come ribellione armata. Per due decenni, infatti, il paese di Paul Kagame ha trovato come pretesto per le sue continue invasioni militari sul territorio congolese la presenza di questa forza negativa, accusata di voler rovesciare con la forza il regime. Per convincere la comunità internazionale circa la minaccia delle FDLR, il Ruanda ha continuamente inviato loro armi, denaro e militari dell’esercito regolare per rafforzare la tesi di una continua insicurezza alle frontiere. Di volta in volta, dei falsi membri delle FDLR hanno organizzato falsi attentati sulle colline disabitate del Ruanda, il che permetteva a Kigali di accusare Kinshasa di favorire le FDLR e di permettere loro di organizzare massacri di civili ruandesi e di distruggere le infrastrutture di base. Paul Kagame e i suoi complici sanno che, se le FDLR scomparissero, non potrebbero più saccheggiare l’oro, i diamanti, la cassiterite, il coltan e altri minerali del sottosuolo congolese, il cui commercio illegale permette di rafforzare l’economia nazionale del loro Paese. Se nell’est della RDCongo i gruppi armati fossero debellati e ritornasse la pace, Kigali dovrebbe cambiare discorso e strategia sulle questioni relative alla sicurezza nei Grandi Laghi. È il passo che Paul Kagame non vuol fare.

Spetta quindi alla comunità internazionale prendere atto della risposta delle autorità ruandesi alle FDLR e smascherare la strategia della menzogna usata da Kigali per nascondere i crimini umani ed economici commessi nella RDCongo.

A sua volta, per togliere al Ruanda ogni pretesto d’intervenire nella vita interna congolese, l’esercito nazionale congolese dovrebbe far di tutto per riuscire a neutralizzare e a disarmare rapidamente tutti gli elementi delle FDLR, acquartierandoli in siti appositi.[12]

4. GLI ALTRI GRUPPI ARMATI

 

a. I combattimenti contro l’ADF

Il 30 gennaio, circa 32 ribelli ugandesi dell’ADF sono stati uccisi in combattimenti con le Forze Armate della RDCongo (FARDC), presso i km 18 e 25 sulla strada Mbau – Kamango, in territorio Beni (Nord Kivu). Il comandante dell’8ª Regione Militare, il generale Lucien Bauma Ambamba, ha dichiarato che anche un militare delle FARDC è stato ucciso e altri tre feriti. L’esercito regolare ha recuperato una “significativa quantità” di armi abbandonate dagli ADF, tra cui bombe e munizioni, e un apparecchio di radiocomunicazione. Le FARDC hanno chiuso ai ribelli ugandesi tutte le vie di accesso a Chuchubo, Makoyova 1 e Makoyova 2, villaggi considerati come il loro quartier generale. Le FARDC hanno recuperato posizioni strategiche per gli ADF lungo la strada Mbau – Kamango, bloccando qualsiasi ingresso ad alcune basi dei ribelli situate nella zona di Watalinga. L’esercito congolese aveva lanciato, il 16 gennaio, un’operazione militare denominata “Sokola” (Pulire) per disarmare questi ribelli ugandesi.[13]

Il 31 gennaio, la Monusco ha dispiegato dei caschi blu della sua brigata d’intervento a Kamango, a 90 km dalla città di Beni, per appoggiare l’esercito congolese nell’operazione militare di disarmo dei ribelli ugandesi dell’ADF. Il responsabile del settore della Monusco a Beni, Jacob Mogeni, ha affermato che «fin dall’inizio dell’operazione, la Monusco collabora con le FARDC per quanto riguarda la logistica, la fornitura di cibo e l’evacuazione dei soldati feriti». Secondo Jacob Mogeni, il dispiegamento di questi caschi blu a Kamango è un segno della determinazione della Monusco a voler sostenere le FARDC per neutralizzare i ribelli ugandesi dell’ADF e gli altri gruppi armati attivi nel territorio di gruppi di Beni.[14]

b. Gli ex ribelli dell’M23 in Uganda

Il 30 gennaio, una delegazione della Monusco si è recata in Uganda, invitata dal Presidente ugandese per verificare e valutare le modalità dell’acquartieramento degli ex ribelli dell’M23, fuggiti in questo paese dopo la loro sconfitta militare all’inizio di novembre 2013. Questa visita fa seguito alla pubblicazione di un rapporto del gruppo di esperti delle Nazioni Unite, in cui si afferma di avere “informazioni credibili” secondo cui l’M23 starebbe riorganizzandosi. La delegazione è guidata dal generale Abdullah Wafi, Vice Rappresentante Speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite per l’est della RDCongo.[15]

Dopo una missione di quattro giorni in Uganda, il generale Abdullah Wafi ha affermato di non aver avuto l’impressione che l’M23 stia cercando di riarmarsi e di riorganizzarsi, precisando di non aver elementi sufficienti che consentano di affermare che tale movimento ribelle stia svolgendo un qualsiasi tipo di attività (formazione militare) che gli consenta di riprendere le ostilità a partire dall’Uganda. Inoltre, ha dichiarato di aver notato, nelle autorità militari ugandesi, una buona predisposizione a «collaborare per istituire congiuntamente un meccanismo che permetta ai membri dell’M23 di rientrare in RDCongo» e ha aggiunto che «molti di loro hanno espresso il desiderio di ritornare qualora ​​ci siano le condizioni sufficienti, tra cui l’amnistia e il piano DDR per il Disarmo e il Reinserimento sociale». Egli ritiene che sia arrivato il momento per creare una commissione mista tra il governo congolese e quello ugandese, per gestire, con l’assistenza della Monusco, tutti i casi, compresi i casi di quelli che compaiono sulla lista delle sanzioni. Le autorità ugandesi indicano che, a Bihanga, sono acquartierati almeno 1.400 ex combattenti dell’M23.[16]

Secondo Jason Stearns, ricercatore ed ex coordinatore del gruppo di esperti delle Nazioni Unite per la RDCongo, lo scenario di una ripresa delle ostilità da parte dell’ex M23 non sembra credibile a breve termine. Secondo  lui, «un nuovo attacco nel momento attuale sarebbe una decisione sbagliata. Se lo facesse oggi, l’M23 non potrebbe negare l’appoggio dell’Uganda e del Ruanda. Sarebbe, quindi, politicamente insostenibile».[17]

c. Arresa e disarmo dei gruppi Maï-Maï

Il 28 gennaio, un responsabile della Monusco, Ray Virgilo, ha affermato che molti dei combattenti che arrivano al centro di raggruppamento di Bweremana nel Nord Kivu si presentano senza le armi. Egli ha dichiarato che, «a Bweremana, non vi è stato alcun disarmo degli ex combattenti, come ci si aspettava dalle autorità congolesi e dalla comunità internazionale. In questa località, ci sono 2.600 ex combattenti provenienti dai vari gruppi armati, ma sono state consegnate solo 248 armi. Ciò significa che il resto delle armi viene nascosto da qualche parte nei loro villaggi. Vuol dire che non c’è un vero disarmo». Secondo Ray Virgilo, se non si consegnano le armi, è per tre motivi: «Se queste persone decidessero di ricuperare le armi che hanno nascosto, potrebbero decidere di ritornare a far parte del gruppo armato cui appartenevano. Potrebbero decidere di unirsi a un altro gruppo armato o, infine, potrebbero decidere di creare un nuovo gruppo armato». Secondo Ray Virgilo, ogni combattente che si presenti per il disarmo dovrebbe portare con sé la propria arma. Egli ritiene che ogni arma che rimane nella comunità rappresenta un ostacolo per pacificazione del Nord Kivu.[18]

5. IL RAPPORTO DEL GRUPPO DEGLI ESPERTI DELL’ONU PER LA RDCONGO

Il 28 gennaio, il gruppo di esperti delle Nazioni Unite per la RDCongo ha presentato il suo rapporto annuale al Consiglio di Sicurezza. Ancora una volta, il gruppo accusa il Ruanda e l’Uganda di continuare a cooperare con l’ex ribellione dell’M23. Il rapporto cita informazioni credibili secondo cui i capi dell’ex M23, benché oggetto di sanzioni da parte delle Nazioni Unite, si muovono liberamente in Uganda e in Ruanda dove continuano a reclutare nuove leve. Secondo il rapporto, l’M23 sarebbe attivo anche in Ituri. L’ambasciatore ruandese presso l’Onu, Eugène-Richard Gasana, ha nuovamente respinto le conclusioni degli esperti che, secondo lui, «mancano di obiettività, di trasparenza e di prove materiali». Intervistato da alcuni giornalisti, il vice rappresentante permanente del Ruanda presso le Nazioni Unite, Olivier Nduhungirehe, ha parlato di “accuse infondate” e di mancato rispetto della procedura. «Il Ruanda contesta il rapporto, sia per quanto riguarda i contenuti che la forma», egli ha detto, aggiungendo che «le accuse sono sempre le stesse, ma non ci sono prove e la metodologia è discutibile (..) Si vuol mantenere la pressione sul Ruanda». Anche la Ministro degli Esteri ruandese, Louise Mushikiwabo, ha respinto le accuse formulate e ha criticato la natura “politica” di questo nuovo rapporto.[19]

In questo nuovo rapporto, il gruppo degli esperti dell’Onu ha sottolineato che molti siti minerari sono situati in zone “post – conflitto ” (dove i combattimenti sono generalmente terminati), ma che la produzione proveniente da queste zone si mescola con quella proveniente dalle zone di conflitto, in particolare nelle grandi città commerciali dell’est della RDCongo e dei paesi di transito (i Paesi limitrofi), come l’Uganda, il Burundi e la Tanzania. Secondo il rapporto, la mancanza di trasparenza nel commercio dell’oro rende difficile distinguere “l’oro proveniente da zone di conflitto” da quello proveniente dalle altre zone. Gli esperti delle Nazioni Unite stimano che il 98 % dell’oro estratto nel 2013 sia stato esportato all’estero di contrabbando  e venduto nella sua quasi totalità a partire dall’Uganda. Secondo una stima del Servizio geologico degli Stati Uniti (US Geological Survey), citato dal rapporto, i minatori artigianali della RDCongo producono circa 10.000 kg d’oro all’anno. Ma da gennaio a ottobre 2013, i dati ufficiali delle esportazioni segnalano solo 180,76 kg. Gli esperti stimano che il valore dell’oro esportato illegalmente dalla RDCongo, nel 2013, oscilli tra i 383 e i 409 milioni di dollari. Sulla base del valore stimato del minerale, il gruppo ritiene che, nel corso dell’anno 2013, il governo congolese abbia perso tra i 7,7 e  gli 8,2 milioni di dollari, corrispondenti alle tasse evase. Le principali città commerciali dell’esportazione illegale dell’oro nell’est della RDCongo sono Bukavu (capoluogo della provincia del Sud Kivu), Butembo (Nord Kivu), Bunia (capoluogo della distretto di Ituri, nella provincia Orientale), Ariwara (nello stesso distretto) e Kisangani (capoluogo della Provincia Orientale). Il rapporto cita anche una serie di persone implicate nel commercio illegale dell’oro, sia nella RDCongo che nei paesi vicini, tra cui l’Uganda, il Burundi e la Tanzania. Secondo gli esperti, il contrabbando riguarda anche la produzione congolese dei “tre T” (in inglese, stagno, tungsteno e tantalio), le cui miniere sono controllate da gruppi armati e dalle forze armate della RDC (FARDC, l’esercito governativo).[20]

Il 29 gennaio, il presidente della Società civile del Nord-Kivu, Thomas d’Aquin Muiti, ha raccomandato al governo congolese di presentare una denuncia formale contro il Ruanda e l’Uganda presso la Corte Internazionale di Giustizia. Infatti, i due Paesi sono stati citati nel rapporto finale del gruppo degli esperti delle Nazioni Unite come i principali sostenitori dell’ex ribellione dell’M23, anche dopo la sua sconfitta militare da parte dell’esercito congolese. La società civile deplora il silenzio e l’immobilismo del governo congolese che non fa nulla per denunciare i regimi di Kigali e Kampala alla giustizia internazionale. Oltre a questo aspetto, la società civile del Nord Kivu ha anche chiesto la pura e semplice rottura delle relazioni diplomatiche con il Ruanda e l’Uganda, per la continua violazione dei principi di buon vicinato e soprattutto per aver procurato tanta sofferenza al popolo congolese. Secondo la società civile, la popolazione del Nord Kivu è determinata a lottare contro tutti i complici dell’M23 che sono al potere e fanno finta di lavorare per la popolazione.[21]

Il 30 gennaio, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha rinnovato, per un anno, il mandato del gruppo degli esperti indipendenti per la RDCongo. La decisione è stata approvata all’unanimità. Il Consiglio ha detto di “prendere atto” del suo ultimo rapporto e gli ha espresso il suo “pieno appoggio”. Il Consiglio di Sicurezza ha condannato “con forza”, ogni tipo di appoggio, interno ed esterno, ai gruppi armati ancora attiva nell’est della RDCongo e ha espresso la sua “profonda preoccupazione” per le accuse riportate dagli esperti circa la collaborazione tra l’esercito


[1] Cf 7sur7.cd – Kinshasa, 03.02.’14; RFI, 04.02.’14; AFP – Jeune Afrique, 06.02.’14

[2] Cf Sarah Leduc – France 24 – Africatime, 06.02.’14

[4] Cf Radio Okapi, 10.02.’14

[5] Cf RFI, 02.02.’14

[6] Cf RFI, 03.02.’14

[7] Cf Radio Okapi, 04.02.’14; AFP – Goma, 04.02.’14

[8] Cf Radio Okapi, 05.02.’14

[9] Cf RFI, 02 et 03.02.’14; Radio Okapi, 03.02.’14

[10] Cf AFP – Kinshasa, 03.02.’14

[11] Cf Radio Okapi, 05.02.’14; RFI, 05.02.’14

[12] Cf Kimp – Le Phare – Kinshasa, 03.02.’14

[13] Cf Radio Okapi, 31.01.’14

[14] Cf Radio Okapi, 31.01.’14

[15] Cf AFP – Kinshasa, 30.01.’14

[16] Cf RFI, 04.02.’14; Radio Okapi, 05.02.’14

[17] Cf Pierre Boisselet – Jeune Afrique, 04.02.’14

[18] Cf Radio Okapi, 29.01.’14

 

[19] Cf Radio Okapi, 31.01.’14; AFP – Nations Unies, 30.01.’14

[20] Cf Belga – Kinshasa, 12.01.’14 (via mediacongo.net)

[21] Cf 7sur7.cd – Goma, 29.01.’14