Congo Attualità n. 512

INDICE

1. IL GOVERNO CONGOLESE E L’AFC/M23 HANNO FIRMATO UNA DICHIARAZIONE DI PRINCIPI
a. Il testo della dichiarazione
b. Interpretazioni divergenti
c. Necessità di inclusività
2. LE DIFFERENZE TRA L’ACCORDO DI WASHINGTON E LA DICHIARAZIONE DI DOHA

1. IL GOVERNO CONGOLESE E L’AFC/M23 HANNO FIRMATO UNA DICHIARAZIONE DI PRINCIPI

Il 19 luglio, a Doha (Qatar), i delegati del governo della Repubblica Democratica del Congo (RDC) e dell’Alleanza del Fiume Congo/Movimento del 23 Marzo (AFC/M23) hanno firmato una Dichiarazione di Principi, in vista di un accordo di pace definitivo. Firmato dopo tre mesi di colloqui svoltisi sotto la mediazione dello Stato del Qatar, il testo ha come obiettivo quello di definire i prossimi passi inerenti al processo di pace in corso. Il governo congolese era rappresentato da Sumbu Sita Mambu, Rappresentante Speciale della Presidenza per i processi di pace di Luanda e di Nairobi. L’AFC/M23 era rappresentato da Benjamin Mbonimpa, Segretario Permanente del movimento. Questa dichiarazione di principi è stata firmata poche settimane dopo la firma, il 27 giugno scorso à Washington, dell’Accordo di pace tra la RDC e il Ruanda, raggiunto con la mediazione degli Stati Uniti.

a. Il testo della dichiarazione

PRINCIPI GENERALI
– Le parti riconoscono che una pace duratura costituisce il fondamento indispensabile per la costruzione di una nazione unita, prospera e sicura, a beneficio del popolo della Repubblica Democratica del Congo (RDC).
– In riferimento ai principi fondamentali espressi nella Costituzione della RDC, nella Carta dell’Unione Africana, nella Carta delle Nazioni Unite, nelle varie risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU e nel diritto internazionale, le parti riaffermano il loro impegno a risolvere il conflitto con mezzi pacifici, con l’obiettivo di salvaguardare la protezione delle popolazioni civili.
– Le parti si impegnano a cooperare pienamente con le organizzazioni regionali e internazionali, per garantire la protezione dei civili e permettere l’attuazione della presente Dichiarazione di Principi.
– Le parti concordano di dare la priorità al dialogo e alla negoziazione e di rinunciare all’uso della forza o a qualsiasi retorica ostile, per risolvere le loro divergenze,.
– Le parti esprimono la loro volontà di andare oltre i risentimenti del passato e di intraprendere una nuova era di comprensione reciproca, di coesistenza pacifica e di stabilità duratura.
– Le parti si impegnano a superare le divisioni che indeboliscono l’unità nazionale, a lavorare per migliorare le condizioni di vita della popolazione e a respingere ogni forma di incitamento all’odio, al fine di raggiungere la pace e la riconciliazione.
– Le parti riaffermano il loro impegno per l’integrità territoriale e la sovranità nazionale della RDC.
– Le parti ribadiscono gli impegni assunti nel comunicato congiunto del 23 aprile 2025.

CESSATE IL FUOCO PERMANENTE
– Le Parti riconoscono che la pace, la sicurezza e la stabilità sono delle condizioni essenziali per lo sviluppo, il miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni e la salvaguardia della dignità umana.
– Le Parti riaffermano il loro impegno per un cessate il fuoco permanente, che include il divieto dei seguenti atti:
+ Gli attacchi aerei, terrestri, marittimi e lacustri, nonché qualsiasi atto di sabotaggio;
+ La diffusione di propaganda di incitamento all’odio e alla violenza;
+ Qualsiasi tentativo di conquista o di modificazione delle posizioni sul campo.
– Le Parti si impegnano a garantire che il cessate il fuoco si applichi a tutte le forze implicate nel conflitto. Sarà istituito un meccanismo congiunto di monitoraggio e di verifica, per definire le modalità del cessate il fuoco e garantirne l’effettiva attuazione.
– Le Parti concordano di astenersi da qualsiasi azione, dichiarazione o comportamento che possa compromettere l’attuazione del processo di cessate il fuoco.

MISURE PER IL RAFFORZAMENTO DELLA FIDUCIA
– Le parti si impegnano ad adottare delle iniziative concrete per rassicurare la popolazione della Repubblica Democratica del Congo e per creare un clima favorevole a un dialogo costruttivo, al fine di raggiungere una pace duratura.
– Le parti riconoscono l’importanza e l’urgenza di attuare dei provvedimenti che  possano favorire la fiducia e sottolineando il loro ruolo decisivo nel rafforzamento della fiducia reciproca e nel proseguimento del processo di pace.
– Le parti si impegnano a stabilire le condizioni necessarie per l’efficace attuazione di tali misure, tra cui: la creazione, con la facilitazione del Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR) e nell’ambito della legislazione congolese, di un meccanismo che permetta di organizzare la liberazione dei principali prigionieri o arrestati, detenuti da entrambe le parti.

RESTAURAZIONE DELL’AUTORITÀ GOVERNATIVA
– Le parti riconoscono che la restaurazione dell’autorità dello Stato è la logica conseguenza di un’efficace soluzione alle cause profonde del conflitto, attraverso un accordo di pace durevole.
– Le parti concordano che l’integrale restaurazione dell’autorità dello Stato su tutto il territorio nazionale è un pilastro fondamentale dell’accordo di pace. Quell’accordo definirà le modalità, le tappe e i tempi di tale processo di restaurazione dell’autorità dello Stato.

RITORNO DEGLI SFOLLATI E DEI RIFUGIATI
– Le parti si impegnano a facilitare il ritorno sicuro, volontario e dignitoso degli sfollati interni e dei rifugiati nelle loro zone di origine o nei loro Paesi di origine, in conformità con l’accordo tripartito tra la RDC, i Paesi di asilo implicati e l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR). Tale operazione sarà svolta nel rigoroso rispetto del diritto internazionale umanitario e delle norme relative alla protezione degli sfollati e dei rifugiati

MONUSCO E MECCANISMI REGIONALI
– Le parti si impegnano, in linea di principio, a proteggere le popolazioni civili e a facilitare l’attuazione del cessate il fuoco, con l’appoggio della MONUSCO e dei meccanismi regionali e, se necessario, di un meccanismo di verifica concordato.

ACCORDO DI PACE
– Le parti riconoscono l’importanza di un accordo di pace capace di garantire la sicurezza, lo sviluppo economico, la giustizia sociale e la tutela dei diritti umani del popolo della Repubblica Democratica del Congo. Le parti sottolineano inoltre che tale accordo deve permettere il ritorno sicuro e dignitoso dei rifugiati e affrontare le cause profonde del conflitto.
– Le Parti si impegnano ad attuare le disposizioni della presente Dichiarazione di Principi immediatamente dopo la sua firma e non oltre il 29 luglio 2025.
– Le Parti concordano di avviare dei negoziati diretti immediatamente dopo l’attuazione degli impegni contenuti nella presente Dichiarazione di Principi, per potere iniziare le discussioni su un accordo di pace entro l’8 agosto 2025. Tali negoziati si ispireranno all’Accordo di Pace tra la Repubblica Democratica del Congo e la Repubblica del Ruanda, firmato a Washington il 27 giugno 2025.
– Le Parti si impegnano a partecipare ai negoziati per un accordo di pace globale con uno spirito di responsabilità, di cooperazione e di compromesso, con l’obiettivo di raggiungere un consenso e di firmare l’accordo entro il 17 agosto 2025.[1]

Le misure riguardanti il rafforzamento della fiducia reciproca sono uno dei punti chiave della Dichiarazione di Principi, firmata a Doha dai delegati del governo congolese e dell’AFC/M23. Tra le azioni da tempo richieste dall’M23 a Kinshasa si possono ricordare:
– l’abrogazione della risoluzione dell’Assemblea Nazionale che vieta qualsiasi tipo di negoziazione o di integrazione dei membri dei gruppi armati nelle forze dell’esercito e della polizia,
– la revoca dei mandati di arresto emessi contro alcuni leader dell’AFC/M23,
– la liberazione di quelli che sono detenuti a causa dei loro legami familiari, amichevoli ed etnici con membri del movimento.
Queste richieste erano state riconfermate in una conferenza stampa tenutasi il 3 luglio 2025 a Goma, capoluogo della provincia del Nord Kivu.[2]

Secondo Martin Ziakwau, ricercatore in materia di dinamiche di sicurezza nell’Est della RDC e di cooperazione regionale, «la tempistica dei negoziati di Doha potrebbe avere delle ripercussioni significative sull’attuazione dell’Accordo di pace firmato a Washington il 27 giugno dalla RDC e il Ruanda. Tale accordo prevede infatti che un meccanismo di coordinamento congiunto debba essere operativo entro il 28 luglio». Egli ha inoltre sottolineato che «la firma dell’Accordo di Pace tra il governo congolese e l’AFC/M23 rappresenta la condizione sine qua non per la neutralizzazione delle Forze Democratiche di Liberazione del Ruanda (FDLR). Infatti, l’occupazione di vasti territori del Nord e del Sud Kivu da parte dell’AFC/M23 costituisce un ostacolo per l’attività di sensibilizzazione delle popolazioni locali, prerequisito importante per l’avvio di operazioni (militari) intraprese per neutralizzare le FDLR e i loro alleati». Martin Ziakwau  ha infine fatto notare che l’effettività della neutralizzazione delle FDLR e della revoca delle misure difensive da parte del Ruanda (ritiro delle truppe ruandesi dal territorio congolese) è assolutamente necessaria per l’attuazione della componente economica dell’accordo di Washington, che prevede la creazione, da parte della RDC e del Ruanda, di un ambito di integrazione economica regionale, che renda possibile gli investimenti americani nel settore minerario della Regione.[3]

b. Interpretazioni divergenti

Il 19 luglio, il portavoce del governo congolese Patrick Muyaya, sul suo account X, ha affermato che la dichiarazione di principi firmata tiene conto delle linee rosse del governo congolese, tra cui il ritiro immediato, incondizionato e non negoziabile dell’AFC/M23 dalle zone occupate, ciò che permetterà la restaurazione dell’autorità dello Stato e delle sua istituzioni (FARDC, PNC, giustizia, amministrazione). Secondo Patrick Muyaya, la Dichiarazione di Principi è in sintonia con l’Accordo di Washington e si basa sul rigoroso rispetto della Costituzione della RDC, della Carta delle Nazioni Unite, della carta dell’Unione Africana, del diritto internazionale e delle varie risoluzioni del Consiglio di Sicurezza, tra cui la Risoluzione 2773.[4]

Secondo il Ministro congolese degli Interni, Jacquemain Shabani, la restaurazione dell’autorità dello Stato nelle aree occupate è un elemento essenziale che implica il previo ritiro delle forze ribelli e il ritorno della pubblica amministrazione e delle forze nazionali di sicurezza.[5]

Sul suo account X, Bertrand Bisimwa, uno dei coordinatori politici del Movimento del 23 Marzo (M23), ha affermato che «la Dichiarazione di Principi firmata a Doha prevede, in particolare, la restaurazione dell’autorità dello Stato su tutto il territorio nazionale, precisando però che non si tratta di un ritiro dell’AFC/M23, ma piuttosto di un insieme di meccanismi capaci di rafforzare lo Stato, consentendogli di assumere le proprie prerogative e i propri obblighi». In tal modo, Bisimwa ha ufficialmente smentito le dichiarazioni del portavoce del governo congolese Patrick Muyaya. Secondo Bertrand Bisimwa, l’AFC/M23 non ha mai accettato un suo ritiro unilaterale, ma ha sempre proposto piuttosto un’azione coordinata e supervisionata, volta a ripristinare la sovranità dello Stato nelle zone implicate. Secondo lui, si tratterrebbe di un’operazione “strutturata, progressiva e condizionata da garanzie”.[6]

Intervistato da un giornalista di Reuters e Jeune Afrique, Benjamin Mbonimpa, capo della delegazione dell’AFC/M23 a Doha, ha dichiarato che «in nessuna parte nella dichiarazione di principi si afferma che l’AFC/M23 deve ritirarsi. Pertanto, l’AFC/M23 non si ritirerà, nemmeno di un metro. Rimarrà dov’è, continuerà a controllare i territori liberati durante tutto il tempo dei negoziati, in cui si discuterà delle cause profonde del conflitto perché, finora, nella dichiarazione di principi non si è fatto alcun accenno ad esse. Ce ne sono molte e ci prenderemo il tempo necessario per discuterne».[7]

Dopo la pubblicazione della dichiarazione di principi firmata a Doha dal governo congolese e dall’AFC/M23, ciascuna parte propone la propria interpretazione su alcuni passaggi del documento. Uno dei punti più delicati riguarda la restaurazione dell’autorità dello Stato. Le due parti sono d’accordi sul principio, ma non sull’interpretazione. Si prevedono intense discussioni, prima che si possa raggiungere un accordo di pace. La questione della restaurazione dell’autorità dello Stato è stata ampiamente dibattuta durante gli ultimi colloqui tra le due delegazioni, ma sul posto la situazione è più complicata. Nelle zone sotto il suo controllo, l’AFC/M23 ha creato una sua amministrazione parallela, nominando nuovi governatori e tentando di creare un nuovo sistema bancario. Inoltre, l’AFC/M23 ha ripetutamente affermato di non voler ritirarsi dai territori sotto suo controllo. Pertanto, la questione della restaurazione dell’autorità dello Stato è stata rinviata a dopo la firma di un accordo di pace definitivo, che dovrà definirne le modalità, le fasi e la tempistica.
Per quanto riguarda il ritiro dell’AFC/M23 dai territori occupati, nel testo della dichiarazione di principi, il termine “ritiro” non compare, La dichiarazione fa invece riferimento a un cessate il fuoco permanente, che vieta qualsiasi tentativo di conquistare o di modificare le rispettive posizioni. Chiaramente, la questione del ritiro dell’AFC/M23 sarà negoziata nel corso delle prossime trattative, che dovranno iniziare entro l’8 agosto, con l’obiettivo  di giungere alla firma di un accordo di pace finale entro il 17 agosto.[8]

c. Necessità di inclusività

Secondo Martin Ziakwau, professore presso l’Università Cattolica del Congo e ricercatore sulle dinamiche di sicurezza nell’Est della RDC e sulla cooperazione regionale, «i prossimi negoziati inizieranno concentrandosi dapprima sulle “cause profonde” dei conflitti armati nell’est del Paese. Secondo quanto affermato dall’AFC/M23, esse includerebbero questioni fondiarie, demografiche e etniche. Se queste questioni venissero iscritte all’ordine del giorno delle discussioni di Doha, esse potrebbero contribuire ad aprire un vaso di Pandora all’interno di negoziati che mancano dell’inclusività necessaria per garantire un consenso nazionale su queste questioni così importanti per il futuro del Paese».
Secondo il professor Martin Ziakwau, «la cosa più importante non è porre fine a una saga militare, ma creare le condizioni per una pace duratura. Una di queste condizioni è l’inclusività». Il professor Ziakwau spiega il perché: «Gli altri attori del processo di Nairobi (gli altri gruppi armati) appoggeranno il governo in questo processo di pace con l’M23? Se ci sarà questo appoggio, allora sarà possibile che l’accordo di pace tra il governo  congolese e l’M23 contribuisca a una pace duratura. Ma se gli altri gruppi armati non appoggeranno questi negoziati tra il governo e l’M23, né l’accordo che potrebbe derivarne, allora si potrà temere che si verifichi un cambiamento di alleanze. E questo potrebbe costituire un ostacolo per una pace duratura … Pertanto, pur accettando dei negoziati diretti con l’M23, il governo deve avere come obiettivo quello di raggiungere un consenso con altri attori toccati dal conflitto, tra cui i leader delle comunità locali e dei gruppi armati ancora attivi nell’est del Paese».[9]

La Consulta delle Forze Politiche e Sociali, una piattaforma composta da forze politiche e da organizzazioni della società civile, ha espresso le sue riserve nei confronti della Dichiarazione di Principi firmata dal governo congolese e dalla coalizione AFC/M23, il 19 luglio a Doha (Qatar).
In un suo comunicato, la piattaforma ha espresso le sue preoccupazioni per le evidenti tensioni apparse tra i firmatari subito dopo la cerimonia. La Consulta ritiene infatti che le divergenze che si sono manifestate tra i firmatari riflettano “la debolezza della mediazione” che, nonostante la sua ufficialità, “non è riuscita a conciliare i punti di vista delle parti”: «I disaccordi espressi tra i firmatari subito dopo la cerimonia della firma riflettono le persistenti tensioni esistenti tra le parti in conflitto. Essi manifestano una certa debolezza della mediazione, nonostante l’ufficialità della firma di una dichiarazione che, purtroppo, sembra già contenere i germi del suo stesso fallimento, ancor prima della sua attuazione».
La Consulta ritiene che la firma di questa dichiarazione di principi, unita alla prospettiva di un secondo round di negoziati tra il governo congolese e la coalizione dell’AFC/M23, sia un atto del tutto insufficiente, data la profondità della crisi. Pertanto, essa chiede di adottare un approccio globale che vada oltre le sole considerazioni di sicurezza: «La crisi congolese è profondamente endogena e multiforme. Perciò lo spettro della sua risoluzione non può essere limitato ai soli belligeranti». La piattaforma denuncia una strategia governativa ritenuta parziale, inefficace e incentrata esclusivamente sul conflitto con l’AFC/M23, senza tenere conto degli altri focolai di insicurezza esistenti nel Paese: «L’attenzione esclusiva del governo sul conflitto con l’AFC-M23, ignorando gli altri gruppi armati e altri aspetti della crisi, evidenzia un approccio semplicistico e politicamente limitato».
La Consulta evidenzia, in particolare, i limiti strutturali del governo congolese e l’assenza di un quadro politico legittimo: «La crisi ha le sue radici principalmente nell’illegittimità genetica delle istituzioni esistenti e nella loro endemica incapacità di garantire la sovranità politica, amministrativa, militare, territoriale ed economica del Paese». Per arrivare ad una soluzione duratura alla crisi, la Consulta auspica un dialogo nazionale strutturale, repubblicano e inclusivo, basato sulle iniziative guidate dalla Conferenza Episcopale Nazionale del Congo (CENCO) e dalla Chiesa di Cristo in Congo (ECC), in vista di un Patto Sociale per la Pace. Secondo la Consulta, l’organizzazione di questo dialogo non è solo un gesto di buona volontà, ma un imperativo politico, morale e patriottico.[10]

2. LE DIFFERENZE TRA L’ACCORDO DI WASHINGTON E LA DICHIARAZIONE DI DOHA

Nell’ambito delle iniziative intraprese per riportare la pace nell’Est della Repubblica Democratica del Congo, ultimamente sono stati firmati due testi. Da un lato, l’accordo di pace firmato a Washington (Stati Uniti), il 27 giugno, impegna i governi congolese e ruandese. Dall’altro, la Dichiarazione di Doha (Qatar), firmata il 19 luglio, ufficializza un impegno politico tra il governo congolese e il movimento dell’AFC/M23. Pur essendo complementari tra loro, queste due iniziative si distinguono tuttavia per la loro natura, i loro firmatari, le loro priorità e i loro rispettiva obiettivi.
– Due diverse nature giuridiche e politiche.
A Washington è stato firmato un accordo interstatale. È stato concluso tra due Stati, la RDC e il Ruanda, rappresentati dai rispettivi ministri degli Esteri. Da parte sua, la dichiarazione firmata a Doha non è stata oggetto di nessun negoziato tra Stati. Si tratta semplicemente di un testo politico firmato tra un emissario della presidenza congolese e dal segretario permanente dell’AFC/M23. L’iniziativa di Doha si inserisce quindi in un dialogo politico interno e non nell’ambito diplomatico internazionale.
– L’Accordo di Washington è definitivo, la Dichiarazione di Doha stabilisce dei principi.
Anche la natura dei documenti è diversa. L’Accordo di Washington è un testo definitivo, che impegna le parti su dei punti specifici. Prevede un chiaro calendario di azioni, tra cui la neutralizzazione delle Forze Democratiche di Liberazione del Ruanda (FDLR), un gruppo armato di origine ruandese e attivo nell’est della RDC, e la progressiva riduzione della presenza militare ruandese sul territorio congolese. La Dichiarazione di Doha è invece una semplice dichiarazione di principi. Definisce le linee generali di una futura iniziativa di pace, senza ancora specificarne le misure concrete da attuare. Secondo le previsioni annunciate, essa dovrebbe sfociare in un accordo di pace globale entro il 17 agosto 2025.
– Due priorità strategiche distinte.
I due testi rispondono a logiche diverse. Washington si concentra sulla sicurezza tra la RDC e il Ruanda e su questioni economiche e geopolitiche più ampie, in cui gli Stati Uniti intendono svolgere un ruolo importante, in particolare nel settore minerario. Doha, invece, si concentra esclusivamente sugli aspetti legati al conflitto tra Kinshasa e l’AFC/M23: cessate il fuoco, ritorno degli sfollati, liberazione dei prigionieri e restaurazione dell’autorità dello Stato nei territori occupati. Nessuno di questi due testi, da solo, riesce a coprire tutte le questioni di sicurezza nell’est del paese, ma ognuno risponde a una propria logica.
– La questione del ritiro dell’AFC/M23 rimane irrisolta.
La questione del ritiro delle truppe dell’AFC/M23 dalle zone occupate, spesso sollevata nel corso degli attuali incontri, nella Dichiarazione di Doha non appare. Il governo congolese spiega questa assenza per il fatto che si è voluto procedere per tappe. L’obiettivo è avviare innanzitutto un processo di de-escalation strutturato e supervisionato, a partire da una base comune, prima di affrontare le questioni più delicate nell’ambito di un accordo di pace definitivo. Agli occhi di Kinshasa, la Dichiarazione di Doha rappresenta quindi un primo passo volto a creare un clima di fiducia tra le parti e a preparare il successivo ciclo di negoziati veri e propri.
– Due dinamiche complementari, ma ancora fragili.
I due testi firmati nelle ultime settimane non hanno né gli stessi autori, né la stessa portata giuridica, né gli stessi obiettivi politici. Uno rientra nell’ambito della diplomazia interstatale, l’altro è un tentativo di risolvere un conflitto armato interno. Uno riguarda le FDLR, l’altro l’M23. Uno è un testo definitivo, l’altro è una base di dialogo. In ultima analisi, questi due procedure potrebbero convergere, ma non c’è ancora nessuna garanzia che possano avere successo. Le complessità sul campo, la fragilità delle alleanze e la molteplicità degli attori richiedono la massima cautela.
– Quali sono le prossime scadenze?.
> Per l’accordo di pace di Washington:
Entro il 27 luglio 2025: creazione di un meccanismo di coordinamento congiunto tra la RDC e il Ruanda.
Entro l’11 agosto 2025: Prima riunione del Comitato congiunto di monitoraggio, con la partecipazione dell’Unione Africana, degli Stati Uniti e del Qatar.
Dal 27 luglio alla fine di novembre 2025 (quattro mesi dopo la firma dell’accordo): Neutralizzazione delle FDLR e graduale ritiro delle cosiddette misure difensive messe in atto dal Ruanda.
Entro il 27 settembre 2025: Avvio di un ambito di integrazione economica regionale: cooperazione in materia di risorse naturali, commercio transfrontaliero e investimenti.
> Per la Dichiarazione di principi firmata tra la RDC e l’AFC/M23:
29 luglio: Termine ultimo per l’effettiva attuazione delle disposizioni previste nella Dichiarazione di principi, tra cui l’applicazione del cessate il fuoco.
8 agosto: Inizio dei negoziati diretti e ufficiali per un accordo di pace, una volta che si siano attuati gli impegni della Dichiarazione di Principi.
17 agosto: Obiettivo fissato per raggiungere un consenso e firmare un accordo di pace globale e definitivo tra le due parti.[11]

[1] Cf Clément Muamba – Actualité.cd, 19 et 22.07.’25
[2] Cf Clément Muamba – Actualité.cd, 19.07.’25
[3] Cf Clément Muamba – Actualité.cd, 21.07.’25
[4] Cf Radio Okapi, 23.07.’25
[5] Cf Radio Okapi, 23.07.’25
[6] Cf MM – Trends / MCP, via mediacongo.net, 19.07.’25
[7] Cf information.tv5monde.com, 19.07.’25
[8] Cf RFI, 21.07.’25
[9] Cf Clément Muamba – Actualité.cd, 21.07.’25 et RFI, 21.07.’25
[10] Cf Gloria Kisenda – Actualité.cd, 23.07.’25
[11] Cf Patient Ligodi – RFI.fr 24.07.’25   https://www.rfi.fr/fr/afrique/20250724-ce-qui-distingue-l-accord-de-washington-de-la-d%C3%A9claration-de-doha-sur-la-crise-dans-l-est-de-la-rdc