INDICE
1. COMUNICATI E DICHIARAZIONI SULL’ACCORDO DI PACE TRA LA RDC E IL RUANDA
2. UNA RIFLESSIONE SULL’ACCORDO DI PACE DI WASHINGTON: SVILUPPO SOSTENIBILE O RICOLONIZZAZIONE?
3. NEUTRALIZZAZIONE DELLE FDLR E REVOCA DELLE “MISURE DIFENSIVE” DEL RUANDA: LE PRIME DIFFICOLTÀ GIÀ PREVISTE
a. Il Piano operativo
b. Le FDLR: chi sono?
c. Neutralizzazione delle FDLR e revoca delle misure difensive del Ruanda / ritiro delle truppe ruandesi dal territorio congolese
d. Il legame tra le FDLR e i Wazalendo
1. COMUNICATI E DICHIARAZIONI SULL’ACCORDO DI PACE TRA LA RDC E IL RUANDA
L’accordo di pace firmato dalla Repubblica Democratica del Congo (RDC) e dal Ruanda sotto la mediazione degli Stati Uniti ha suscitato delle reazioni nell’ambito sociopolitico congolese. Mentre il governo è ottimista sulla sua attuazione, altri attori, d’altro canto, sono pessimisti riguardo ad alcune disposizioni che non sono vantaggiose per la RDC.
In un comunicato intitolato “Minerali per la pace? Come far rispettare l’accordo tra Ruanda e Repubblica Democratica del Congo”, Human Rights Watch afferma che l’accordo di pace firmato a Washington il 27 giugno tra la Repubblica Democratica del Congo (RDC) e il Ruanda, con la mediazione degli Stati-Uniti, legherà l’integrazione economica e il rispetto dell’integrità territoriale alla promessa di investimenti occidentali. Pur essendo un accordo principalmente minerario, l’accordo di Washington offre anche un’opportunità di pace nella regione dei Grandi Laghi Africani. La sua attuazione, tuttavia, dipenderà da una continua supervisione del governo statunitense. L’accordo è direttamente in linea con gli interessi strategici degli Stati Uniti ed è coerente con la tendenza del presidente Donald Trump a favorire una politica estera transazionale. Se i vantaggi offerti, da un lato, alla RDC per i suoi minerali e, d’altro lato, al Ruanda come potenziale piattaforma per la trasformazione e l’esportazione dei minerali, potrebbero portare i due paesi al tavolo dei negoziati, l’esperienza dimostra tuttavia che una pace duratura può essere raggiunta solo se la responsabilità delle violazioni dei diritti umani commesse da tutte le parti viene messa al centro delle discussioni,
Purtroppo, però, questo accordo non affronta il problema dell’impunità, un fattore chiave nei conflitti in corso nella regione. Gravi violazioni dei diritti umani sono stati commesse dal gruppo armato denominato Movimento del 23 marzo (M23), che controlla vaste zone dell’Est della RDC, e dalle truppe ruandesi che lo appoggiano. Da parte sua, anche il governo congolese è responsabile degli abusi commessi dalle sue stesse truppe e dalle milizie alleate.
Per anni, il Ruanda ha appoggiato l’M23, alimentando violenze e instabilità: esecuzioni sommarie, bombardamenti di campi profughi e reclutamento forzato di bambini soldato, provocando la fuga di centinaia di migliaia di persone. Affinché la dinamica proposta dall’amministrazione Trump porti a reali progressi, il Ruanda deve innanzitutto attenersi ai principi sottoscritti in aprile 2025, tra cui il ritiro delle sue truppe dal Congo e la cessazione del suo appoggio all’M23. Il rispetto di questi impegni dovrebbe essere verificato da osservatori internazionali indipendenti, consapevoli della tendenza del governo ruandese al diniego e alla doppiezza.
Gli Stati Uniti dovrebbero essere pronti a imporre nuove sanzioni contro le personalità ruandesi implicate in violazioni dei diritti umani e a denunciare pubblicamente il governo qualora non rispettasse le disposizioni previste nell’accordo.
Anche il governo congolese deve assumersi le proprie responsabilità. L’accordo rischia di essere messo a repentaglio a causa del suo appoggio alle milizie alleate (Wazalendo) e alle Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR), un gruppo armato composto anche da alcuni miliziani e militari responsabili del genocidio ruandese del 1994. Tutto ciò deve cessare: la RDC deve smantellare tutti i gruppi armati una volta per tutte. Poiché le divisioni etniche rimangono ancora una triste realtà, il governo congolese deve dimostrare la sua buona fede, impegnandosi a contrastare tutti quei discorsi che, ispirati dall’odio etnico, rischiano di incitare alla violenza.
Il Congresso degli Stati Uniti può contribuire al successo e all’attuazione dell’accordo di pace firmato dalla RDC e dal Ruanda con la mediazione degli Stati Uniti, esigendo che qualsiasi investimento in infrastrutture e ogni tipo di appoggio alla sicurezza sia subordinato al completo ritiro delle truppe ruandesi dalla RDC e alla cessazione dell’appoggio congolese ai gruppi armati. Il Congresso dovrebbe inoltre offrire il proprio appoggio all’apertura di inchieste sui crimini commessi e assicurare un monitoraggio internazionale sul rispetto dell’accordo. Tali azioni sono il minimo necessario per non tradire la promessa di una pace reale e duratura nell’est della RDC e per garantire agli Stati Uniti un approvvigionamento affidabile in minerali estratti e commercializzati senza alcuna violazione dei diritti umani.[1]
Secondo il premio Nobel per la pace Denis Mukwege, firmando questo accordo con il Ruanda, il regime di Kinshasa ha ceduto la propria sovranità nelle mani dell’aggressore e legittimato l’occupazione territoriale da parte di un esercito responsabile di milioni di morti e di sfollati.
«Questo accordo rivela che il mediatore statunitense non riconosce affatto l’esistenza di uno Stato aggressore, il Ruanda, che sfida ogni giorno il diritto internazionale con totale impunità, e di un Paese aggredito, la RDC, che sta subendo il peso degli effetti dannosi di una geopolitica cinica.
Se, in apparenza, l’accordo di pace firmato sembra basarsi sul rispetto dell’integrità territoriale e prevede la cessazione delle ostilità tra la RDC e il Ruanda e l’impegno di entrambe le parti in conflitto di mettere fine al rispettivo appoggio ai gruppi armati, le FDLR da parte congolese e l’M23 da parte ruandese, diverse disposizioni in esso iscritte dimostrano che esso contiene già i semi del prolungamento del conflitto», dichiarato il Premio Nobel per la Pace nel suo discorso pronunciato in occasione di un concerto per la pace nella RDC in Belgio.
Secondo Dénis Mukwege, il ritiro dell’esercito ruandese dal territorio congolese, che dovrebbe essere immediato e senza condizioni, come previsto dalla risoluzione 2773 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite adottata il 21 febbraio 2025, appare ora subordinato alla neutralizzazione delle Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR), attraverso un meccanismo congiunto di sicurezza (RDC/Ruanda) che autorizza l’esercito ruandese a operare sul suolo congolese. Secondo lui, l’aggressore non sanzionato potrà quindi continuare le sue operazioni nell’est della RDC, con l’approvazione del governo congolese.
Egli ha aggiunto che «lo smantellamento dell’M23 dipenderà dai negoziati paralleli che si stanno svolgendo a Doha (in Qatar) e il cui esito è incerto, poiché dipendono in gran parte dalla buona volontà del Ruanda, che controlla e appoggia l’M23, anche se non l’ha mai ammesso, nonostante le schiaccianti prove che lo attestano. Pertanto, si può affermare che, firmando questo accordo, il regime di Kinshasa ha ceduto la propria sovranità alle forze di aggressione e legittimato l’occupazione e le operazioni di un esercito responsabile di milioni di morti, di centinaia di migliaia di donne violentate e dello spostamento forzato di milioni di sfollati congolesi».
L’accordo di Washington include anche disposizioni volte ad accelerare l’integrazione economica regionale. Da parte sua, Dénis Mukwege afferma di non poter accettare che uno Stato aggressore, da 30 anni responsabile del saccheggio sistematico delle risorse minerarie congolesi, possa beneficiare della cogestione delle risorse naturali della RDC.
Secondo il Dottor Denis Mukwege, «con il pretesto della cooperazione economica, della sicurezza delle filiere minerarie e della creazione di catene di valore aggiunto integrate e trasparenti, per usare i termini dell’accordo firmato, i minerali congolesi saranno esportati, per non dire “svenduti”, allo stato grezzo verso il Ruanda, che li trasformerà e li esporterà come prodotti semifiniti o finiti verso il resto del mondo. Lo Stato ruandese, aggressore e saccheggiatore, beneficerà quindi, con l’approvazione di Kinshasa, del valore aggiunto dei minerali congolesi, in una logica estrattivista neocoloniale che perpetuerà il sottosviluppo nella RDC».
Di fronte a questa situazione, il Premio Nobel per la Pace sta mobilitando la popolazione, che ne detiene la legittimità, affinché possa sollevarsi contro l’accordo firmato a Washington. Ha inoltre chiesto alle istituzioni della Repubblica di rispettare il loro obbligo di dare la priorità esclusivamente all’interesse generale del Paese. Egli ha proseguito facendo notare: «Come si può accettare di abbandonare la nostra sovranità? Come si può accettare di legittimare l’occupazione da parte di un paese aggressore? Come si può accettare la svendita delle nostre risorse minerarie? Come si può sacrificare la giustizia sull’altare di una pace che non può che essere fragile, perché l’accordo di pace contiene già in sé i semi del prolungamento del conflitto e delle atrocità di massa? È quindi auspicabile, come ultima possibilità, un risveglio della coscienza del popolo congolese, a cui appartiene la sovranità nazionale, e un atteggiamento di responsabilità da parte del governo e del Presidente della Repubblica, custode della Costituzione. Secondo la legge fondamentale (articolo 214), la risoluzione dei conflitti internazionali non può che essere ratificata o approvata mediante una legge e deve pertanto essere dapprima sottoposta ai rappresentanti eletti dell’Assemblea nazionale congolese. Occorre inoltre ricordare che qualsiasi accordo che comporti la privazione, da parte della Nazione, di una parte dei suoi mezzi di sussistenza, provenienti dalle sue risorse naturali, è considerato come un reato di saccheggio e che, come tale, è punibile come reato di alto tradimento (art. 56 e 57)».[2]
Amnesty International ha affermato che il recente accordo di pace tra la Repubblica Democratica del Congo (RDC) e il Ruanda non affronta il tema della giustizia per le vittime dei gravi crimini commessi, poiché non contiene alcuna disposizione che accerti la responsabilità di chi li ha commessi. «Poiché l’accordo di Washington non affronta il tema dell’impunità per i terribili crimini commessi nell’est della RDC, le parti firmatarie hanno perso l’occasione di affrontare uno dei fattori persistenti del conflitto», ha dichiarato Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International, aggiungendo che «quando le persone responsabili di violazioni dei diritti umani non vengono né indagate, né obbligate a rendere conto delle loro azioni, si crea un circolo vizioso, in cui sono le popolazioni civili a pagarne il prezzo. Questo deve assolutamente cessare, affinché la sicurezza sia assicurata». Dalla firma dell’accordo di Washington, il 27 giugno, Amnesty International ha ricevuto informazioni attendibili secondo cui il Movimento del 23 Marzo (M23), appoggiato dal Ruanda, e i Wazalendo, gruppi armati per l’autodifesa, sostenuti dall’esercito congolese, hanno continuato a scontrarsi nel Nord e nel Sud Kivu, causando la morte di decine di persone civili. Pertanto, «il Ruanda e la RDC devono urgentemente esigere che l’M23 e i Wazalendo diano la priorità alla protezione delle popolazioni civili e rispettino il diritto internazionale umanitario», ha dichiarato Agnès Callamard Sempre secondo Amnisty International, l’M23 continua a sequestrare dei giovani, per poi condurli in località sconosciute. Il 30 giugno, l’M23 ha dichiarato di “aver preso atto” dell’accordo di pace tra la RDC e il Ruanda raggiunto con la mediazione degli Stati Uniti, ma in seguito ha affermato di non sentirsene parte implicata.[3]
In una conferenza stampa tenutasi in Vaticano, in occasione della presentazione del documento preparatorio redatto dalle Chiese di Asia, Africa e America Latina, in vista della COP30, il cardinale congolese Fridolin Ambongo si è detto molto critico nei confronti dell’accordo di pace, firmato il 27 giugno a Washington, tra la RDC e il Ruanda, definendolo come “falsa soluzione” al conflitto che da decenni devasta l’est della RDC. L’arcivescovo metropolita di Kinshasa ha innanzitutto fatto notare che, in Africa in generale e nell’est della RDC in particolare, i minerali strategici sono spesso oggetto di contese e la principale causa della proliferazione dei gruppi armati. In un secondo momento, il cardinale ha rilevato l’inefficacia della soluzione “sicurezza in cambio di minerali” proposta dal Presidente Donald Trump alla RDC e al Ruanda. «Mentre le nostre comunità sono ancora prive di acqua potabile, la corsa ai minerali strategici è oggi, soprattutto in Africa, alla radice della proliferazione dei gruppi armati. In tale contesto, il presidente statunitense Donal Trump ha recentemente,proposto alla RDC e al Ruanda la sua soluzione: siete in guerra tra di voi per i minerali. Io, il grande Trump, vengo a riconciliarvi e voi mi date i vostri minerali. Ha provato questa soluzione in Ucraina. Non ha funzionato. Ma qui da noi, tutti gli corrono dietro», ha detto il prelato cattolico, insistendo: «Basta con questo modo di fare. Basta con le false soluzioni. Basta con le decisioni prese senza prestare ascolto a chi soffre le conseguenze dell’insicurezza».[4]
Di fronte alle numerose critiche che denunciano la mancanza di disposizioni in materia di giustizia nei confronti delle vittime della guerra imposta dal gruppo armato AFC/M23, appoggiato da truppe dell’esercito ruandese, Thérèse Kayikwamba Wagner, Ministra congolese per gli Affari Esteri, ha sottolineato che l’accordo di Washington dà priorità alle questioni relative alla sicurezza. «Dobbiamo considerare l’accordo di Washington come un accordo che si è concentrato soprattutto sulle questioni che attualmente causano i maggiori problemi. Questo significa che la questione della giustizia è irrilevante o che non è una priorità per il governo congolese? Assolutamente no», ha dichiarato Thérèse Kayikwamba Wagner. Di fronte alle pressanti domande poste dagli attivisti per i diritti umani riguardo all’assenza, nel testo dell’accordo di Washington, del riconoscimento del Ruanda come paese aggressore della RDC, la ministra congolese ha affermato di aver negoziato in modo tale da non aggravare ulteriormente i rapporti con Kigali, purché ritorni la pace nell’est del paese: «Non si può dire che un accordo di pace sia una capitolazione. Ma per la sua effettiva attuazione, occorre evitare di umiliare l’altra parte. Ciò non significa che la questione della giustizia sia irrilevante o non stia avanzando. Sta avanzando attraverso le nostre istituzioni giudiziarie, la CPI e la Corte Africana dei diritti dell’uomo e dei popoli».[5]
2. UNA RIFLESSIONE SULL’ACCORDO DI PACE DI WASHINGTON: SVILUPPO SOSTENIBILE O RICOLONIZZAZIONE?
La celebrazione del 65° anniversario dell’indipendenza della Repubblica Democratica del Congo (RDC), non può più limitarsi a delle semplici commemorazioni. Una domanda infatti è diventata più che mai importante: la RDC, che detiene quasi il 70% del cobalto mondiale e immense riserve di litio e di coltan, sta negoziando la sua rinascita o la sua sottomissione a due altre bandiere: quella delle multinazionali americane e quella della geopolitica verde?
– Un accordo strategico o un patto iniquo?
Da febbraio 2025, Kinshasa e Washington stanno discutendo di un partenariato senza precedenti: l’accesso preferenziale degli Stati Uniti ai minerali strategici congolesi in cambio di investimenti in infrastrutture, sicurezza e transizione energetica. Un accordo presentato come “win-win”. Ma chi ne trarrà davvero vantaggio? Lungi dall’essere banale, questo accordo potrebbe collocare la RDC in un nuovo assetto economico, quello di un’Africa al servizio della rivoluzione tecnologica globale: batterie elettriche, intelligenza artificiale, energia verde. Tragica ironia: mentre il mondo si sta “decarbonizzando”, la RDC rischia di “rimineralizzarsi”… e di ridiventare dipendente.
– La guerra nell’est della RDC: un laboratorio di caos geo-economico?
Dalla caduta di Mobutu in poi, l’est della RDC è diventato una matrice di guerra ibrida, in cui si intersecano interessi mafiosi, logiche geopolitiche e attività minerarie ad alta intensità. Nel 2024, la conquista della miniera di Rubaya da parte dell’M23 è stata più un colpo strategico nell’ambito della guerra mondiale per le risorse che una vittoria militare. Ciò che pochi osano dire ad alta voce: il silenzio complice di alcune potenze occidentali, fra cui gli Stati Uniti, di fronte all’aggressione ruandese, non è semplicemente un calcolo diplomatico. Fa parte di un cinico gioco di equilibri: chiudere gli occhi sui crimini commessi, affinché il flusso dei minerali strategici non si interrompa.
– Tshisekedi, l’America e il miraggio della stabilità
Per il presidente Tshisekedi, questo partenariato con gli Sati Uniti potrebbe rappresentare una leva di legittimità internazionale, quando il suo regime si trova a dovere affrontare un crescente malcontento popolare, le ripercussioni dei continui scandali finanziari e le conseguenze di un’insicurezza fuori controllo. Alcuni analisti parlano di una strategia di “messa in sicurezza del regime” attraverso la diplomazia delle risorse minerarie: garantire l’accesso ai minerali in cambio di una sorta di ombrello politico occidentale, una specie di “Piano Marshall al contrario”, in cui le risorse naturali finanziano la stabilità… ma non necessariamente quella della popolazione.
– Da Pechino a Washington: la trappola delle continue illusioni
L’accordo sino-congolese dell’era Kabila era già presentato come la promessa di un futuro radioso. Quindici anni dopo, le strade sono impraticabili, gli ospedali rimangono incompiuti e miliardi di dollari si sono evaporati nei meandri opachi del potere. Con gli Stati Uniti, la narrazione è cambiata, ma la struttura di dominazione sembra restare identica: le tecnologie si sono evolute e, con esse, anche gli imperi. Non si tratta più di una colonizzazione con le armi, ma con algoritmi, contratti confidenziali e “partenariati pubblico-privati”.
– Un futuro possibile: il tempo della reinvenzione congolese
La vera questione non è il partenariato con gli Stati Uniti, ma come esso verrà strutturato, da chi e per quale scopo. Lo sviluppo sostenibile non può essere decretato con un memorandum d’intesa; si costruisce lentamente attraverso azioni concrete, responsabilità e, soprattutto, consapevolezza storica. Cosa succederebbe se il Congo cessasse di essere l’”El Dorado per gli investitori” e diventasse invece una delle più importanti nazioni del XXI secolo? Potrebbe diventare una potenza strategica consapevole di se stessa, in cui il popolo mantiene il controllo sulle proprie risorse, i giovani trasformano i minerali in tecnologia locale e la sovranità cessa di essere uno slogan.
– Conclusione: dall’indipendenza formale alla sovranità reale
Sessantacinque anni dopo la dichiarazione d’indipendenza, la vera questione rimane quella della sovranità concreta. L’accordo in fase di negoziazione tra la RDC e gli Stati Uniti potrebbe rappresentare un’opportunità storica o rivelarsi un miraggio dalle conseguenze irreversibili.
Ciò che farà la differenza non sarà più una firma solenne a Washington, ma la capacità del popolo congolese ad esercitare la sua funzione di controllo civico, mettere in discussione le scelte politiche e, se necessario, di opporvisi. In caso contrario, la RDC rischia di entrare in un’era di “colonialismo climatico”: pulito e tecnologico in apparenza, ma spietatamente estrattivo e i nostri figli e nipoti continueranno ad essere schiavi sulla loro stessa terra.[6]
3. NEUTRALIZZAZIONE DELLE FDLR E REVOCA DELLE “MISURE DIFENSIVE” DEL RUANDA: LE PRIME DIFFICOLTÀ GIÀ PREVISTE
a. Il Piano operativo
Dopo la firma dell’accordo di pace tra la Repubblica Democratica del Congo (RDC) e il Ruanda, si moltiplicano gli interrogativi. Il testo firmato a Washington, sotto l’egida degli Stati Uniti, include un piano per neutralizzare le Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR), un gruppo armato hutu di origine ruandese, presente sul territorio dell’est della RDC e accusato dal Ruanda di essere una minaccia per la sua sicurezza. Tuttavia, l’attuazione di questo piano si preannuncia molto difficile, sia militarmente che politicamente.
Tempi troppo stretti per un obiettivo ambizioso.
Per neutralizzare le FDLR, il documento prevede un’operazione in quattro fasi. In primo luogo, la creazione di un meccanismo congiunto di coordinamento per la sicurezza, la cui operatività è prevista entro il 27 luglio. L’obiettivo di questo meccanismo è di permettere alle Forze Armate della RDC (FARDC) e alle truppe ruandesi, la pianificazione congiunta delle azioni militari. Seguirà una fase di preparazione di 15 giorni, volta a individuare le posizioni delle FDLR e raccogliere tutte le informazioni necessarie. La terza fase, operativa, è la più delicata: l’esercito congolese avrà tre mesi di tempo per intervenire e neutralizzare le FDLR. L’obiettivo dichiarato nel piano è duplice e simultaneo: da un lato, la neutralizzazione delle FDLR; dall’altro, la revoca delle cosiddette misure difensive adottate dal Ruanda, ciò che equivarrebbe al ritiro delle truppe ruandesi attualmente dispiegate in territorio congolese.
Ma l’equazione è tutt’altro che semplice. I combattenti delle FDLR sono sparsi un po’ dappertutto, sia nelle zone controllate dall’esercito congolese che in quelle controllate dalle truppe dell’AFC/M23 appoggiate dall’esercito ruandese. Questa sovrapposizione compromette la fattibilità del piano di neutralizzazione delle FDLR previsto, soprattutto perché esse continuano a rifiutarsi di deporre le armi. Nel 2024 avevano chiesto alla mediazione angolana di facilitare un dialogo diretto con Kigali, ma senza successo. Il rischio di nuovi scontri nei prossimi mesi è concreto.
Un’assurda mancanza di attenzione nei confronti delle vittime civili.
Un’altra grave debolezza dell’accordo di Washington è la mancanza di attenzione nei confronti delle vittime civili del conflitto. Benché l’accordo menzioni l’impegno assunto da entrambi gli Stati per assicurare il ritorno volontario, sicuro e dignitoso degli sfollati e dei rifugiati, il testo tace su qualsiasi forma di giustizia e di riparazione. Non è previsto alcun meccanismo per la verità, il risarcimento e l’aiuto psicosociale.
Un accordo tra Stati, senza l’AFC/M23.
L’AFC/M23, gruppo armato appoggiato da Kigali, non è tra i firmatari dall’accordo di Washington, perché sta negoziando con il governo congolese a Doha, con la mediazione del Qatar. Finora, queste discussioni procedono molto lentamente, poiché le due parti rimangono su posizioni inconciliabili: Kinshasa chiede il ritiro immediato dell’M23 dalle zone occupate, l’acquartieramento delle sue truppe e il ripristino dell’autorità dello Stato. Da parte sua, l’M23 chiede innanzitutto l’adozione di misure volte a rafforzare la fiducia reciproca, in vista di un cessate il fuoco seguito da un accordo di pace tra le due parti.
Un ambito di monitoraggio diplomatico molto delicato.
Per garantire l’attuazione dell’Accordo di Washington, sono previsti due meccanismi: il Meccanismo Congiunto di Coordinamento e un Comitato Congiunto di Monitoraggio. Quest’ultimo avrà il compito di ricevere e registrare le eventuali querele, documentare le violazioni e proporre soluzioni. Potrà anche istituire meccanismi ad hoc, se necessario. Sulla carta, l’architettura diplomatica appare solida. Ma tutto dipenderà dalla reale volontà degli Stati interessati nel rispettare gli impegni assunti. In assenza di sanzioni e di solide garanzie, la portata di questo accordo potrebbe erodersi molto rapidamente.[7]
A questo proposito, per esempio, in un’intervista a Jeune Afrique, il ministro degli Esteri ruandese, Olivier Nduhungirehe, ha affermato che l’accordo firmato a Washington non prevede affatto il ritiro delle truppe ruandesi, ma il disarmo dei gruppi armati: «Il termine “disimpegno” si riferisce esclusivamente ai gruppi armati». È questo modo di interpretare il testo che può, in futuro, mettere a repentaglio l’accordo stesso.[8]
b. Le FDLR: chi sono?
Il professor Martin Ziakwau, ricercatore sulle dinamiche di sicurezza nell’est della RDC, distingue due concezioni delle FDLR:
– In senso stretto, si tratta di combattenti hutu molti dei quali avevano partecipato al genocidio del 1994 in Ruanda, ma che oggi non rappresentano più una vera minaccia per la sicurezza del Ruanda. Un tempo in prima linea, questi uomini sono ormai invecchiati e diverse operazioni militari condotte unilateralmente dalla RDC, o in collaborazione con truppe dell’esercito ruandese e/o con la MONUSCO, ne hanno ridotto significativamente il numero. Nel 2017, centinaia di loro erano stati rimpatriati in Ruanda, ciò che dimostra un loro tangibile declino.
– In senso lato, le FDLR designerebbero non solo il vettore armato di un’ideologia “genocidaria” inoculata dagli Interahamwe e da altri estremisti hutu, ma anche i loro discendenti che, con il passare del tempo, si sono stabiliti in diverse zone del Nord e del Sud Kivu. Secondo questa concezione, i giovani che appartengono a questa generazione di discendenti e che sono stati formati al combattimento, rappresenterebbero una minaccia per la pace e la stabilità nella regione. È secondo quest’ultima concezione che le FDLR sono citate nei rapporti del Gruppo di esperti delle Nazioni Unite per la RDC.[9]
Cosa rimane oggi delle FDLR? Secondo il gruppo degli esperti delle Nazioni Unite per la RDC, all’inizio del 2025, i combattenti delle FDLR presenti sul suolo congolese erano circa un migliaio. Una cifra difficile da verificare, confida un ricercatore che preferisce restare anonimo. Secondo lui, i combattenti dell’ala più oltranzista delle FDLR – ex genocidari ruandesi – non sono più di un centinaio. Si tratta dei combattenti più anziani che svolgono i compiti più delicati, come l’intelligence e l’addestramento, ecc. Il resto delle truppe sarebbe composto da nuove reclute, figli di membri delle FDLR nati nella RDC, ma che conserverebbero una certa ideologia genocidaria. Prima della grande offensiva intrapresa dall’AFC/M23 in gennaio 2025, le FDLR erano presenti nel triangolo che collega Rutshuru a Masisi, a sud del territorio di Lubero. Da allora, le FDLR rappresentano delle sacche di resistenza nelle zone controllate dall’M23 ed è diventato sempre più difficile localizzarle.
Nel loro ultimo rapporto, gli esperti delle Nazioni Unite fanno osservare che, contrariamente all’impegno che Kinshasa si era assunto, l’esercito congolese ha continuato a utilizzare le FDLR contro l’M23. Le FDLR hanno subito perdite significative a Saké e a Goma, dove il loro numero due, il generale Ezéchiel Gakwerere, è stato catturato nel mese di marzo di quest’anno. Era il braccio destro del loro capo militare, il generale Pacifique Ntawunguka, alias “Omega”. Ezéchiel Gakwerere era sottotenente dell’esercito ruandese all’epoca del genocidio del 1994 e avrebbe svolto un ruolo molto attivo a Butare. Il suo nome è stato citato più volte dinanzi al Tribunale Penale Internazionale per il Ruanda ad Arusha. Con i suoi commilitoni era fuggito nell’est della RDC, dove ha partecipato alla creazione delle FDLR, di cui ha scalato i ranghi nel corso degli ultimi 30 anni.[10]
c. Neutralizzazione delle FDLR e revoca delle misure difensive del Ruanda / ritiro delle truppe ruandesi dal territorio congolese
A pochi giorni dalla firma dell’accordo di pace tra la RDC e il Ruanda a Washington il 27 giugno, la questione del disarmo delle Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR) – fondate nel 2000 con la partecipazione di alcuni responsabili del genocidio ruandese del 1994 – è già un tema caldo di dibattito. L’accordo prevede la neutralizzazione dei combattenti hutu ruandesi presenti nell’est della RDC e la revoca delle misure difensive poste in atto dal Ruanda (ovvero il ritiro delle truppe ruandesi dal territorio congolese) entro tre mesi. Tuttavia, Kinshasa e Kigali non sembrano essere d’accordo sull’ordine in cui queste operazioni dovrebbero svolgersi.[11]
Mentre Kigali condiziona la revoca delle sue “misure difensive” alla neutralizzazione delle FDLR, Kinshasa persiste nel denunciare la manipolazione e la strumentalizzazione delle FDLR da parte del regime ruandese che, ancora oggi, continua a considerare le FDLR come una grave minaccia alla propria sicurezza, nonostante l’attuale loro esiguo numero di combattenti, e chiede al governo congolese di neutralizzarle.[12]
In una conferenza stampa del 3 luglio, la ministra congolese per gli Affari Esteri, Thérèse Kayikwamba Wagner, ha dichiarato: «Non si può pensare di neutralizzare le FDLR senza una presenza militare congolese nelle zone in cui esse operano. E pertanto, non si può pensare di neutralizzare le FDLR senza un previo ritiro delle truppe dell’AFC/M23 e dell’esercito ruandese che le appoggiano, dai territori occupati, dove sono presenti anche alcuni gruppi delle FDLR».[13]
D’altra parte, in un’intervista a Jeune Afrique, a proposito della revoca delle “misure difensive” del Ruanda, il Ministro degli Esteri ruandese Olivier Nduhungirehe ha condizionato e subordinato tale revoca alla neutralizzazione delle FDLR. Reagendo all’affermazione secondo la quale, poiché le FDLR sono presenti e operano anche in zone controllate dall’M23 appoggiato dalle truppe ruandesi, l’operazione di neutralizzazione delle FDLR implica un previo ritiro dell’M23 e delle truppe ruandesi che le sostengono, il Ministro degli Esteri ruandese ha replicato: «Le FDLR sono appoggiate dal governo congolese e collaborano con l’esercito congolese o vi sono addirittura integrate. Se poi ci si chiede se l’esercito congolese si trova nella zona dell’M23, la risposta è semplice: no! Pertanto, nemmeno le FDLR sono presenti sul territorio dell’M23».[14]
In un comunicato stampa, Justicia ASBL, un’organizzazione della società civile, ha affermato che la questione delle FDLR deve essere esaminata con assoluta neutralità, trasparenza e obiettività. Propone pertanto la creazione di una commissione specializzata per esaminare approfonditamente la questione. Per garantirne la neutralità e l’imparzialità, essa dovrebbe includere rappresentanti dei governi della RDC, del Ruanda, degli Stati Uniti, del Qatar, dell’Unione Africana, dell’Unione Europea e di altre organizzazioni specializzate.
Justicia ASBL delinea chiaramente le missioni che dovrebbero essere assegnate a questa commissione, tra cui l’ubicazione e il censimento dei membri delle FDLR in vista del loro rimpatrio in Ruanda. Questa commissione ad hoc dovrebbe avere, tra altri, i seguenti compiti:
– Identificare, localizzare e censire i membri delle FDLR che si ritiene si trovino in Congo (il loro numero effettivo, la loro ubicazione, il numero e la qualità delle armi in loro possesso);
– Se dispersi in varie zone, radunarli per il loro rimpatrio volontario in Ruanda.
– Avviare un programma per la loro reintegrazione in Ruanda con l’appoggio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, del Coordinamento degli Affari Umanitari (OCHA), dell’Ufficio congiunto delle Nazioni Unite per i diritti umani e di altre organizzazioni internazionali;
– Creare un meccanismo di rimpatrio volontario dei combattenti delle FDLR in Ruanda, assicurando loro una reale garanzia di sicurezza e una chiara politica di reinserimento;
– Monitorare il rispetto dei diritti fondamentali in ogni fase dell’operazione, evitando che tutti coloro che oggi vengono identificati come appartenenti alle FDLR, tra cui quelli nati dopo il genocidio ruandese del 1994 o quelli che all’epoca erano ancora minorenni, siano considerati autori di atti di genocidio o membri delle forze combattenti.
A questo proposito, Justicia ASBL sottolinea che è necessario che il Ruanda incoraggiasse un percorso di riconciliazione con i membri delle FDLR che accettassero il rimpatrio volontario.
Infine, secondo Justicia ASBL, «senza una reale volontà politica da parte della RDC e del Ruanda, e in assenza di un’azione congiunta a livello regionale e internazionale, la questione delle FDLR continuerà a servire da pretesto per continuare la guerra nell’est della RDC».[15]
d. Il legame tra le FDLR e i Wazalendo
Nel suo rapporto di medio termine pubblicato in dicembre 2024, il Gruppo degli esperti dell’ONU per la RDC afferma che, nelle operazioni condotte contro la coalizione AFC-M23 e le truppe ruandesi che l’appoggiano, le FDLR sono molto spesso alleate con i gruppi Wazalendo (punto 74) e che, quando vengono attaccate dall’esercito congolese, la strategia adottata è quella di integrare i combattenti delle FDLR nei gruppi dei Wazalendo, per far apparire che le FDLR non esistono più. È così che vari comandanti delle FDLR hanno spesso chiesto ai loro combattenti di presentarsi come membri di altri gruppi (punto 75).[16]
Come rivelato dal rapporto degli esperti delle Nazioni Unite, per combattere contro l’AFC/M23, il governo congolese continua a fare affidamento sia sui Wazalendos che sulle FDLR come forze ausiliarie. Secondo Martin Ziakwau, docente di Relazioni Internazionali presso l’Università Cattolica del Congo, la neutralizzazione delle FDLR da parte del governo congolese rischia quindi di essere molto problematica, a causa della loro prossimità con i Wazalendos. In un’intervista, egli afferma: «Prendo atto che il gruppo degli esperti dell’ONU fornisce una certa quantità di informazioni sui rapporti esistenti tra le FDLR e i Wazalendo. Ci sono dei collegamenti tra comandi delle FDLR e dei Wazalendo che attestano la loro prossimità e la loro collaborazione e che lasciano intendere che la neutralizzazione delle FDLR dovrebbe riscuotere il consenso e l’adesione anche dei Wazalendo». In questo contesto, mentre il governo sta negoziando con l’AFC/M23 a Doha (Qatar), il rischio è di assistere a un’inversione di alleanze; i Wazalendo, che attualmente combattono a fianco dell’esercito congolese contro l’AFC/M23, potrebbero costituire un ostacolo alla neutralizzazione delle FDLR.[17]
[1] Cf https://www.hrw.org/fr/news/2025/07/07/des-minerais-pour-la-paix-comment-faire-respecter-laccord-entre-le-rwanda-et-la-rd
[2] Cf Clément Muamba – Actualité.cd, 01.07.’25 https://actualite.cd/index.php/2025/07/01/rdc-rwanda-si-en-apparence-laccord-semble-se-baser-sur-le-respect-de-lintegrite
[3] Cf https://www.amnesty.org/fr/latest/news/2025/07/drc-peace-deal-with-rwanda-fails-to-address-serious-crimes-committed-in-eastern-drc/
[4] Cf Samyr Lukombo – Actualité.cd, 10.07.’25
[5] Cf Samyr Lukombo – Actualité.cd, 04.07.’25
[6] Cf Bibiche Bolobiongo, CPA, Raleigh, États-Unis – Lalibre.be/Afrique, 30.06.’25 https://afrique.lalibre.be/79707/rdc-accord-de-paix-de-washington-developpement-durable-ou-recolonisation-apres-65-ans-dindependance/
[7] Cf Patient Ligodi – RFI, 02.07,’25
[8] Cf Actualité.cd, 01.07.’25
[9] Cf. 7sur7.cd, 02.07.’25
[10] Cf. RFI, 03.07.’25
[11] RFI, 03.07.’25
[12] RFI, 03.07.’25
[13] Cf Djodjo Vondi – congo-press.com (MCP) / mediacongo.net, 04.07.’25
[14] Cf Actualité.cd, 01.07.’25
[15] Cf José Mukendi – Actualité.cd. 02.07.’25
[16] Cf 7sur7.cd, 02.07.’25
[17] Cf RFI, 03.07.’25