Congo Attualità n. 487

NORD KIVU: ESERCITO NAZIONALE E TRUPPE STRANIERE CONTRO I GRUPPI ARMATI, UN’IPERMILITARIZZAZIONE CHE STERMINA UN POPOLO

INDICE

1. OLTRE IL MOVIMENTO DEL 23 MARZO (M23): LA MULTIFORME INSICUREZZA DELL’EST DELLA RDCONGO
2. L’APPOGGIO DEL RUANDA AL MOVIMENTO DEL 23 MARZO (M23) NON È CHE LA PARTE SUPERIORE DI UN ICEBERG
3. DOPO L’EAC, ANCHE LA SADC INVIERÀ LE SUE TRUPPE NELL’EST DELLA RDCONGO
4. LA RDCONGO, IL RUANDA E L’UNHCR RIPRENDONO LE DISCUSSIONI SUL RIMPATRIO DEI RIFUGIATI CONGOLESI E RUANDESI

1. OLTRE IL MOVIMENTO DEL 23 MARZO (M23): LA MULTIFORME INSICUREZZA DELL’EST DEL CONGO

“Benvenuti in Congo, un Paese aggredito”.
“Benvenuti in Congo, un paese aggredito”, aveva dichiarato il 10 marzo 2023 il presidente congolese Félix Tshisekedi ai membri della delegazione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che si era recata nella Repubblica Democratica del Congo (RDCongo). Il presidente si riferiva chiaramente al Movimento del 23 marzo (M23), un gruppo armato militarmente sconfitto nel 2013 e riemerso con forza alla fine del 2021. Secondo diverse inchieste, tra cui quella del Gruppo di esperti delle Nazioni Unite, l’M23 usufruisce di un appoggio sostanziale da parte del Ruanda e dell’Uganda.
La conquista di Bunagana, una strategica cittadina di frontiera tra la RDCongo e l’Uganda, il 13 giugno 2022, è stata una prima importante vittoria dell’M23, seguita da una serie di conquiste ben oltre il territorio di Rutshuru, zona di origine di questo gruppo armato. Gli scontri tra l’M23 e l’esercito congolese hanno costretto più di 600.000 congolesi a fuggire dai loro villaggi, abbandonando le loro case e i loro campi.
L’ondata di indignazione che si è diffusa tra la popolazione congolese in seguito alla ripresa delle ostilità da parte dell’M23 è comprensibile e legittima. In effetti, la popolazione locale ricorda ancora i gravi crimini commessi dall’M23 nel 2012-2013 e dai suoi predecessori (il CNDP, l’RCD e l’AFDL). Nonostante l’esistenza di rapporti che li documentano, quei crimini rimangono ancora impuniti, ciò che permette all’M23 di continuare a compierne ancora oggi.
Secondo i dati forniti da Kivu Security Tracker, dalla presa di Bunagana, il 13 giugno 2022,  fino ad oggi, almeno 277 civili sono stati uccisi e altri 132 sono stati sequestrati dall’M23. Inoltre, l’insediamento di una pubblica amministrazione parallela da parte dell’M23 e la stretta vicinanza geografica con il Ruanda fanno temere una balcanizzazione del Congo, senza dimenticare che la riscossione delle  tasse su persone e merci da parte dell’M23 sottrae una grande quantità di entrate alle casse dello Stato.
Tuttavia, l’instabilità e l’insicurezza dell’est del paese va ben oltre l’M23, anche se appoggiato dal regime ruandese. Molti altri gruppi armati, stranieri e locali, continuano a seminare il terrore, senza purtroppo attirare la stessa attenzione di cui ultimamente usufruisce l’M23. Secondo i dati del Kivu Security Tracker, nelle province del Nord Kivu, Ituri e Sud Kivu, dal 13 giugno 2022 in poi, almeno 2.274 persone civili sono state uccise e altre 1.267 sequestrate da vari gruppi armati e da membri dei servizi di sicurezza.
Grazie a una concentrazione delle operazioni militari sull’M23, gli altri gruppi armati hanno potuto intensificare le loro attività criminali ed estendere la loro presenza in altre zone in cui erano finora assenti. È il caso, per esempio, delle Forze Democratiche Alleate (ADF), un gruppo armato di origine ugandese, e della Cooperativa per lo Sviluppo del Congo (CODECO), un gruppo armato composto da membri appartenenti all’etnia Lendu. Entrambi attivi nel Nord Kivu e nell’Ituri. Paradossalmente, la ricomparsa dell’M23 ha contribuito a rafforzare questi due gruppi armati, in quanto vari contingenti dell’esercito congolese finora impegnati in operazioni militari contro di loro nei territori di Beni  e dell’Ituri, sono stati trasferiti in altre zone (territori di Rutshuru, Masisi e Nyiragongo) per combattere l’M23, aggravando ulteriormente la situazione di insicurezza nelle zone colpite dalle ADF  e CODECO.
Gli attacchi delle ADF si sono ampliati e intensificati.
Dal 2014, le ADF hanno condotto sistematici attacchi contro la popolazione civile nella regione di Beni (Nord Kivu). Le offensive militari, condotte contro di loro dall’esercito congolese dal 2014 in poi, non sono ancora riuscite né a proteggere la popolazione civile, né a sconfiggere questo gruppo armato. Nemmeno il dispiegamento di unità speciali dell’esercito ugandese, in novembre 2021 e nell’ambito dell’operazione militare denominata “Shujaa”, ha prodotto risultati tangibili. Al contrario, gli attacchi delle ADF si sono addirittura estesi nella vicina provincia dell’Ituri, in particolare nei territori di Mambasa e di Irumu.
Il dispiegamento di truppe dell’esercito ugandese nell’ambito dell’Operazione Shujaa stenta a produrre risultati soddisfacenti. Annunciata come un’operazione contro le ADF, questa offensiva si è concentrata principalmente nei pressi della frontiera con l’Uganda, in protezione delle attività della Dott Services, una società ugandese cui è stata affidata la riparazione della strada Beni-Kasindi. Pur avendo creato alcune “isole sicure” in zone di interesse geostrategico ed economico per l’Uganda, l’operazione Shujaa non ha fatto che disperdere le ADF verso zone più interne piuttosto che sconfiggerle militarmente.
Inoltre, l’attenzione militare, politica e mediatica da parte del governo congolese nei confronti delle atrocità commesse dalle ADF, è notevolmente diminuita con la ricomparsa dell’M23 nel mese di novembre 2021. Infatti, gli attacchi delle ADF contro le popolazioni civili sono continuati con un’intensità senza precedenti. Secondo i dati del Kivu Security Tracker, dal 13 giugno 2022 in poi, data in cui l’M23 ha preso il controllo su Bunagana (Nord Kivu), le ADF hanno ucciso 761 persone civili e sequestrato 490.
Infine, la risposta dello Stato a questa grave crisi è stata finora inefficace. La legge marziale in vigore dal 6 maggio 2021 non ha dato luogo ad alcuna sostanziale offensiva militare contro le ADF.
La CODECO continua a seminare il terrore nella più totale impunità.
Portando il nome di una cooperativa agricola Lendu creata negli anni 1970, la Cooperativa per lo Sviluppo del Congo (CODECO) è uno dei protagonisti di un nuovo ciclo di conflitti che colpisce Ituri dal 2017. Se l’ex CODECO non era un gruppo armato, aveva comunque mantenuto stretti rapporti con l’FRPI, uno dei gruppi armati attivi nella guerra dell’Ituri tra il 1998 e il 2007. Dieci anni dopo, l’Ituri è nuovamente precipitato nella violenza. Nel mese di dicembre 2017, nel territorio di Djugu (Ituri) sono ripresi degli attacchi e degli scontri. In seguito alla morte di un sacerdote Lendu e di un gruppo di giovani che avevano attaccato un posto militare, la situazione è rapidamente peggiorata, portando all’avvento dell’attuale CODECO, un raggruppamento di diverse fazioni armate, prevalentemente Lendu e con radici nell’ex ribellione del FNI.
La reazione dello stato a queste violenze è stata molto debole. L’operazione militare “Zaruba ya Ituri” lanciata nel mese di giugno 2019 non ha fatto che disperdere le varie fazioni della CODECO, senza sconfiggerle militarmente. L’inefficacia del governo di fronte all’ondata delle violenze che hanno sconvolto i territori di Djugu e Mahagi nel 2018 e nel 2019 ha portato alla creazione di altri gruppi armati, tra cui “Zaire” e “Gioventù”, composti prevalentemente da membri di etnia Hema. Ciò che nel passato sembrava solo un conflitto intercomunitario, ora è diventato un conflitto che colpisce l’intera provincia e tutte le comunità etniche dell’Ituri.

NUMERO VITTIME DAL 13 GIUGNO 2022 AL 27 MARZO 2023:

ADF                                                 ————————————————————————————————————-761
*                                                         ++++++++++++++++++++++++++++++++ 490
CODECO                                     ——————————————————- 409
*                                                         +++++++++++ 189
M23                                                – ————————————- 277
*                                                         +++++++++ 132
ALTRI                                             ———————————————————————————————– 698
*                                                        +++++++++++++++++++++++++++ ++ 456
ESERCITO E POLIZIA          ———————-  169
*                                                         0             100            200            300            400            500            600            700            800
*                                                         ————- persone uccise                                      +++++ persone sequestrate

Fonte: Barometro della Sicurezza nel Kivu

La RDC non è solo un paese aggredito, ma anche un terreno fertile per più di 100 gruppi armati.
La ripresa delle ostilità da parte dell’M23 ha contribuito ad aggravare la crisi di insicurezza creata dalle ADF e dalla CODECO. Centinaia di soldati congolesi impegnati in operazioni contro questi due gruppi armati sono stati trasferiti dalle loro posizioni di Beni e dell’Ituri versoi territori di Rutshuru, Masisi e Nyiragongo, per combattere l’M23. Questo ritiro di truppe dalle posizioni di Beni e dell’Ituri ha spalancato la strada alle ADF e alla CODECO, ciò di cui hanno approfittato per continuare ad attaccare le popolazioni civili senza essere perseguiti. Certo, l’M23 è  una vera minaccia contro la sicurezza del Congo e la sua integrità territoriale, ma è importante ricordare che la crisi dell’M23 non è né la più grave, né la più antica nella storia della Repubblica Democratica del Congo. Gli esempi delle ADF e della CODECO lo dimostrano chiaramente.
Oltre al suo impatto diretto sulla regione intorno a Goma e alle sue conseguenze politiche a livello nazionale e regionale, la ricomparsa dell’M23 ha causato l’offuscamento delle violenze di molti altri gruppi armati e ha compromesso gli sforzi fatti dallo Stato per sconfiggerli. Invece di concentrare tutta l’attenzione sull’M23, le autorità congolesi e la comunità internazionale dovrebbero trovare una soluzione globale alla crisi di insicurezza che caratterizza l’est del Paese. La RDC non è solo un paese aggredito, come il 10 marzo scorso a Kinshasa, il presidente congolese Tshisekedi ha dichiarato alla delegazione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. La RDC è anche un terreno fertile per più di 100 gruppi armati che minacciano la già fragile situazione sociale, umanitaria, politica ed economica del Nord Kivu. Una soluzione militare (congolese, internazionale o congiunta) che non tenga conto della globalità del problema di insicurezza che caratterizza l’est del Paese è quindi chiaramente destinata al fallimento.[1]

2. L’APPOGGIO DEL RUANDA ALL’ M23 NON È CHE LA PARTE SUPERIORE DI UN ICEBERG

Il 10 maggio, in un suo comunicato stampa, Filimbi, un movimento pro-democrazia membro della società civile, ha ricordato che i conflitti tra la Repubblica Democratica del Congo (RDCongo) e il Ruanda non  fanno che intensificarsi. Dal mese di novembre 2021, la RDC è stata nuovamente attaccata dal Ruanda attraverso il Movimento del 23 marzo (M23), che ha ripreso le ostilità dopo 10 anni dalla sua sconfitta. Le violenze che ne sono derivate hanno causato la morte di centinaia di persone e la fuga di quasi un milione di abitanti che attualmente vivono in condizioni umanamente deplorevoli in campi profughi.
L’M23 era stato precedentemente sconfitto nel 2013 dall’esercito congolese, con l’appoggio della Force Intervention Brigade (FIB) delle Nazioni Unite e in seguito a una forte pressione internazionale sul Ruanda. Mentre Kinshasa continua a denunciare l’appoggio del Ruanda all’M23 e, quindi, la responsabilità di questo Paese nella crisi di insicurezza che sconvolge il Nord Kivu, Kigali, da parte sua, smentisce ogni tipo di sostegno all’M23 e accusa il governo congolese di non saper gestire i problemi interni che sono alla base dell’insicurezza sul suo territorio.
Filimbi sottolinea che l’appoggio del Ruanda all’M23 non è che “la parte visibile di un iceberg”. Filimbi rimprovera a Kinshasa di non aver capito «quali siano le dinamiche di conflitto con il Ruanda e quali ne siano le cause».
Secondo Filimbi, «bisogna dapprima capire perché il Ruanda ha contribuito alla ripresa delle ostilità da parte dell’M23. Perciò occorre conoscere più da vicino le origini dell’attuale regime ruandese e la storia recente del Ruanda stesso». Si tratta di una problematica che contiene tre aspetti: la questione politica, la questione dell’insicurezza e la questione economica.
Dal punto di vista politico, Filimbi richiama innanzitutto l’attenzione sulla modalità e il contesto dell’ascesa del presidente Paul Kagame al potere. Quest’ultimo è arrivato al potere nel 1994 sulla scia del Fronte Patriottico Ruandese (FPR), un movimento ribelle creato e organizzato nel vicino Uganda, dove egli stesso si trovava in esilio dal 1961, in seguito al conflitto tra gli Hutu e i Tutsi, essendo questa seconda etnia la sua comunità etnica di appartenenza. Dalla sua ascesa al potere in Ruanda, Paul Kagame ha instaurato un regime autoritario, in cui il controllo dell’est della RDC è sempre stato una questione di esistenza e di sopravvivenza per lui e per il suo regime.
Sul piano della sicurezza, Filimbi afferma che si dovrebbe tenere conto del fatto che il Ruanda considera l’est della RDCongo come la principale base di retroguardia della sua opposizione armata, una parte della quale proviene storicamente da membri delle Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR), un gruppo armato composto principalmente da ex militari hutu dell’ex esercito ruandese e da miliziani hutu Interahamwe fuggiti in esilio nell’est della RDCongo immediatamente dopo aver partecipato al genocidio dei Tutsi, al termine del quale l’FPR prese il potere. Attualmente, questa opposizione è molto debole e quasi inoffensiva per quanto riguarda l’attuale regime tutsi ruandese. Tuttavia, date che il Ruanda è un paese territorialmente molto piccolo, ma altrettanto molto vicino all’est della RDCongo, la sua strategia privilegiata è quella di soffocare e di impedire qualsiasi tentativo di organizzazione e di pianificazione di un eventuale attacco proveniente dal Kivu, perché non sarebbe in grado né di controllarlo, né di mettervi fine. Perciò, l’attuale regime  Ruandese sta appoggiando militarmente dei gruppi armati attivi nell’est della RDCongo, tra cui l’M23, per evitare che l’opposizione armata ruandese esiliata nell’est della RDC, soprattutto le FDLR, adotti a sua volta quella strategia che lo ha portato al potere in Ruanda a metà degli anni 1990. Infine, un altro obiettivo che il regime ruandese si è prefisso per preservare la sua sicurezza interna e, nello stesso tempo, la sua sfera di influenza militare, politica ed economica sull’est della RDCongo, è quello di mantenere alta la tensione con il governo congolese, per costringerlo a reintegrare nell’esercito nazionale i combattenti dei gruppi armati, fomentati e appoggiati da lui stesso, ciò che gli permette di aumentare il numero dei suoi alleati all’interno del sistema congolese.
– Filimbi afferma inoltre che l’appoggio di Kagame ai gruppi armati attivi nell’est della RDCongo è motivato anche da interessi economici. Nonostante i vari indicatori di buon governo, che spesso collocano il Ruanda tra i Paesi africani più performanti, questo Paese è molto povero, densamente popolato (più di 500 abitanti per km²) e dotato di poche risorse naturali. Più del 40% del suo budget proviene da aiuti esteri.
In un certo senso, da un lato, la strategia del Ruanda è quella di presentarsi come un paese stabile e ben governato, che può servire come piattaforma per la trasformazione di risorse naturali altamente richieste, come l’oro e il coltan, che in realtà non produce, e per la loro esportazione verso i principali paesi industrializzati, consumatori di prodotti finali, come gli smartphone, i computer, ecc. D’altra parte però, per finanziare la sua strategia di controllo dell’est della RDCongo, il Ruanda ha bisogno di risorse alternative e non tracciabili. È questa una delle cause dello sfruttamento illegale delle risorse minerarie, di cui i gruppi armati sono i principali fautori a livello locale. A questo proposito, Filimbi evoca l’implicita implicazione delle multinazionali occidentali che, a partire dal Ruanda, approfittano della situazione di insicurezza, di instabilità e, quindi di fragilità del Kivu, per ottenere a basso prezzo questi minerali (l’oro e il coltan) che abbondano in questa zona congolese, ricchissima di materie prime. In questo commercio illegale dei minerali congolesi attraverso il Ruanda sono implicate anche molte personalità politiche e militari ruandesi, spesso con la complicità di alcuni loro omologhi congolesi.
Oltre ad accusare le autorità congolesi di collaborare con le FDLR, il Ruanda sostiene che l’insicurezza che caratterizza l’est della RDCongo è  dovuta alla mancanza dell’autorità dello Stato in questa parte del Paese e all’inadeguatezza della classe governativa a livello nazionale. Tuttavia, ciò che il Ruanda non dice è che beneficia di questa situazione e vi contribuisce, perché ha bisogno di uno stato congolese debole con dirigenti malleabili.
Inoltre, per giustificare certe sue decisioni antidemocratiche, Kigali strumentalizza regolarmente l’incontestabile genocidio del 1994, provocando un sentimento di colpa in gran parte dei suoi partner internazionali, perché accusati di esserne stati complici. La stessa retorica è usata anche nei confronti della RDCongo, attraverso una propaganda che consiste nel lasciare intendere che ci sarebbe un piano congolese per sterminare le popolazioni tutsi residenti nell’est della RDC. Ancora oggi il Ruanda e l’M23 tentano di ricorrere alla stessa retorica.
Pertanto, per porre fine a questo ciclo di violenze che dura da più di 25 anni, Filimbi nota che:
«- La leadership congolese dovrebbe avere una comprensione sufficiente delle questioni relative a questi conflitti e una visione chiara su come ristabilire l’autorità dello Stato su tutto il territorio… Ciò implica la rifondazione di un esercito sufficientemente forte e coercitivo.
– È essenziale che la RDCongo si doti di istituzioni legittime che assicurino una stabilità politica. Le prossime elezioni potrebbero dunque essere l’occasione per risolvere la ricorrente crisi di legittimità provocata dalle modalità di ascesa al potere nella RDCongo.
– La fine dell’impunità dovrebbe essere una priorità per il governo congolese, in particolare attraverso un sistema di giustizia adatto per i periodi post-conflitto, al fine di individuare la responsabilità dei crimini commessi, rendere giustizia e permettere una riconciliazione. Ciò implica anche la rigida applicazione del principio secondo cui nessun membro di qualsiasi gruppo armato possa essere automaticamente (re)integrato nell’esercito.
– I partner internazionali che abbiano una certa influenza sul Ruanda dovrebbero fare tutto il possibile per far capire al presidente Kagame che sarebbe meglio, per lui e per il suo paese, rinunciare alla sua attuale strategia che destabilizza non solo la RDCongo, ma anche l’intera regione dei Grandi Laghi e che, con il passare del tempo, potrebbe favorire l’espansione di gruppi armati radicali prossimi al terrorismo internazionale. Ciò implica che il governo congolese e i suoi partner, interni ed esterni, si trovino d’accordo sulle questioni e gli interessi relativi ai conflitti in corso, affinché possano trovare delle soluzioni praticabili e viabili che dovrebbero preservare gli interessi vitali della RDCongo e della sua popolazione tra cui, in primo luogo, l’integralità e l’intangibilità del territorio nazionale.
– Il regime ruandese dovrebbe essere spinto a democratizzare il suo sistema e a promuovere il dialogo come via di risoluzione dei conflitti interni con i suoi oppositori.
– Dovrebbero essere rafforzati e applicati dei meccanismi adeguati (sanzioni mirate, tracciabilità, ecc.) che permettano di smantellare quell’insieme di organizzazioni di tipo mafioso che trae profitto da un’economia di conflitto e che va dai gruppi armati locali fino ai beneficiari finali, tra cui le multinazionali».[2]

3. DOPO L’EAC, ANCHE LA SADC INVIERÀ LE SUE TRUPPE NELL’EST DELLA RDC

L’8 maggio, a Windhoek, in Namibia, in occasione di un vertice straordinario dell’Organo di Cooperazione in materia di politica, difesa e sicurezza dei paesi membri della Comunità per lo Sviluppo dell’Africa australe (SADC), i Capi di Stato di questa organizzazione si sono detti preoccupati per l’aggravarsi della situazione di insicurezza nell’est della RDCongo, soprattutto dopo la ripresa delle ostilità da parte dell’M23 e di altri gruppi armati.
Essi hanno ribadito il loro appello ad un’immediata cessazione delle ostilità e al ritiro, senza condizioni, di tutti i gruppi armati dalle zone da essi attualmente occupate.
Hanno approvato il dispiegamento di una forza militare della SADC, per appoggiare la Repubblica Democratica del Congo, impegnata a restaurare la pace e la sicurezza nell’est del Paese. Tuttavia, la data di dispiegamento e le dimensioni di questa forza regionale non sono ancora state precisate.
I Capi di Stato della SADC hanno inoltre raccomandato a Kinshasa di creare le condizioni e di prendere le misure necessarie per garantire il coordinamento di tutte le forze militari, nazionali e internazionali, presenti sul territorio, in vista di un’azione comune efficace.
Le truppe della SADC si aggiungeranno così a quelle già presenti della EAC, che hanno certamente preso il controllo su alcune località precedentemente occupate dall’M23, ma senza però essere riuscite a porre fine all’occupazione da parte dell’M23 stesso, di gran parte dei territori di Nyiragongo, Masisi e Rutshuru.
In questo vertice tenutosi in Namibia, il presidente congolese Félix Tshisekedi era accompagnato dal Vice Primo Ministro e Ministro degli Affari Esteri Christophe Lutundula, dal Vice Primo Ministro e Ministro della Difesa Jean-Pierre Bemba Gombo, dal Ministro dell’Integrazione Regionale Antipas Mbusa Nyamwisi, dal Capo di Stato Maggiore delle Forze Armate congolesi, il tenente Generale Christian Tshiwewe e da altre personalità.
La SADC è composta da 16 paesi, tra cui Sudafrica, Namibia, Angola, Tanzania, RDCongo, Zambia e Malawi. Un contingente di 3.000 soldati della SADC è già presente nell’est della RDCongo. Si tratta della Brigata di Intervento della Forza (FIB) gestita dalla Missione dell’Onu in Congo (Monusco) e composta da truppe provenienti da Tanzania, Sudafrica e Malawi. Costituita su raccomandazione della SADC per combattere l’M23 in occasione della sua prima apparizione nel 2012, la FIB aveva dimostrato la sua efficacia, contribuendo a sconfiggerlo nel 2013.[3]

Il 9 maggio, il Presidente congolese Félix Tshisekedi si è recato a Gaborone, capitale del Botswana, dove ha avuto un incontro con il suo omologo Éric Mokgweetsi.
Il presidente congolese è stato molto critico nei confronti della forza militare regionale dell’EAC che, secondo lui, non sta svolgendo il suo ruolo come previsto.
In una conferenza stampa, egli ha dichiarato: «Il segretario generale dell’EAC aveva chiesto una proroga di sei mesi. La RDCongo ha concesso solo tre mesi, cioè fino al prossimo mese di giugno. Dopo di che si procederà a una valutazione della situazione. È evidente che ci sono dei problemi. Questa forza militare regionale dell’EAC non è riuscita a compiere la missione che le era stata assegnata. Alcuni suoi ufficiali hanno apertamente che le loro truppe non sono state inviate per combattere l’M23. In alcune zone, vi è addirittura una coabitazione tra contingenti della forza militare regionale dell’EAC e le truppe dell’M23. Questo non era previsto. Ciò che era stato deciso era di costringere l’M23 ad accettare il cessate il fuoco e a ritirarsi verso le posizioni iniziali, in vista della sua adesione al programma di disarmo e reinserimento sociale. Poiché il mandato di questa forza militare regionale scadrà in giugno prossimo, se in quella data si dovrà constatare che la sua missione non è stata compiuta, allora le si chiederà di lasciare il territorio congolese». Félix Tshisekedi ha aggiunto che, dopo un’eventuale partenza della forza militare regionale dell’EAC, la SADC potrà inviare le sue truppe, in concomitanza con quelle angolane, la cui missione sarà di garantire la sicurezza dei combattenti dell’M23 durante il periodo del loro accantonamento, in vista del loro inserimento nel Programma di disarmo e reinserimento sociale.[4]

Il 12 maggio, in un incontro con la comunità congolese residente a Gaborone, in Botswana, il Capo dello Stato, Félix Tshisekedi, ha escluso l’eventualità di un ritiro della RDCongo dalla Comunità dell’Africa dell’Est (EAC). Egli ha affermato che l’adesione della RDC a questa organizzazione regionale era stata decisa in seguito ad una pressante richiesta da parte dei Congolesi che vivono nell’est del Paese. Egli ha precisato che la RDC ha aderito all’EAC per facilitare le attività commerciali transfrontaliere, permettendo ai Congolesi dell’est di poter beneficiare dei vantaggi della libera circolazione delle persone e delle merci nell’ambito dei Paesi membri dell’Africa orientale.
Egli ha aggiunto: «L’attuale aggressione del nostro Paese da parte del Ruanda è una situazione congiunturale creata dal regime attualmente al potere in quel Paese, Spero che un giorno il Ruanda sia guidato da un presidente non belligerante e capace di  mantenere relazioni pacifiche e di buon vicinato con la RDC». Ha infine ribadito che «non ci sarà alcun dialogo con l’M23 appoggiato dal Ruanda, ben noto quest’ultimo per il saccheggio delle risorse naturali congolesi». Sul piano economico, egli ha infine insistito sulla necessità di una prima trasformazione delle risorse naturali congolesi a livello locale, prima di esportarle, ciò che di creare posti di lavoro e ricchezza a favore della popolazione congolese.[5]

Il 13 maggio, in una conferenza stampa a Kinshasa, il Vice Primo Ministro e Ministro degli Affari Esteri, Christophe Lutundula, ha dichiarato che le truppe della Comunità dell’Africa dell’Est (EAC), inviate nell’est della RDCongo per appoggiare l’esercito congolese contro l’M23, hanno fallito per non aver raggiunto i risultati sperati. Secondo il ministro, la RDC chiede alla forza militare regionale dell’EAC, per il tempo che le rimane, di applicare il mandato offensivo della sua missione, come definito dai vari accordi firmati in Angola e in Kenya. È chiaro che Kinshasa non sopporta il fatto che, in alcune zone, questa forza militare regionale coabiti con l’M23. Christophe Lutundula ha inoltre annunciato l’arrivo di truppe della Comunità per lo Sviluppo dell’Africa australe (SADC) entro la fine del prossimo mese di giugno, precisando che la missione di tali forze (della SADC) sarà di appoggiare l’esercito congolese nei combattimenti contro l’M23.[6]

Dopo essere stato militarmente “sconfitto” nel 2013, il Movimento del 23 marzo (M23) ha ripreso le ostilità nel Nord Kivu alla fine del 2021. Mal addestrato, mal equipaggiato, invaso dalla corruzione e senza disciplina, l’esercito congolese non è riuscito a respingere gli attacchi di questo gruppo armato, che ha quindi preso il controllo di molte località.
Fallimento della forza militare regionale dell’Africa dell’Est.
Di fronte all’impotenza dell’esercito regolare e dei caschi blu della Monusco, il presidente Tshisekedi si è dapprima rivolto ai Paesi vicini membri della Comunità dell’Africa dell’Est (EAC), che hanno accettato di inviare una forza militare regionale nell’est della RDC.
È stata una decisione che ha fatto rabbrividire, dal momento che anche il Ruanda e l’Uganda, accusati di appoggiare l’M23, fanno parte di questa organizzazione regionale.
Dopo diversi mesi di un lento dispiegamento delle truppe dell’EAC sul territorio congolese, si è potuto constatare che il governo di Kinshasa non è riuscito a prendere il controllo sulla situazione militare. L’M23 si è certamente ritirato da alcune posizioni, ma è ancora presente in molte località e pronto a riprendere l’offensiva in qualsiasi momento, qualora le autorità congolesi non accettassero di iniziare dei negoziati. Il conflitto è stato congelato, ma non risolto.
Truppe con mandato offensivo.
Kinshasa ha criticato le truppe dell’EAC per non aver osservato il carattere offensivo della loro missione contro l’M23 e per aver creato delle semplici “zone cuscinetto” tra l’esercito congolese e l’M23, impedendo all’esercito stesso di riprendere il controllo sulle località dalle quali l’M23 avrebbe dovuto ritirarsi, dopo aver rispettato il cessate il fuoco in vigore. In realtà, le truppe dell’EAC non hanno mai accettato di impegnarsi in combattimenti diretti contro l’M23, per compensare le debolezze dell’esercito congolese. Di conseguenza, la RDCongo si è rivolta ai paesi dell’Africa australe (SADC) per un “piano B”, per combattere l’M23.
La Comunità per lo Sviluppo dell’Africa australe (SADC) ha finalmente approvato il dispiegamento di sue truppe nell’est della RDCongo, per restaurarvi la pace e la sicurezza. Félix Tshisekedi ha quindi ottenuto ciò per cui era andato in Namibia: un dispiegamento di truppe con un mandato più offensivo. Dal punto di vista diplomatico, si tratta quindi di una vittoria del presidente congolese. Voltando le spalle alla Comunità dell’Africa dell’Est (EAC), Félix Tshisekedi ha deciso di subappaltare la sicurezza dell’est del Congo alla SADC, auspicando di ripetere l’esperienza del 2013 quando, con l’appoggio della Brigata di Intervento della Forza (FIB), composta appunto da truppe della SADC, l’esercito congolese era riuscito a sconfiggere l’M23.
Un intervento militare ancora vago e confuso.
Ma la dichiarazione della SADC sull’invio di sue truppe nella RDCongo solleva più domande che risposte. Le truppe della SADC si sovrapporranno a quelle dell’EAC? Le truppe dell’EAC dovranno ritirarsi, come desidera Kinshasa, o potranno collaborare con quelle della SADC? Quale sarà la sorte dei caschi blu della Monusco, i cui contingenti dispongono già di soldati della SADC? Quando arriveranno le truppe della SADC? Quanti saranno i militari della SADC? Quali saranno i paesi contributori? Per quanto tempo? Con quale finanziamento? Gli interrogativi sono tanti, soprattutto perché si tratterebbe di una “missione di appoggio all’esercito congolese”. Ancora una volta, il rischio è di rimanere nell’attuale situazione di ambiguità e confusione, in quanto nemmeno i militari della SADC saranno disposti a fare il lavoro al posto dell’esercito congolese. Secondo un diplomatico di stanza a Kinshasa infatti, «le truppe della SADC non hanno certamente fretta di entrare in questo pantano, soprattutto quando vedono cosa sta succedendo con le truppe dell’EAC».
In effetti, alcune capitali della regione SADC stanno esitando. Il Sudafrica, in particolare, fa notare che ha già inviato in Congo delle truppe che fanno già parte della MONUSCO, mentre l’Angola ricorda il suo ruolo di mediatore, in nome dall’Unione Africana, per far avanzare un dialogo tra la RDC e il Ruanda, giustificando così la sua neutralità e la sua intenzione di non inviare le sue truppe nella RDCongo.[7]

4. LA RDCONGO, IL RUANDA E L’UNHCR RIPRENDONO LE DISCUSSIONI SUL RIMPATRIO DEI RIFUGIATI CONGOLESI E RUANDESI

Il 21 aprile, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) ha annunciato l’organizzazione, nel prossimo mese di maggio, di un incontro tra la RDCongo, il Ruanda e l’UNHCR, sulla questione dei rifugiati ruandesi e congolesi che, in questi due Paesi, si trovano ancora in tale situazione.  Secondo l’UNHCR, i rifugiati ruandesi ancora presenti nella RDCongo sono circa 209.000, mentre i rifugiati congolesi in Ruanda sono circa 81.000. La questione dei rifugiati congolesi e ruandesi è una delle cause dell’attuale crisi tra i due Paesi e della ripresa delle ostilità da parte dell’M23. I rifugiati ruandesi in Congo sono per lo più degli Hutu fuggiti dal Ruanda con l’arrivo al potere del Fronte Patriottico Ruandese guidato da Paul Kagame, dopo il genocidio del 1994. Alcuni di essi sono in contatto con le Forze Democratiche di Liberazione del Ruanda (FDLR). I rifugiati congolesi in Ruanda sono, invece, per lo più dei Tutsi, fuggiti in Ruanda tra il 1994 e il 1995, dopo l’arrivo, nel Kivu, dei rifugiati hutu ruandesi nel 1994.[8]

Il 13 maggio, il Vice Primo Ministro e Ministro degli Affari Esteri, Christophe Lutundula Apala, si è recato a Ginevra (Svizzera), nell’ambito di una missione finalizzata al rimpatrio dei rifugiati congolesi in Ruanda. «Dopo aver accusato il governo congolese di favorire dei discorsi di incitamento all’odio contro i Tutsi e di collaborare con le Forze Democratiche di Liberazione del Ruanda (FDLR), ora il governo ruandese rimette sul tavolo la questione delle frontiere tra i due paesi e quella dei rifugiati. Le autorità ruandesi affermano che i rifugiati congolesi in Ruanda sono più di 80.000 e che sono perseguitati ed espropriati ​​dei loro beni. Affronteremo questa questione in tutti i suoi dettagli e, per procedere all’identificazione di questi rifugiati, chiederemo la collaborazione delle autorità tradizionali locali, che ben conoscono la genealogia di ogni famiglia residente sul loro territorio», ha dichiarato il ministro, aggiungendo che «il presidente Félix Tshisekedi aveva già contattato l’UNHCR, per avviare le procedure relative al rimpatrio dei rifugiati congolesi in Ruanda e dei rifugiati ruandesi in Congo nei loro rispettivi Paesi di origine».[9]

Il 15 maggio, le tre delegazioni della Repubblica Democratica del Congo (RDCongo), del Ruanda e dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) si sono incontrate a Ginevra, in Svizzera, per discutere sulle modalità di rimpatrio dei rifugiati congolesi e ruandesi nei loro rispettivi paesi. Al termine di questo incontro, è stato sottoscritto da tutte le parti un comunicato stampa congiunto, secondo il quale i governi congolese e ruandese si sono impegnati a riconoscere il diritto di ogni rifugiato al proprio ritorno in patria, a garantire il rispetto del principio del ritorno volontario e in condizioni di sicurezza e di dignità e ad avviare un dialogo costruttivo, al fine di creare le condizioni favorevoli a tale ritorno. La RDCongo e il Ruanda si sono inoltre impegnati a garantire l’accesso all’asilo per le persone bisognose di protezione internazionale, conformemente alle relative convenzioni. Le tre delegazioni hanno infine deciso di incontrarsi di nuovo a Nairobi (Kenia), entro un mese, per definire le modalità pratiche che permettano la riattivazione degli impegni presi e dei meccanismi suggeriti negli Accordi Tripartiti del 2010 e per stabilire un calendario globale di attività e scadenze. Le tre delegazioni erano guidate dal Ministro congolese per gli Affari Esteri, Christophe Lutundula,  dal Ministro ruandese della Gestione delle Emergenze, Marie Kayisire Solange, e dall’Alto Commissario per i rifugiati, Filippo Grandi. L’incontro di Ginevra si è svolto all’insegna della continuità con le disposizioni degli accordi trilaterali sul rimpatrio volontario dei rifugiati congolesi e ruandesi, firmati a Kigali (Ruanda) il 17 febbraio 2010, e con le relative modalità pratiche, firmate a Goma (RDCongo) il 30 luglio 2010.[10]

[1] Cf Steward Muhindo K. et Christoph N. Vogel – Actualité.cd, 12.05.’23   https://actualite.cd/index.php/2023/05/12/au-dela-du-m23-linsecurite-multiplexe-lest-du-congo
[2] Cf Floribert Anzuluni – Politico.cd, 10.05.’23   https://www.politico.cd/encontinu/2023/05/10/conflits-dans-lest-de-la-rdc-le-soutien-du-rwanda-au-mouvement-rebelle-m23-nest-que-la-face-visible-de-liceberg-filimbi.html/132786/
Odon Bakumba – Politico.cd, 10.05.’23   https://www.politico.cd/encontinu/2023/05/10/agression-dans-lest-la-restauration-de-lautorite-de-letat-sur-tout-le-territoire-la-therapie-de-filimbi-pour-eradiquer-le-terrorisme-du-m23.html/132782/
[3] Cf Radio Okapi, 08.05.’23; Forumdesas.net, 09.05.’23  https://www.forumdesas.net/2023/05/des-troupes-de-la-sadc-attendues-en-rdc/
[4] Cf Clément Muamba – Actualité.cd, 09.05.’23
[5] Cf Radio Okapi, 13.05.’23; Merveilles Kiro – Politico.cd, 13.05.’23
[6] Cf Radio Okapi, 13.05.’23; Actualité.cd, 13.05.’23
[7] Cf Christophe Rigaud – Afrikarabia.com, 09.05.’23   http://afrikarabia.com/wordpress/conflit-en-rdc-tshisekedi-se-tourne-vers-lafrique-australe/ ; Hubert Leclercq – Lalibre.be/Afrique, 15.05.’23
[8] Cf Radio Okapi, 22.04.’23
[9] Cf Actualité.cd, 13.05.’23
[10] Cf Actualité.cd, 15.05.’23; Radio Okapi, 16.05.’23