Congo Attualità n.481

LA PROGRESSIVA AVANZATA DELL’M23 NEL NORD KIVU: GRAVE FALLIMENTO MILITARE, POLITICO E DIPLOMATICO

INDICE

1. INTRODUZIONE
2. IL MOVIMENTO DEL 23 MARZO AL CENTRO DI UN CONFLITTO TRA LA RDCONGO E il RUANDA
a. Due incidenti che hanno deteriorato le relazioni tra la RDCongo e il Ruanda
b. Due presidenti, due punti di vista diversi
3. IL GRIDO DELLA SOCIETÀ CIVILE: IL POPOLO CONGOLESE NON È UNA SOTTOSPECIE UMANA
4. IL 20° VERTICE DEI CAPI DI STATO DELLA COMUNITÀ DELL’AFRICA DELL’EST (EAC)
5. PERCHÉ L’ESERCITO CONGOLESE NON RIESCE A SCONFIGGERE L’M23?

1. INTRODUZIONE

Il Movimento del 23 marzo (M23), appoggiato dal regime ruandese, ha continuato la sua offensiva su diversi assi del Nord Kivu, combattendo contro l’esercito congolese appoggiato, a sua volta, dalle milizie locali. La forza militare regionale della Comunità dell’Africa dell’Est (EAC) non ha ancora ingaggiato alcun combattimento diretto contro l’M23, accontentandosi di proporre la via del dialogo. Bloccata anche la via diplomatica. Un incontro previsto a Doha tra le autorità ruandesi e congolesi non ha avuto luogo. Anche i processi di pace di Nairobi (Kenia) e di Luanda (Angola) sembrano fermi e la roadmap che avrebbe dovuto assicurare il ritiro dell’M23 dalle zone occupate e normalizzare le relazioni tra la RDCongo e il Ruanda non è ancora stata attuata.
Le misure adottate a Luanda (Angola) alla fine del mese di novembre scorso non hanno avuto alcun impatto sulla situazione locale.
L’M23 non si è ritirato verso est com’era stato concordato, ma ne ha approfittato per avanzare verso ovest e occupare nuove località, tra cui Kirolirwe, Nyamitaba e Rushebeshe, in territorio di Masisi. Ancora una volta, l’esercito congolese si è dimostrato impotente di fronte agli attacchi dell’M23 e la forza militare regionale dell’EAC si è accontentata di osservare l’avanzata dell’M23 come semplice spettatrice. Continuando la sua avanzata verso Ovest, l’M23 sta ultimamente tentando di prendere il controllo sulla cittadina di Sake, per isolare e asfissiare la città di Goma, capoluogo del Nord Kivu situato a 25 km di distanza, impedendole ogni tipo di comunicazione stradale con il resto della provincia.
Due mesi dopo il mini vertice di Luanda (Angola), i Capi di Stato della Comunità dell’Africa dell’Est (EAC) si sono incontrati a Bujumbura (Burundi), senza tuttavia registrare alcun progresso significativo. Il comunicato del vertice di Bujumbura assomiglia a quello di Luanda, con gli stessi appelli al cessate il fuoco e al ritiro dei gruppi armati, compreso l’M23. In un successivo incontro, anche i Capi di Stato Maggiore degli eserciti dell’EAC si sono limitati ad aggiornare la roadmap relativa al ritiro dell’M23 dalle zone occupate e al dispiegamento delle proprie truppe nel Nord Kivu. Il problema è che, per il momento, la forza militare regionale dell’EAC è visibilmente riluttante ad intraprendere delle operazioni militari dirette contro l’M23. Per il momento, si accontenta di essere solo una semplice forza di interposizione.
Ciò che è preoccupante è che non si vede alcuna via di uscita dal conflitto. Le rivendicazioni dell’M23 vengono ignorate da Kinshasa, che rifiuta ogni tipo di dialogo; localmente, l’esercito congolese non riesce ad avere il sopravvento militare e i soldati dell’EAC si limitano a un semplice ruolo di osservatori. Il dialogo tra le autorità congolesi e ruandesi è ormai diventato un vero e proprio dialogo tra sordi, dove tutti si accusano a vicenda di “genocidio”: Kinshasa denuncia l’appoggio di Kigali all’M23, mentre Kigali accusa Kinshasa di usare le FDLR come forze ausiliarie nella lotta contro l’M23. Se la situazione militare non cambia, solo la via di un negoziato politico potrebbe contribuire a risolvere questa crisi di insicurezza che, da quasi 30 anni, mantiene l’Est della RDCongo in una situazione di guerra interminabile. Il documento finale del vertice di Bujumbura propone infatti il dialogo come principale via di uscita dalla crisi. Questo dialogo dovrebbe svolgersi a due livelli: tra i due Presidenti della RDC e del Ruanda, da un lato, e tra il governo congolese e l’M23, dall’altro ma, per il momento, nessuno vuole negoziare in posizione di debolezza.[1]

2. IL MOVIMENTO DEL 23 MARZO AL CENTRO DI UN CONFLITTO TRA LA RDCONGO E IL RUANDA

a. Due incidenti che hanno deteriorato le relazioni tra la RDCongo e il Ruanda

Il 24 gennaio, verso le 17h00, mentre iniziava il suo, un aereo militare congolese è stato colpito da un missile lanciato dalla città ruandese di Gisenyi (Rubavu) mentre era in fase di atterraggio all’aeroporto di Goma (Nord Kivu). In un breve comunicato, il governo ruandese ha dichiarato: «Oggi alle 17:03, per la terza volta, un Sukhoi-25 della Repubblica Democratica del Congo ha violato lo spazio aereo ruandese. Sono state adottate delle misure difensive. Il Ruanda chiede alla RDC di cessare questi tentativi di aggressione». Da parte sua, il governo congolese ha reagito con un altro comunicato stampa: «Un missile ruandese ha colpito un aereo militare congolese che  volava all’interno dello spazio aereo congolese senza entrare nello spazio aereo ruandese. L’aereo è atterrato senza gravi danni materiali. Il governo congolese considera questo ennesimo attacco del Ruanda come un deliberato atto di aggressione equivalente a una dichiarazione di guerra, con l’unico obiettivo di sabotare e impedire l’attuazione di quelle azioni concordate nell’ambito dei processi di pace di Luanda (Angola) e di Nairobi (Kenia), intrapresi per riportare la pace nell’est della Repubblica Democratica del Congo e nella regione dei Grandi Laghi Africani».[2]

Il 30 gennaio, il governo congolese ha ordinato a degli ufficiali ruandesi, membri dello staff della Forza militare regionale della Comunità dell’Africa dell’Est (EAC), di lasciare il territorio congolese. In un comunicato, il portavoce delle Forze Armate della RDC (FARDC), il Generale Sylvain Ekenge, ha rivelato che, «per motivi di sicurezza, la Repubblica Democratica del Congo ha ordinato al Comandante della Forza Militare Regionale della Comunità dell’Africa dell’Est (EAC) di rimpatriare, verso il loro Paese d’origine, gli ufficiali ruandesi membri del quartier generale di questa forza basata a Goma». Gli ufficiali ruandesi in questione hanno lasciato il territorio congolese il 29 gennaio. Secondo il comunicato stampa dell’esercito congolese, «in seguito a questa decisione, il Ruanda ha richiamato in patria anche gli altri suoi ufficiali membri di organismi militari regionali basati nella RDCongo».
Il giorno prima, le Forze Armate della RDC (FARDC) avevano riportato delle informazioni sulla «presenza, nel territorio di Masisi (Nord Kivu), di un contingente di forze speciali dell’esercito ruandese, con la missione di commettere dei massacri di Tutsi congolesi, al fine di attribuirne la responsabilità alle Forze Armate della Repubblica Democratica del Congo e di avere un alibi convincente per giustificare, davanti all’opinione pubblica nazionale e internazionale, la presenza delle truppe ruandesi nell’est della RDCongo».[3]

Il 3 febbraio, il segretario generale della Comunità dell’Africa dell’Est (EAC), Peter Mutuku Mathuki, ha chiesto al governo congolese di chiarire con urgenza il motivo dell’espulsione di tre ufficiali ruandesi in servizio presso la forza militare regionale basata a Goma. In una lettera indirizzata al Vice Primo Ministro congolese e Ministro degli Affari Esteri, Christophe Lutundula Apala, il segretario generale dell’EAC ha ricordato che «l’inserimento di questi tre ufficiali ruandesi nell’equipe di coordinazione della forza militare regionale era stato deciso dai Capi di Stato della regione il 7 novembre 2022, a Sharm El Sheik, in Egitto, in occasione della COP 27». Il segretariato generale dell’EAC ha inoltre ricordato che, conformemente al protocollo dell’EAC sulla cooperazione militare tra i Paesi membri e all’accordo dell’8 settembre 2022 relativo alla creazione di una forza militare regionale per l’est della RDCongo, l’articolo 2 dello statuto di tale forza militare regionale prevede una serie di privilegi e di immunità a favore del suo personale dipendente.[4]

Il 6 febbraio, il ministro congolese degli Affari Esteri, Christophe Lutundula, ha dichiarato: «Ho risposto questa mattina al segretario esecutivo della Comunità dell’Africa dell’Est (EAC), Da parte nostra, non abbiamo espulso alcun ufficiale ruandese. L’espulsione ha un contenuto diplomatico. È stato un loro collega congolese che ha loro dato un consiglio. Oggi c’è molta tensione tra la RDC e il Ruanda, tra il nostro popolo e lo Stato del Ruanda. Non sto dicendo tra il popolo congolese e il popolo ruandese. I Congolesi sono massacrati. Il loro paese è saccheggiato e il loro territorio è sotto occupazione straniera. Non si rispetta il piano internazionale di pace. Di fronte a questa situazione, non vogliamo che domani qualcuno possa dire che si sia lesa l’integrità fisica di un ufficiale ruandese. Quel loro collega congolese potrebbe aver loro consigliato di fare temporaneamente un passo indietro, in modo che, quando la tensione si sarà abbassata, possano continuare a lavorare tranquillamente nella RDC. È la stessa logica che ha prevalso quando, con grande coraggio, il nostro presidente ha detto al suo omonimo ruandese, Paul  Kagame, che non era conveniente che dei soldati ruandesi facessero parte della forza militare regionale. Si deve vedere il contesto. Non c’è stata alcuna espulsione di ufficiali ruandesi, tanto più che la loro presenza era stata prevista nello statuto della stessa forza militare regionale».[5]

b. Due presidenti, due punti di vista diversi

Il 30 gennaio, a Kinshasa, rivolgendosi al corpo diplomatico, il Presidente congolese Félix Tshisekedi ha parlato a lungo sulla situazione di insicurezza che prevale nell’est del Paese. Secondo lui, tale insicurezza è la conseguenza di un’ennesima aggressione del territorio congolese da parte del Ruanda, mediante il suo appoggio al Movimento del 23 marzo (M23). Il capo dello Stato congolese ha sottolineato che «il vero obiettivo dell’aggressione dell’est del Paese da parte del Ruanda è di tipo economico ed egemonico». Egli ha tuttavia ribadito la determinazione del popolo congolese nel difendere l’integrità territoriale del Paese: «Sia noto a tutti che, né oggi né domani, il popolo congolese accetterà di cedere a qualcun altro un solo centimetro quadrato del territorio nazionale, per permettervi l’insediamento di una nuova popolazione o e lo sfruttamento illegale delle su risorse naturali e minerarie … Come ho già detto all’Assemblea delle Nazioni Unite, difenderemo a qualunque costo l’integrità del nostro territorio, la sovranità del nostro Paese e la sua l’indipendenza».
Inoltre, il presidente Félix-Tshisekedi ha aggiunto: «Ribadisco la richiesta che il governo congolese ha già presentato al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, quella di prendere in considerazione i vari rapporti degli esperti delle Nazioni Unite sulla situazione di insicurezza nell’est del Paese e di imporre sanzioni individuali e collettive alle autorità ruandesi, ai membri dell’M23 e allo Stato ruandese che violano il diritto internazionale e commettono gravi crimini e violazioni dei diritti umani … Continuare a nascondere la verità, peraltro già nota a tutti, e non volere prendere in considerazione i rapporti precedentemente citati, indica la volontà di voler coprire gli autori di questi crimini abominevoli e di incoraggiare l’impunità».[6]

Mentre molti rapporti del gruppo di esperti delle Nazioni Unite accusano le Rwanda Defence Forces (RDF) di operare nel Nord Kivu (Repubblica Democratica del Congo), a fianco del Movimento del 23 marzo (M23), in un’intervista rilasciata a Jeune Afrique, il Presidente ruandese Paul Kagame ha dichiarato: «Mi si accusa di intervenire in Congo, ma ciò non mi interessa. Non è né la prima, né l’ultima volta. L’importante sarebbe poter sapere perché vorrei intervenire in Congo. La risposta è semplice: la minaccia alla nostra sicurezza derivante dall’attività di un gruppo intriso di ideologia genocida, le Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR) è più che sufficiente per indurci ad intervenire in territorio congolese, senza alcun preavviso e senza necessità di chiedere scuse. Quando sei attaccato, non aspetti istruzioni dal tuo aggressore o dal suo protettore per sapere come reagire … Le FDLR sono ormai integrate nelle Forze Armate della RDC (FARDC) e questo è il problema. Questa situazione non ci impedisce di rivendicare il nostro legittimo diritto di spegnere l’incendio alla fonte, dovunque essa si trovi, con o senza il consenso di qualcuno. Il Ruanda non è mai intervenuto in Congo per cercare di risolvere una situazione che non esistesse prima del suo intervento e che non riguardasse la sua stessa sicurezza».[7]

Va però ricordato che, il 23 settembre 2022, l’attuale presidente congolese Félix Tshisekedi aveva già dichiarato: «Le FDLR sono un problema più per noi Congolesi che per i Ruandesi. In effetti, i membri delle FDLR sono diventati oggi dei rapinatori e banditi che non hanno più alcuna ideologia politica di riconquista del potere a Kigali. Si tratta quindi di una falso pretesto. La verità è che il Ruanda usa spesso il pretesto delle FDLR per giustificare le sue incursioni nella Repubblica Democratica del Congo. Da quando sono alla guida del Paese, a due riprese abbiamo rimpatriato centinaia di combattenti delle FDLR e oggi esse non rappresentano che una forza residua che non costituisce più una minaccia più la sicurezza del Ruanda».
Inoltre, nel mese di ottobre 2022, Jaynet Kabila, deputata nazionale e sorella gemella del precedente presidente della Repubblica, aveva messo in evidenza la malafede di Kigali che utilizza il pretesto delle FDLR per compiere le sue azioni bellicose in territorio congolese. Ella aveva vigorosamente smentito le dichiarazioni delle autorità ruandesi che giustificavano le loro molteplici aggressioni all’est della RDCongo, accusando  le forze armate congolesi di collaborare con le FDLR. In quell’occasione, Jaynet Kabila aveva affermato: «Appoggiato dal Ruanda, il Raggruppamento Congolese per la Democrazia (RCD) ha occupato il Nord Kivu e parte del Sud Kivu per ben cinque anni. Poi sono apparsi il Congresso Nazionale per la Sviluppo del Popolo (CNDP) e il Movimento del 23 marzo (M23), anch’essi appoggiati dal Ruanda e con l’obiettivo di proteggere la comunità tutsi dalla minaccia delle FDLR. Risultato: essi non sono mai riusciti a sconfiggere le FDLR, che hanno ucciso molti più Congolesi che Ruandesi … Il Ruanda dimostra tutta la sua malafede quando continua a parlare delle FDLR per giustificare le sue operazioni militari in RDCongo, invece di fare uno sforzo per iniziare un dialogo politico con le FDLR che, in fin dei conti sono anch’essi cittadini ruandesi».[8]

3. IL GRIDO DELLA SOCIETÀ CIVILE: IL POPOLO CONGOLESE NON È UNA SOTTOSPECIE UMANA

Il 30 gennaio, le coordinazioni della società civile del Nord Kivu e del Sud Kivu si sono riunite a Goma e hanno chiesto a Evariste Ndayishimiye, attuale presidente della Comunità dell’Africa dell’Est (EAC), di cui la RDC è membro, di convocare quanto prima una riunione dei Capi di Stato dell’EAC, nella quale questi ultimi possano prendere la decisione di ordinare alla forza militare regionale di iniziare delle operazioni militari dirette contro l’M23. In una nota congiunta indirizzata all’attuale presidente dell’EAC e letta dal segretario esecutivo della società civile del Nord Kivu, Placide Nzilamba, le due coordinazioni della società civile del Nord Kivu e del Sud Kivu hanno espresso la loro profonda preoccupazione di fronte alle grandi sofferenze subite dalla popolazione civile per l’avanzata dell’M23, in violazione delle decisioni del minivertice che si era svolto il 23 novembre 2022 a Luanda (Angola): «La popolazione vive di agricoltura, ma è stata costretta a fuggire e a vivere in campi profughi, senza poter andare a coltivare i campi. Come potrà continuare a vivere? Li si sta condannando alla povertà, alla fame e, quindi, alla morte! Pertanto, non possiamo più tollerare che la forza militare regionale dell’EAC rimanga nel nostro Paese come un gruppo turista».[9]

Il 31 gennaio, la società civile del Nord Kivu ha chiesto alla comunità internazionale di condannare e sanzionare il Ruanda, per star conducendo una guerra di aggressione contro la RDC attraverso l’M23. Lo ha reso noto in un suo comunicato, in cui essa esprime la sua indignazione per la situazione di grave insicurezza che caratterizza la provincia del Nord Kivu. Secondo il comunicato letto dal presidente della società civile e membro della coordinazione urbana di Goma, Marrion Ngavho, «i Congolesi non sono una sottospecie di esseri umani che possono essere continuamente uccisi, senza che nessuno se ne preoccupi. Quindi, in seguito agli atroci crimini subiti dalle popolazioni congolesi da parte del regime ruandese nella provincia del Nord Kivu, la società civile raccomanda all’intera comunità internazionale di condannare e sanzionare severamente il Ruanda per comprovata aggressione contro la RDCongo».[10]

Il 1° febbraio, a Bukavu, la Società Civile del Sud Kivu ha organizzato una marcia pacifica per dire no a qualsiasi tentativo di balcanizzazione della RDC e per esigere la fine della guerra nell’est della RDC. Uno degli organizzatori della manifestazione, Jean-Chrysostome Kijana ha letto un memorandum indirizzato al Segretario Generale delle Nazioni Unite, Secondo lui, «l’obiettivo della marcia organizzata dalla società civile del Sud Kivu è di risvegliare le coscienze patriottiche e di dire no alla balcanizzazione del Paese. Attraverso questa manifestazione, stiamo dimostrando al mondo che i Congolesi, da est a ovest, da nord a sud, sono pronti a difendere la loro sovranità nazionale e l’integrità territoriale del loro paese, non permettendo in alcun modo che venga ceduto agli invasori e agli aggressori».[11]

4. IL 20° VERTICE DEI CAPI DI STATO DELLA COMUNITÀ DELL’AFRICA DELL’EST (EAC)

Il 3 febbraio, in un comunicato stampa, i membri del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite hanno fermamente condannato i recenti massacri compiuti dall’M23 nel Nord Kivu e i suoi continui attacchi a villaggi e postazioni militari che, mentre gli permettono di avanzare e di occupare nuove zone, stanno minacciando la sicurezza e la stabilità della regione e aggravando ulteriormente l’attuale crisi umanitaria. I membri del Consiglio di Sicurezza hanno richiesto un’immediata cessazione delle ostilità, l’interruzione di ogni ulteriore avanzata dell’M23 e il suo ritiro da tutte le zone finora occupate, come concordato nell’ambito del processo di pace di Luanda avallato dall’Unione Africana. Il Consiglio di sicurezza ha di nuovo fermamente condannato qualsiasi appoggio esterno ai gruppi armati, tra cui l’M23, e ne ha chiesto l’immediata cessazione. I membri del Consiglio di Sicurezza hanno infine chiesto a tutte le parti implicate di rispettare le decisioni prese durante il mini-vertice dei Capi di Stato della regione, svoltosi il 23 novembre 2022 a Luanda (Angola) e di mantenere fede agli impegni assunti in quell’occasione.[12]

Il 4 febbraio, a Bujumbura (Burundi), si è svolto il 20° Vertice Straordinario dei Capi di Stato della Comunità dell’Africa dell’Est (EAC), convocato dal presidente burundese Evariste Ndahishimiye, attuale presidente di turno dell’EAC, Vi hanno partecipato altri sei Capi di Stati membri dell’organizzazione: Félix Antoine Tshisekedi della RDCongo, Paul Kagame del Ruanda, William Rutho del Kenya, Museveni Kaguta dell’Uganda e Samia Suluhu Hassan della Tanzania. Il presidente del Sud Sudan è stato rappresentato dal suo ministro incaricato delle relazioni con l’EAC, Deng Alor Kuol. Secondo il comunicato stampa finale, l’unico punto all’ordine del giorno era la “valutazione della situazione di insicurezza nell’est della Repubblica Democratica del Congo e proposte di soluzione”. I Capi di Stato dell’EAC hanno raccomandato l’immediata cessazione delle ostilità tra l’esercito congolese e i gruppi armati attivi nell’est della RDCongo. In particolare, il vertice ha ordinato un immediato cessate il fuoco tra il Movimento del 23 marzo (M23), appoggiato dal Ruanda, e le Forze Armate della Repubblica Democratica del Congo (FARDC),  due parti si stanno combattendo nei territori di Rutshuru, Masisi e Nyiragongo (Nord Kivu). Ha chiesto a tutti i gruppi armati, nazionali e stranieri, di deporre le armi. Ai gruppi armati stranieri, ha chiesto di ritirarsi dal territorio congolese. In caso contrario, sarà necessario l’intervento della forza militare regionale dell’EAC. Per questo, il vertice ha raccomandato all’Uganda, al Burundi e al Sud Sudan di portare a termine il dispiegamento delle loro truppe nell’est della RDCongo e ha chiesto all’esercito congolese di facilitarne lo svolgimento. Infine,  Capi di Stato presenti al vertice hanno fatto osservare che l’insicurezza che prevale nell’est della RDCongo è una questione regionale che può essere risolta in modo sostenibile solo attraverso un processo politico e, in tale contesto, hanno sottolineato la necessità di un “dialogo rafforzato” tra tutte le parti.[13]

Il 5 febbraio, in un comunicato stampa. il ministro congolese degli Affari Esteri, Christophe Lutundula, ha confermato che solo il rigoroso rispetto delle disposizioni del comunicato finale del vertice di Luanda (Angola) può aprire a credibili prospettive di pace per la regione dei Grandi Laghi Africani: «La cessazione delle ostilità dell’M23 contro le postazioni delle Forze Armate della Repubblica Democratica del Congo (FARDC) e delle truppe della Missione dell’ONU per il Congo (MONUSCO), il ritiro dell’M23 dalle aree occupate, il suo accantonamento nelle sue postazioni iniziali, il ritorno degli sfollati nelle loro case e la cessazione dell’appoggio delle Forze di difesa del Ruanda (RDF) all’M23 sono le condizioni necessarie per qualsiasi tipo di dialogo politico interno e diplomatico esterno, in vista di una soluzione duratura alla crisi di insicurezza che prevale nell’est  della RDC e nella regione dei Grandi Laghi Africani». Egli ha anche ricordato che «il mandato della Forza Militare Regionale è inequivocabilmente offensivo, secondo la lettera e lo spirito dei Comunicati dei due incontri dei Capi di Stato dell’EAC a Nairobi (Kenia), in aprile e giugno 2022, e del mini-vertice svoltosi a Luanda (Angola) il 23 novembre 2022».[14]

Mentre i combattimenti tra le Forze Armate della RDC (FARDC) e il Movimento del 23 marzo (M23) si sono avvicinati a Sake, cittadina a 25 km da Goma, capitale della provincia del Nord Kivu, la popolazione locale accusa la forza militare regionale della Comunità dell’Africa dell’Est (EAC), già dispiegata nella città di Goma, di non volere collaborare con le FARDC, per combattere in prima linea contro l’M23. È chiaro che, per l’EAC, l’opzione militare non è considerata prioritaria. Primo motivo: i mezzi sono limitati. Il contingente keniota schierato a Goma è composto da soli 903 uomini mentre, nel 2013, la brigata d’intervento che aveva sconfitto l’M23 disponeva di 3.000 uomini e di molte più risorse. Il piano di finanziamento di questa forza militare regionale non è ancora stato finalizzato. Il materiale bellico (armi, munizioni, veicoli corazzati, …) a disposizione sembra insufficiente per affrontare un M23 che, si dice, sia ben equipaggiato e, soprattutto, appoggiato dal Ruanda. Secondo motivo: “Davvero il Kenya è disposto a correre il rischio di uno scontro diretto con il Ruanda, anch’esso membro dell’EAC?”.
A questa domanda, vari specialisti del settore rispondono piuttosto negativamente. Ritengono inoltre che, in ultima analisi, ci sia un malinteso tra le autorità congolesi e la Comunità dell’Africa dell’Est (EAC): forza offensiva contro forza di interposizione. Ed è questa differenza di percezione che, alla fine, dà origine alla delusione da parte della popolazione. Secondo un osservatore della regione, “ci si è un po’ illusi, credendo che i keniani fossero pronti a rischiare la vita per combattere contro l’M23”. Per Onesphore Sematumba, specialista della regione dei Grandi Laghi Africani presso l’International Crisis Group (ICG), «le aspettative nei confronti della forza militare regionale dell’EAC sono state così alte da parte congolese (politici, militari e opinione pubblica) che ci si aspettava che avrebbe potuto dichiarare guerra aperta contro l’M23, cosa praticamente impossibile nelle condizioni attuali», come visto sopra.[15]

Il 9 febbraio, i capi di stato maggiore delle forze di difesa della Comunità dell’Africa dell’Est (EAC) si sono incontrati a Nairobi (Kenia).
In primo luogo, essi hanno constatato il mancato rispetto delle precedenti disposizioni decise in occasione del mini vertice dei Capi di Stato svoltosi a Luanda (Angola) nel mese di novembre 2022: il cessate il fuoco e il ritiro dell’M23 dalle zone occupate. Pertanto, hanno tracciato una nuova tabella di marcia per una possibile via d’uscita dal conflitto. Hanno dapprima rinnovato l’appello al cessate il fuoco tra l’M23 e l’esercito congolese e al ritiro di tutti i gruppi armati, nazionali e stranieri. Per quanto riguarda il ritiro dell’M23, si prevedono tre fasi: dal 28 febbraio al 10 marzo, esso riguarda Kibumba e Rumangabo, zone che l’M23 avrebbe già dovuto cedere all’EAC, ma anche altre località recentemente conquistate lungo la strada Sake-Butembo (Karenga, Kilolirwe, Kitchanga). Dal 13 al 20 marzo l’M23 dovrà ritirarsi dalle zone centrali del Nord Kivu, quelle adiacenti al Parco dei Virunga (Kishishe, Bambo, Kazaroho, Tongo e Mabenga). Dal 23 al 30 marzo l’M23 dovrà ritirarsi dalle posizioni di ​​Rutshuru e Kiwanja, conquistate nel mese di ottobre 2022 e di Bunagana, occupata nel mese di giugno 2022.
Simultaneamente al ritiro dell’M23, le truppe stranieri costituenti la Forza Militare Regionale dell’EAC dovranno progressivamente dispiegarsi nelle località lasciate libere dall’M23, secondo il seguente schema: le truppe burundesi controlleranno le località di Sake, Kilolirwe e Kitchanga; le truppe del Sud Sudan e del Kenya si dispiegheranno a Rumangabo; quelle del Kenia, da sole questa volta, si stabiliranno a Kibumba, Tongo, Bwiza e Kishishe; mentre quelle ugandesi prenderanno il controllo di Bunagana, Kiwanja, Rutshuru e Mabega. Queste nuove disposizioni pongono la questione del rafforzamento delle truppe che costituiscono la forza militare regionale dell’EAC visto che, finora, a Goma è arrivato solo il contingente del Kenia. Gli altri stati membri dell’EAC, tra cui il Burundi, l’Uganda e il Sud Sudan, dovranno quindi inviare le loro truppe il più rapidamente possibile. Tuttavia, il documento finale della riunione non fa alcun riferimento alla questione logistica omettendo, per esempio, di precisare il numero dei soldati previsti per ogni contingente.
Inoltre, se la nuova roadmap prevede il dispiegamento delle truppe EAC anche in zone attualmente non occupate dall’M23, non fa però alcun riferimento a una possibile operazione offensiva della forza militare regionale contro l’M23, come invece auspicato da Kinshasa. Anzi, i Capi di stato maggiore hanno chiaramente sottolineato che le parti in conflitto devono dialogare tra loro per trovare soluzioni politiche ai vari conflitti che li contrappongono.
Infine, quest’ultima roadmap prevede la creazione di un meccanismo preposto alla verifica del rispetto del cessate il fuoco e dell’effettività del ritiro dell’M23 dalle zone occupate.[16]

Il 13 febbraio, a proposito della nuova roadmap proposta dai capi di stato maggiore degli eserciti membri della forza militare regionale dell’EAC, il governo congolese ha affermato che analizzerà attentamente il documento finale, per poi potere esprimere la sua posizione. Lo ha rivelato il vice primo ministro e Ministro degli Esteri, Christophe Lutundula, in una conferenza stampa organizzata a Kinshasa insieme con il suo collega della Comunicazione e dei media, Patrick Muyaya. Secondo lui, «tutto ciò che non è in sintonia con la cessazione delle ostilità da parte dell’M23, la fine dell’aggressione da parte del Ruanda, il ritiro delle truppe dell’M23 e dell’esercito ruandese dalle zone occupate, il ritorno degli sfollati nelle loro case, qualsiasi cosa che non permetta alla Repubblica di esercitare pienamente la sua sovranità e di salvaguardare la sua indipendenza e la sua integrità territoriale, noi non lo accetteremo». Tuttavia, secondo alcuni osservatori, è inutile che il governo congolese dica che darà la sua posizione dopo aver analizzato il documento finale della riunione, dal momento che il nome del capo di stato maggiore del suo esercito, il generale Tshiwewe Songesa Christian, compare già tra i firmatari di tale documento.[17]

5. PERCHÉ L’ESERCITO CONGOLESE NON RIESCE A SCONFIGGERE L’M23?

(INTERVISTA A JEAN-JACQUES WONDO, ESPERTO MILITARE)

Dalla fine del 2021, nell’est della Repubblica Democratica del Congo (RDC), il Movimento del 23 marzo (M23) ha ripreso le ostilità in seguito a varie rivendicazioni, tra cui l’applicazione degli accordi conclusi con Kinshasa. Tali accordi sanciscono il rimpatrio dei combattenti M23 che si erano rifugiati in Ruanda e in Uganda dopo la sconfitta del 2013, la loro integrazione nell’esercito e la protezione delle minoranze tutsi. Partendo dalle colline di Sarambwe, all’incrocio delle frontiere tra Uganda, Ruanda e RDC, ha sempre più guadagnato terreno: da Bunagana a Kitshanga, passando per Rutshuru, Kiwanja, Nyamilima, Tongo, Bambo, Kishishe … Appoggiato da Kigali, l’M23 controlla ormai un territorio più vasto del Ruanda stesso e si sta avvicinando a Goma, capoluogo del Nord Kivu, senza essere fermato dall’esercito congolese, benché quest’ultimo sia classificato tra le prime dieci potenze militari del continente africano. Da dove viene la debolezza dell’esercito congolese?

D: Perché l’esercito congolese non è in grado di fermare l’’avanzata dell’M23? Scarsità di soldati? Mancanza di munizioni? Inferiorità di fronte a un nemico appoggiato dal Ruanda?
R: Non credo che le attuali difficoltà dell’esercito congolese (FARDC) siano dovute esclusivamente all’appoggio dell’esercito ruandese all’M23. Contrariamente a certe idee che vengono ampiamente diffuse, l’equilibrio delle forze sul terreno in termini di quantità di materiale bellico e di numero di soldati è, teoricamente, ampiamente favorevole all’esercito congolese (FARDC) rispetto all’esercito ruandese (RDF). Non per niente il think tank americano Global Firepower classifica generalmente le FARDC tra i primi 10 eserciti del continente africano. La debolezza dell’esercito congolese è allo stesso tempo sistemica, strutturale e funzionale. Le cause dello scarso rendimento dell’esercito congolese sono molteplici, a cominciare dalla mancanza di decisioni chiare e coerenti a livello politico e dall’assenza di una visione strategica complessiva della difesa e della sicurezza congolese. Innanzitutto, l’esercito congolese è un esercito eterogeneo, perché composto da ex combattenti di gruppi armati che vi sono stati successivamente integrati in seguito a sedicenti accordi di pace. La sua riforma sembra volutamente sabotata, per mancanza di volontà politica.
L’esercito congolese è caratterizzato da una mancanza di leadership militare ed è vittima di un comando incompetente, disorganizzato e disfunzionale. In molti ufficiali membri del comando militare, si nota una mancanza di formazione, da cui deriva una debole capacità manageriale a tutti i livelli (pianificazione, esecuzione e valutazione).
Nel campo delle operazioni, vari ufficiali hanno rilevato sovrapposizioni nella catena di comando e mancanza di unità di comando. Essendo molti i diversi livelli di comando, non si sa chi  veramente comanda le operazioni militari: il Vice Capo di Stato Maggiore dell’esercito? La casa militare di Kinshasa? Lo stato maggiore avanzato dipendente da Kinshasa? Il Governatore militare? Il Comandante della 3ª zona di difesa? Il Comandante della 34ª regione militare nel Nord Kivu? I Comandanti dei settori operativi? Il Comandante della task force della Guardia Repubblicana?
A queste debolezze, si aggiungono la mancanza di controllo sui membri stessi dell’esercito, l’assenza di tabelle statistiche relative agli effettivi reali e al materiale militare in dotazione che dovrebbero permettere una visione d’insieme dell’esercito e del suo equipaggiamento. Sul terreno dei  combattimenti, le varie unità militari hanno una scarsa capacità operativa in materia di tattica e di logistica. Nel suo insieme, l’esercito congolese non riesce a pianificare e a organizzare operazioni coordinate tra unità di copertura (fanteria), unità di difesa (artiglieria corazzata, meccanizzata), unità speciali e supporto aereo.
A questa confusione che caratterizza la gestione delle operazioni militari, bisogna aggiungere la presenza di alcune unità militari autonome e indipendenti dal comando operativo locale e dalla regione militare. Sul campo di battaglia, le truppe  mancano di motivazione. Secondo molte fonti, i militari schierati sul fronte non sono adeguatamente assistiti, nemmeno i feriti o gli uccisi.
Di conseguenza, spesso i soldati esitano ad impegnarsi pienamente nei combattimenti e ad obbedire agli ordini dei loro capi, sovente accusati, a torto o a ragione, di appropriazione indebita dei loro magri stipendi . Va anche notato che le sconfitte militari subite dall’esercito congolese sin dal mese di giugno 2022 hanno causato la destrutturazione di varie unità militari sul campo. Diversi soldati hanno abbandonato le loro unità militari, peraltro già scarse di personale effettivo, in quanto i loro comandanti avevano gonfiato le cifre, per appropriarsi indebitamente di denaro, stipendi fittizi, carburante e mezzi logistici. Infatti, sono diversi gli ufficiali militari che, a tutti i livelli della gerarchia militare, gonfiano i budget operativi a scopo lucrativo. Questa cannibalizzazione delle risorse militari ha un impatto negativo sull’efficacia delle operazioni militari.

D: L’23 si sta avvicinando a Goma. Ci si può fidare dell’appoggio della forza militare regionale della Comunità dell’Africa dell’Est (EAC)?
R: Cosa può fare la forza militare regionale dell’EAC, che dispone di poche migliaia di soldati, in una situazione in cui, da oltre 20 anni e con circa 20.000 caschi blu, la MONUSCO non è stata in grado di portare la pace? Assolutamente nulla. La soluzione non si trova affatto nella forza militare regionale dell’EAC, di cui fa parte anche il Ruanda, almeno per i servizi d’intelligence, anche se ai suoi ufficiali è stato recentemente chiesto di lasciare la RDC. In realtà, essi continuano la loro missione sull’altra sponda della frontiera. Dobbiamo essere storicamente consapevoli che gli Stati dell’EAC, tra cui il Ruanda, l’Uganda e il Burundi, sono da tempo implicati nella crisi che sta rodendo l’est della RDC, essendo essi stati alla base dell’invasione dello Zaire nel 1996, per motivi geo – economici. Il dispiegamento della forza militare dell’EAC ha come obiettivo non dichiarato di mantenere la RDC nell’ordine geopolitico di un paese militarmente sconfitto. La prova è che oggi all’esercito congolese è vietato l’ingresso nei territori occupati dall’M23 e lasciati sotto il controllo della forza militare EAC. Si tratta di una perdita di sovranità su parte del territorio nazionale.
L’instabilità / insicurezza dell’est della RDC e la guerra ruandese nella RDC vanno collocate nel continuum delle dinamiche geopolitiche che regnano nella regione dei Grandi Laghi, dopo il genocidio ruandese (aprile 1994) e la caduta di Mobutu (maggio 1997) e che è consecutivo alla fine della Guerra Fredda, in un contesto internazionale di globalizzazione qualificato come “New scramble for Africa”, cioè la “corsa alle materie prime dell’Africa utile e redditizia”.
In realtà, dietro l’argomento dell’insicurezza invocato dagli Stati dell’EAC per giustificare il dispiegamento della forza militare regionale, le vere motivazioni di questo intervento militare sono eminentemente commerciali ed economiche. Il loro vero obiettivo è la riconquista militare dei territori da loro occupati e controllati tra il 1996 e il 2002, con l’obiettivo di operare una nuova ridistribuzione della mappa economica in una zona molto ricca di risorse naturali, minerarie ed energetiche, nell’ottica di consolidare le loro posizioni economiche nell’est RDC. Per il Ruanda, in particolare, si tratta di una triplice questione di sopravvivenza politica, economica e demografica di un regime etnicamente egemonico.

D: Varie fonti riferiscono, su alcuni fronti, la presenza di gruppi armati locali che affiancano l’esercito congolese per combattere l’M23. In che misura questa vecchia pratica congolese potrebbe essere incoraggiata?
R: La missione primaria di un esercito è la difesa nazionale, cioè la sicurezza dello Stato, la difesa dei suoi interessi e la protezione delle sue popolazioni e dei suoi territori contro una minaccia esterna. Il tutto nel quadro di un’organizzazione piramidale. Questo non è il caso dei gruppi armati che non combattono per la difesa della nazione, ma per difendere gli interessi privati ​​dei loro capi, mediante azioni localmente circoscritte sul piano geografico. Questi gruppi armati rispondono solo all’autorità dei loro capi, che sono generalmente signori della guerra. In uno Stato politicamente fragile, in cui riaffiorano tendenze comunitarie, il ricorso a gruppi armati, generalmente costituiti su base etnica, non può che lasciare presagire il fallimento della costruzione della nazione congolese e l’inizio della sua balcanizzazione. Il ricorso ai gruppi armati non fa che spostare il problema della fondazione dello stato congolese, per l’incapacità politica di dotare la RDC di forze di difesa e di sicurezza solide, repubblicane, professionali e nazionali. È quindi da evitare.[18]

[1] Cf Christophe Rigaut – Afrikarabia.com, 05.02.’23; Actualité.cd, 03.02.’23
[2] Cf Actualité.cd, 24.01.’23; Radio Okapi, 24.01.’23; Jephté Kitsita – 7sur7.cd, 24.01.’23
[3] Cf Radio Okapi, 31.01.’23; Actualité.cd, 30.01.’23
[4] Cf Radio Okapi, 03.02.’23; Actualité.cd, 03.02.’23
[5] Cf Actualité.cd, 06.02.’23
[6] Cf Actualité.cd, 30.01.’23 ; Radio Okapi, 30.01.’23
[7] Cf Carmel Ndeo – Politico.cd, 28.01.’23
[8] Cf Carmel Ndeo – Politico.cd, 28.01.’23
[9] Cf Radio Okapi, 03.02.’23
[10] Cf Radio Okapi, 01.02.’23
[11] Cf Radio Okapi, 01.02.’23
[12] Cf Radio Okapi, 04.02.’23
[13] Cf Carmel Ndeo – Politico.cd, 04 e 05.02.’23; Radio Okapi, 05.02.’23
[14] Cf Actualité.cd, 05.02.’23; Radio Okapi, 06.02.’23
[15] Cf RFI, 10.02.’23
[16] Cf Radio Okapi, 13.02.’23 ; Paulina Zidi – RFI, 13.02.’23; Serge Sindani – Politico.cd, 14.02.’23
[17] Cf Radio Okapi, 14.02.’23
[18] Cf Claude Sengenya – Actualité.cd, 05,02.’23   https://actualite.cd/2023/02/05/rdc-pourquoi-les-fardc-peinent-defaire-le-m23-entretien-avec-jean-jacques-wondo-expert