Congo Attualità n. 482

NORD KIVU: UN POPOLO OSTAGGIO D’UNA GUERRA A SFONDO ECONOMICO

INDICE

1. INTRODUZIONE
2. LE DICHIARAZIONI DEI VESCOVI CATTOLICI E DELLA SOCIETÀ CIVILE DEL NORD E SUD KIVU
3. LE DECISIONI DEL MINI-VERTICE DELL’EAC E DEL CONSIGLIO DI PACE E SICUREZZA DELL’UNIONE AFRICANA A ADDIS-ABEBA (ETIOPIA)
4. IL MOVIMENTO DEL 23 MARZO (M23): UNA GUERRA ECONOMICA TRA RDCONGO E RUANDA
a. RDC, Ruanda e Qatar: il triangolo delle Bermude
b. La RDC tenta di mettere fine al commercio illegale dei minerali con il Ruanda

1. INTRODUZIONE

Il Movimento del 23 marzo (M23) sta scatenando il caos nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo, ma i suoi veri obiettivi restano ancora oscuri. Dalla fine del 2021, l’M23 ha occupato vaste aree della provincia del Nord Kivu, provocando lo spostamento forzato di centinaia di migliaia di persone.
«Vogliamo un dialogo diretto con il governo, per risolvere le cause profonde del conflitto», continua a dichiarare Lawrence Kanyuka, portavoce politico dell’M23. Ma non precisa le richieste avanzate: «Non possiamo mettere il carro davanti ai buoi». Movimento a maggioranza tutsi, già sconfitto nel 2013, l’M23 ha ripreso le armi nel mese di novembre 2021, accusando Kinshasa di non aver rispettato gli impegni sul disarmo e il reinserimento dei suoi combattenti.
La Repubblica Democratica del Congo (RDC) accusa il Ruanda, paese limitrofo, di appoggiare (con armi, munizioni e truppe) questo gruppo armato. «L’M23 non è che una pedina del Ruanda», afferma il generale Sylvain Ekenge, portavoce delle Forze Armate della RDC (FARDC). Secondo lui, «per il Ruanda, è una questione di sopravvivenza economica». Infatti, l’est della RDC è ricco di minerali, tra cui l’oro, il coltan e lo stagno, mentre il Ruanda è un piccolo paese con poche risorse naturali. Secondo il generale Ekenge, questo dato di fatto potrebbe aver contribuito a innescare la crisi.
Nonostante gli sforzi internazionali intrapresi per disinnescare la crisi, l’M23 continua ad avanzare, minacciando di accerchiare la città di Goma, capoluogo di provincia del Nord Kivu.
Ciò che ha scatenato il conflitto non è chiaro, ma gli esperti ricordano le ricorrenti tensioni regionali come cause sottostanti. Nel mese di novembre 2021,in collaborazione con l’esercito congolese,  l’Uganda aveva iniziato un’operazione militare nell’est congolese, per combattere le Forze Democratiche Alleate (ADF), un gruppo armato di origine ugandese. Kampala si era inoltre impegnata a migliorare alcune infrastrutture stradali del Nord Kivu offrendo, in tal modo, una potenziale alternativa alle rotte commerciali ruandesi. È a questo punto che il presidente ruandese Paul Kagame avrebbe detto: “quelle strade non dovranno dirottare il traffico commerciale congolese verso l’Uganda”.
Anche Onesphore Sematumba, esperto della RDC per l’International Crisis Group (ICG), ritiene che la ripresa delle ostilità da parte dell’M23 abbia le sue radici negli interessi economici del Ruanda, anche se attualmente la situazione si è un po’ evoluta. A causa della debole reazione militare congolese, l’M3 potrebbe ora pianificare qualcosa che vada oltre quanto inizialmente immaginato. «Man mano che avanza senza incontrare un’effettiva opposizione militare e politica, l’M23 cercherà di spostare i paletti, secondo le situazioni del momento”, ha affermato Sematumba, secondo cui l’M23 si starebbe muovendo secondo una nuova “logica opportunistica”.[1]

2. LE DICHIARAZIONI DEI VESCOVI CATTOLICI E DELLA SOCIETÀ CIVILE DEL NORD E SUD KIVU

Il 28 gennaio, in un messaggio rivolto ai cristiani cattolici e agli uomini di buona volontà, i Vescovi dell’Assemblea Episcopale Provinciale di Bukavu (ASSEPB) hanno presentato la situazione di insicurezza in cui si trovano le loro diocesi: nella diocesi di Goma, 8 parrocchie su 33 sono occupate dalle truppe dell’M23; nella diocesi di Butembo-Beni, l’intera zona di Semliki è occupata dalle ADF, di origine ugandese; tutti gli altopiani della diocesi di Uvira sono occupati da milizie reclutate sulla base di criteri etnici; nella diocesi di Kasongo, 4 parrocchie su 19 sono occupate da gruppi armati Mai-Mai.
Di fronte a questa situazione, la popolazione si dice totalmente delusa, perché lo Stato non è ancora riuscito a porre fine alle violenze dei gruppi armati, a causa dell’inefficienza dell’esercito, della polizia e del programma di disarmo, smobilitazione e reinserimento (DDR).
Inoltre, la Comunità dell’Africa dell’Est (EAC), ha deciso di inviare nel Nord Kivu delle truppe del Kenya, dell’Uganda, del Burundi e persino del Sud Sudan. Pertanto, oggi, il Nord Kivu si trova sottomesso a una specie di regime di tutela da parte di questi eserciti stranieri. Non è questo il compimento effettivo della balcanizzazione della RDC?
Inoltre, dal punto di vista economico, la popolazione si trova ovunque schiacciata dalla miseria. In un Paese potenzialmente ricchissimo e presentato all’estero come “paese soluzione”, le strade sono rovinate e, in molti casi, impraticabili, il che espone le comunità locali ai pericoli dell’isolamento, della miseria e dell’insicurezza. Questa situazione è aggravata dall’imposizione di tasse esorbitanti che scoraggiano gli imprenditori e bloccano l’economia locale, ostacolando così il commercio interno e la crescita nazionale.
Infine, a causa di una corruzione dilagante, le nostre popolazioni sono vittime di una giustizia che raramente viene resa in modo equo. Nelle zone periferiche, la tendenza è quindi quella di ricorrere alla giustizia “popolare”, come il linciaggio e la creazione di gruppi armati come mezzo ultimo per farsi giustizia da soli.

L’8 febbraio, in una nota indirizzata al Presidente della Repubblica, i Vescovi membri del Comitato Permanente della Conferenza Episcopale Nazionale del Congo (CENCO) si sono detti preoccupati per la situazione di insicurezza che prevale nell’est della RD Congo. Questa situazione di insicurezza continua a peggiorare con enormi conseguenze: massacri, spostamenti di popolazioni e violazione dei diritti umani.
Di fronte a questa crisi sono state intraprese diverse iniziative militari e diplomatiche: l’instaurazione della legge marziale nelle due province del Nord Kivu e dell’Ituri, l’intensificazione delle operazioni militari (FARDC, MONUSCO, forza militare regionale della Comunità dell’Africa dell’Est [EAC], quest’ultima composta da truppe provenienti da Kenya, Uganda e Burundi e da ufficiali provenienti dal Ruanda), ma la pace è ancora lontana.
Inoltre, la presenza nell’est del nostro Paese di truppe e ufficiali provenienti da paesi citati come aggressori della Repubblica Democratica del Congo solleva molti dubbi e interrogativi.
Abbiamo l’impressione che la popolazione congolese sia intrappolata tra una guerra di influenza e una battaglia per il controllo delle sue risorse naturali. Questi drammatici eventi non contribuiscono forse all’attuazione del piano di balcanizzazione del nostro Paese?
Da parte sua, la Chiesa cattolica è sempre pronta ad accompagnare le diverse iniziative di pace. Ecco alcuni suggerimenti e azioni da intraprendere:
– Crediamo che, per cercare di convincere i gruppi armati dell’Est del Paese a deporre le armi, sia necessario ottenere l’appoggio delle loro comunità di riferimento. La Chiesa cattolica potrebbe appoggiarsi sulle sue Commissioni di Giustizia e Pace, per chiedere la collaborazione di queste comunità di riferimento.
– Di fronte al pericolo della balcanizzazione del Paese, la via migliore per evitarla è di consolidare la coesione nazionale e di ravvivare lo spirito patriottico. È opportuno seguire con attenzione quei leader opinionisti e attori politici che fanno discorsi e diffondono messaggi che incitano all’odio e all’esclusione.
– È importante istituire un comitato nazionale incaricato di valutare gli accordi e le alleanze che potrebbero indebolire gli sforzi intrapresi per salvare la patria e di proporre nuove strategie.
– Di fronte agli attacchi perpetrati dai gruppi armati, è urgente garantire la protezione dei campi degli sfollati e delle strutture degli operatori umanitari e fornire loro un’assistenza adeguata e duratura.
– Per quanto riguarda i casi di corruzione e di appropriazione indebita dei fondi assegnati ai soldati, in particolare a quelli che si trovano sulla linea del fronte, proponiamo il rafforzamento del sistema di monitoraggio e di controllo e l’avvio di procedure giudiziarie contro qualsiasi trasgressore.[2]

Il 17 febbraio, in occasione del 36° Vertice dei Capi di Stato e di Governo dei Paesi dell’Unione Africana, i membri della Società Civile del Nord-Kivu e del Sud-Kivu, hanno rivolto un memorandum a tutti i Capi di Stato e di Governo presenti al vertice, affinché  sia definitivamente presa una decisione su una cessazione immediata e senza ipocrisia delle ostilità e di ritiro incondizionato delle truppe dell’esercito regolare ruandese dal territorio della RD Congo. È per questo che essi hanno voluto attirare l’attenzione dei Capi di Stato e di Governo dei Paesi dell’Unione Africana su quanto segue:
1. La situazione di insicurezza nella RDC
– La situazione della sicurezza nella RDC è caratterizzata principalmente dall’ennesima invasione della RDC, mediante l’occupazione dei territori di Rutshuru, parte di Nyiragongo e del Masisi da parte di elementi dell’esercito ruandese sotto la copertura del Movimento del 23 marzo (M23).
– Oltre all’aggressione ruandese, le Forze Armate della Repubblica Democratica del Congo (FARDC) devono far fronte all’attivismo delle ADF/MTM e dei gruppi armati stranieri di origine ruandese e burundese, a cui costantemente si aggiungono gruppi armati e milizie locali, in particolare nell’Ituri, nel Nord-Kivu e nel Sud-Kivu.
– Nonostante gli incontri del 23 aprile e del 20 giugno 2022 a Nairobi (Kenia) che avevano raccomandato un cessate il fuoco immediato, malgrado il mini-vertice del 23 novembre 2022 a Luanda (Angola), che aveva chiesto all’M23 di ritirarsi da tutte le posizioni occupate ritornando a quella iniziale del Monte Sabinyo, in territorio di Rutshuru, l’esercito ruandese ha costantemente violato questi accordi.
– Com’era prevedibile, appoggiato, armato e addestrato dall’esercito ruandese (Ruandan Défence Force / RDF), l’M23 si è rifiutato di ritirarsi entro il 15 gennaio 2023, come inizialmente previsto e concordato; anzi, ha continuato a  ricevere rinforzi dall’esercito ruandese, ciò che gli ha permesso di conquistare altre località, come Kimbumba, Bwiza, Bamnu, Kishishe, Kiwanja, Kitshanga e Kirolirwe. Gli attacchi compiuti da questa coalizione sono all’origine del massiccio spostamento di popolazioni all’interno e all’esterno del paese e del deterioramento della situazione umanitaria.
– Secondo noi, le vere cause delle manovre del Ruanda sono le seguenti:
Cause economiche
– Accesso alle nostre risorse minerarie in tutti i territori dell’est del paese
– Impedire le visite turistiche nei Parchi nazionali di Virunga e Kahuzi-Bihega.
Cause demografiche
– Versare il surplus della sua popolazione nei territori di Rutshuru, Masisi e Lubero, come pure i rifugiati espulsi dall’Inghilterra, in seguito a un accordo firmato con il governo britannico.
– Ritorno e insediamento di 78.000 cosiddetti “rifugiati congolesi” che vivono in Ruanda, mentre si sa che il numero di compatrioti rifugiati in Ruanda non supera le 10.000 persone.
Cause di sicurezza
– Il Ruanda afferma di essere nell’insicurezza a causa della presenza, in territorio congolese, delle FDLR e sue varianti (gruppo armato di opposizione al regime ruandese, ndr). In realtà. dal 1996 fino al 2019, l’esercito ruandese ha effettuato operazioni militari (insieme all’esercito congolese e alla MONUSCO) che hanno portato alla decapitazione della leadership di questo movimento ribelle e al rimpatrio di molti suoi membri. Per questo, secondo noi, le FDLR non costituiscono più una minaccia per il Ruanda ma piuttosto un’insicurezza socio-economica per il nostro Paese a vantaggio del Ruanda stesso.
2. La presenza delle forze EAC nel nostro Paese
Abbiamo accolto con favore la decisione presa dai paesi membri della Comunità degli Stati dell’Africa dell’Est (EAC) di dispiegare una forza regionale con un mandato offensivo, per imporre la pace nel nostro paese. Purtroppo la Società Civile del Nord-Kivu e del Sud-Kivu prende atto con grande rammarico che il dispiegamento del primo contingente keniota ha tacitamente favorito l’occupazione dei territori della RDC da parte dell’esercito ruandese sotto copertura dell’M23.
Per esempio, a Kimbumba e a Rumangabo, attualmente controllate dal contingente keniota, l’esercito ruandese vi è ancora presente sotto la copertura dell’M23 e continua ad operarvi sotto l’occhio impotente della Forza dell’EAC.
3. Per questo, sulla base di quanto sopra esposto, chiediamo di:
a. Condannare e sanzionare inequivocabilmente l’invasione ruandese del nostro paese.
b. Fare pressione sul potere di Kigali affinché ritiri immediatamente e senza condizioni le sue truppe dal nostro Paese, in modo che i nostri compatrioti che vivono in condizioni disumane possano tornare alle loro case.
c. Chiedere inoltre un dialogo politico tra il governo ruandese e le FDLR, tra il governo ugandese e le ADF, nonché tra le RED TABARA e il governo burundese, per una pace duratura nella sub-regione.
d. Chiedere ai Capi di Stato della Comunità dell’Africa orientale di esigere che la forza regionale rimanga offensiva, come richiesto dal loro mandato iniziale, al fine di rafforzare la fiducia nelle popolazioni vittime dell’incresciosa inerzia della MONUSCO nel nostro Paese.
e. Sostenere la Repubblica Democratica del Congo nella sua richiesta di creazione di un Tribunale Penale Internazionale, in modo che gli autori dei crimini (di guerra, di genocidio e crimini contro l’umanità) rispondano dei loro atti.

3. LE DECISIONI DEL MINI-VERTICE DELL’EAC E DEL CONSIGLIO DI PACE E SICUREZZA DELL’UNIONE AFRICANA A ADDIS-ABEBA (ETIOPIA)

Il 17 febbraio, a Addis-Abeba, capitale dell’Etiopia, i Capi di Stato di vari Paesi membri della Comunità dell’Africa dell’Est (EAC), tra cui Félix Tshisekedi (RDC), William Ruto (Kenya), Joâo Lourenço (Angola), Paul Kagame (Ruanda), Evariste Ndayishimiye (Burundi) e Samia Suluhu Hassan (Tanzania), hanno partecipato a un mini-vertice svoltosi alla vigilia dell’apertura della 36ª Assemblea Generale dell’Unione Africana (UA). Dopo aver preso atto dell’aggravarsi dell’insicurezza e del deterioramento della situazione umanitaria nell’est della RDC, a causa del rifiuto, da parte dell’M23, di ritirarsi dai territori illegalmente occupati, essi hanno nuovamente richiesto un ritiro immediato e obbligatorio, prima del 30 marzo, di tutti i gruppi armati, compreso l’M23. attivi nell’est della RDC. Inoltre, i Capi di Stato dell’EAC hanno raccomandato il rimpatrio, in RDC, dei rifugiati congolesi che si trovano ancora in Ruanda e in Uganda, il ritorno immediato degli sfollati interni, l’accelerazione dell’attuazione del programma di Disarmo e di Reinserimento sociale (PDDRCS) e l’avvio di un dialogo politico e diplomatico tra le varie parti implicate in vista di una soluzione duratura alla crisi. I Capi di Stato hanno incaricato il Presidente dell’Angola, in collaborazione con il facilitatore designato dall’EAC, Uhuru Kenyata, di contattare il comando dell’M23, per trasmettergli il contenuto delle decisioni prese in occasione di questo mini-vertice di Addis Abeba.[3]

Il 17 febbraio, sempre a Addis-Abeba (Etiopia) e alla vigilia della 36ª Assemblea Generale dell’Unione Africana, il Consiglio per la Pace e la Sicurezza (PSC) dell’Unione Africana (UA) ha chiesto l’acquartieramento e il disarmo dell’M23, sotto il controllo delle autorità della RDC e la supervisione della Forza Militare Regionale dell’EAC e del Meccanismo di Verifica Ad Hoc, con la collaborazione della Missione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per la Stabilizzazione del Congo (MONUSCO). Il Consiglio per la pace e la sicurezza dell’UA ha ribadito i suoi appelli alla cooperazione, al coordinamento e alla complementarità degli sforzi tra la MONUSCO, le Forze armate della Repubblica Democratica del Congo (FARDC) e la Forza militare regionale dell’EAC. L’UA ha chiesto a tutti i gruppi armati, in particolare l’M23, le ADF e le FDLR, di cessare immediatamente le ostilità e di ritirarsi senza condizioni dall’est della RDC.[4]

4. IL MOVIMENTO DEL 23 MARZO (M23): UNA GUERRA ECONOMICA TRA RDCONGO E RUANDA

a. RDC, Ruanda e Qatar: il triangolo delle Bermude

Qualche anno fa, il Qatar aveva finanziato il 60% delle spese inerenti al funzionamento della compagnia aerea Rwandair, che di fatto è diventata una sussidiaria di Qatar Airways. Aveva deciso di finanziare anche la costruzione di una raffineria d’oro a Kigali, facendosi rimborsare in natura, tramite l’oro saccheggiato in territorio congolese.
La rottura dei rapporti tra Kigali e Kinshasa e il congelamento degli accordi economici tra questi due paesi, sta capovolgendo la situazione, rivelandosi controproducenti sia per la compagnia Rwandair, privata del mercato aeroportuale congolese, sia per la raffineria d’oro, privata delle materie prime.
A questi fattori, va aggiunto l’importante accordo denominato G2G, firmato il 29 marzo 2021 tra il governo congolese e quello del Qatar. Tale accordo consiste proprio nell’implicazione della compagnia Qatar Airways in un progetto di partenariato Qatar-RDC, in collaborazione con la Rete delle Vie Aeree (RVA)  dello Stato congolese, per l’ammodernamento di tre aeroporti congolesi: N’Djili a Kinshasa, Luano a Lubumbashi e quello commerciale di Ndolo, a Kinshasa.
Il Ruanda e la RDC sono così entrati in una vera e propria guerra economica, le cui ripercussioni arrivano a scuotere gli interessi di tutti i partner internazionali, ai quali il Ruanda aveva promesso montagne e meraviglie contando su minerali appartenenti a un paese terzo.
Tra Qatar, Ruanda e RDC, si è dunque creato un triangolo delle Bermuda, una zona ad alta tensione diplomatica e militare, dove cosiddette economie emergenti rischiano di scomparire. In che modo?
L’obiettivo principale della RDC dovrebbe essere quello di vincere la guerra economica contro il Ruanda, non con la forza delle armi, ma con una campagna di sensibilizzazione dell’opinione pubblica nazionale e internazionale e l’interruzione dei canali economici e commerciali illeciti e illegali che hanno finora permesso  l’arricchimento del Ruanda.
Se la RDC riuscirà a rimanere ferma nella sua posizione di rifiuto di dialogo con il Ruanda, almeno finché quest’ultimo manterrà le sue forze militari sul territorio congolese e, soprattutto, se la RDC riuscirà a convincere i partner internazionali della non necessità di passare attraverso Kigali per commerciare materie prime del Congo, allora la RDC potrebbe riuscire ad indebolire il Ruanda sotto il punto di vista economico. Di fronte all’intransigenza di Kinshasa, l’economia ruandese, alimentata per il 60% dal saccheggio delle risorse minerarie del Congo, per il 30% dagli aiuti internazionali e per il 10% dall’agricoltura, principalmente attraverso la produzione di caffè e tè (una cui parte è clandestinamente importata dalla RD Congo) dovrebbe inesorabilmente subire un declino accelerato, con un conseguente indebolimento interno del regime dell’RPF di Kagame che, da oltre due decenni, ha preso la triste abitudine di funzionare con le rendite di un’economia di guerra e di saccheggio. Allora si sarebbe a un passo da una nuova era politica e economica che permetterebbe all’intera regione dei Grandi Laghi Africani di vivere nella pace.[5]

b. La RDC tenta di mettere fine al commercio illegale dei minerali con il Ruanda

Il 10 dicembre 2022, la RDC e gli Emirati Arabi Uniti hanno firmato un accordo di collaborazione economica che ha condotto alla creazione di due società: Primera Gold DRC per il commercio dell’oro prodotto nell’ambito artigianale e Primera Metals DRC per il commercio dei minerali 3T (Stagno, Tungsteno, Tantalio) prodotti anch’essi nel settore artigianale. La delegazione congolese era guidata dal Primo Ministro del governo congolese, mentre quella degli Emirati Arabi era guidata dal delegato degli Affari economici di questo paese per la RDC che, nello stesso tempo. È anche co-fondatore di Primera Group Limited. L’obiettivo della creazione delle due joint venture citate sopra dovrebbe essere quello di evitare la frode, il contrabbando e lo sfruttamento illegale nel settore della produzione artigianale dell’oro e dei minerali 3T. Primera Gold DRC dovrebbe assicurare la tracciabilità dell’intera catena commerciale dell’oro prodotto artigianalmente. Secondo il Primo Ministro, «è inaccettabile che la RDC esporti ufficialmente solo 3 kg d’oro all’anno, mentre si sa che dalle 15 alle 20 tonnellate di oro proveniente dall’estrazione artigianale vengono esportate illegalmente». Da parte sua, Primera Metals DRC si è impegnata ad assicurare la tracciabilità dei minerali 3T e la loro trasformazione a livello locale, in vista di un loro  valore aggiunto e, quindi, di un loro prezzo migliore.[6]

Il 13 gennaio 2023, a Kinshasa, il Presidente della Repubblica, Félix-Antoine Tshisekedi, ha presenziato alla cerimonia della prima spedizione simbolica (28 kg) di oro “certificato” prodotto in Congo per gli Emirati Arabi Uniti, tramite la nuova società di diritto congolese, Primera Gold RDC s.a., creata in occasione dell’accordo del 10 dicembre 2022. Si tratta di una piccola quantità rispetto agli obiettivi annunciati. In tre mesi, la RDC spera di esportare verso gli EAU 1 tonnellata d’oro al mese, per poi arrivare finalmente a 15 tonnellate all’anno, corrispondenti a più di un miliardo di dollari, tracciabili attraverso il circuito bancario.
Secondo una nota dell’Ufficio di Comunicazione della Presidenza, la RDC e gli EAU desiderano stabilire una cooperazione “win-win”, rispettosa cioè degli interessi di ciascuna parte nei vari settori, tra cui quello minerario. L’accordo firmato permetterebbe di rafforzare il partenariato economico diretto tra le due parti, di impedire l’ingerenza dei gruppi armati sul commercio minerario e di evitare che “l’oro insanguinato” entri nel circuito commerciale internazionale, sostituendolo con “oro certificato” nell’ambito di una catena commerciale “equa e solidale”. Per esportare e immettere “oro pulito” sul mercato internazionale, si è previsto un circuito che collega direttamente le cooperative di minatori artigianali con i commercianti e acquirenti autorizzati e con i centri di acquisto situati a Bukavu (Sud Kivu). Primera Gold chiede che tutti i commercianti siano dotati di un conto bancario, affinché tutte le transazioni siano effettuate attraverso i circuiti bancari, poiché la sfida maggiore è quella di garantire la tracciabilità dell’intera filiera.
L’accordo firmato ha anche il vantaggio di garantire delle buone condizioni di lavoro e di vita per i minatori artigianali dell’est della RDC, più precisamente per quelli del Sud Kivu (circa 30.000) che, essendosi organizzati in cooperative, potranno avere un accesso diretto alla società, senza passare attraverso intermediari, entrando così a far parte del circuito.
Sempre secondo la nota dell’Ufficio di Comunicazione della Presidenza, «Primera Gold garantirà un salario dignitoso e regolare ai minatori e garantirà loro una serie di assicurazioni e l’accesso all’assistenza sanitaria e all’istruzione dei loro figli, in conformità con i requisiti imposti dalle regole del commercio equo e solidale basate sul principio della “parità di interessi” (win-win)».
Questa partnership rappresenta soprattutto un segnale forte rivolto al Ruanda, un paese confinante con la RDC. Durante la cerimonia di invio dei primi lingotti d’oro verso gli EAU, il presidente della RDC Felix Tshisekedi ha sottolineato che lo stesso tipo di accordo era stato discusso con i paesi limitrofi, tra cui il Ruanda, ma senza successo. Il Ruanda è infatti accusato da Kinshasa di importare oro dall’est della RDC attraverso il saccheggio e il commercio illegale delle risorse minerarie, ciò che gli permette di appoggiare la ribellione dell’M23 nell’est del Paese. accuse puntualmente respinte dal governo ruandese.
Va ricordato che, nel 2022, nella provincia del Sud Kivu, dove c’erano ben 9 centri d’acquisto e di esportazione ufficiali e una decina  clandestini, era stato dichiarato un totale di soli 34 kg d’oro, cioè 2,83 kg al mese, pari a 0,14 kg al mese per ogni centro. Dato che il Ministero delle Miniere aveva fatto una previsione di 10 kg al mese per ogni centro d’acquisto  ed esportazione, la quantità d’oro esportato annualmente da questa provincia avrebbe dovuto raggiungere i 2.280 kg. Si può quindi dedurre che, annualmente, il Sud Kivu esporta illegalmente più di 20 quintali d’oro proveniente da attività estrattive artigianali, pari a 100 milioni di dollari/mese messi in circolazione al di fuori del circuito bancario.[7]

Il 18 gennaio, dopo aver indetto una gara d’appalto, il governo congolese ha reso noti i nomi delle società alle quali sono state assegnate tre zone adibite all’estrazione di gas nel lago Kivu, nell’est del Paese. Si tratta di Symbion Power & Red (per il cosiddetto blocco Makelele), Winds Exploration and Production LLC (per il blocco Idjwi) e Alfajiri Energy Corporation (per il blocco Lwandjofu). Le prime due società hanno la loro sede negli Stati Uniti, la terza in Canada.
Concedendo due blocchi di gas metano a due società americane, il governo congolese intende ribaltare la tradizionale alleanza Ruanda-USA a vantaggio della RDC.
Alla fine di luglio 2022 era stato lanciato un bando di gara per questi tre blocchi di gas metano e 27 blocchi petroliferi. La scadenza per la presentazione delle candidature ai blocchi petroliferi era stata fissata per la fine di gennaio 2023. I 30 blocchi (27 per il petrolio e 3 per il gas metano) sono stati localizzati in tre principali bacini sedimentari: il bacino costiero, il bacino centrale e il bacino occidentale dell’East African Rift. Secondo il ministro degli Idrocarburi, Didier Budimbu, la RDC potrebbe diventare produttrice di gas entro il 2024 e il contributo del settore degli idrocarburi al bilancio dello Stato, attualmente stimato al 6%, potrebbe raggiungere il 40% con l’inizio effettivo dell’estrazione di petrolio e gas in tutti questi 30 blocchi.[8]

Il 21 febbraio, in un tweet, il ministro congolese delle Finanze, Nicolas Kazadi, ha annunciato che, in 45 giorni con Primera Gold DRC, la RDCongo ha esportato 207 Kg d’oro, una sorpresa, visto che, nel 2021, il Paese ne aveva esportato solo 23 kg e 34 kg nel 2022, benché in partenariato con una società ruandese di diritto privato, nota come Dither SA.[9]

[1] Cf AFP – Actualité.cd, 14.02.’23
[2] Cf Okapinews.net, 17.02.’23  https://okapinews.net/politique/rdc-la-cenco-propose-a-felix-tshisekedi-levaluation-des-accords-et-alliances-signes/
[3] Cf Carmel Ndeo – Politico.cd, 17.02.’23; AFP – Actualité.cd, 18.02.’23; Radio Okapi, 19.02.’23
[4] Cf Radio Okapi, 18.02.’23
[5] Cf https://www.facebook.com/NzingaGermain/posts/pfbid0JGmcMoAmiaPu1myh2r16mMq1MLG7acuXuGa5obMfLzBvBeoMeC7gPCdS84XXdnyBl
[6] Cf Radio Okapi, 13.12.’22
[7] Cf Radio Okapi, 14.01.’23; Information.tv5monde.com, 13.01.’23; Actualité.cd, 18.01.’23
[8] Cf Radio Okapi, 17.01.’23 ; AFP – Lalibre.be/Afrique, 19.01.’23
[9] Cf Carmel Ndeo – Politico.cd, 22.02.’23