Congo Attualità n. 261

INDICE

EDITORIALE: LA DEMOCRAZIA MINACCIATA

  1. IL DIALOGO POLITICO NAZIONALE
    1. La strumentalizzazione dell’articolo 64 della Costituzione
    2. La posizione di alcuni partiti politici dell’opposizione
    3. Il comunicato stampa del Gabinetto del Capo dello Stato
    4. L’UDPS conferma la sua non partecipazione al dialogo come proposto dal Capo dello Stato
    5. L’incontro di Dakar
    6. Il discorso del Presidente davanti al Parlamento
  2. VIOLAZIONI DEI DIRITTI UMANI IN PERIODO PRE-ELETTORALE
    1. Il rapporto di Amnesty International
    2. Il rapporto dell’Ufficio delle Nazioni Unite per i Diritti Umani

EDITORIALE: LA DEMOCRAZIA MINACCIATA

Un restringimento dello spazio democratico

La democrazia, la costituzione di un paese e i diritti umani, tra cui quelli relativi alle libertà di espressione, di riunione e di manifestazione, vanno difesi sempre e in qualsiasi circostanza, soprattutto quando sono minacciati.

Nella RDCongo le minacce rivestono la modalità di una deliberata assimilazione di manifestazioni pubbliche e pacifiche a tentativi di destabilizzazione dell’attuale regime, delle Istituzioni dello Stato e dell’ordine pubblico e ad atti di incitamento alla violenza, alla rivolta popolare e al terrorismo.

In un rapporto intitolato “Sono trattati come dei criminali. Durante il periodo pre-elettorale, la Repubblica Democratica del Congo fa tacere le voci discordanti”, Amnesty International afferma che vari attivisti e politici sono stati «arrestati per aver pacificamente esercitato il diritto alla libertà di espressione, di riunione e di associazione».

L’Ufficio delle Nazioni Unite per i Diritti Umani (BCNUDH) e la Missione dell’Onu nella RDCongo (MONUSCO) hanno pubblicato un altro rapporto secondo il quale «la tendenza alle restrizioni della libertà di espressione e gli attacchi alla sicurezza di coloro che esprimono opinioni critiche nei confronti del governo, indicano un restringimento dello spazio democratico che potrebbe intaccare la credibilità del processo elettorale».

Le dichiarazioni che lo attestano

Nel corso di una conferenza stampa, il Procuratore Generale della Repubblica ha affermato che «il dibattito sull’organizzazione del dialogo politico nazionale convocato dal Presidente della Repubblica non può, in alcun modo, servire da pretesto per incitare la popolazione alla violenza» e ha fatto appello a un’interpretazione “non abusiva” dell’articolo 64 della Costituzione. Questo articolo afferma: “Tutti i Congolesi hanno il dovere di opporsi a qualsiasi individuo o gruppo di individui che prenda il potere con la forza o che lo eserciti in violazione delle disposizioni della presente costituzione. Qualsiasi tentativo di rovesciare il regime costituzionale è un crimine imprescrittibile contro la nazione e lo Stato e sarà punito secondo la legge“.

Il portavoce del Governo ha dichiarato che l’obiettivo dell’incontro di Dakar (Senegal), cui hanno partecipato alcuni deputati dell’opposizione, per approfondire la tematica “democrazia – rispetto della Costituzione – alternanza politica – organizzazione delle elezioni in Africa” sarebbe stato quello di «destabilizzare le istituzioni della Repubblica Democratica del Congo».

Anche secondo il presidente dell’Assemblea Nazionale, gli obiettivi “inconfessabili” di quella riunione erano di «riflettere sui modi e mezzi per fomentare una sollevazione popolare, costituire un fronte comune anti-dialogo, creare strutture sovversive e ottenere le risorse finanziarie per intraprendere azioni destabilizzanti».

Anche il Presidente della Repubblica, nel suo discorso pronunciato in Parlamento sullo stato della nazione, ha messo in guardia tutti coloro che si oppongono al dialogo preferendo, secondo lui, la violenza: «Non permetterò che i sacrifici compiuti insieme durante gli ultimi anni per costruire la pace siano resi vani, con qualsiasi pretesto, da coloro che, in malafede e deliberatamente, decideranno di rimanere chiusi nel loro atteggiamento negativistico, rifiutando il dialogo, cospirando contro la Repubblica e promettendo sangue e sudore al nostro popolo. Non ci sarà né l’uno né l’altro». Sembra quasi che abbia voluto assimilare tutti quelli che sono contrari all’organizzazione del dialogo così come egli stesso l’ha convocato ai nemici del paese e ai sostenitori della conquista del potere con la violenza.

Smentendo le nobili affermazioni di principio

Sono queste dichiarazioni che smentiscono in maniera categorica le pur nobili affermazioni di principio formulate dal Presidente della Repubblica nel suo discorso davanti al Parlamento: «Faccio appello all’alto senso di responsabilità di tutti affinché, al termine di un dialogo politico nazionale inclusivo, possiamo essere più uniti per l’attuazione di un processo elettorale autenticamente congolese, frutto di un consenso liberamente raggiunto». Il cittadino normale ne prende atto e, confuso, comincia a credere che le belle parole non siano altro che una strategia per rimanere al potere ad ogni costo.

1. IL DIALOGO POLITICO NAZIONALE

a. La strumentalizzazione dell’articolo 64 della Costituzione

Il 2 dicembre, il Procuratore Generale della Repubblica, Flory Kabange Numbi, ha messo in guardia tutti coloro che, usando come pretesto il dialogo politico, incitano la popolazione alla violenza. Nel corso di una conferenza stampa tenuta a Kinshasa, ha affermato che i responsabili di tali atti saranno oggetto delle sanzioni previste dalla legge. «La convocazione del dialogo e il suo svolgimento non possono in alcun modo servire da pretesto per incitare la popolazione alla violenza», ha avvertito Flory Kabange Numbi. Nel corso della sua conferenza stampa, il Procuratore Generale della Repubblica ha fatto appello a un’interpretazione “non abusiva” dell’articolo 64 della Costituzione. Questo articolo afferma: “Tutti i Congolesi hanno il dovere di opporsi a qualsiasi individuo o gruppo di individui che prenda il potere con la forza o che lo eserciti in violazione delle disposizioni della presente costituzione. Qualsiasi tentativo di rovesciare il regime costituzionale è un crimine imprescrittibile contro la nazione e lo Stato e sarà punito secondo la legge“. Per evitare una lettura di parte, secondo il suo punto di vista, dell’articolo in questione, il Procuratore Generale della Repubblica ha invitato a non limitarsi a leggere solo il paragrafo 1, ma a leggere anche il paragrafo 2.[1]

Il 3 dicembre, una coalizione di 33 organizzazioni non governative per la difesa dei diritti umani ha denunciato un tentativo di violazione delle libertà di espressione e di manifestazione pacifica sancite dalla Costituzione. Il coordinatore della coalizione, Georges Kapiamba, l’ha annunciato in una conferenza stampa a Kinshasa, reagendo alle dichiarazioni del Procuratore Generale della Repubblica sull’organizzazione di manifestazioni pubbliche – con il pretesto del dialogo politico – che perturberebbero l’ordine pubblico. «La coalizione è profondamente preoccupata per la deliberata assimilazione di manifestazioni pubbliche e pacifiche a tentativi di destabilizzazione di un regime costituzionalmente stabilito e ad atti di disturbo dell’ordine pubblico», ha affermato Georges Kapiamba, per chi la messa in guardia del Procuratore della Repubblica è un «tentativo di impedire e di ostacolare l’esercizio di un diritto fondamentale previsto e punito secondo l’articolo 180 del codice penale Libro II».[2]

Il Presidente Nazionale della Associazione Africana per la Difesa dei Diritti Umani (ASADHO), Jean-Claude Katende, ha voluto reagire al monito del Procuratore Generale della Repubblica (PGR), Flory Kabange, a proposito dell’articolo 64 della Costituzione. Secondo l’ASADHO, il ricorso al primo comma dell’articolo 64 della Costituzione può diventare un reato solo se si attacca un regime legittimo e legalmente stabilito. Secondo il difensore dei diritti umani, dopo dicembre 2016, se il regime del presidente Joseph Kabila continua oltre la scadenza costituzionale, allora diventa incostituzionale e illegittimo. E qualsiasi Congolese che lottasse contro tale regime non commetterebbe alcun reato, perché protetto dal primo comma dell’articolo 64 della Costituzione. Secondo Katende, una diversa interpretazione dell’articolo 64 della Costituzione, che permettesse di minacciare o di intimidire i cittadini che vogliono proteggere la democrazia e la Costituzione, deve essere considerata incostituzionale. Infine, Jean-Claude Katende invita i Congolesi a non fare in alcun modo ricorso alla violenza, né contro altri Congolesi, né contro i beni pubblici e privati.[3]

b. La posizione di alcuni partiti politici dell’opposizione

Il 4 dicembre, cinque politici dell’opposizione hanno fatto un’alleanza per appoggiare il dialogo politico nazionale avviato dal Capo dello Stato, Joseph Kabila. Nella loro dichiarazione rilasciata a Kinshasa, essi hanno chiesto ai membri dell’opposizione ancora riluttanti di partecipare al dialogo. I politici che si sono alleati sono: Azarias Ruberwa, del Raggruppamento Congolese per la Democrazia; Arthur Z’Ahidi Ngoma, delle Forze del Futuro; Steve Mbikayi, del partito laburista, Justin Bitakwira, dell’opposizione cittadina e Mushi Bonane, ex ministro della ricerca scientifica e deputato nazionale. Azarias Ruberwa ritiene che l’attuale momento è veramente critico: «È necessario preservare la nazione dal rischio di una crisi catastrofica che può verificarsi qualora non si prendano le dovute precauzioni». Arthur Z’Ahidi Ngoma lo conferma con queste parole: «Siamo a bordo di una vettura lanciata a tutta velocità verso un precipizio». Justin Bitakwira giustifica il senso della loro coalizione: «È meglio dialogare prima del caos che dialogare dopo il caos». Da parte sua, Steve Mbikayi chiede l’unità di tutta l’opposizione: «Tendiamo le mani anche agli altri, perché essere divisi farebbe il gioco del campo avversario».[4]

Il 5 dicembre, in una dichiarazione rilasciata a Kinshasa, il Movimento per il Rinnovamento (MR) ha chiesto al Presidente Joseph Kabila di pronunciarsi chiaramente sulla questione della fine del suo mandato presidenziale e questo per favorire l’inclusività del dialogo nazionale. Il presidente del partito di opposizione, Clément Kanku, ritiene che tale dichiarazione condurrebbe i partiti dell’opposizione politica che non hanno ancora aderito al dialogo a cambiare idea e a parteciparvi. Parlando alla stampa, Clémente Kanku ha dichiarato: «Il Movimento per il Rinnovamento è pronto ad aderire a qualsiasi modalità di uscita dalla crisi attraverso il dialogo. Affinché questo dialogo sia inclusivo, il Capo dello Stato deve dare dei segnali di fiducia a coloro che ancora oggi dubitano di questo dialogo». Il MR ha quindi chiesto al Capo dello Stato di «avere il coraggio di dire al popolo congolese che non violerà la Costituzione e che, quindi, non si presenterà come candidato alle prossime elezioni presidenziali». Il MR è disposto a partecipare al dialogo, «a condizione che, su questo tema, non ci sia alcuna confusione».[5]

c. Il comunicato stampa del Gabinetto del Capo dello Stato

L’8 dicembre, in un comunicato stampa diffuso in serata, il Direttore del Gabinetto del Capo dello Stato ha annunciato che il comitato preparatorio per il dialogo è ancora “in fase di costituzione” e che la sua formazione è legata alle consultazioni che l’inviato speciale delle Nazioni Unite per i Grandi Laghi, Said Djinnit, sta avendo con le varie parti. Secondo la dichiarazione della presidenza, le consultazioni attualmente condotte da Djinnit in vista della designazione del facilitatore internazionale fanno parte della “dinamica costitutiva” del comitato preparatorio. Secondo il decreto presidenziale relativo alla convocazione del dialogo, il Comitato preparatorio avrebbe dovuto essere creato entro dieci giorni dalla sua firma, avvenuta il 28 novembre. È così che la preparazione del dialogo nazionale è già in ritardo, dal momento in cui i dieci giorni stabiliti sono passati, senza che il comitato preparatorio si stato creato.[6]

Il comunicato dell’8 dicembre reso pubblico dal direttore del gabinetto presidenziale suona come una resa. Il messaggio politico di tale comunicato risulta essere una confessione di incapacità nel creare il comitato preparatorio. Il comunicato constata quindi l’inapplicabilità del decreto presidenziale del 28 novembre. Che cosa resta ancora del Decreto presidenziale che definiva il quadro e la composizione del dialogo politico nazionale? Forse non resta nulla. Soprattutto negli ambienti vicini all’opposizione politica, si ritiene che il decreto presidenziale del 28 novembre non abbia più alcun significato reale. Il Capo dello Stato sta perdendo il controllo sul dialogo. È il minimo che si possa dire. Trovandosi nell’incapacità di attuare il suo decreto del 28 novembre, già che non è riuscito a istituire, entro i 10 giorni annunciati, il comitato preparatorio per il dialogo, lo stesso Presidente lo ha privato della sua sostanza. Per formare il comitato preparatorio, ora si può contare sul lavoro di Said Djinnit che determinerà il futuro del dialogo nazionale. Infatti, è a New York che ora si deciderà il destino del dialogo. È dalle Nazioni Unite che emergerà anche la composizione definitiva del comitato preparatorio per il dialogo. Spetta alle Nazioni Unite il compito di istituire il comitato preparatorio e di impostare l’ordine del giorno del dialogo. Il comunicato della presidenza non ha detto altra cosa.[7]

d. L’UDPS conferma la sua non partecipazione al dialogo come proposto dal Capo dello Stato

Il 7 dicembre, a Bruxelles, l’inviato speciale delle Nazioni Unite per la Regione dei Grandi Laghi, l’algerino Saïd Djinnit, ha incontrato una delegazione dell’Unione per la Democrazia e il Progresso Sociale (UDPS), fra cui il segretario nazionale per le relazioni esterne, Félix Tshisekedi, il presidente del gruppo parlamentare, il deputato Samy Badibanga, e due stretti collaboratori del presidente Étienne Tshisekedi residenti a Bruxelles.

Secondo la delegazione dell’UDPS, il presupposto principale per partecipare al dialogo è la designazione, da parte del Segretario Generale delle Nazioni Unite, di un mediatore internazionale che abbia un ruolo centrale in tutte le fasi del dialogo nazionale, dalla sua convocazione fino alla sua conclusione. Nella visione di Etienne Tshisekedi e dei membri della sua equipe, è il facilitatore delle Nazioni Unite che dovrà decidere la data di convocazione del forum, il luogo dove si svolgerà, la sua durata, la sua composizione (numero di partecipanti e quota di partecipazione per ogni parte) … ancora prima della creazione del Comitato preparatorio. L’UDPS ritiene che il ruolo del mediatore o facilitatore internazionale è “cruciale e decisivo“, in quanto dovrà svolgere il suo ruolo sia a monte che a valle. «È il facilitatore che deve formare il comitato preparatorio, avere un ruolo centrale nella preparazione e nell’organizzazione del dialogo, e nell’applicazione delle decisioni che ne usciranno», ha dichiarato un membro della delegazione che ha partecipato alla riunione. Come ordine del giorno inviato a Ban Ki-moon, l’UDPS ha proposto che i seguenti punti siano assolutamente tenuti in conto: l’elaborazione del calendario elettorale, la correzione del database elettorale secondo le raccomandazioni dell’Organizzazione Internazionale della Francofonia (OIF). Ha inoltre innalzato le aspettative, volendo anche che si cerchino le responsabilità tecniche della Commissione elettorale e quelle politiche del governo, per non avere rispettato le disposizioni dei bilanci pluriennali che il Governo stesso aveva elaborato per l’organizzazione delle elezioni. I delegati dell’UDPS hanno chiaramente ribadito il loro rifiuto del dialogo nazionale come convocato dal Capo dello Stato, Joseph Kabila. Se l’iniziativa presidenziale, come annunciata il 30 novembre 2015 viene confermata, con il Comitato preparatorio ad hoc, l’UDPS si considera già parte non interessata.[8]

Il 10 dicembre, Moïse Katumbi, ex governatore dell’ex Katanga, e Félix Tshisekedi, figlio di Étienne, il leader del principale partito di opposizione, l’Unione per la Democrazia e il Progresso Sociale (UDPS), si sono incontrati per una giornata di discussione a Parigi. Vogliono fare causa comune per ottenere che le prossime elezioni presidenziali siano organizzate senza la partecipazione dell’attuale presidente in carica, Joseph Kabila, e entro le scadenze costituzionali. Essi hanno inoltre evocato una possibile candidatura comune. Questo incontro si è concluso con un accordo su diverse questioni, prima fra tutte il rifiuto del “dialogo nazionale” annunciato dal presidente Joseph Kabila. I due politici sono ormai convinti che si tratta di una manovra del Capo dello Stato per ottenere un rinvio delle elezioni presidenziali oltre la scadenza costituzionale di novembre 2016. Secondo l’attuale Costituzione, il presidente uscente non avrà infatti il diritto di presentarsi come candidato, per essere giunto alla fine del suo secondo e ultimo mandato.

«Chiediamo un calendario elettorale consensuale che dia la priorità alle elezioni presidenziali e legislative da organizzarsi entro i termini costituzionali e conformemente con gli standard internazionali», ha affermato Samy Badibanda, capogruppo parlamentare dell’UDPS e alleati e che ha partecipato all’incontro. «Chiediamo anche che il database elettorale sia rivisto in base alle raccomandazioni fatte dall’Organizzazione Internazionale della Francofonia (OIF)», ha aggiunto. «L’obiettivo è l’alternanza politica nel 2016», ha detto Moïse Katumbi. «È necessario un cambio di regime e di politica», ha aggiunto Felix Tshisekedi. I due politici hanno anche discusso sulla possibilità di sostenere un candidato comune alle elezioni presidenziali. Ma non hanno specificato né l’identità, né la modalità di designazione di un tal candidato.

Questo incontro riduce in modo significativo la portata del “dialogo nazionale” voluto dal presidente Joseph Kabila. L’UDPS era l’unico grande partito di opposizione che aveva accettato di discuterne, soprattutto in occasione degli incontri di Venezia e Ibiza durante l’estate scorsa. Ma dopo la convocazione del dialogo da parte del Presidente Joseph Kabila, il 28 novembre, Felix Tshisekedi aveva rinunciato parteciparvi, sostenendo che «la presenza della comunità internazionale [era] una condizione sine qua non per [la sua] partecipazione». Egli oggi afferma che, «se si tratta di un’iniziativa della comunità internazionale, non siamo contrari. Ma un dialogo sotto l’egida di Joseph Kabila è da escludere categoricamente».[9]

e. L’incontro di Dakar

L’11 dicembre, il governo congolese ha manifestato il suo malcontento nei confronti del Governo Senegalese, perché una quarantina di Congolesi, membri di “movimenti cittadini”, dell’opposizione politica e della società civile, hanno deciso di organizzare un incontro a Dakar, dal 12 al 15 dicembre, per discutere sulle modalità che possano permettere il rispetto della Costituzione e l’alternanza politica nel 2016. L’incontro era stato organizzato in modo discreto sull’isola di Gorée, al largo di Dakar. Ma i suoi iniziatori, i “movimenti cittadini” congolesi, Filimbi e Lucha, non sono riusciti a impedire che le informazioni arrivino alle orecchie del governo di Kinshasa. Il governo congolese ha apertamente messo in discussione l’atteggiamento del Senegal, Paese ospitante della riunione. «Siamo scioccati per il fatto che il Senegal, fratello e amico, ospiti un incontro in cui si programmano delle manifestazioni di piazza nella RDCongo. Ecco perché stiamo prendendo in considerazione la possibilità di inoltrare una protesta formale», ha dichiarato Barban Kikaya Bin Karubi, consigliere diplomatico del presidente Joseph Kabila.

L’incontro organizzato a Dakar dal 12 al 15 dicembre è ufficialmente un laboratorio di riflessione “sul processo elettorale” e con la partecipazione di “politici africani”. Ma tra la quarantina di ospiti, ci sono essenzialmente membri dell’opposizione e della società civile congolese. Organizzato dai due “movimenti cittadini” congolesi, Filimbi e Lucha, questo incontro è stato facilitato e finanziato dalla Fondazione Konrad Adenauer (Germania) e dalla Fondazione Brenthurst (Sud Africa). Tra coloro che hanno confermato la loro presenza: Felix Tshisekedi e Samy Badibanga, dell’Unione per la Democrazia e il Progresso Sociale (UDPS); Vital Karmerhe, dell’Unione per la Nazione Congolese (UNC); Eve Bazaiba, del Movimento per la Liberazione del Congo (MLC); Martin Fayulu, delle Forze Acquisite al Cambiamento (FAC); Olivier Kamitatu, del “G7” P. Léonard Santedi, della Chiesa cattolica. Era invitato anche Moïse Katumbi, ex governatore dell’ex Katanga, ma non avendo potuto partecipare, ha inviato un messaggio. Tutti loro sospettano il Presidente Joseph Kabila di voler rimanere al potere oltre il limite costituzionale del 2016 e temono, in particolare, che le elezioni presidenziali, che dovrebbero sancire la fine del suo mandato, non siano organizzate entro i tempi previsti. Comunque, non è stato invitato alcun rappresentante delle autorità congolesi. Questo episodio ricorda gli incidenti che avevano caratterizzato l’atto d’inizio del movimento cittadino congolese “Filimbi”, il 15 marzo 2015 a Kinshasa, nel corso di una riunione cui partecipavano anche alcuni attivisti di “Y’en a marre” del Senegal e di “Balais citoyen” del Burkina Faso. Le autorità congolesi avevano arrestato tutti i partecipanti ed espulso gli attivisti del Senegal e del Burkina Faso. Per quanto riguarda gli attivisti congolesi Fred Bauma e Yves Makwambala, rimangono ancora detenuti.[10]

Il 13 dicembre, il governo congolese ha accusato le autorità senegalesi di ospitare una riunione di una quarantina di cittadini congolesi dell’opposizione e della società civile. Secondo Kinshasa, l’obiettivo di tale incontro sarebbe stato quello di destabilizzare le istituzioni della RDCongo. «Disponiamo di elementi che indicano che lo scopo della riunione di Gorée è di destabilizzare le istituzioni della Repubblica Democratica del Congo», ha affermato il portavoce del governo Lambert Mende, che qualifica l’atteggiamento delle autorità senegalesi di inaccettabile, per avere autorizzato questo forum di tre giorni. «Il governo senegalese non ha nulla a che vedere con questo incontro», ha replicato uno degli organizzatori.[11]

Il 13 dicembre, la Conferenza Episcopale Nazionale del Congo (Cenco) ha pubblicato una nota sulla sua partecipazione alla conferenza tenutasi a Dakar dall’11 al 14 dicembre e sospettata dal governo di voler “destabilizzare” il paese. La Cenco afferma di non essere stata a conoscenza dell’assenza di rappresentanti del potere tra i partecipanti. «La Conferenza Episcopale Nazionale del Congo (Cenco) è stata invitata dalla Fondazione tedesca Konrad Adenauer», spiega il comunicato della Cenco. «Visti il programma e i nobili obiettivi della conferenza, la Cenco ha designato il P. Leonard Santedi, Segretario Generale, come suo rappresentante», ha aggiunto, precisando che l’invito non includeva i nomi di altri ospiti. «È quando il delegato della Cenco è arrivato a Dakar che ci si è resi conto che, oltre ai rappresentanti della società civile, non c’erano che politici dell’opposizione», spiega P. Donatien Nshole, vice segretario generale. «La Chiesa non si schiera contro un campo (…) [e] ha chiesto al suo delegato di interrompere la sua partecipazione all’incontro in questione e di rientrare a Kinshasa», conclude il comunicato.[12]

Il 15 dicembre, a proposito dei deputati nazionali che hanno partecipato al forum sulla democrazia a Dakar, in Senegal, un deputato ha presentato una mozione e ha preso la parola per condannare la partecipazione di alcuni dei suoi colleghi alla conferenza di Dakar che, secondo lui, porta in sé i germi di una destabilizzazione delle istituzioni repubblicane nazionali. Ha poi chiesto al presidente dell’Assemblea nazionale, Aubin Minaku, se fosse stato lui ad aver concesso i relativi permessi di uscita. Facendo riferimento alla Costituzione, Aubin Minaku ha fatto notare che non si può impedire a un deputato nazionale di lasciare il paese o limitare i suoi spostamenti, poiché la Costituzione tutela i diritti e le libertà fondamentali, sia degli eletti che del popolo.

È per questo che egli ha risposto positivamente alle richieste di autorizzazione di uscita presentate dai colleghi deputati. Dopo questa spiegazione, egli ha letto i nomi dei deputati che partecipano all’incontro di Dakar che, nei circoli di potere a Kinshasa, viene qualificato come un incontro di “cospirazione”. Dieci sarebbero i deputati nazionali che si sono recati a Dakar, in Senegal: Samy Badibanga, Eve Bazaiba, Franck Diongo, Martin Fayulu, Olivier Kamitatu, Gilbert Kiakwama, José Makila, Nzangi Muhindo, Sesanga Delly, Jean Claude Vuemba.

Alla breve comunicazione informativa del Presidente è seguito un dibattito.

Sono emerse due tendenze. La prima tendenza è stata quella dei deputati che ritengono che i deputati partecipanti alla riunione di Dakar si sono compromessi e che, per questo, è necessario istituire una commissione speciale per decidere sulla loro sorte.

La seconda tendenza è stata quella dei deputati che ritengono che la questione di un viaggio di un deputato o la sua partecipazione a una qualsiasi attività su invito non può essere oggetto di dibattito in plenaria. Questa tendenza è stata sostenuta da Henri Thomas Lokondo, appoggiato da alcuni altri deputati. Il deputato Awenzi ha voluto replicare a coloro che hanno cercato di condannare il fatto che il Presidente dell’Assemblea nazionale abbia concesso le debite autorizzazioni ai deputati interessati. Per dimostrare che l’atto del presidente della Camera non ha avuto nulla di compromettente, egli ha letto la disposizione costituzionale in cui si afferma che il deputato nazionale è libero di spostarsi su tutto il territorio nazionale e di uscirne.

A sua volta, Henri Thomas Lokondo ha sottolineato il fatto che i deputati nazionali usufruiscono appieno delle libertà di movimento riconosciute dalla Costituzione e di cui nessuno può privarli. Dunque, il presidente del Comitato centrale della Camera non può opporre alcuna limitazione a questa prerogativa. Inoltre, nel caso di richiesta di autorizzazione di spostamento, non spetta al Presidente della Camera chiedere ciò che andrà a fare un deputato là dove si recherà. No, ha egli insistito, non è il ruolo del Presidente della Camera. Tuttavia, se si dimostrasse che i deputati che hanno partecipato alla conferenza di Dakar sono coinvolti in attività sospette, spetta al governo pronunciarsi su tale questione e non al Parlamento.[13]

Il 15 dicembre, il presidente dell’Assemblea Nazionale, Aubin Minaku, ha dichiarato che gli oppositori e i membri della società civile che hanno partecipato all’incontro di Gorée (Senegal) hanno, di fatto, preso parte a un seminario di indottrinamento. Citando un rapporto dei servizi di sicurezza, egli ha affermato che questo gruppo è andato per imparare pratiche sovversive da applicare nella RDCongo. Secondo il presidente dell’Assemblea nazionale, gli obiettivi “inconfessabili” della riunione di Gorée erano di riflettere sui modi e mezzi per fomentare una sollevazione popolare, costituire un fronte anti-dialogo, creare strutture sovversive e ottenere le risorse finanziarie per intraprendere azioni destabilizzanti.

Jean-Claude Katende, presidente della ASADHO e che ha preso parte al seminario di Gorée, ha respinto le accuse, definendole prive di fondamento. Ha spiegato che l’incontro si è incentrato sulle elezioni nell’Africa sub-sahariana e che vi hanno preso parte anche altri paesi, come il Togo, il Mozambico, la Namibia, il Burkina Faso e il Senegal. Jean-Claude Katende ha deplorato l’inadeguatezza dei servizi di sicurezza che, secondo lui, hanno indotto in errore non solo il Presidente della Repubblica, ma anche il Presidente dell’Assemblea Nazionale.[14]

f. Il discorso del Presidente davanti al Parlamento

Il 14 dicembre, davanti alle due camere del Parlamento riunite in congresso, il Capo dello Stato Joseph Kabila ha pronunciato il suo discorso sullo stato della nazione. La stragrande maggioranza dei deputati e dei senatori dell’opposizione ha boicottato la sessione. Erano presenti solo 375 deputati su 500 e 70 senatori su 108.

Nel suo discorso, Joseph Kabila ha auspicato un processo elettorale che sia il risultato di un consenso liberamente raggiunto: «Faccio appello all’alto senso di responsabilità di tutti affinché, al termine di un dialogo politico nazionale inclusivo, possiamo essere più uniti per l’attuazione di un processo elettorale autenticamente congolese, frutto di un consenso liberamente raggiunto».

Secondo Joseph Kabila, il dialogo permette ai Congolesi di mettersi insieme per risolvere. Essi stessi, le loro divergenze: «Non è con la violenza che supereremo le nostre divergenze. Non è né dalle Nazioni Unite, né dall’Oriente o dall’Occidente che verranno le soluzioni ai nostri problemi, ma da noi stessi, attraverso il dialogo tra Congolesi mossi dal senso patriottico».

Circa l’inizio di questo dialogo, Joseph Kabila non ha dato nessuna data precisa, limitandosi ad evocare un inizio “a breve termine”: «La creazione in corso del comitato preparatorio e la prossima designazione della facilitazione internazionale permetteranno l’inizio a breve termine del dialogo, con l’obiettivo di trovare soluzioni consensuali ai principali problemi che minano il processo elettorale, aprendo la strada a elezioni credibili e pacifiche».

Egli ha messo in guardia tutti coloro che si oppongono al dialogo preferendo, secondo lui, la violenza: «Non permetterò che i sacrifici compiuti insieme durante gli ultimi anni per costruire la pace siano resi vani, con qualsiasi pretesto, da coloro che, in malafede e deliberatamente, decideranno di rimanere chiusi nel loro atteggiamento negativistico, rifiutando il dialogo, cospirando contro la Repubblica e promettendo sangue e sudore al nostro popolo. Non ci sarà né l’uno né l’altro».

Infine, Joseph Kabila è ritornato sull’idea di rivedere le modalità di voto per le prossime elezioni, al fine di ridurne il costo: «Rimango convinto che la decisione da prendere sulle modalità di voto previste all’articolo 47 della legge elettorale, il voto con scheda elettorale o il voto elettronico, potrebbe contribuire a ridurre sostanzialmente il costo delle elezioni».[15]

Nel suo discorso, il Presidente della Repubblica sembra aver rassicurato la maggioranza, ma aver preoccupato l’opposizione politica. Ciò che è apparso come un messaggio rassicurante per la maggioranza, sostenitrice del dialogo, è la conferma dell’imminente istituzione del Comitato preparatorio del dialogo stesso e il desiderio che i partecipanti trovino un consenso sulle questioni elettorali, affinché il popolo congolese vada verso elezioni credibili, democratiche e pacifiche. Ma, nello stesso tempo, ha sconvolto l’opposizione politica, quando ha assimilato gli anti-dialogo ai nemici del paese e ai sostenitori della conquista del potere con la violenza. Ha qui voluto fare riferimento ai membri dell’opposizione che stavano partecipando a un seminario, organizzato dal 12 al 15 dicembre a Dakar (Senegal) sui “processi elettorali” in Africa? Si sa, tuttavia, che gli anti-dialogo stanno preparando delle attività pacifiche, non per destabilizzare il Paese, ma per ottenere il rispetto della Costituzione, l’organizzazione delle elezioni presidenziali e legislative nazionali il 27 novembre, 2016 e il passaggio di potere tra il Presidente uscente e il Presidente entrante entro il 20 dicembre 2016. A questo proposito, il silenzio del Capo dello Stato sulla fine del suo mandato non è certo rassicurante per coloro che lo sospettano di voler prolungare il suo mandato.[16]

Il 15 dicembre, commentando il discorso del Capo dello Stato davanti al Parlamento riunito in seduta comune, il professor Alphonse Maindo ha affermato che considerare il dialogo come “la via obbligata per avere elezioni pacifiche” non è del tutto vero. Secondo questo docente di scienze politiche presso l’Università di Kisangani, l’organizzazione di un dialogo speciale non è affatto giustificabile. Da parte sua, il Professor Alphonse Maindo ritiene che le questioni da discutere durante il dialogo possono essere risolte senza l’organizzazione di un tale forum. Pur riconoscendo che il dialogo è sempre “una virtù”, tuttavia egli afferma che «le questioni poste sono questioni tecniche che possono essere risolte sia dal Governo che dal Parlamento e dalla Commissione elettorale». I cinque temi scelti per essere discussi durante il dialogo sono: il database elettorale, il calendario elettorale, la sicurezza durante le elezioni, il finanziamento delle elezioni e il ruolo dei partner esterni nel processo elettorale. Nel complesso, Alphonse Maindo giudicare il discorso del Presidente della Repubblica “molto offensivo”. Secondo lui, questo discorso mostra la determinazione del Capo dello Stato per rimanere ancora alla guida del paese.[17]

2. VIOLAZIONI DEI DIRITTI UMANI IN PERIODO PRE-ELETTORALE

a. Il rapporto di Amnesty International

Il 26 novembre, in un rapporto intitolato “Sono trattati come dei criminali. Durante il periodo pre-elettorale, la Repubblica Democratica del Congo fa tacere le voci discordanti“, Amnesty International condanna la repressione che, “nella RDCongo, si abbatte sulla società civile e sull’opposizione”. Secondo l’ONG, il sistema giudiziario congolese viene strumentalizzato per «mettere a tacere coloro che manifestano il loro disaccordo con l’idea di un terzo mandato per il presidente Kabila».

Amnesty International afferma che gli attivisti e i politici che denunciano le manovre di Joseph Kabila, Presidente della Repubblica, per ottenere un terzo mandato, sono sottoposti ad arresti arbitrari e, in alcuni casi, sono detenuti in luoghi sconosciuti e per periodi prolungati.

Il rapporto elenca i nomi di alcuni arrestati e detenuti. Secondo Amnesty International, sono stati «arrestati per aver pacificamente esercitato il diritto alla libertà di espressione, di riunione e di associazione». L’ONG cita i nomi di Ernest Kyaviro, Cyrille Dowe, Jean-Bertrand Ewanga, Jean-Claude Muyambo, Vano Kiboko e Christopher Ngoyi. Amnesty International cita anche il caso di Fred Bauma e di Yves Makwambala, arrestati in marzo dalle forze di sicurezza, in occasione di una conferenza stampa per presentare il programma di “Filimbi” (fischio, in swahili), un movimento giovanile. L’Ong afferma che questi due giovani sono ancora in detenzione arbitraria, senza alcun elemento di prova che giustifichi le accuse portate contro di loro. «Ciò che abbiamo constatato dall’inizio dell’anno è che la giustizia è stata in qualche modo strumentalizzata, per fare tacere coloro che sono in disaccordo con l’idea di un terzo mandato per il presidente Kabila o della sua permanenza al potere attraverso il rinvio delle elezioni. Questa strumentalizzazione si manifesta attraverso gli arresti arbitrari», spiega Evie Franck, ricercatrice di Amnesty International.[18]

b. Il rapporto dell’Ufficio delle Nazioni Unite per i Diritti Umani

L’8 dicembre, l’Ufficio delle Nazioni Unite per i Diritti Umani (BCNUDH) e la Missione dell’Onu nella RDCongo (MONUSCO) hanno pubblicato un altro rapporto secondo il quale, sull’insieme del territorio della RDCongo si sarebbero registrati centoquaranta tre casi di violazioni dei diritti umani connesse al processo elettorale. Il rapporto si concentra sulle violazioni dei diritti umani e delle libertà fondamentali commesse tra il 1° gennaio e il 30 settembre e nel contesto del processo pre-elettorale. Nel corso dei primi tre trimestri del 2015, sono state arrestate e detenute arbitrariamente almeno 649 persone. Secondo il rapporto, la maggior parte delle violazioni dei diritti umani si sono verificate nelle province in cui i partiti di opposizione e le organizzazioni della società civile sono più attivi e in quelle ambite sia dalla maggioranza che dall’opposizione.

Le cinque province più colpite dalle violazioni dei diritti umani sono, infatti, la città di Kinshasa con 33 casi, il Nord Kivu con 27 casi, il Sud Kivu con 20 casi, il Kasai orientale con 17 casi e il Kasai Occidentale con 11 casi.

Nel loro documento, le due organizzazioni fanno notare che, nel 2015, si è constatata una tendenza al rialzo dei casi di violazioni dei diritti politici e delle libertà civili commesse da agenti dello Stato.

Il documento constata un aumento dei casi di minacce, di arresti arbitrari e di strumentalizzazione della giustizia ai danni degli attivisti della società civile e dei professionisti dei media. «La tendenza alle restrizioni della libertà di espressione e gli attacchi alla sicurezza di coloro che esprimono opinioni critiche nei confronti del governo, indicano un restringimento dello spazio democratico che potrebbe intaccare la credibilità del processo elettorale», afferma il rapporto, mettendo in causa degli agenti della polizia nazionale e dell’Agenzia Nazionale di Intelligence (ANR).

Secondo il rapporto, tra gennaio e settembre 2015, le Nazioni Unite hanno identificato 41 casi di violazioni del diritto alla libertà di espressione, commesse concretamente attraverso restrizioni alla libertà di riunione e maltrattamenti inflitti a una persona a causa delle sue opinioni.

Lo stesso documento fa notare che dei funzionari dello Stato sono accusati di aver convocato presso gli uffici dell’ANR le persone molto critiche nei confronti del governo per arrestarle o intimidirle. Il BCNUDH evoca, in particolare, l’arresto, a Kinshasa, di un distributore del giornale C-News e di due persone della tipografia. Un altro caso citato nel rapporto: a Kananga, un giornalista di radio Full-contact è stato arrestato per aver fatto, durante il programma “kazolo dilumbuluile”, delle dichiarazioni diffamatorie nei confronti del governatore provinciale. Il giornalista avrebbe affermato che «il governatore non aveva più potere, che doveva quindi andarsene e che aveva lasciato la provincia con molti debiti». Il BCNUDH classifica nella categoria delle violazioni alla libertà di espressione la sospensione, il 17 gennaio 2015, di alcuni programmi televisivi e radiofonici e la sospensione dei servizi di messaggeria (SMS) e dei collegamenti a internet dal 20 gennaio all’8 febbraio 2015, in occasione delle proteste contro la revisione della legge elettorale.[19]

[1] Cf Radio Okapi, 02.12.’15

[2] Cf Radio Okapi, 04.12.’15

[3] Cf La Tempête des Tropiques – Kinshasa, 07.12.’15

[4] Cf Radio Okapi, 05.12.’15

[5] Cf Radio Okapi, 06.12.’15

[6] Cf AFP – Africatime, 09.12.’15

[7] Cf Le Potentiel – Kinshasa, 10.12.’15

[8] Cf Le Potentiel – Kinshasa, 07.12.’15; Kimp – Le Phare – Kinshasa, 08.12.’15

[9] Cf Pierre Boisselet – Jeune Afrique, 10.12.’15

[10] Cf Pierre Boisselet – Jeune Afrique, 11.12.’15

[11] Cf AFP – Africatime, 14.12.’15

[12] Cf Mathieu Holivier – Jeune Afrique, 14.12.’15

[13] Cf Dom – Le Phare – Kinshasa, 16.12.’15

[14] Cf Radio Okapi, 16.12.’15

[15] Cf Radio Okapi, 14.12.’15

[16] Cf Kimp – Le Phare – Kinshasa, 15.12.’15

[17] Cf Radio Okapi, 15.12.’15

[18] Cf Radio Okapi, 26.11.’15 – Testo integrale del rapporto:

http://www.radiookapi.net/sites/default/files/2015/rapport_amnesty.pdf

[19] Cf Radio Okapi, 08 e 09.12.’15 – Testo integrale del rapporto:

http://www.radiookapi.net/sites/default/files/2015/bcnudh_rapport_sur_les_vdh_en_lien_avec_le_processus_electoral_decembre_2015.pdf