Congo Attualità n. 213

INDICE

EDITORIALE: Una legge fondata sull’arbitrarietà

1. LA PROMULGAZIONE DELLA LEGGE SULL’AMNISTIA

2. L’OPERAZIONE “SOKOLA” CONTRO LE ADF

3. SCONTRI TRA L’ESERCITO E L’APCLS

4. LA «CAROVANA DELLA PACE» DI VITAL KAMERHE

 

EDITORIALE: Una legge fondata sull’arbitrarietà

1. LA PROMULGAZIONE DELLA LEGGE SULL’AMNISTIA

L’11 febbraio, il Capo dello Stato, Joseph Kabila, ha promulgato la legge sull’amnistia per i fatti d’insurrezione, i fatti di guerra e le infrazioni politiche commessi sul territorio congolese commessi nel periodo compreso tra il 18 febbraio 2006, data della promulgazione della Costituzione, e il 20 dicembre 2013, data della scadenza dell’ultimatum dato a tutti i gruppi armati per deporre le armi.
Questa misura di clemenza porta i seguenti effetti:

– per i fatti citati sopra che non sono ancora oggetto di procedure giudiziarie, l’azione pubblica si estingue;
– se il procedimento è già in corso, cessa immediatamente;

– le condanne non ancora passate in giudicato vengono annullate e quelle divenute irrevocabili sono considerate come se non siano mai state inflitte.

In ogni caso, pur avendo perso il loro carattere d’infrazione, i fatti amnistiati lasciano sussistere la responsabilità civile dei loro autori.

Articolo 1

Sono amnistiati i fatti d’insurrezione, i fatti di guerra e le infrazioni politiche commessi sul territorio della RDCongo nel periodo compreso tra il 18 febbraio 2006 e il 20 dicembre 2013.

Articolo 2

È ammesso all’amnistia ogni Congolese autore, co-autore o complice dei fatti d’infrazione citati all’articolo 1 della presente legge.

Articolo 3

 In base a tale legge, si intende per:

 1. fatti d’insurrezione, tutti gli atti di violenza collettiva commessi attraverso minacce o il ricorso alle armi, con il fine di rivoltarsi contro l’ordine costituito per esprimere una rivendicazione o un malcontento;
2. fatti di guerra, gli atti inerenti alle operazioni militari conformi alle leggi e consuetudini di guerra che, in occasione di un conflitto armato, hanno causato un danno a terzi;

3. infrazioni politiche:

– le azioni che attentano contro l’esistenza, l’organizzazione e il funzionamento dei pubblici poteri;

– gli atti illegali di amministrazione e di gestione del territorio, il cui mobile e/o le cui circostanze rivestono un carattere politico;

– gli scritti, le immagini e le dichiarazioni che fanno appello alla rivolta contro l’autorità pubblica o ritenuti tali.

Articolo 4

Sono esclusi dal campo di applicazione della presente legge il crimine di genocidio, i crimini contro l’umanità, i crimini di guerra, il terrorismo, gli atti di tortura, i trattamenti crudeli, disumani o degradanti, lo stupro e altre forme di violenza sessuale, il reclutamento e l’utilizzazione di bambini soldato e tutte le altre violazioni gravi dei diritti umani. Sono altresì esclusi i reati di appropriazione indebita di fondi pubblici e di saccheggio, le violazioni delle norme sul cambio monetario e, infine, il traffico di stupefacenti.

Articolo 5

Per usufruire dell’amnistia, gli autori, coautori e complici dei fatti d’insurrezione e dei fatti di guerra contemplati nella presente legge sono dapprima tenuti ad impegnarsi personalmente, per iscritto e sul proprio onore, di non commettere più gli atti oggetto di amnistia. Tale impegno sarà preso da ciascuno che aspiri all’amnistia, compresi i fuggitivi e i latitanti e sarà sottoscritto dagli interessati presso gli uffici del Ministro della Giustizia entro sei mesi dalla data di pubblicazione della presente legge sulla Gazzetta Ufficiale. Qualsiasi violazione di tale impegno renderà automaticamente nulla l’amnistia concessa ed escluderebbe l’autore di questa violazione dal beneficio di qualsiasi amnistia successiva.

Articolo 6

La presente legge non pregiudica le riparazioni civili, le restituzioni dei beni mobili ed immobili e altri diritti e risarcimenti dovuti alle vittime dei fatti d’infrazione amnistiati.

Articolo 7

La presente legge entra in vigore alla data della sua promulgazione.[1]

Il 24 febbraio, a Kinshasa, un ex membro del Movimento del 23 marzo (M23), Moïse Tshembo Chokwe, sarebbe stato sequestrato mentre ritornava da un appuntamento – che non avrebbe avuto luogo – con il Procuratore Generale della Repubblica. Si era recato dal procuratore generale per informarsi sulle condizioni di applicabilità della legge sull’amnistia. La moglie, Mireille Chokwe, che ha dato queste informazioni da Lubumbashi, sospetta che i presunti autori del sequestro siano stati degli agenti dell’Agenzia di intelligence nazionale (ANR). Ha infatti spiegato come si sono svolti i fatti: «Mio marito non ha potuto incontrare il Procuratore. 20 minuti più tardi, era in auto con il suo assistente. Pochi minuti dopo, sul viale [30 giugno], sono stati tamponati da un veicolo da cui sono uscite alcune persone che l’hanno preso e condotto verso una destinazione sconosciuta. Ma per fortuna, l’assistente di mio marito ha riconosciuto le persone e mi ha riferito che si trattava di membri dell’ANR». Il Procuratore Generale della Repubblica ha dichiarato di non essere a conoscenza di questo caso e di non aver mai fissato un appuntamento con Moïse Tshembo. Tuttavia, egli ha promesso di verificare tali informazioni. Moïse Tshembo era entrato nell’M23 dopo aver perso le elezioni legislative del 2011.[2]

Il 3 marzo, sulla questione dell’amnistia, come raccomandata dall’accordo-quadro di Addis Abeba, il segretario esecutivo della CIRGL, Ntumba Lwaba, ha affermato che gli ex ribelli dell’M23, che ora risiedono in Ruanda e in Uganda, hanno lo statuto di rifugiati. Quindi è possibile procedere alla loro identificazione e pianificare missioni di verifica in cui saranno implicati anche gli organismi dello Stato congolese. «Il passo seguente sarà la firma, da parte degli ex membri dell’M23, di un impegno personale a rinunciare alla ribellione e a rispettare tutte le esigenze della legge sull’amnistia. In seguito, si darà loro la possibilità di trasformarsi in partito politico e di partecipare alla vita nazionale», ha concluso Ntumba Lwaba.[3]

Secondo l’avvocato Hamuly Réty, che auspica la creazione di un tribunale speciale per i crimini commessi nella RDCongo , «la legge sull’amnistia sarà inapplicabile, perché si basa sull’arbitrarietà. Chi stabilirà chi ha fatto cosa durante il conflitto? Chi ha commesso stupri? Chi ha rubato? Non potranno essere i politici a decidere su queste questioni, ma piuttosto la giustizia». Hamuly Réty teme che questo processo serva solo a «riciclare i membri dell’M23 che potrebbero entrare nel futuro governo di unità nazionale promesso da Joseph Kabila». Un nuovo governo che, secondo alcune informazioni, potrebbe vedere la luce prima della ripresa della sessione parlamentare del 15 marzo.

François Muamba spiega che, a differenza di altri accordi di pace, «non c’è alcuna amnistia in blocco per i ribelli dell’M23, ma un’amnistia individuale concessa caso per caso». Per quanto riguarda gli alti responsabili dell’M23, secondo François Muamba, «200-300 persone sono oggetto di sanzioni internazionali e sospettate di crimini di guerra e non sono, quindi, ammissibili all’amnistia».
Un responsabile dell’ex ribellione dell’M23 ha affermato di attendere con impazienza la lista delle persone che possono usufruire dell’amnistia e ha auspicato che «il governo mantenga i suoi impegni». Sui criteri di amnistia, è abbastanza chiaro: «Ciò che chiediamo è un’amnistia totale, dal semplice caporale fino a Sultani Makenga» (il capo militare del movimento, ndr .) Una richiesta che contrasta con l’ordinanza dell’11 febbraio che, invece, stabilisce un’amnistia “selettiva”. Questa disposizione “preoccupa” il capo dell’M23, Bertrand Bisimwa, che teme l’esclusione dei capi ribelli dalla misura di amnistia: «Siamo in un paese di diritto. Secondo i principi del diritto, le persone che sono accusate o sono oggetto di inchieste non possono essere sanzionate prima che la loro colpevolezza sia accertata».

Una cosa è certa, è molto alto il rischio di nuove tensioni tra gli ex ribelli e il governo. Le scelte per Joseph Kabila sono difficili: accettare un’amnistia generale lo metterebbe in contrasto con l’opinione pubblica e mantenere un’amnistia selettiva lui susciterebbe l’ira dei ribelli esclusi. Lo stesso dilemma riguarda anche un governo di unità nazionale con o senza l’M23. Il presidente congolese sarebbe quindi tentato di cercare un delicato compromesso che possa accontentare gli ex ribelli dell’M23 e, nello stesso tempo, offrire alcune opportunità all’opposizione, aprendo la sua maggioranza. L’equazione è complessa.[4]

La legge sull’amnistia rischia di confermare il regno dell’impunità. Nulla di sorprendente, dato che in RDCongo ci si è abituati a dare, sin dai tempi dell’accordo globale e inclusivo del 2003, un bottino di guerra a coloro che uccidono, saccheggiano e stuprano.

Accusato di gravi crimini commessi durante il periodo di occupazione dell’est del Paese, l’ex Movimento del 23 marzo (M23) ha ottenuto, con questa legge, un visto buono per un suo ritorno alla vita normale tra la popolazione che ha oppresso, violentato e martirizzato fino a pochi mesi fa.
Improvvisamente, tutti gli atti commessi dall’M23, precedentemente classificati nella categoria dei crimini di guerra passibili di sanzioni da parte di tribunali nazionali e internazionali, sono stati trasformati in semplici atti di guerra o d’insurrezione oggetto d’amnistia.

«Ad eccezione di un piccolo gruppo di individui, i 1.600 membri dell’M23 fuggiti in Uganda e gli altri 700 fuggiti in Ruanda, dati riportati dalle autorità dei due paesi, ritorneranno tranquillamente in Congo e continueranno a vivere indisturbati tra la popolazione che hanno martirizzato per ben 19 mesi», dice Boniface Musavuli.

In Ruanda, i responsabili del genocidio del 1994 continuano ad essere perseguiti dalla giustizia. La comunità internazionale non si è mai preoccupata di chiedere al Ruanda di adottare una legge sull’amnistia, per dimenticare i crimini commessi in quel Paese. In RDCongo invece, per cancellare le pagine nere della sua storia, la stessa comunità internazionale ha sempre chiesto leggi a favore dell’amnistia. Nella RDCongo, sotto la pressione della comunità internazionale, ad ogni ribellione è sempre seguita una legge sull’amnistia.

Perché si esige dalla RDCongo ciò che non lo si pretende da altri Paesi? Perché questa politica dei due pesi e due misure? È incomprensibile che individui che hanno ucciso, violentato e saccheggiato siano improvvisamente riammessi nella società attraverso un’amnistia concessa in nome di una cosiddetta coesione nazionale. No! Questa ingiustizia è durata troppo a lungo. È ora di finirla.[5]

Ciò che è davvero problematico è l’entusiasmo con cui questa legge (sull’impunità) è stata accolta dalla comunità internazionale.

Subito dopo l’adozione del disegno di legge da parte dell’Assemblea Nazionale, gli Inviati speciali della comunità internazionale si sono affrettati a rilasciare una dichiarazione congiunta in cui hanno salutato una “legge storica” che va “nella giusta direzione” e che porterà “una pace durevole nell’est della RDCongo”.

Il documento è stato firmato da cinque personalità del tutto rispettabili: Mary Robinson, inviata speciale del Segretario Generale dell’ONU per la regione dei Grandi Laghi, Martin Kobler, rappresentante speciale del Segretario Generale dell’ONU nella RDCongo, Boubacar Diarra, rappresentante speciale dell’Unione Africana per i Grandi Laghi, Russell Feingold, inviato speciale di Barack Obama per i Grandi Laghi e la RDCongo, e Koen Vervaeke, Coordinatore dell’Unione Europea per la regione dei Grandi Laghi.

Non è la prima volta che personalità internazionali si impegnano su testi che consacrano l’impunità in RDCongo. Già gli Accordi del 23 marzo 2009 tra il governo congolese e il CNDP ed evocati dall’M23, erano stati promossi da due ex presidenti africani: il presidente nigeriano Olusegun Obasanjo e il presidente tanzaniano Benjamin Mkapa. Ma quando i combattenti ruando-ugandesi dell’M23 hanno iniziato la guerra nell’aprile 2012, i due accompagnatori internazionali degli accordi del 23 marzo 2009 hanno semplicemente scelto di rimanere in silenzio.

Il che lascia pensare che quando l’M23 che, è noto, si sta riorganizzando a partire dal Ruanda e dall’Uganda, ritornerà ad essere un problema per la RDCongo, i cinque inviati internazionali non saranno disposti ad accollarsi le conseguenze della legge sull’amnistia che hanno fermamente voluto. Ancora una volta, sarà solo il popolo congolese che pagherà un caro prezzo alla cultura dell’impunità sancita nel testo che la comunità internazionale si è affrettata ad osannare, ignorando la situazione dei milioni di vittime. In ogni caso, la comunità internazionale ha appoggiato una legge che garantisce l’impunità ad individui implicati nella morte di oltre sei milioni di Congolesi.
Questa legge sull’amnistia favorisce tre categorie di membri dell’M23 che ormai sfuggono alla giustizia.

La prima categoria è quella delle persone che si suppone non siano implicate in “crimini gravi”.

Queste persone, la maggioranza, ritorneranno in RDCongo e saranno certamente reintegrate nelle istituzioni (esercito, amministrazione).

La seconda categoria è quella dei membri dell’M23 che sono in carcere. Essi saranno liberati in virtù degli impegni di Nairobi che prevedono la liberazione dei prigionieri membri dell’M23 (impegno n.3).

La terza categoria è quella delle persone il cui nome appare in varie liste, tra cui quella sulle sanzioni da parte dell’Onu. Queste persone non ritorneranno in RDCongo e continueranno a vivere in libertà in Ruanda e in Uganda.

Alla fine, tutti i membri dell’M23 rimarranno in libertà, nonostante le atrocità che hanno commesso (massacri, stupri e saccheggi). E ciò in virtù di una legge approvata dal parlamento congolese, promulgata dal presidente della Repubblica e applaudita dalla comunità internazionale. Una vera vergogna![6]

2. L’OPERAZIONE “SOKOLA” (PULIRE) CONTRO LE ADF

L’11 febbraio, l’amministratore del territorio di Beni, Kalonda Amisi, ha chiesto alle popolazioni di alcune località di riprendere le loro attività agricole. Si tratta della popolazione dei villaggi di Abialose, Makembi, Matukaka, Kinziki, Kangwayi e Totolito, precedentemente occupati dalle milizie ugandesi delle Forze Democratiche Alleate (ADF) e ora sotto controllo dell’esercito regolare in seguito all’operazione “Sokola” [pulire] iniziata a metà gennaio.[7]

Il 13 febbraio, il portavoce dell’esercito congolese nel Nord Kivu, il colonnello Olivier Hamuli, ha annunciato che le Forze Armate della RDCongo (FARDC controllano ormai tutti le principali roccaforti dei ribelli ugandesi dell’ADF in territorio di Beni. Il colonnello Hamuli a infatti dichiarato: «Possiamo affermare che, da quando abbiamo cominciato l’operazione Sokola il 16 gennaio, siamo già a tre quarti del nostro lavoro. Tanto più che i più grandi bastioni dell’ADF, tra cui Nadwi, Mwalika, Chuchubo, Makoyova 1 e 2 sono passati sotto il controllo delle FARDC».[8]

Il 14 febbraio, nel primo pomeriggio, i militari congolesi sono ufficialmente entrati a Naboli e a Kamango, due località della zona di Watalinga, situata a circa 90 chilometri a nord-est della città di Beni. Le FARDC controllano ora la strada Mbau – Kamango. Il capo della zona di Watalinga, Saambili Bamukoka, conferma questa informazione. Egli teme però che gli ostaggi sequestrati dall’ADF siano stati uccisi dal gruppo ribelle. «Deploriamo la scoperta di fosse comuni a Mukakati. Molti ostaggi che si pensava fossero ancora vivi, sono già stati uccisi, massacrati», ha affermato Saambili Bamukoka.

Nel corso di una conferenza stampa a Kinshasa, il portavoce del governo Lambert Mende ha dichiarato che «il bilancio provvisorio dei combattimenti per il disarmo dell’ADF è il seguente: dal lato delle FARDC: 22 morti e 68 feriti; una Jeep munita di una mitragliatrice 14.5 incendiata . Dal lato dell’ADF: 230 morti; ricupero di 65 armi individuali, di 30 biciclette e 20 motociclette, di prodotti farmaceutici, di diversi telefoni cellulari e Motorolas e di varie bombe di fabbricazione artigianale, il che dimostra la natura terroristica di questo gruppo armato».[9]

Presi a tenaglia tra Mutanga, a sud, e Kamango, a nord, molti ribelli dell’ADF si sarebbero ritirati in una parte del Parco Nazionale dei Virunga compresa tra le due località citate. Si tratta di un’area di fitta foresta dove è impossibile condurre una offensiva di tipo convenzionale. L’esercito congolese si sta quindi preparando per operazioni di contro-guerriglia di fronte a ribelli ben addestrati e che conoscono perfettamente il territorio. Un’altra sfida è quella di riuscire a mantenere sotto controllo le posizioni già riconquistate. Molti temono, infatti, l’arrivo di infiltrati che potrebbero organizzare attacchi mirati.[10]

Il 28 febbraio, alcune ONG della società civile del Nord Kivu hanno accusato dei militari impegnati nella lotta contro i ribelli ugandesi dell’ADF di essere responsabili di omicidi, stupri e saccheggi. I militari implicati sono quelli della brigata 31ª brigata che, secondo la società civile, “si comportano molto male, uccidono, violentano, estorcono denaro, telefoni, sparano contro la polizia”. La società civile del Nord Kivu ha annunciato che «gli abitanti del territorio di Beni hanno sospeso il loro “contributo volontario (cibo, acqua, ecc) finché questi militari e i loro comandanti siano richiamati all’ordine, alla disciplina e al rispetto dei diritti umani».[11]

Il 28 febbraio, a Beni, il portavoce delle  FARDC nel Nord Kivu, il colonnello Olivier Amuli, ha chiesto ai ribelli ugandesi dell’ADF, che ancora resistono, di deporre le armi prima dell’attacco finale dell’esercito congolese contro di loro. Egli li ha invitati ad arrendersi volontariamente alla MONUSCO o all’esercito congolese.[12]

3. SCONTRI TRA LE FARDC E L’APCLS

Dal mese di gennaio, dei miliziani dell’Alleanza dei Patrioti per un Congo Libero e Sovrano (APCLS) e dei Nyatura hanno intensificato gli attacchi contro l’esercito congolese dispiegato nel territorio di Masisi, nel Nord Kivu. Provenienti da Lukweti e Nyabiondo, a nord del capoluogo del territorio di Masisi, l’APCLS e i Nyatura avevano stabilito la loro base avanzata a Kahira, a sud ovest di Kitshanga. Queste milizie avevano l’intenzione di cacciare, da Kitshanga, i militari dell’804° reggimento, composto principalmente da ex-CNDP.[13]

Guidata dal “generale” Janvier Buingo Karayiri, un disertore dall’esercito regolare, l’APCLS è stata creata nel 2008 per difendere la comunità Hunde dalla minaccia proveniente dal Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo (CNDP), una milizia a connotazione Tutsi e appoggiata dal regime ruandese. L’APCLS, che interagisce con alcuni settori dell’esercito regolare, dei ribelli hutu ruandesi delle Forze Democratiche perla Liberazione del Ruanda (FDLR-Foca) e dei Maï-Maï Nyatura, Hutu congolesi, è composta di circa 1.500 uomini ed è implicata nell’estrazione di tantalio (utilizzato nei telefoni cellulari) nel Masisi.

Formatisi nel 2010, i Maï-Maï Nyatura sono una milizia composta da Hutu congolesi che ha collaborato con le FDLR, l’APCLS e l’esercito regolare contro il Movimento del 23 marzo (M23), un altro gruppo armato a connotazione tutsi sempre appoggiato dal regime ruandese e creato sulle ceneri dell’anteriore CNDP. L’obiettivo dei Maï-Maï Nyatura è di proteggere gli interessi degli Hutu congolesi dalla minaccia di ex ufficiali del CNDP e dell’M23.

Queste brevi informazioni ci presentano il quadro della complessità della situazione.

Molti gruppi armati congolesi sono nati come gruppi di autodifesa, di resistenza e di opposizione ai vari gruppi armati (AFDL, RCD, CNDP e M23) che, a connotazione tutsi, sono sorti con l’appoggio del regime ruandese. È quindi comprensibile che vari gruppi armati congolesi, come l’APLCS e i Maï-Maï Nyatura, abbiano collaborato con alcuni settori dell’esercito regolare per combattere insieme contro il CNDP  e poi contro l’M23. D’altra parte però, quando in seguito ad accordi molto oscuri, i combattenti dell’RCD e del CNDP sono stati integrati nell’esercito regolare, essi sono rimasti nel Kivu (era una delle loro rivendicazioni). Inoltre, essi costituiscono la maggior parte delle truppe dell’esercito regolare nel Kivu, fanno parte del comando militare e sono raggruppati in reggimenti specifici. La situazione diventa ancor più problematica, quando l’esercito regolare, così strutturato, chiede ai gruppi armati locali di deporre le armi. È normale che questi ultimi oppongano resistenza perché, anche se vi fossero integrati, essi si troverebbero a dover collaborare con coloro (gli ex RCD  egli ex CNDP) contro cui hanno precedentemente combattuto.

Il 1° febbraio, a Kahira e Mutembere, in territorio di Masisi, le forze armate della RDCongo (FARDC) si sono scontrate con le milizie dell’APCLS e dei Nyatura.

Più di 700 famiglie hanno dovuto abbandonare la zona dei combattimenti e vivono in condizioni deplorevoli a Nyamitaba, Lushebere e Muheto. Alcuni sfollati hanno cercato rifugio nelle chiese e altri passano la notte sotto le stelle. Questi sfollati eseguono piccoli lavori manuali per gli autoctoni, il che permette loro di guadagnare un po’ di soldi. La maggior parte di loro vive, però, della solidarietà delle popolazioni ospitanti.[14]

Il 7 febbraio, violenti scontri hanno opposto le FARDC a dei combattenti dell’APCLS e dei loro alleati, i Nyatura, a Ndondo, Kibarizo e Muhanga, vicino a Kitchanga. I miliziani hanno costretto le FARDC a ritirarsi da Kibarizo e Muhanga. Secondo fonti locali, i miliziani provenivano da Kahira, a 30 km a ovest di Kitshanga. Hanno attaccato simultaneamente le FARDC che controllavano queste due località situate a 3 e 27 km, rispettivamente a nord e a ovest di Kitchanga. Un’unità speciale delle FARDC e arrivata a Kitchanga, per rinforzare l’804° reggimento.[15]

Il 9 febbraio, nel corso di una controffensiva lanciata nelle prime ore del mattino, i soldati congolesi sono riusciti a cacciare, nel primo pomeriggio, i miliziani dell’APCLS e i loro alleati Nyatura da Kibarizo, Muhanga e Butare, nel territorio di Masisi. Il portavoce dell’esercito congolese nel Nord Kivu, il colonnello Olivier Hamuli, ha affermato che le FARDC stavano avanzando verso Kahira, considerato come il quartier generale dell’APCLS.[16]

Il 15 febbraio, sono ripresi i combattimenti tra le forze armate della RDCongo e le milizie Nyatura a Bukombo, a una decina di chilometri dal capoluogo di Masisi. Un ufficiale dell’esercito congolese e due sue guardie del corpo sono rimasti uccisi.

Le ostilità sono state innescate quando i combattenti dell’APCLS hanno teso un’imboscata contro il comandante dell’813° reggimento a Bondé, mentre ritornava da una missione a Mungazi. In questa sparatoria durata circa 2 ore, le FARDC sono riuscite a respingere i combattenti dell’APCLS grazie ai rinforzi venuti da Masisi. L’amministratore del territorio di Masisi ha affermato che l’esercito regolare stava avanzando verso Nyabiondo, dopo aver ricuperato i villaggi di Loashi e Bukombo.[17]

Il 16 febbraio, dei miliziani dell’APCLS si sono concentrati a Nyabiondo, per tentare di impedire l’avanzata delle FARDC che hanno preso il controllo su cinque villaggi situati sulla strada che collega Masisi a Nyabiondo. I villaggi liberati sono: Lwashi, Bukonde, Kahutu, Kasho e Bondé.[18]

Il 17 febbraio, le forze armate della RDC hanno iniziato dei combattimenti contro i miliziani dell’APCLS nella regione di Nyabiondo, a circa dieci chilometri dal territorio di Masisi. Secondo il portavoce militare nel Nord Kivu, colonnello Olivier Hamuli, l’obiettivo è quello di riprendere il controllo di questa zona e di proseguire fino a Lukweti, a circa 10 chilometri da Nyabiondo, quartier generale dell’APCLS. Nel primo pomeriggio, l’esercito congolese è riuscito a cacciare i miliziani dell’APCLS da Nyabiondo, considerato come loro base avanzata nella regione. I combattenti dell’’APCLS si sono ritirati a Kinyumba, un villaggio situato a 15 km di distanza.[19]

4. LA «CAROVANA DELLA PACE» DI VITAL KAMERHE

Il 18 febbraio, il presidente dell’Unione per la Nazione Congolese (UNC), uno dei principali partiti dell’opposizione, Vital Kamerhe, ha potuto decollare per Goma (Nord Kivu), per partecipare a una “carovana della pace” in quella provincia. All’inizio di febbraio, Kamerhe ne era stato impedito per ben due volte, apparentemente per ragioni amministrative e di sicurezza. Arrivato ​​a Goma nel primo pomeriggio, è stato accolto all’aeroporto da centinaia di suoi sostenitori. Ha percorso a piedi i circa 7 km che separano l’aeroporto dallo stadio Afia, dove ha tenuto un discorso.

Davanti a migliaia di persone, ha reso omaggio ai soldati caduti sul fronte e ha chiesto un minuto di silenzio in memoria di tutte le vittime della guerra che ha devastato questa parte del Paese. È stato molto critico nei confronti del governo, denunciando la mancanza di strade, acqua potabile, elettricità e altre infrastrutture di base, sia in questa provincia che nel resto del Paese. Ha ribadito la necessità di un’inchiesta sull’assassinio del colonnello Mamadou Ndala, considerato dalla popolazione  come un eroe e il simbolo della vittoria delle FARDC sul Movimento del 23 marzo (M23), un gruppo armato che ha occupato militarmente il territorio per 18 mesi. Kamerhe ha chiesto, con insistenza, la verità su ciò che è accaduto. Ha criticato le concertazioni nazionali, denunciando il modo con cui sono state convocate e attuate, violando la lettera e lo spirito dell’accordo quadro di Addis Abeba e, in modo particolare, la raccomandazione di un vero dialogo. Ha messo in guardia contro eventuali modifiche della Costituzione e un prolungamento del mandato presidenziale. Ha ricordato che la data di fine mandato del presidente Joseph Kabila è il 19 dicembre 2016. Kamerhe ha chiesto ai gruppi armati locali di arrendersi alle Forze Armate della RDCongo (FARDC). Secondo lui, i gruppi armati dovrebbero lasciare il compito della sicurezza dei civili alle FARDC e alla MONUSCO . Egli ha chiesto ai gruppi armati stranieri di arrendersi alle FARDC. Ha citato i ribelli ruandesi delle FDLR e i ribelli ugandesi dell’ADF e del LRA.
Il presidente dell’UNC ha, infine, chiesto ai governi della RDCongo, del Rwanda e dell’Uganda, ma anche alla MONUSCO, di istituire un meccanismo per agevolare il rimpatrio volontario dei combattenti dei gruppi armati stranieri. Il discorso di Vital Kamehre ha suscitato l’entusiasmo della popolazione.[20]

Il 20 febbraio pomeriggio, Vital Kamerhe era atteso a Bukavu (Sud Kivu), dove era previsto un suo comizio in Piazza dell’Indipendenza. Tuttavia, fin dal mattino la piazza era stata circondata dagli agenti della polizia, perché l’evento era stato delocalizzato, dalle autorità, allo stadio della Concordia a Kadutu.

Infatti, il giorno prima, in una dichiarazione mandata in onda sul canale provinciale della Radio Televisione Nazionale Congolese (RTCN) e su Radio Maendeleo, il sindaco della città di Bukavu, Philemon Yogolelo, aveva chiesto ai membri dell’UNC, il partito di Kamerhe, di non organizzare la manifestazione in Piazza dell’Indipendenza, a causa di “lavori in corso”, senza tuttavia specificare la natura di tali “lavori”. Recatosi sul posto, un giornalista di Radio Okapi non ha rilevato alcun tipo di lavori in corso. Da parte sua, il borgomastro del comune di Kadutu ha affermato che l’UNC era stato autorizzato ad organizzare la sua manifestazione allo Stadio della Concordia. Secondo Munyole Bekao, il motivo del cambio del programma era quello di non impedire il traffico alla rotatoria di Piazza dell’Indipendenza. La proposta non sembra sia stata gradita dai membri dell’UNC. Il deputato dell’UNC, Kizito Mushizi, ha infatti respinto la proposta delle autorità cittadine, perché, secondo lui, lo stadio della Concordia di Kadutu, con diecimila posti, non avrebbe potuto contenere tutte le decine di migliaia di simpatizzanti del partito. Egli ha detto di temere una grande ressa che potrebbe causare danni umani.

Verso le 17:00 ora locale (16.00 GMT), quando Kamerhe stava salendo sulla tribuna di Piazza dell’Indipendenza per il suo discorso, la polizia ha iniziato a sparare e a lanciare gas lacrimogeni, per disperdere le migliaia di sostenitori che erano accorsi per ascoltarlo. Nella confusione che ne è seguita, la folla ha danneggiato o incendiato vari negozi e veicoli, tra cui una jeep della polizia. Alla fine della giornata, diversi gruppi di sostenitori Kamerhe erano ancora visibili in città e alcuni hanno bruciato pneumatici in segno di protesta. Nel corso dei disordini, una persona è morta e quarantasette sono state ferite, tra cui 24 civili, 21 poliziotti e due persone della delegazione di Kamerhe.[21]

È evidente che il governo congolese ha voluto impedire che Vital Kamerhe, possibile candidato alle elezioni presidenziali del 2016, potesse portare a termine una “missione che aveva suscitato l’entusiasmo della popolazione locale e che avrebbe potuto compromettere la stabilità e la supremazia del palazzo” a Kinshasa. Ciò che è successo a Bukavu potrebbe essere, dunque, un segno premonitore di ciò che potrebbe accadere alla vigilia delle prossime elezioni: manifestazioni popolari represse, giornalisti arrestati e membri dell’opposizione impediti di far campagna elettorale.


[2] Cf Radio Okapi, 25.02.’14

[3] Cf Tshieke Bukasa – Le Phare –  Kinshasa, 04.03.’14 (via mediacongo.net)

[4] Cf Christophe Rigaud – Afrikarabia, 27.02.’14

[5] Cf Le Potentiel – Kinshadsa, 13.02.’14

[6] Cf Boniface Musavuli (Agora Vox) – Le Potentiel – Kinshasa, 13.02.’14

[7] Cf Radio Okapi, 11.02.’14

[8] Cf Radio Okapi, 13.02.’14

[9] Cf Radio Okapi, 14.02.’14

[10] Cf RFI, 18.02.’14

[11] Cf AFP – Kinshasa, 28.02.’14

[12] Cf Radio Okapi, 28.02.’14

[13] Cf Radio Okapi, 03, 08 et 09.02.’14

[14] Cf Radio Okapi, 03.02.’14

[15] Cf Radio Okapi, 08.02.’14

[16] Cf Radio Okapi, 09.02,’14

[17] Cf Radio Okapi, 16.02.’14

[18] Cf Radio Okapi, 17.02.’14

[19] Cf Radio Okapi, 17 e 18.02.’14

[20] Cf AFP – Kinshasa, 18.02.’14; Radio Okapi, 18 et 19.02.’14; Mukebayi Nkoso – Congo News – Kinshasa, 19.02.’14

[21] Cf Radio Okapi, 20 et 21.02.’14; P. Boisselet avec T. Kibangula – Jeune Afrique, 21.02.’14 ; AFP /Jean-Baptiste Baderha – RFI, 21.02.’14