Congo Attualità n. 159

INDICE:

EDITORIALE: Per una «forza internazionale neutra» efficace

1. NOTIZIE DAL FRONTE

2. IL GRUPPO CONSULTIVO NAZIONALE

3. A PROPOSITO DELLA “FORZA INTERNAZIONALE NEUTRA”

4. L’M23 FORMA UN COMITATO POLITICO (UN GOVERNO PARALLELO?)

5. LE INIZIATIVE DELLA SOCIETÀ CIVILE

6. LE DICHIARAZIONI DELLA COMUNITÀ INTERNAZIONALE

 

EDITORIALE: Per una «forza internazionale neutra» efficace

1. NOTIZIE DAL FRONTE

Il 7 agosto, in un comunicato stampa, il segretariato permanente della Commissione Nazionale per i Rifugiati ha affermato che, negli ultimi giorni, 1.286 rifugiati ruandesi che vivevano nella provincia del Nord Kivu, nella Repubblica Democratica del Congo (RDCongo), sono stati rimpatriati nel loro paese di origine. Tra questi rimpatriati volontari, ci sono 154 uomini, 381 donne e 751 bambini. Secondo il comunicato, «dal 1° al 31 luglio 2012, la Commissione Nazionale per i Rifugiati, in collaborazione con l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), ha rimpatriato 5.693 rifugiati ruandesi». Secondo l’Ufficio per il coordinamento degli affari umanitari (OCHA), nel corso di quest’anno, l’UNHCR ha, da parte sua, facilitato il rimpatrio di 3.957 rifugiati ruandesi che vivevano nelle province del Nord Kivu e del Sud Kivu, nell’est della RDCongo. Il numero di rifugiati ruandesi che vivono nella RDCongo è stimato a 90.978 persone, mentre quello dei rifugiati congolesi che vivono in Ruanda è stimato a 65.000 persone.[1]

Il 15 agosto, fonti della società civile del Nord Kivu hanno informato che stanno arrivando altre truppe ruandesi e ugandesi per rafforzare ulteriormente il Movimento del 23 marzo (M23). Le popolazioni di Bweza e Kisigari, zona di Bwisha, nel territorio di Rutshuru informano su un massiccio afflusso di truppe ruandesi avvenuto durante la notte del 9 agosto. La maggior parte delle truppe sono state concentrate a Mbuzi, al fine di appoggiare i ribelli dell’M23 in prossimi attacchi simultanei su Kibumba e Goma. Secondo la società civile, alcuni civili affermano di essere stati obbligati dai militari dell’M23 a trasportare munizioni e materiale bellico fino a Rugari e su altre linee del fronte. Secondo la popolazione locale, le truppe dell’M23 sono alloggiate in una scuola avventista tra Rugari e Kibumba. Nel frattempo, l’M23 avrebbe spostato i suoi militari dalle sue posizioni di Bunagana, Ntamughenga, Biruma, Kalengera, Rubare, Rutshuru-centro, Kiwanja e Mabenga, per rafforzare le loro posizioni intorno a Goma. I ribelli dell’M23 sono stati visti con nuove Jeep, nuovi materiali di guerra e altri nuovi strumenti di comunicazione. Alcune indiscrezioni hanno rivelato che, secondo il loro piano, i ribelli hanno interrotto la strada tra Goma e Sake, con l’obiettivo finale di recuperare la città di Goma.

Le stesse fonti indicano il contemporaneo arrivo di truppe ugandesi in territorio Beni. Infatti, nella notte tra l’8 e il 9 agosto, due battaglioni dell’esercito ugandese (The Uganda People’s Defence Force – UPDF) sono entrati per Kyamukove nella zona di Bashu, Distretto Kasese. Questi militari avrebbero proseguito per Karuruma, nella Rift Valley, nella zona di Bashu, per attaccare le cittadine di Kyavinyonge (territorio di Beni), Vitshumbi (territorio di Lubero), Kyondoo e Nyakakoma (territorio di Rutshuru), con l’obiettivo di controllare la via lacustre sul lago Edouard . Con i loro alleati, starebbero pianificando futuri attacchi sulla città di Butembo, passando attraverso il Comune di Kyondo (40 km ad est di Butembo).

L’obiettivo finale di Ruanda e Uganda sarebbe quello di destabilizzare, attraverso l’M23, l’intera provincia del Nord Kivu, a partire dal territorio già conquistato di Rutshuru, per potere estendere il loro controllo sulla città di Goma, capoluogo della provincia del Nord Kivu e su altre città e territori. Una volta raggiunto questo obiettivo, l’M23 potrà costringere il governo ad accettare trattative, in vista di impedire il dispiegamento di una forza internazionale neutrale che abbia il mandato di combatterlo.[2]

Il 16 agosto, anche il portavoce del governatore del Nord Kivu, Ernest Kyaviro, ha denunciato il rafforzamento di truppe ruandesi e ugandesi a fianco dei ribelli del M23, nei pressi di Mbuzi, Runyonyi e Ntamugenga, nella zona di Bweza, territorio di Rustshuru (Nord Kivu). Secondo altre fonti, truppe ugandesi stanno entrando nella RDCongo attraverso la frontiera di Bunagana, controllata dai ribelli dell’M23, mentre quelle ruandesi sarebbero concentrate in alcune località del territorio di Rustshuru.

Nel corso della mattinata, alcune donne del Collettivo di Associazioni per lo sviluppo (Cajed) hanno organizzato una manifestazione nei pressi del luogo in cui si tiene la riunione dei ministri della difesa dei paesi della Conferenza Internazionale dei paesi della regione dei Grandi Laghi (CIRGL) per dire no alla guerra nel Nord Kivu. Sui loro striscioni, si potevano leggere messaggi come “No alla balcanizzazione della RDCongo”, “Ruanda e Uganda non dovrebbero far parte della forza internazionale neutrale”.[3]

2. IL GRUPPO CONSULTIVO NAZIONALE

Il 4 agosto, il Capo dello Stato, Joseph Kabila, ha convocato al Palazzo della Nazione il gruppo consultivo nazionale sulla situazione dell’est della RDCongo, una struttura informale che include oltre 80 personalità politiche e amministrative del paese, appartenenti sia alle istituzioni che all’opposizione.

Introducendo l’incontro, Aubin Minaku, Presidente dell’Assemblea nazionale e portavoce del gruppo consultivo nazionale, ha affermato che, come dichiarato anche dal Capo dello Stato, sono tre le possibili proposte per la risoluzione della situazione di insicurezza del Kivu, la pista militare, quella della diplomazia attiva e, infine, quella politica. È secondo lo spirito della pista politica che il Capo dello Stato ha convocato il gruppo consultivo nazionale, composto di 85 persone provenienti dai diversi ambiti: la Presidenza, il Governo centrale, il Senato, l’Assemblea Nazionale, i governi provinciali interessati, il potere giudiziario, i servizi della difesa e della sicurezza (esercito e polizia nazionale), le confessioni religiose, i partiti politici, i capi tradizionali, la società civile e altre figure nazionali.

Agendo in tal modo, il Presidente della Repubblica ha voluto così riunire tutte le forze della nazione per poter far fronte alla situazione di guerra nella parte orientale della RDCongo, con l’obiettivo di offrire ai responsabili di tutti gli strati sociali congolesi un’informazione chiara sullo stato della situazione di insicurezza nella parte orientale della Repubblica. Secondo il Presidente dell’Assemblea nazionale, Aubin Minaku, dopo la fase dell’informazione, c’è stato uno scambio di idee tra i partecipanti, seguito da dibattiti e deliberazioni. Infine, il gruppo consultivo nazionale ha formulato alcune raccomandazioni destinate alle istituzioni della Repubblica. Essendo tali raccomandazioni di ordine strategico, Aubin Minaku non le ha rese pubbliche.[4]

Jean-Pierre Lisanga Bonganga ha declinato l’invito di Joseph Kabila per la consultazione di Palazzo della Nazione. Con lui, altre forze dell’opposizione affermano di non essere state coinvolte nel gruppo consultivo istituito sotto la direzione del Presidente dell’Assemblea nazionale, Aubin Minaku. I parlamentari del gruppo UNC-Kamerhe e alleati affermano di non riconoscersi rappresentati da Christian Badibangi. In ogni caso, il presidente Justin Bitakwira non ne era stato informato e ha appreso la convocazione della riunione dai mass media, come qualsiasi altro cittadino. José Makila, del gruppo parlamentare dei Liberali di Mbusa Nyamwisi, va nella stessa direzione. «Non è con la presenza di Thomas Luhaka e di Christian Badibangi soli – precisa Makali, raggiunto telefonicamente dagli Stati Uniti – che il Presidente può affermare di aver associato anche l’opposizione a questo incontro di concertazione». Da parte del MLC, la partecipazione del suo Segretario Generale Thomas Luhaka è stata fortemente contestata. Jean-Lucien Bussa ha dichiarato, infatti, che, dato che le strutture ufficiali del partito non sono mai stati implicate, si tratta di un’iniziativa unilaterale dello stesso Luhaka. Fortemente criticato, Luhaka si è ritratto e ha fatto sapere che la sua adesione è stata puramente personale e che non impegna il MLC come partito.

Secondo Jean-Pierre Lisanga Bonganga, «non c’è solo la questione della guerra. In primo luogo, nella RDCongo c’è un grave problema di legittimità del potere. Mentre alcuni parlano solo della guerra all’Est del Paese, non si può gettare nel dimenticatoio la crisi di legittimità ai vertici dello Stato. La maggioranza che oggi governa senza il consenso popolare deve sedersi attorno a un tavolo con l’opposizione, per trovare insieme le vie d’uscita dalla crisi.

Occorre un dialogo che permetta di trovare delle soluzioni, non solo settoriali, ma globali. Occorre un dialogo nazionale con l’obiettivo di abbassare la tensione del clima politico del paese. Nella sua forma attuale, il gruppo consultivo nazionale non può soddisfare questo requisito. Occorre un dialogo che permetta di trattare, punto per punto, tutti i problemi che sono alla base della crisi politica attuale. La formula migliore è quella di riunire, in un’equa rappresentanza, i delegati della maggioranza, dell’opposizione e della società civile, tutti di fronte al Presidente della Repubblica. Se si tratta di porre fine alla guerra nella parte orientale del paese, anche l’M23 potrà essere presente.

Si può constatare che, fino ad oggi, l’incontro tra il presidente della Repubblica e l’opposizione non è mai avvenuto. Si osserva, inoltre, che invece di affrontare l’essenziale, ci si limita al pressappochismo. Si verifica la stessa situazione anche nell’esercito, quando si parla solamente di integrazione dei gruppi armati, invece di preoccuparsi di formare un esercito repubblicano e responsabile sulla base della professionalità. Oggi, se il presidente della Repubblica decide di incontrare l’opposizione nella sua totalità, essa risponderà presente con tutte le sue rivendicazioni».[5]

Le Forze Acquisite al Cambiamento (FAC), in una conferenza stampa presso la loro sede, hanno dichiarato di non essere interessate al gruppo nazionale consultivo convocato dal Presidente Joseph Kabila. Secondo un loro comunicato, i due membri dell’opposizione che hanno partecipato all’incontro, tra cui il segretario generale del Movimento per la Liberazione del Congo (MLC), Thomas Luhaka e un membro dell’Unione Socialista Congolese (USC), Christian Badibangi, non rappresentavano affatto l’opposizione. Negli ambienti dell’opposizione si dice che la presenza di Luhaka e di Badibangi all’incontro di consultazione convocato da Kabila è un atto di tradimento.

In occasione della conferenza stampa condotta dal moderatore, Jean-Pierre Lisanga Bonganga, le FAC ha ribadito che il miglior modo per affrontare e risolvere la crisi attuale è la convocazione, nel più breve tempo possibile, di un autentico dialogo nazionale, a livello di tutti i gruppi politici e sociali del Paese.

Secondo Lisanga, le FAC si dicono favorevoli all’organizzazione, in breve tempo, di una riunione di più o meno quattro giorni, con la partecipazione di una trentina di rappresentanti della maggioranza presidenziale, compresa la loro autorità morale, una trentina di delegati dell’opposizione politica parlamentare ed extra-parlamentare e una quindicina di delegati della società civile. Secondo Lisanga, questo forum, le cui risoluzioni dovrebbero essere vincolanti e applicate da tutti, potrebbe articolarsi intorno ad alcuni punti.

Per quanto riguarda la guerra nella parte orientale del Paese, le FAC suggeriscono la necessità di comprenderne le vere ragioni, non solo per porre fine alla situazione attuale, ma soprattutto per approvare le misure di prevenzione necessarie per il futuro.

Circa la necessità di abbassare la tensione politica attuale, le FAC ribadiscono che è necessario trovare adeguate soluzioni alle questioni relative alla crisi di legittimità, lo statuto delle istituzioni sorte dalle elezioni del 2011, l’amministrazione territoriale e la decentralizzazione, la questione della CENI per garantire la continuazione del processo elettorale, l’istituzione della Corte Costituzionale, il rispetto delle libertà individuali, il vertice della Francofonia a Kinshasa, la liberazione immediata e senza condizioni dei prigionieri politici, fra cui Kutino e Chalupa.[6]

L’8 agosto, in un comunicato trasmesso dalla Radio Televisione Nazionale Congolese (RTNC), il primo ministro Matata Ponyo ha invitato tutti i leader dei partiti politici e gruppi parlamentari di ogni tendenza, a partecipare ad un incontro del gruppo consultivo nazionale, per discutere insieme sulla situazione dell’Est del Paese.

Il 9 agosto, i leader dell’opposizione politica hanno declinato l’invito e nessuno di loro si è presentato. Di conseguenza, il capo del governo ha dovuto annullare la riunione. In un comunicato rilasciato il 10 agosto, l’opposizione afferma che Matata Ponyo non è l’interlocutore competente per la questione della guerra. «A questo punto, i problemi relativi alla guerra e all’integrità del territorio nazionale vanno al di là della sua giurisdizione, tanto più che la coesione nazionale non si forma intorno a lui», ha dichiarato il presidente del gruppo parlamentare del Movimento per la Liberazione della Congo (MLC), Jean Lucien Busa che ha letto il documento.

I partiti dell’opposizione fanno notare che «il modo con cui si conduce la guerra nella parte orientale del paese non offre sufficienti garanzie, per quanto riguarda la reale volontà del governo di dare risposte adeguate, per porre fine alla permanente insicurezza constatata in questa parte della Repubblica. L’atteggiamento del governo rafforza la convinzione che le politiche e le strategie finora seguite non sono né chiare, né efficaci».

Secondo l’opposizione politica congolese, «solo un dialogo inclusivo e trasparente può risolvere la multiforme crisi in cui il paese è immerso in seguito alle elezioni del novembre 2011, marcate da irregolarità e frodi che hanno gravemente intaccato la credibilità dei risultati elettorali». Senza citare il nome dell’interlocutore di riferimento su questo tema, «i leader politici dell’opposizione ribadiscono la loro disponibilità a discutere su tutte le questioni di interesse nazionale per trovare soluzioni adeguate che potrebbero portare il Paese fuori della crisi». Pertanto, sottolinea il comunicato, «l’opposizione denuncia la creazione del gruppo consultivo proposto dal Primo Ministro, qualifica tale struttura informale e incostituzionale e dichiara di non aderirvi».[7]

Il 9 agosto, in un comunicato, anche il coordinatore politico del Movimento del 23 marzo (M23), Jean Marie Runiga, ha affermato che «l’M23 sostiene la necessità di una soluzione politica che integri tutti i gruppi di autodifesa popolare attivi nella RDCongo, per una soluzione globale e definitiva della crisi», aggiungendo che «tale soluzione politica permetterà di osservare un cessate il fuoco permanente». Per questo, ha chiesto alla Conferenza Internazionale sulla Regione dei Grandi Laghi (CIRGL) di stabilire un meccanismo di verifica, per garantire un periodo di tregua durante il periodo dei negoziati politici. [8]

3. A PROPOSITO DELLA FORZA INTERNAZIONALE NEUTRALE

L’11 agosto, l’ambasciatore francese presso l’Onu, Gerard Araud, ha affermato che «la proposta di creare una forza internazionale neutrale per combattere i gruppi armati nell’Est della RDCongo ha suscitato scetticismo in seno al Consiglio di Sicurezza». Secondo l’ambasciatore francese che, nel mese di agosto, presiede il Consiglio, i Paesi membri ritengono che «la priorità non è il controllo ferreo e totale della frontiera tra la RDCongo e il Ruanda, ma il raggiungimento di un accordo politico per risolvere la crisi». Egli ha spiegato che «se si crea una forza neutrale da zero, ci vorranno mesi e sarà molto costoso. Se si utilizzano militari della missione delle Nazioni Unite nella RDCongo (MONUSCO), diminuirà drasticamente la sua capacità di protezione dei civili». Perciò, ancora una volta Araud ha «chiesto all’M23 di fermare i combattimenti e a tutte le parti in causa, compresi gli attori esterni, di trovare un accordo per porre fine alle sofferenze della popolazione». A proposito dell’atteggiamento morbido del Consiglio di Sicurezza nei confronti del Ruanda, André Guichaoua, professore presso l’Università di Parigi 1 e testimone esperto presso il Tribunale Penale Internazionale per il Ruanda (TPIR), ha osservato che, al 30 giugno, non meno di 4.571 militari ruandesi facevano parte di varie operazioni di mantenimento della pace condotte dall’Onu in tutto il mondo, essendo il Ruanda il sesto maggior contribuente, dopo il Pakistan, Bangladesh, India, Etiopia e Nigeria.[9]

Il 16 agosto, si è tenuta a Goma una riunione del comitato dei ministri della difesa dei paesi membri della Conferenza Internazionale sulla Regione dei Grandi Laghi (CIRGL). Secondo il documento finale, Ruanda, Burundi, Uganda e RDCongo non faranno parte della forza internazionale neutrale da dispiegarsi presso la frontiera tra la RDCongo e il Ruanda per combattere l’M23, le FDLR e gli altri gruppi armati. I dettagli operativi, amministrativi e logistici della forza saranno definiti prossimamente dal gruppo militare di valutazione. I ministri della difesa hanno invece definito la dimensione e le principali aree di dispiegamento della forza. «Pensiamo che quattro mila militari circa potrebbero essere sufficienti. Ci sarà una commissione per determinare la struttura della forza che sarà dispiegata in quattro zone: 3 basi militari per il Nord Kivu a Beni-Ruwenzori, Walikale-Masisi, Rutchuru-Kichanga e 1 base per il Sud Kivu, nella Piana della Ruzizi», ha rivelato il ministro della Difesa congolese Alexandre Luba Ntambo.

I ministri della difesa della CIRGL hanno inoltre raccomandato che l’M23 cessi ogni attività militare e si ritiri alla sua posizione iniziale del 30 giugno 2012, sulle colline di Runyonyi, Mbuzi e Chanzu, nei pressi della frontiera con l’Uganda e il Ruanda. I ministri della difesa hanno chiesto all’M23 di «mettere fine ad ogni attività incostituzionale, compresa l’installazione di strutture politiche e amministrative parallele a quelle dello Stato, la nomina dei presidenti di amministrazione, il cambio di capi tradizionali e la sostituzione della bandiera nazionale». Alcune fonti informano che la forza internazionale neutrale avrà un mandato emesso dall’Unione africana e dalle Nazioni Unite.

La Forza dovrebbe essere operativa entro tre mesi dopo la data del vertice straordinario dei capi di Stato e di governo della CIRGL, previsto a Kampala nel mese di settembre 2012.

Il Comitato dei Ministri della Difesa della regione dei Grandi Laghi presenterà il suo rapporto al Presidente della CIRGL, Yoweri Kaguta Museveni, presidente dell’Uganda, non oltre il 22 agosto.[10]

Il 16 agosto, il presidente dell’Alleanza per lo sviluppo e la Repubblica (ADR), François Muamba Tshishimbi, ha proposto il dispiegamento di Africom, la forza militare degli Stati Uniti, lungo il confine tra la RDCongo e il Ruanda, per combattere contro l’M23, le FDLR e gli altri gruppi armati che operano nella regione. L’ha dichiarato a Kinshasa, nel corso di una conferenza stampa organizzata in occasione del primo anniversario della fondazione del suo partito politico.[11]

Il 20 agosto, interrogato circa l’opposizione di Kigali alla partecipazione della MONUSCO alla forza internazionale neutra da inviare all’Est della RDCongo, il ministro congolese degli Affari Esteri, Raymond Tshibanda, ha dichiarato che «non è possibile dire che la missione delle Nazioni Unite non vi sia coinvolta». Ha ricordato che i Ministri della difesa dei paesi dei Grandi Laghi, riuniti a Goma, hanno deciso che la forza internazionale neutra deve essere posta sotto il mandato dell’Unione Africana e delle Nazioni Unite. Secondo il ministro congolese, «occorrerà che il Consiglio di Sicurezza emani una risoluzione che amplifichi e rafforzi il mandato della MONUSCO». «E su questo, a livello della Regione dei Grandi Laghi, siamo tutti d’accordo», ha concluso.[12]

Il 22 agosto, il Partito Lumumbista Unificato(Palu) ha proposto di rafforzare il mandato della MONUSCO per renderla più efficace e dissuasiva, invece di dispiegare una nuova “forza internazionale neutra”, come deciso lo scorso luglio dai Capi di Stato dei Grandi Laghi riuniti ad Addis Abeba (Etiopia). Questa posizione del Palu è stata espressa a Kinshasa, nel corso di una conferenza stampa animata dal segretariato permanente, Godefroid Mayobo.[13]

4. L’M23 FORMA UN COMITATO POLITICO (UN GOVERNO PARALLELO?)

Il 17 agosto, il Movimento del 23 marzo (M23) ha annunciato, in un comunicato, di avere costituito un comitato politico. Composto di 23 membri, il comitato comprende un presidente, un capo militare, un segretario esecutivo, dieci capi di dipartimento con i rispettivi vice capi. Secondo la dichiarazione, i capi dei dipartimenti, con il grado di “ministri e vice-ministri”, sono responsabili della gestione quotidiana del movimento. “Il loro ruolo sarà quello di gestire la vita della popolazione della zona che controlliamo”, ha affermato il portavoce del M23, il colonnello Vianney Kazarama.

Il comitato politico dell’M23 risulta così formato:

  • Presidente: Jean-Marie Runiga Lugerero.
  • Capo del comando militare: il colonnello Sultani Makenga.
  • Segretario Esecutivo: François Rucogoza Tuyihimbaze.
  • Dipartimento degli affari politici e dell’amministrazione del territorio: Sendugu Museveni.
  • Dipartimento degli affari esteri e della cooperazione regionale: René Abandi Munyarugerero. Dipartimento per gli affari sociali e umanitari: Alexis Kasanzu.
  • Dipartimento delle Finanze, del bilancio e delle risorse naturali: Justin Gashema.
  • Dipartimento dell’agricoltura, della pesca e dell’allevamento: Deogratias Nzabirinda Ntambara. Dipartimento di giustizia e diritti umani: Antoine Mahamba Kasiwa.
  • Dipartimento della riconciliazione e dell’unità nazionale: Jean Serge Kambasu Ngeve.
  • Dipartimento per il rimpatrio dei rifugiati e il reinserimento degli sfollati interni: Benjamin Mbonimpa.
  • Dipartimento del Turismo, Ambiente e Conservazione della natura: Stanislas Baleke.
  • Dipartimento della Gioventù, Sport e Tempo Libero: Ali Musagara.

Il segretario esecutivo, François Rucogoza Tuyihimbaze, è un ex ministro della Giustizia del governo provinciale del Nord Kivu e coordina i dieci dipartimenti. Il responsabile del dipartimento delle politiche commerciali e dell’amministrazione del territorio, Sendugu Musseveni, è un ex Maï-Maï / Pareco e consigliere del governatore del Nord Kivu fino a qualche tempo fa.

Alcuni analisti politici ritengono che questa nuova strategia politica dell’M23 è nettamente contraria alle disposizioni emanate dalla Conferenza Internazionale sulla Regione dei Grandi Laghi (CIRGL) per porre fine alla guerra nell’Est della RDCongo. Tra le azioni immediate, infatti, i ministri della difesa dei Paesi membri dell’organizzazione, riuniti a Goma il giorno prima, il 16 agosto, avevano chiesto all’M23 di cessare ogni sua attività incostituzionale, compresa l’installazione di strutture politiche e amministrative parallele a quelle dello Stato. Già il 4 agosto, l’M23 aveva installato una sua amministrazione nel territorio di Rutshuru nel Nord Kivu. Si trattava di comitati di sicurezza locali costituiti da agenti dell’amministrazione, autorità tradizionali e leader di comunità locali, la cui missione è quella di garantire la sicurezza delle persone e di assicurare i servizi normali.

La CIRGL dovrà quindi adottare misure urgenti per condannare la violazione, da parte dell’M 23, della sua disposizione, altrimenti potrebbe essere accusata di parzialità e complicità nella grave crisi in cui versa attualmente la RDCongo.[14]

L’M23 sta tentando di abbandonare l’immagine di una ribellione militare per potersi presentare come un movimento politico. L’M23 sta ora cercando di dimostrare che è una struttura politica con aspirazioni nazionali legittime. «Vogliamo dimostrare alla comunità internazionale e nazionale che l’M23 non è solo un’organizzazione militare, ma un movimento politico-militare», ha dichiarato il colonnello Kazarama. Infatti, le rivendicazioni del movimento stanno evolvendo in questa direzione. Dopo aver chiesto il rispetto degli accordi del 23 marzo 2009, dopo essersi eretto a movimento di protezione della comunità tutsi, l’M23 fa ora del buon governo e del rispetto dei risultati delle elezioni presidenziali del 2011 il suo nuovo cavallo di battaglia. Nominando dei comitati locali per la sicurezza composti da agenti dell’amministrazione e da autorità tradizionali locali, l’M23 cerca di dimostrare di essere in grado di mantenere la pace e l’ordine in una zona in cui il governo di Kinshasa non vi è riuscito. Si tratta di una strategia che alza i toni, in modo che, al momento di eventuali negoziati, che rimangono il suo principale obiettivo, l’M23 potrà trovarsi in posizione di forza, con un comitato politico pronto a trattare e negoziare alla pari con Kinshasa.

Vari osservatori ritengono, infatti, che l’M23 abbia deciso di costituire un comitato politico per creare un quadro ideale di concertazione attraverso cui negoziare direttamente, e in posizione di forza, con il governo di Kinshasa, ciò che i politici della maggioranza e dell’opposizione, le organizzazioni della società civile, le organizzazioni non governative per i diritti dell’uomo e le Chiese rifiutano categoricamente. Anche circa un’eventuale valutazione degli accordi sottoscritti il 23 marzo 2009 con il CNDP, l’opinione nazionale ritiene che Kinshasa deve stare attenta a non cadere nella trappola, presentandosi in una situazione di debolezza, tanto più che gli stessi accordi, escludevano chiaramente il ricorso alla forza delle armi per esprimere le proprie rivendicazioni.[15]

5. LE INIZIATIVE DELLA SOCIETÀ CIVILE

Il 10 agosto, un gruppo di Congolesi della diaspora ha organizzato una manifestazione davanti all’ambasciata degli Stati Uniti a Bruxelles, per protestare contro la pseudo ribellione dell’M23, attiva nella parte orientale della RDCongo e appoggiata da Paul Kagame, presidente del Ruanda. Lo scopo della manifestazione è stato quello di chiedere a Barack Obama, Presidente degli Stati Uniti, l’applicazione della legge “the Obama public law PL 109-456“, che stabilisce che «qualsiasi paese che destabilizzi il Congo o saccheggi le sue ricchezze minerarie non potrà più ricevere aiuti dagli Stati Uniti». Questa legge era stata presentata da Obama stesso e da Hillary Clinton, entrambi senatori in quel tempo. Oggi, uno è presidente, l’altra è responsabile degli affari esteri. I Congolesi si aspettano che tale legge cominci ad essere applicata.[16]

Il 13 agosto, una delegazione di leader religiosi è recata dal ministro congolese degli Affari Esteri, Raymond Tshibanda. Il capo della Chiesa di Cristo in Congo, Pierre Marhini Bodho, che ha guidato la delegazione, ha dichiarato che i rappresentanti delle confessioni religiose stanno preparando un viaggio in vari Paesi del mondo, per denunciare l’aggressione della RDCongo da parte del Ruanda e dell’Uganda e per presentare un dossier al Consiglio di Sicurezza a New York.

Il 12 luglio scorso, i rappresentanti di alcune confessioni religiose della RDCongo avevano iniziato una petizione per chiedere al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite di prendere delle misure contro Kigali, accusato di sostenere l’M23. La petizione, che si è prefissa di raccogliere almeno un milione di firme, dice no a qualsiasi forma di negoziazione con gli “eterni criminali” della RDCongo, tra cui i membri del M23, e respinge qualsiasi tentativo di balcanizzazione del paese. I leader religiosi chiedono giustizia anche per i crimini commessi dal Ruanda nella RDCongo e l’arresto di tutti i criminali ricercati dalla giustizia internazionale.[17]

Il 18 agosto, le organizzazioni della società civile della RDCongo, riunite a Kinshasa presso il CEPAS, per un seminario sul New Deal degli Stati fragili, hanno riflettuto sulla tragica situazione esistente nella provincia del Nord Kivu, in seguito alla nuova aggressione della RDCongo da parte del Ruanda e dell’Uganda. Secondo loro, le conseguenze di questa nuova aggressione sono:

– L’aumento degli sfollati interni a causa della guerra, il cui numero si eleva ora a 2.200.000;

– L’occupazione, a fini egemonici, di una parte importante del Nord Kivu da parte delle forze armate regolari del Ruanda e dell’Uganda, presentatesi sotto le apparenze del M 23;

– Il genocidio di milioni di famiglie congolesi, in vista dello spopolamento del Nord Kivu e del suo ripopolamento da parte di stranieri che si presentano come rifugiati congolesi rimpatriati;

– Il reclutamento di bambini soldato da parte del M23;

– Il riciclaggio di ex combattenti FDLR, già rimpatriati in Ruanda, in combattenti del M23;

– La protezione, da parte del Ruanda, di presunti criminali di guerra e di responsabili di violazioni dei diritti umani, già oggetti di mandati di cattura emessi dalla Corte penale internazionale;

– Gli stupri e le violenze perpetrate sulle donne del Nord Kivu;

– Le violazioni generalizzate dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario;

– Il saccheggio delle risorse naturali della RDCongo.

 Considerando la gravità delle continue e programmate aggressioni della RDCongo, le organizzazioni della società civile:

1. Denunciano l’aggressione della RDCongo da parte del Ruanda e dell’Uganda, il cui principale responsabile è il Presidente Paul Kagame;

2. Denunciano i contenuti di vari seminari organizzati da alcune ONG internazionali che favoriscono l’accettazione della balcanizzazione della RDCongo;

3. Denunciano l’ambiguo atteggiamento di alcune ONG internazionali che operano in zone di conflitto;

4. Denunciano l’atteggiamento di alcuni politici e capi tradizionali del Nord Kivu, Sud Kivu e Provincia Orientale, che appoggiano l’M23;

5. Denunciano e condannano il saccheggio sistematico delle risorse naturali della RDCongo;

6. Condannano il silenzio della comunità internazionale sul genocidio, dimenticato ma conosciuto da tutti, di milioni di Congolesi;

7. Si oppongono con tutte le loro forze alla partecipazione del Ruanda alla forza internazionale neutra ed esprimono i loro dubbi addirittura sulla creazione di questa forza militare per la RDCongo, essendo la MONUSCO già presente sul territorio;

8. Chiedono, invece, l’ampliamento e il rafforzamento del mandato della MONUSCO;

9. Richiedono un’inchiesta internazionale sul genocidio perpetrato nella RDCongo dalle truppe ruandesi e ugandesi;

10. Chiedono al governo della RDCongo di presentare una denuncia presso le giurisdizioni giudiziarie internazionali contro i regimi di Ruanda e Uganda per i crimini da loro commessi sul territorio nazionale;

11. Chiedono al governo congolese di procedere, senza indugio, ai cambiamenti necessari nella catena di comando delle forze armate, della polizia e dei servizi di sicurezza;

12. Raccomandano al governo congolese di porre fine all’impunità finora garantita alle autorità militari dei servizi di sicurezza, dell’esercito e della polizia che si sono rese colpevoli di tradimento nei confronti dello Stato e del Popolo;

13. Lanciano un appello urgente ai capi tradizionali e ai politici, affinché cessino di appoggiare iniziative volte a destabilizzare il paese;

14. Chiedono alle società civili della regione dei Grandi Laghi, e in particolare a quelle di Ruanda e Uganda, di intraprendere azioni di pressione sui rispettivi governi, per ottenere il ritiro definitivo delle loro forze armate dal suolo congolese;

15. Chiedono alla Monusco di continuare e di aumentare il suo appoggio logistico alle Forze Armate della Repubblica Democratica del Congo, per mettere fine a questa nuova aggressione da parte del Ruanda e dell’Uganda e per ottenere al loro ritiro dal territorio congolese;

16. Raccomandano al governo congolese di mettere a disposizione dell’esercito e dei servizi di sicurezza tutti i mezzi necessari e di consegnare alla giustizia internazionale le persone colpite da mandati di arresto internazionali.[18]

6. LE DICHIARAZIONI DELLA COMUNITÀ INTERNAZIONALE

L’11 agosto, l’ambasciatore degli Stati Uniti per i crimini di guerra, Stephen Rapp, ha chiesto che si avviino delle procedure giudiziarie contro i responsabili dell’M23 citati nel rapporto delle Nazioni Unite. In un’intervista a Radio Okapi a Goma, Stephen Rapp cita Bosco Ntaganda, Sultani Makenga e Zimurinda come sospettati di crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Per il diplomatico americano, «non è possibile stabilire la pace senza la giustizia», aggiungendo che «Queste persone sono responsabili dell’attuale situazione del Nord Kivu e devono essere portate davanti alla giustizia». Circa il fallimento delle discussioni politiche tra i capi di Stato della Conferenza Internazionale per la Regione dei Grandi Laghi (CIRGL) sul dispiegamento di una forza neutrale al confine tra Ruanda e RDCongo, Stephan Rapp ha affermato che i negoziati sono sempre difficili, ma si deve trovare il modo di fermare le ostilità dell’M23 e il sostegno che tale gruppo riceve dal Ruanda.[19]

Il 19 agosto, i Capi di Stato della Comunità per lo Sviluppo dell’Africa australe (SADC), riuniti a Maputo (Mozambico) in occasione del loro vertice annuale, hanno esplicitamente messo in causa il Ruanda per la sua implicazione nel conflitto dell’Est della RDCongo e gli hanno chiesto di mettere fine al suo appoggio al gruppo armato denominato M23.

Secondo il loro comunicato finale, preoccupati della situazione Dell’Est della RDCongo, i leader della SADC hanno fatto notare che questa situazione è provocata da gruppi ribelli appoggiati dal Rwanda e hanno quindi «chiesto al Ruanda di porre fine immediatamente a queste sue interferenze che rappresentano una minaccia per la pace e la stabilità». Essi hanno quindi incaricato il presidente dell’organizzazione, Armando Guebuza, presidente del Mozambico, di «recarsi in Ruanda per incontrare il governo ruandese ed esigergli di porre fine al suo appoggio militare all’M23». Tuttavia, il comunicato finale del vertice della SADC, a cui appartiene anche la RDCongo, non accenna al possibile invio di una “forza internazionale neutrale” nella regione, prevista dalla Conferenza Internazionale per la Regione dei Grandi Laghi (CIRGL), anche se Angola, RDCongo, Tanzania e Zambia sono membri sia della CIRGL che della SADC.[20]

Da quando il rapporto degli esperti delle Nazioni Unite pubblicato il 27 giugno ha esplicitamente accusato il Ruanda di destabilizzare la RDCongo attraverso la fornitura di armi, munizioni e personale militare all’M23, il “Paese delle mille colline” è oggetto di numerose critiche da parte dei suoi principali partner occidentali, che hanno cominciato a ridurre o a sospendere parzialmente i loro aiuti al governo. Ma secondo alcuni analisti, gli occidentali dimostrano di essere degli ingenui complici, se non dei complici ingenui. “Ridurre l’aiuto a Kigali non è sufficiente per far piegare Kagame“, molti dicono, in quanto fino ad oggi la sospensione degli aiuti occidentali a Kigali rimane simbolica e di pura facciata e non ha alcun effetto diretto sulla capacità di agire su Kagame che ha il controllo su tutti i gruppi armati nell’Est della RDCongo.

Coloro che sostengono il regime ruandese si basano su un’evidenza: il Ruanda è diventato uno dei principali esportatori d’oro, stagno, cobalto e rame. Questo suo commercio, reso possibile solo dal saccheggio sistematico e illecito delle risorse naturali della RDCongo, non solo contribuisce allo sviluppo dell’economia ruandese e al rafforzamento del regime di Kagame, ma anche e soprattutto all’acquisto di armi in Occidente a favore di gruppi armati attivi nel Kivu vicino. Chiaramente, gli interessi economici e geostrategici sembrano aver preso il sopravvento sulla gestione del caso congolese da parte della comunità internazionale. La morte di 8 milioni di Congolesi non ha alcun valore rispetto ai miliardi generati dalla guerra e dal saccheggio dei minerali congolesi. Si permette al Ruanda di crescere impunemente grazie ai dollari e euro di sangue! Entrata in vigore nel gennaio 2012, la legge Dodd-Frank, che penalizza l’utilizzazione dei minerali estratti in zone sotto controllo di gruppi armati, non ha ancora prodotto gli effetti sperati. Secondo alcuni osservatori, per potere porre fine alla guerra in corso nel Kivu e prevenire il futuro, i paesi occidentali dovrebbero applicare sanzioni più severe nei confronti del Ruanda: si tratterebbe semplicemente di bloccare l’importazione di minerali dal Ruanda in quanto, generalmente, si tratta di minerali saccheggiati nella RDCongo.[21]


Note:

[1] Cf CRI – Africatime, 10.08.’12

[3] Cf Radio Okapi, 16.08.’12

[6] Cf John Tshingombe – Congo News, 10.08.’12 http://grandkasai.canalblog.com/archives/2012/08/10/24869648.html

[8] Cf Xinhuanet – Kinshasa – Africatime, 10.08.’12

[10] Cf Radio Okapi, 17.08.’12; AFP – Kinshasa, 17.08.’12

[11] Cf Radio Okapi, 16.08.’12

[12] Cf Radio Okapi, 20.08.’12

[13] Cf Radio Okapi, 22.08.’12

[14] Cf Radio Okapi, 20.08.’12

[16] Cf cheikfitanews, 10.08.’12

[17] Cf Radio Okapi, 14.08.’12

[19] Cf Radio Okapi, 13.08.’12

[20] Cf Jeune Afrique, 19.08.’12