Congo Attualità n. 418

A 10 ANNI DALLA PUBBLICAZIONE DEL RAPPORTO MAPPING DELL’ONU SUI CRIMINI COMMESSI NELLA RD CONGO    DAL 1993 AL 2003

INDICE

1. LA PRESENTAZIONE DEL RAPPORTO MAPPING
a. La RDCongo, vittima collaterale del genocidio ruandese
b. Dalla caccia ai rifugiati ruandesi all’occupazione dell’Est della RD Congo
c. Alcune raccomandazioni del Rapporto
d. Purtroppo, il Rapporto Mapping è rimasto chiuso a chiave in un cassetto
2. 10 ANNI DOPO LA PUBBLICAZIONE DEL RAPPORTO, IL POPOLO CONGOLESE È ANCORA VITTIMA DELLE VIOLENZE
a. Una nota del BCNUDH sulle principali violazioni dei diritti umani tra gennaio e giugno 2020
3. IL DOTT. DÉNIS MUKWEGE AI DEPUTATI EUROPEI
4. IL PROGETTO DI GIUSTIZIA DI TRANSIZIONE IDEATO DAL GOVERNO CONGOLESE

1. LA PRESENTAZIONE DEL RAPPORTO MAPPING[1]

Il 26 agosto, il giornale francese Le Monde pubblica dei brani d’una versione non definitiva del “Rapporto del Progetto Mapping relativo alle violazioni più gravi dei diritti dell’uomo e del diritto internazionale umanitario commesse tra marzo 1993 e giugno 2003 sul territorio della Repubblica democratica del Congo“, redatto dall’Alto-commissariato per i diritti dell’uomo dell’ONU.
Di 600 pagine, il rapporto ha documentato 617 casi di violenze, classificati per province, ordine cronologico e tipi di crimini, suddividendoli in quattro periodi: gli ultimi anni di potere del maresciallo-presidente Mobutu Sese Seko, da marzo 1993 a giugno 1996; la prima guerra condotta da Laurent-Désiré Kabila e i suoi alleati ruandesi, da luglio 1996 a luglio 1998; la seconda guerra, da agosto 1998 fino all’assassinio del presidente Laurent Désiré Kabila nel gennaio 2001 e, infine, la progressiva attuazione del cessate il fuoco fino a giugno 2003.
Dietro il titolo del rapporto, si nasconde un decennio di violenze, omicidi, stupri e saccheggi perpetrati da vari gruppi armati congolesi, fomentati e appoggiati da vari paesi della regione.
Tra gli stati africani messi in causa, il rapporto cita soprattutto il Ruanda, per il suo appoggio all’Alleanza delle Forze Democratiche di Liberazione (AFDL), durante la prima guerra, e al Raggruppamento Congolese per la Democrazia (RCD), durante la seconda guerra, e l’Uganda, per il suo appoggio al Movimento di Liberazione del Congo (MLC) e al Raggruppamento Congolese per la Democrazia/Kisangani/Movimento di Liberazione (RCD/K-ML).[2]

Il rapporto stabilisce anche un legame tra i crimini commessi e lo sfruttamento, da parte di operatori locali e stranieri, delle risorse naturali del Congo, come il rame, il cobalto, l’oro, o il coltan, un minerale molto raro che contiene  del tantalio metallico, un prodotto utilizzato nella fabbricazione di  telefonini, computer, videogiochi e  nell’industria delle nuove tecnologie. Le miniere a cielo aperto di coltan sono ancora oggi al centro di una vera guerra nel Kivu, regione di frontiera tra RDCongo, Ruanda e Uganda.[3]

Secondo l’ONG International Rescue Committee, tra agosto 1998 e aprile 2004, a causa della guerra in RDCongo, sarebbero morte 3,8 milioni di persone. Se si prende in considerazione il periodo che va dal 1990 al 2010, gli esperti stimano che il numero delle vittime oscilli dai 6 agli 8 milioni di persone. La maggior parte dei crimini sono, salvo alcune poche eccezioni, rimasti impuniti.[4]

a. La RDCongo, vittima collaterale del genocidio ruandese

Secondo il rapporto, nel 1994, dopo il genocidio ruandese di aprile-giugno, l’esercito patriottico ruandese (APR), a maggioranza tutsi e condotto da Paul Kagamé, riprende il potere a Kigali. Temendo delle rappresaglie da parte dei Tutsi, circa due milioni di Hutu fuggono dal Ruanda e si rifugiano dall’altro lato della frontiera, nello Zaire, futuro RDCongo, dove si ammucchiano in immensi campi di rifugiati. Come affermato nel rapporto, in questi campi di rifugiati si nascondevano anche dei militari dell’ex esercito ruandese sconfitto e dei miliziani Interahamwe, responsabili del genocidio ruandese, che si stavano riorganizzando in vista di una riconquista del potere nel loro paese.
Nel 1996, con il pretesto di andare in soccorso dei “Banyamulenge”, Tutsi congolesi di origine ruandese e vittime di “discriminazione” nello Zaire di Mobutu, il Ruanda di Paul Kagame crea l’Alleanza delle Forze Democratiche per la Liberazione del Congo (AFDL), una cosiddetta “ribellione” guidata da un congolese, Laurent-Désiré Kabila, un acerrimo avversario del presidente Mobutu, e invia ingenti truppe dell’Esercito Patriottico Ruandese (APR) nelle province zaïresi del Kivu, ufficialmente con l’obiettivo di appoggiare la ribellione AFDL. In realtà, due erano i veri obiettivi di Paul Kagame. Il primo: effettuare il rimpatrio forzato dei rifugiati hutu o il loro sterminio in caso di resistenza. Il secondo: sconfiggere definitivamente i “genocidari Interahamwe”, presentati all’opinione internazionale come una minaccia per la sicurezza del Ruanda e dei Tutsi congolesi. È’ così che nell’ottobre 1996, i campi dei rifugiati hutu ruandesi fuggiti nello Zaïre sono il bersaglio di raid condotti dall’Alleanza delle Forze Democratiche per la Liberazione del Congo (AFDL), appoggiata dalle truppe dell’Esercito Patriottico Ruandese (APR).
La guerra dell’AFDL/APR è contrassegnata da moltissimi massacri indiscriminati: Uvira, Bukavu, Goma, Tingi Tingi, Kisangani, Mbandaka, Ingende, Bokatola, Wendji Secli sono i nomi di alcune delle molte località e città dove migliaia di rifugiati hutu ruandesi e di civili hutu congolesi sono stati barbaramente e vilmente massacrati. Secondo i testimoni, durante l’avanzata delle truppe dell’AFDL/APR, i cadaveri erano sepolti in fosse comuni, o gettati nelle latrine e nei fiumi o inceneriti dall’AFDL/APR.[5]

Il rapporto descrive “la natura sistematica, metodica e premeditata degli attacchi perpetrati dall’AFDL/APR contro i rifugiati hutu ruandesi” fuggiti nell’allora Zaire. E continua: “Tra le vittime, c’era una maggioranza di bambini, donne, anziani e ammalati che non rappresentavano alcuna minaccia per i belligeranti. L’uso estensivo di armi bianche (principalmente machete, lance, coltelli e zappe) e i massacri sistematici di superstiti dopo la distruzione dei campi dimostrano che i numerosi decessi non erano imputabili alle conseguenze della guerra“, precisando che “i militari dell’AFDL/APR non hanno fatto alcun sforzo per distinguere gli Hutu membri delle Forze Armate Ruandesi e della milizia Interhamwe dagli altri civili hutu“.
L’Alto-commissariato per i diritti dell’uomo dell’ONU stima, per conseguenza, che in RDCongo, nel 1996 – ’98,  dei militari ruandesi dell’APR e congolesi dell’AFDL, hanno potuto commettere dei fatti di “genocidio”. Tuttavia, l’HCDH non si pronuncia sulla questione, limitandosi ad evocare la possibilità di una tale qualifica. Gli inquirenti dell’ONU stimano, difatti, che “gli attacchi sistematici e generalizzati contro gli Hutu rifugiatisi in RDCongo, rivelano vari elementi che, se comprovati davanti ad un tribunale competente, potrebbero essere qualificati di crimini di genocidio“.[6]

b. Dalla caccia ai rifugiati ruandesi all’occupazione dell’Est della RD Congo

Presentata all’opinione internazionale come una ribellione dei Banyamulenge, cioè i Tutsi congolesi ruandofoni che abitano nell’est del Paese, esplosa contro il regime di Mobutu per motivi di nazionalità e di discriminazione etnica, la prima guerra fu chiamata “guerra di liberazione” e portò, il 17 maggio 1997, alla presa del potere a Kinshasa da parte dell’Alleanza delle Forze Democratiche di Liberazione (AFDL), il movimento politico armato dei “Banyamulenge”, guidato da un congolese, Laurent Désiré Kabila, originario del Katanga e storico oppositore di Mobutu.
La guerra iniziò nell’ottobre 1996 con l’attacco ai campi dei rifugiati hutu rwandesi fuggiti dal Ruanda dopo il genocidio di aprile – giugno 1994 e la presa del potere, a Kigali, da parte del Fronte Patriottico Ruandese (FPR), guidato da Paul Kagame, l’attuale presidente. In realtà, la ribellione dell’AFDL era semplicemente la copertura congolese dell’invasione del territorio congolese da parte delle truppe dell’Esercito Patriottico Ruandese (APR) lanciate alla caccia dei rifugiati Hutu ruandesi considerati globalmente come genocidari e, quindi, come una minaccia per la sicurezza del Ruanda. Ma l’obiettivo finale del nuovo regime ruandese, appoggiato dall’Uganda, dal Burundi e, soprattutto, da Stati Uniti e Gran Bretagna, era certamente la conquista dell’intero Zaire per sottrarlo all’egemonia francese ed accedere alle sue risorse minerarie (oro, cassiterite, coltan, diamanti, petrolio, legname pregiato, …), soprattutto nel Kivu, una provincia ambita dal Ruanda anche per trasferirvi la sua eccedenza di popolazione.
Divenuto Presidente della R.D.Congo, ben presto Laurent Désiré Kabila capì di essere una semplice pedina nelle mani di coloro che l’avevano portato al potere e invitò i diversi Paesi a ritirare le loro truppe. Dopo essersi parzialmente ritirate, le truppe ruandesi decisero di riprendersi la rivincita.
Il 2 agosto 1998, l’esercito ruandese partì da Goma, all’est e raggiunse, via aerea, la base militare di Kitona, all’ovest, con l’obiettivo di tornare a Kinshasa. Iniziò così la seconda guerra, detta di “occupazione”. Era stata pensata come un’azione militare fulminea, ma l’intervento di truppe dell’Angola, dello Zimbabwe, della Namibia, del Sudan e del Tchad a fianco di Kinshasa, mise in difficoltà le truppe ruandesi e i loro alleati ugandesi e burundesi e la guerra si protrasse per quattro lunghi anni. Anche stavolta, le truppe ruandesi agirono sotto copertura di un nuovo movimento politico armato congolese creato e appoggiato da Kigali: il Raggruppamento Congolese per la Democrazia (RCD), il cui braccio armato era l’Esercito Nazionale Congolese (ANC).
Nell’interminabile lista dei massacri commessi, se ne possono citare alcuni:
«- Il 21 ottobre 1996, elementi dell’AFDL/APR hanno attaccato il campo dei rifugiati di Luberizi (Sud Kivu), uccidendo circa 370 rifugiati. I militari hanno gettato i corpi delle vittime nelle latrine.
– Il 22 ottobre 1996, elementi dell’AFDL/APR hanno ucciso nella val Rushima, tra Bwegera e Luberizi (Sud Kivu), un gruppo di circa 550 rifugiati hutu ruandesi che erano fuggiti dai campi di Luberizi e Rwenena.
– Tra il 27 ottobre e il 1° novembre 1996, con il pretesto di rimpatriarli in Ruanda, elementi dell’AFDL/APR hanno condotto un altro numero indeterminato di rifugiati nella val Rushima e li hanno uccisi.
– Il 22 novembre 1996, elementi dell’AFDL/APR hanno ucciso varie centinaia di rifugiati nel campo di Chimanga, situato a 71 chilometri a ovest di Bukavu. Al loro arrivo nel campo, i militari hanno chiesto ai rifugiati di radunarsi per assistere a una riunione per preparare il loro rimpatrio in Ruanda. Hanno loro promesso di uccidere addirittura una mucca e di dar loro la carne, affinché potessero riprendere le forze e rientrare in Ruanda in buone condizioni. Hanno poi cominciato a registrare i rifugiati, raggruppandoli per prefettura di origine. A un certo momento, si è sentito un colpo di fischietto e i militari posizionati intorno al campo hanno aperto il fuoco sui rifugiati. Secondo le diverse fonti, sono stati così uccisi tra 500 e 800 rifugiati».
La stessa tattica è stata usata dalle truppe dell’APR/ANC durante la seconda guerra:
«- Il 24 agosto 1998, dei militari dell’APR/ANC hanno massacrato più di un migliaio di civili nei villaggi di Kilungutwe, Kalama et Kasika, nel territorio di Mwenga (Sud Kivu).
– Dal 30 dicembre 1998 al 2 gennaio 1999, dei militari dell’APR/ANC hanno ucciso oltre 800 persone nei villaggi di Makobola II, Bangwe, Katuta, Mikunga et Kashekezi, nel territorio di Fizi (Sud Kivu).
– In novembre 1999, a Mwenga (Sud Kivu), militari dell’APR/ANC hanno sepolto vive 15 donne originarie dei villaggi di Bulinzi, Ilinda, Mungombe et Ngando. Le vittime erano state dapprima torturate, violentate e sottomesse a degradanti e crudeli maltrattamenti, come l’introduzione di peperoncini negli organi genitali».[7]

c. Alcune raccomandazioni del Rapporto

La pubblicazione del Rapporto Mapping esige l’urgente intervento della giustizia congolese e internazionale. La compilazione dei rapporti esistenti e la raccolta di nuove testimonianze forniscono una base per futuri procedimenti giudiziari contro gli autori di ciò che il HCDH qualifica di “crimini contro l’umanità, crimini di guerra e, addirittura, di crimini di genocidio” dopo anni di impunità. Se il rapporto cita i nomi dei gruppi armati, non cita invece le informazioni sull’identità degli autori presunti di certi crimini, tuttavia “registrati in una banca dati confidenziale”.
Il rapporto suggerisce l’istituzione di meccanismi giudiziari appropriati, come la creazione di un tribunale – internazionale o misto – e di una commissione verità e riconciliazione, con l’obiettivo di mettere fine al ciclo dell’impunità nella regione. La maggior parte dei crimini denunciati nel rapporto escono, infatti, dal campo di competenza della Corte Penale Internazionale che, creata nel 2002, non può dirimere su crimini commessi prima della sua creazione.
Più precisamente, il rapporto avanza la pista di un tribunale misto internazionale, indipendente dal sistema giudiziario congolese (tipo Sierra Leone) o quella di camere miste specializzate, integrate al sistema giudiziario nazionale (tipo Cambogia). Tuttavia, il rapporto dichiara che la scelta del meccanismo più appropriato spetta “esclusivamente al governo della RDCongo”. [8]

d. Purtroppo, il Rapporto Mapping è rimasto chiuso a chiave in un cassetto

Circa la qualificazione attribuita ai massacri dei rifugiati hutu da parte dell’AFDL/APR, e cioè: crimini di guerra, crimini contro l’umanità e, probabilmente, crimini di genocidio, il potere di Kigali, che ha la particolarità di aver fatto del genocidio dei Tutsi del 1994 un ben noto fondo di commercio per attirarsi la simpatia della Comunità Internazionale e per reprimere gli oppositori al suo regime, si è ritrovato in una situazione di grande imbarazzo.[9]

Di fronte alla possibile qualificazione dei massacri di Hutu in RDCongo come crimini di genocidio, il presidente ruandese Paul Kagame, che considera negazionista l’ipotesi di un secondo genocidio, ha tentato di impedire la pubblicazione di questo rapporto da parte dell’Onu, minacciando di ritirare le sue truppe (3550 soldati) dalle operazioni dell’ONU, particolarmente dal Darfour.[10]

Secondo alcuni osservatori, la possibile qualificazione dei massacri di decine di migliaia di rifugiati hutu come “atti di genocidio”commessi in RDCongo dall’AFDL/APR è ciò che ha finora impedito alla comunità internazionale di dare una continuità, sul piano politico e giudiziario, al rapporto mapping. Molti militanti dei Diritti dell’uomo accusano i governi degli Stati Uniti, Canada e Regno Unito di servirsi del Presidente Paul Kagamé come pedina a loro servizio, per indebolire l’influenza francese nella regione dei Grandi Laghi Africani e, per questo, di non volere inchieste su di lui.[11]

2. 10 ANNI DOPO LA PUBBLICAZIONE DEL RAPPORTO, IL POPOLO CONGOLESE È ANCORA VITTIMA DELLE VIOLENZE

a. Una nota del BCNUDH sulle principali violazioni dei diritti umani tra gennaio e giugno 2020

Il 5 agosto, il BCNUDH ha pubblicato una nota sulle principali violazioni dei diritti umani commesse tra gennaio e giugno 2020:
– Tra gennaio e giugno 2020, il BCNUDH ha documentato 4.113 violazioni dei diritti umani su tutto il territorio della RD Congo, un aumento del 17% rispetto al semestre precedente (luglio-dicembre 2019) e del 35% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno (gennaio-giugno 2019). Questa tendenza al rialzo è spiegata per un aumento esponenziale (+ 91%) del numero delle violazioni riconducibili ai gruppi armati, mentre è leggermente diminuito il numero di violazioni commesse da agenti statali (-3%).
– Quasi il 43% delle violazioni documentate durante la prima metà del 2020 sono state commesse da agenti dello Stato, responsabili dell’uccisione di almeno 225 persone, tra cui 33 donne e 18 bambini, sull’insieme del territorio della RD Congo. Il 57% delle violazioni documentate sono state commesse da combattenti dei vari gruppi armati, responsabili dell’uccisione di almeno 1.315 persone, tra cui 267 donne e 165 bambini, più del triplo del numero registrato nella prima metà del 2019.
– Tra gli agenti dello stato, i militari delle Forze Armate della Repubblica Democratica del Congo (FARDC) hanno commesso il maggior numero di violazioni (806 violazioni, quasi il 20% del totale documentato), tra cui l’uccisione di 129 persone, tra le quali 24 donne e 12 bambini. Si è constatata di una diminuzione rispetto alla prima metà del 2019 (847 violazioni). Da parte loro, gli agenti della Polizia Nazionale Congolese (PNC) hanno commesso 724 violazioni, con un aumento rispetto alla prima metà del 2019 (689 violazioni), tra cui l’uccisione di 94 persone, tra le quali nove donne e sei bambini.
– Durante la prima metà del 2020, il BCNUDH ha documentato un totale di 3.908 violazioni dei diritti umani nelle province colpite da conflitti, in particolare nel Nord Kivu, l’Ituri, il Sud Kivu e il Tanganika, ciò che rappresenta un aumento significativo rispetto allo stesso periodo dello scorso anno (2.457 violazioni). I combattenti dei vari gruppi armati sono responsabili della maggior parte delle violazioni (2.357 casi), ovvero il 60% delle violazioni documentate in queste province. Da parte loro, gli agenti dello stato hanno commesso 1.551 violazioni, ovvero il 40% dei casi documentati.
– Nonostante in questo semestre si sia notato un aumento del numero delle violazioni perpetrate da agenti dello stato nelle province in conflitto, il numero delle vittime di uccisioni è diminuito (155 civili uccisi rispetto ai 173 nel primo semestre del 2019). D’altra parte, le violazioni commesse dai gruppi armati hanno provocato un maggior numero di morti tra la popolazione civile (1.315 vittime di esecuzioni sommarie, rispetto alle 416 della prima metà del 2019). Il BCNUDH resta preoccupato per l’elevato numero di persone civili uccise in queste province durante i primi sei mesi del 2020: almeno 1.470 persone, di cui 298 donne e 177 bambini, o, in media, otto civili uccisi ogni giorno in contesto di conflitti. Tra le province in conflitto, quella del Nord Kivu resta di gran lunga la più colpita (1.864 violazioni), seguita dall’Ituri (680 violazioni), Sud Kivu (475 violazioni), Tanganica (275 violazioni), Kasaï (235 violazioni), Maniema (178 violazioni) e Kasaï Centrale (146 violazioni).
– Durante il primo semestre del 2020, il BCNUDH ha documentato 398 casi di violenze sessuali che hanno colpito 436 donne adulte e due uomini adulti, in aumento rispetto al semestre precedente (406 vittime adulte). Circa il 21% di queste vittime sono attribuibili ad agenti dello Stato (94 vittime), in particolare a militari delle FARDC (76 vittime) e ad agenti della PNC (15 vittime), mentre il 79% delle vittime (342 donne e due uomini) sono attribuibili a combattenti dei vari gruppi armati.
– Tra gennaio e giugno 2020, il BCNUDH ha documentato 573 casi di violazioni dei diritti umani e delle libertà fondamentali causate da restrizioni dello spazio democratico messe in atto su tutto il territorio nazionale, un aumento del 24% rispetto allo stesso periodo dell’anno 2019 (461 violazioni). Questa tendenza al rialzo è spiegata dall’aumento del numero di arresti arbitrari e di detenzioni illegali, in seguito alle violazioni del diritto alla libertà di espressione, e da un aumento del numero delle violazioni delle libertà fondamentali commesse dai gruppi armati. Inoltre, varie di queste violazioni sono state commesse nel contesto dell’attuazione di misure relative allo stato di emergenza sanitaria, quando queste sono state utilizzate come pretesto per limitare l’esercizio delle libertà fondamentali in modo ingiustificato. I principali autori di queste violazioni sono, come nella prima metà del 2019, gli agenti della PNC (241 violazioni), seguiti dai militari delle FARDC (136 violazioni). I combattenti dei gruppi armati hanno commesso 104 violazioni in relazione allo spazio democratico, un aumento significativo rispetto allo stesso periodo del 2019 (47 violazioni).
– Durante la prima metà del 2020, il BCNUDH ha continuato ad appoggiare i tribunali militari nella lotta contro l’impunità. Almeno 80 militari delle FARDC, 25 agenti della PNC e 28 membri di gruppi armati sono stati condannati per violazioni dei diritti umani, il che riflette uno sforzo significativo delle autorità giudiziarie nella lotta contro l’impunità.
– Infine, come parte del suo programma di protezione, il BCNUDH ha trattato più di 162 casi di minacce e violazioni dei diritti umani dirette contro 246 difensori dei diritti umani, 46 giornalisti e 17 vittime di violazioni dei diritti umani. Il BCNUDH si dice preoccupato per il numero di minacce e intimidazioni proferite contro i difensori dei diritti umani (quasi l’80% dei casi di protezione).[12]

3. IL DOTT. DÉNIS MUKWEGE AI DEPUTATI EUROPEI

Il 31 agosto, in videoconferenza da Bukavu, il dott. Dénis Mukwege, premio Nobel per la pace 2018, è intervenuto in una sessione della commissione per i diritti umani del Parlamento europeo. Nonostante le minacce di morte ricevute, il dottor Denis Mukwege è tutt’altro che scoraggiato.
Agli eurodeputati, egli ricorda la gravità dell’attuale situazione della RD Congo per quanto riguarda le violazioni dei diritti umani e cita, come esempio, i dati dell’ultimo rapporto del Comitato delle Nazioni Unite per i diritti umani relativo ai primi sei mesi dell’anno 2020.
Secondo il dottor Mukwege, queste violazioni dei diritti umani continuano, perché i carnefici di ieri che si nascondono ancora oggi all’interno dei gruppi armati, dell’esercito, della polizia e delle istituzioni della RD Congo e dei paesi limitrofi, restano tuttora impuniti.
Secondo lui, se la giustizia non affronta i crimini del passato, le violazioni dei diritti umani continueranno ad aumentare.
Il Nobel per la pace 2018 ha ricordato che, a 10 anni dalla pubblicazione del Rapporto Mapping, nessuna delle sue raccomandazioni è stata finora implementata e che, quindi, è oggi importante impegnarsi ad attuare queste raccomandazioni, che restano totalmente valide fino ad oggi.
Questo rapporto fu redatto e pubblicato il 1° ottobre 2010 dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani. Esso presenta le più gravi violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario commesse sul territorio della Repubblica Democratica del Congo (RD Congo) tra marzo 1993 e giugno 2003.
Per questo, egli si dice convinto che solo una giustizia indipendente e la lotta contro l’impunità siano le uniche garanzie per porre fine ai crimini contro l’umanità commessi nella RD Congo.
Di conseguenza, egli chiede agli eurodeputati di appoggiare tutte quelle iniziative favorevoli alla promozione, nella RD Congo, di una giustizia appropriata a situazioni di post-conflitto e di transizione.
– A livello internazionale, egli ha ricordato la necessità di creare un tribunale penale internazionale per la RD Congo, dato che la Corte penale internazionale è competente solo per i crimini commessi dopo il mese di luglio 2002, data della sua istituzione, mentre l’inventario del Rapporto Mapping copre il periodo compreso dal 1993 al 2003. Questo tribunale dovrebbe giudicare non solo i crimini delle due guerre passate (1996-1997 e 1998-2003), ma anche tutti gli altri crimini commessi fino ad oggi.
– A livello nazionale, egli raccomanda la creazione di camere specializzate miste (composte cioè da magistrati e giudici congolesi e internazionali) all’interno del sistema giudiziario congolese e l’istituzione di una commissione nazionale per la Verità e la Riconciliazione.

Qui di seguito, il testo del suo intervento:

«Il nostro obiettivo è quello di rendere giustizia alle vittime dei crimini più gravi commessi nella Repubblica Democratica del Congo (RD Congo) da oltre 25 anni, perché l’impunità di cui godono i mandanti e gli autori degli abusi commessi contro la popolazione civile è una delle principali cause che spiegano il fatto che questi crimini possono continuare fino ai nostri giorni.
– Il rapporto del BCNUDH sulle violazioni dei diritti umani durante la prima metà del 2020.
Un recente rapporto del BCNUDH rileva il deterioramento della situazione dei diritti umani nelle province in conflitto, in particolare in Ituri, Nord Kivu, Sud Kivu e Tanganika. Ha documentato più di 4.000 casi di violazioni dei diritti umani commesse a livello nazionale durante la prima metà del 2020, con un bilancio umano molto pesante di oltre 1.300 morti. Sempre secondo l’Onu, vengono uccise, in media, 8 persone al giorno a causa di conflitti in corso e, spesso, le principali vittime sono donne e bambini. Nessuno può dire che non si sa cosa sta succedendo nella RD Congo. La comunità internazionale vi è ampiamente presente da decenni. Le fonti di informazione sono credibili e affidabili. Possiamo trovarle. Esse non mancano
– 10 anni dopo la pubblicazione del Rapporto Mapping da parte delle Nazioni Unite.
Giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno, le violazioni dei diritti umani vengono documentate, segnalate e analizzate. Tra queste fonti c’è il Progetto di Rapporto Mapping, relativo alle più gravi violazioni dei diritti umani e dei diritti umanitari internazionali commesse tra il 1993 e giugno 2003 sul territorio della RD Congo. Questo documento denso e dettagliato, basato su indagini e ricerche rigorose, è il risultato di un anno di lavoro svolto da un team di esperti di diritti umani delle Nazioni Unite. Presenta uno dei capitoli più tragici della storia recente della RD Congo. Pubblicato 10 anni fa, il 1° ottobre 2010, questo rapporto si era fissato tre obiettivi. Il primo è stato quello di fare il punto della situazione sulle più gravi violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario. Il secondo era quello di valutare i mezzi a disposizione del sistema giudiziario nazionale congolese per farvi fronte. Il terzo era quello di elaborare una serie di possibili formule capaci di aiutare il governo congolese ad identificare meccanismi appropriati per una giustizia appropriata a situazioni di post-conflitto e di transizione.
Essendo una vera mappatura e un rigoroso inventario di 617 casi di violenze commesse tra il 1993 e il 2003, questo rapporto suggerisce che si tratti di gravi violazioni dei diritti umani e del diritto umanitario internazionale. Conclude che la maggior parte dei crimini documentati possono essere qualificati di crimini contro l’umanità e di crimini di guerra, aggiungendo che alcuni di essi potrebbero essere considerati come crimini di genocidio, se ritenuti tali da un tribunale competente. Tra le vittime di questi crimini riportati dall’ONU, imprescrittibili e per i quali non si può invocare alcuna immunità, si possono ricordare quelle donne che furono sepolte vive dopo essere state violentate e impalate, dei credenti morirono carbonizzati, perché avevano cercato rifugio in chiese che furono poi incendiate e degli ammalati uccisi nei loro letti d’ospedale.
Gli esperti delle Nazioni Unite hanno affermato che i mezzi a disposizione del sistema giudiziario congolese per porre fine all’impunità dei mandanti e degli esecutori di questi crimini internazionali erano insufficienti. Lo erano 10 anni fa, ma lo sono ancora oggi.
– Le raccomandazioni del Rapporto Mapping.
Il Rapporto Mapping ha presentato una serie di raccomandazioni alle autorità congolesi, affinché possano spezzare, con il sostegno della comunità internazionale, l’attuale clima di impunità.
Queste raccomandazioni si fondano sulla necessità di ricorrere ad alcuni meccanismi di giustizia appropriati a situazioni di post-conflitto e di transizione.
Pertanto, in primo luogo, gli esperti delle Nazioni Unite hanno proposto la creazione di camere specializzate miste all’interno del sistema giudiziario congolese, in cui i magistrati e i giudici congolesi collaborerebbero con dei loro omologhi internazionali. Oltre a rendere giustizia alle vittime, queste camere contribuirebbero a rafforzare le capacità del sistema giudiziario congolese.
In secondo luogo, raccomandano l’istituzione di una commissione per la verità e la riconciliazione e programmi di riparazione a favore delle vittime di guerra e delle comunità danneggiate. Infine, hanno indicato la necessità  di procedere al alcune riforme istituzionali, come il consolidamento delle istituzioni e una profonda riforma dei settori della sicurezza e della giustizia. Tutto ciò potrebbe garantire la non ripetizione delle atrocità in un prossimo futuro.
Sebbene questo rapporto sia stato pubblicato 10 anni fa, nessuna delle sue raccomandazioni è stata fino ad oggi implementata. Nonostante le varie promesse fatte dall’ex presidente Joseph Kabila, non è stato fatto nulla. Questa mancanza di risposta da parte del sistema giudiziario è particolarmente scioccante, data la gravità dei crimini commessi nella RD Congo.
Per mettere fine al ricorrente ciclo di queste atroci violenze, di cui all’ospedale Panzi stiamo curando le conseguenze da quasi 20 anni, è oggi necessario impegnarsi per attuare le raccomandazioni del rapporto Mapping, ancora attuali.
– La via di una giustizia propria di periodi post-conflitto e di transizione.
In questo contesto, ci sentiamo incoraggiati dalla recente comunicazione del Presidente della RD Congo, Sua Eccellenza Félix Tshisekedi, un politico estraneo ai crimini del passato, secondo la quale egli ha incaricato il governo congolese di iscrivere il dossier della giustizia in tempi di transizione all’ordine del giorno del Consiglio dei Ministri del 7 agosto 2020. Questo annuncio costituisce un passo in avanti per il riconoscimento del diritto delle vittime alla giustizia, alla verità e alla riparazione. Ci auguriamo che il Presidente della Repubblica, un politico estraneo ai crimini del passato, faccia avanzare la RD Congo sulla via della giustizia e della pace, con l’appoggio del suo partner privilegiato, l’UE.
Chiediamo alle autorità congolesi di procedere senza indugio all’approvazione e all’attuazione di una legge nazionale sulla protezione dei difensori dei diritti umani in generale e di una legge sulla protezione e l’assistenza delle vittime e dei testimoni, in particolare. Per essere attuate, queste due leggi richiederanno un finanziamento adeguato e sostenibile.
Inoltre, chiediamo l’effettiva partecipazione delle vittime, tra cui le donne sopravvissute alle violenze sessuali, nella progettazione, attuazione e valutazione delle misure di giustizia che le riguardano direttamente, nello spirito della risoluzione 1325 del Consiglio di sicurezza e dell’agenda donne, pace e sicurezza.
– La richiesta della creazione di un Tribunale Penale Internazionale  per la RD Congo.
Desideriamo andare oltre le raccomandazioni del Rapporto Mapping. Siamo favorevoli alla creazione di camere specializzate miste, ma chiediamo anche l’istituzione di un Tribunale Penale Internazionale per la RD Congo, per vari motivi.
In primo luogo, la Corte Penale Internazionale (CPI) ha giurisdizione solo per i crimini commessi dopo il mese di luglio 2002, mentre l’inventario fatto nel Rapporto Mapping copre il periodo che va dal 1993 al 2003. Inoltre, è necessario prendere in considerazione la dimensione regionale del conflitto congolese, in cui diversi eserciti stranieri e vari gruppi ribelli appoggiati dai paesi limitrofi sono intervenuti sul territorio congolese e, pertanto, devono anch’essi essere ritenuti responsabili dei crimini commessi. Affinché giustizia sia fatta a livello nazionale, sarebbero necessari degli accordi di estradizione e una cooperazione giudiziaria molto efficace con tutti i paesi implicati, in particolare con l’Uganda, il Ruanda e il Burundi, ciò che ancora non esiste e che richiederebbe una reale volontà politica da parte di tutti gli Stati coinvolti. Attualmente, questa volontà politica manca totalmente.
Chiediamo quindi un intervento del Consiglio di Sicurezza che, sulla base del Capitolo 7 della Carta delle Nazioni Unite, potrebbe istituire un Tribunale Penale Internazionale per la Repubblica Democratica del Congo. Per la sua natura internazionale, un tale tribunale costituirebbe l’ambito necessario, affinché tutti gli Stati siano obbligati a cooperare con esso, per perseguire e giudicare i crimini internazionali commessi nella RD Congo, da cittadini congolesi o stranieri.
Che si tratti dell’istituzione di un Tribunale Penale Internazionale per la RD Congo o della creazione di camere specializzate miste, raccomandiamo che la loro competenza temporale si estenda dall’inizio degli anni 1990 fino ad oggi, perché i crimini stanno continuando fino ai nostri giorni.
Infine, chiediamo a tutti gli Stati europei di poter ricorrere al principio della giurisdizione (competenza) universale, ciò che permetterebbe di arrestare e processare o estradare tutti i presunti autori dei crimini più gravi commessi nella RD Congo.
La mancanza di volontà politica e la realpolitik hanno a lungo prevalso sulla necessità di giustizia e verità, favorendo l’impunità. È in questo contesto che i massacri continuano fino ad oggi. Questa situazione, che deve far vergognare la nostra comune umanità, non può continuare».

Rispondendo alle domande poste da alcuni eurodeputati, il dott. Denis Mukwege ha sottolineato:

« – A proposito della giustizia di transizione a livello nazionale, il nostro attuale presidente ha il vantaggio di non avere alcun legame con i crimini commessi. Prima di lui, ci sono stati molti ostacoli, poiché nel governo c’erano molte persone che erano arrivate al potere con la forza delle armi. Era quindi molto difficile che essi accettassero di avviare un processo di giustizia di transizione. Ora tutto dipende dalla volontà del nuovo presidente, visto che non ha questi legami e, quindi, può andare avanti. Infatti, egli ha già elaborato un programma in cui chiede al governo di prendere in considerazione la possibilità di favorire una giustizia di transizione per il nostro Paese, ciò che rinforzerebbe tutti questi sforzi già intrapresi. È molto importante che si possa andare avanti in questo processo di giustizia di transizione, che non può essere attuato senza gli strumenti necessari per poter arrestare e giudicare gli autori dei crimini commessi.
– Per quanto riguarda la questione dei minerali provenienti da zone di conflitto, ringrazio gli eurodeputati che hanno redatto e approvato la legge sull’importazione di minerali provenienti dalle zone di conflitto. Questa legge, che entrerà in vigore nel mese di gennaio 2021, rappresenta un notevole progresso, perché apre le porte alla giustizia. Se la guerra è finita e se gli autori dei crimini iniziano a temere le conseguenze dei loro atti, questi minerali cosiddetti di conflitti diventeranno dei minerali puliti, perché le miniere da cui vengono estratti non saranno più sotto il controllo di uomini armati. È per questo motivo che crediamo che non si possa costruire la pace senza la giustizia, poiché se i carnefici continuano a operare nell’esercito, nella polizia, nella politica e nell’amministrazione, essi continueranno a contrastare gli sforzi della giustizia, a sfruttare le miniere e a fare il contrabbando dei minerali, poiché dispongono di tutti i mezzi per esportarli illegalmente, senza il minimo controllo e, tutto questo, dopo aver commesso dei crimini.
– Sulla questione dell’impunità di cui gode la maggioranza dei mandanti e degli esecutori dei crimini, ciò non significa che questa impunità sia una sorta di immunità nei loro confronti. È fuori discussione che non si dovrebbe parlare di immunità. Oggi, il problema è che molti criminali si nascondono negli eserciti o nelle amministrazioni dei loro paesi rispettivi, perché effettivamente non c’è un tribunale penale internazionale che permetta di rintracciarli, di arrestarli e di processarli. È certo che, se oggi il Consiglio di sicurezza dell’ONU potesse consentire la creazione di un tribunale penale internazionale per la RD Congo, tutti i paesi membri delle Nazioni Unite dovrebbero collaborare con esso e consegnargli i presunti criminali. È per questo motivo che crediamo che tutto debba andare insieme: il Tribunale Penale Internazionale per la RD Congo, le camere specializzate miste e la commissione per la verità e la riconciliazione.
– Riguardo alla reale impossibilità di avviare delle procedure giudiziarie contro tutti gli autori dei crimini commessi, perché sono tanti e troppi, non ci si può aspettare di poter arrestarli tutti e metterli tutti in carcere. Non è questo l’obiettivo. Non si tratta di una giustizia vendicativa, ma piuttosto di una giustizia che possa prevenire il ripetersi di questi crimini. Per 20 anni, i paesi europei hanno investito molto denaro per aiutare la RD Congo, dimenticando però la dimensione della giustizia. È così che, dopo 20 anni, siamo ancora al punto di partenza, perché non si è presa in considerazione la giustizia. Poiché non è possibile risolvere tutti i casi mediante il ricorso ai tribunali, dovrebbe esserci una commissione per la verità e la riconciliazione, il cui scopo sarebbe quello di riconciliare tra loro i belligeranti, le province e i popoli, il che eviterebbe la continuazione dei crimini. L’unico modo per farlo è poter dire la verità su quello che è successo, riconoscendo i propri torti. In tal modo, le vittime avranno il coraggio di andare avanti, con la speranza che tutto quello che è successo in passato non si ripeta mai più in futuro (…).
– Per quanto riguarda la responsabilità delle società multinazionali che operano nella RD Congo, numerose sono le segnalazioni riguardanti il ​​saccheggio delle risorse naturali congolesi. L’impegno per la giustizia ci rivela che, oltre ai crimini contro l’umanità, ai crimini di guerra e ai probabili crimini di genocidio, esistono anche dei crimini economici commessi da imprese ben conosciute e identificate.  In assenza di giustizia, esse continuano ancora oggi a commettere dei crimini economici sul territorio congolese.
– Sulla questione del risarcimento dovuto alla RD Congo da parte di paesi terzi per i danni subiti, la Corte Internazionale di Giustizia si è già pronunciata a favore della RD Congo. In effetti, quando si arriva a Kisangani, si possono constatare i danni che vi sono stati causati dall’esercito patriottico ruandese e dall’esercito ugandese. Lì tutto è stato distrutto: edifici e case. Ancora oggi, continua ad essere una città sinistrata poiché, dopo che la Corte internazionale di giustizia abbia stabilito un risarcimento di 6 miliardi di dollari da parte dell’Uganda, quest’ultimo non ha ancora versato nulla. È importante che il governo congolese si attivi per l’applicazione di quella sentenza, non solo da parte dell’Uganda, ma anche del Ruanda, che dovrebbe rispondere delle sue azioni, poiché sono stati i loro due eserciti a distruggere Kisangani. combattendosi proprio in centro della città, causando molte vittime civili, L’Uganda è stato condannato. Il Ruanda no, per il semplice fatto che non riconosce la Corte Internazionale di Giustizia. Per questo, dovrebbe esserci una giurisdizione internazionale che obblighi questi due paesi a risarcire, alla RD Congo, i danni da essi causati a Kisangani».[13]

Il 3 settembre, durante un incontro all’ospedale di Panzi (Bukavu – Sud Kivu) con donne sopravvissute alle violenze sessuali, il Dott. Denis Mukwege ha annunciato un giorno di mobilitazione per  il 1° ottobre a Bukavu, al fine di chiedere l’istituzione di un tribunale speciale per processare gli autori dei gravi crimini commessi nella RD Congo: «Inviterò tutte le donne per il 1° ottobre, con il fine di chiedere giustizia per tutti i congolesi uccisi e violentati. Tutti questi stupri e uccisioni sono stati ripresi nel Rapporto Mapping, di cui distribuiremo copie a tutte le donne. Il mondo intero deve sapere che le donne congolesi chiedono la verità».
Egli ha spiegato il contenuto della manifestazione annunciata: «La verità che chiediamo non consiste nell’imprigionare le persone o nel vendicarsi. La verità che chiediamo significa che chiunque abbia sbagliato lo riconosca, chieda perdono e prometta di non rifarlo più. Questa è la verità. Chiediamo giustizia per riparare i mali commessi».
Il ginecologo congolese ha chiesto all’umanità di non restare indifferente a questa richiesta: «Per tutti i crimini commessi nel mondo, si sono istituiti dei tribunali penali internazionali per processarne gli autori. Perché non lo si è fatto per la RD Congo? Ora è il momento di chiedere che lo si faccia».[14]

4. IL PROGETTO DI GIUSTIZIA DI TRANSIZIONE IDEATO DAL GOVERNO CONGOLESE

La questione di una giustizia appropriata a tempi di post-conflitto e di transizione era già stata evocata in Consiglio dei ministri svoltosi all’inizio del mese di agosto. Due commissioni ministeriali erano state incaricate della preparazione del progetto di legge da presentare al governo.
Secondo il rapporto del Consiglio dei Ministri, «Per rimediare alla pesante eredità delle violazioni dei diritti umani commesse in situazioni di conflitti armati, il meccanismo di giustizia di transizione è uno degli strumenti in grado di contribuire alla lotta contro l’impunità degli autori di gravi crimini, di facilitare il riconoscimento e il risarcimento delle vittime. Tuttavia, oggi il Presidente della Repubblica constata che una mancanza di progressi per quanto riguarda il dossier relativo a questo progetto di giustizia di transizione, già sottoposto per analisi alle due commissioni interministeriali permanenti del Governo (quella incaricata per le leggi e i regolamenti, e quella incaricata per la politica, la sicurezza e la difesa ). Di conseguenza, il Capo dello Stato chiede ai Presidenti di dette Commissioni di sottoporre quanto prima al Consiglio dei ministri il suddetto dossier per esame ed eventuale approvazione».[15]

Da diversi mesi si stanno esaminando due progetti di decreti che, presto, dovrebbero essere presentati in Consiglio dei ministri.
Il primo progetto di decreto potrebbe consentire di creare una commissione nazionale per la giustizia di transizione e per la riconciliazione. Il suo comitato direttivo sarebbe composto principalmente da delegati dell’esecutivo: presidente, primo ministro e alcuni altri ministri. Il ministro per la tutela dei diritti umani ne sarebbe il coordinatore. Su 12 membri, solo tre apparterrebbero a organizzazioni congolesi per i diritti umani.
A livello locale, ci sarebbero anche delle commissioni operative per la giustizia di transizione e la riconciliazione, denominate “giurie operative”. Secondo i testi in discussione, il loro ruolo non sarebbe quello di giudicare e condannare gli autori dei crimini, ma piuttosto quello di cercare e far emergere la verità, valutare i risarcimenti dovuti, lavorare per la riconciliazione e per la prevenzione dei conflitti. Queste commissioni potrebbero essere costituite da “autorità tradizionali locali” designate dal ministro per i diritti umani, che potrebbe anche revocarle. Si noti che in questo progetto di decreto non vi è alcun riferimento ai crimini commessi durante le due guerre, né alcun limite di tempo.
Un secondo decreto potrebbe completare il primo. L’obiettivo dovrebbe essere quello di creare un fondo di risarcimento per le vittime di reati gravi. Secondo il testo in esame, il suo obiettivo sarebbe quello di cercare le risorse necessarie per finanziare il meccanismo di giustizia di transizione e che potrebbero essere fornite tramite il bilancio dello Stato, donatori o altre fonti pubbliche, FONER, FPI e il fondo minerario per le generazioni future, ecc. Questo fondo sarebbe gestito da una direzione generale e da un consiglio di amministrazione che potrebbe essere composto da delegati sia dell’esecutivo che delle ONG.[16]

[1] Cf https://www.paceperilcongo.it/2010/10/congo-attualita-n-116/
[2] Cf AFP – Paris, 26.08.’10; Reuter – L’Express, 26.08.’10
[3] Cf RFI – congoforum, 01.10.’10
[4] Cf Rencontres pour la Paix – France-Rwanda, 14.09.’10
[5] Cf Thomas Vampouille – Le Figaro 27/08/2010 ; B.A.W (avec AP et Reuters) Congo indépendant, 29.08.’10
[6] Cf AFP – Paris, 26.08.’10; Reuter – L’Express, 26.08.’10
[7] Cf https://www.paceperilcongo.it/2011/10/a-un-anno-dalla-pubblicazione-del-rapporto-mapping/
[8] Cf Jeune Afrique, 13.08.’10 ; Christophe Châtelot – Le Monde 26.08.’10 ; Raphaël de Benito – France-rwanda.info,  07.10.’10 http://www.france-rwanda.info/article-afrique-des-grands-lacs-un-appel-a-la-justice-pour-une-region-martyre-58528546.html
[9] Cf Didier Munsala B.- L’Observateur, 30.08.’10
[10] Cf AFP – Paris, 26.08.’10; Reuter – L’Express, 26.08.’10
[11] Cf Michelle FAUL – Associated Press – Musekera, 13/10/2010 (AP/MCN, via mediacongo.net)
[12] Cf https://monusco.unmissions.org/sites/default/files/bcnudh_-_communique_de_presse_-_tendances_au_premier_semestre_2020_0.pdf
[13] Cf https://www.youtube.com/watch?v=U0grn5Z6Kns
[14] Cf Justin Mwamba – Actualité.cd, 03.09.’20
[15] Cf Fonseca Mansianga – Actualité.cd, 31.08.’20
[16] Cf Sonia Rolley – RFI, 04.08.’20