Congo Attualità n. 400

I MASSACRI SUL TERRITORIO DI BENI: VIOLENZA POLITICA, DISSIMULAZIONE E COOPTAZIONE

Gruppo di Ricerca sul Congo (GEC)
Rapporto investigativo n. 2 (1ª parte)
Settembre 2017[1]

INDICE

1. INTRODUZIONE
2. I LEGAMI TRA LE ADF / NALU, LE MILIZIE LOCALI E LA POLITICA SUL TERRITORIO DI BENI (1980-2010)
a. L’integrazione politica delle ADF / NALU (1980-1997)
b. La seconda guerra del Congo (1998-2003
i. La collaborazione militare tra il RCD / K-ML e le ADF / NALU
c. L’intreccio delle varie reti militari nel periodo post-conflitto (2003-2010)
i. Le relazioni dell’ex-APC con le ADF / NALU
ii. L’attacco di Nyaleke (aprile 2010): ex APC, milizia Mayangose e ADF
iii. L’utilizzazione del denominativo delle “ADF”
iv. La retorica di reclutamento dell’ex-APC
v. Operazione “Safisha Ruwenzori”
3. I MASSACRI DI BENI DAL 2013 AL 2015
a. Panoramica generale
b. Il ruolo delle ADF all’interno di una vasta rete di coalizioni atipiche
c. I responsabili dei massacri
i. I “primi motori”
ii. I “secondi motori”

1. INTRODUZIONE

Questo rapporto presenta l’evoluzione dei massacri commessi a Beni (Nord Kivu) e la dinamica delle strategie adottate dai gruppi armati che vi hanno partecipato. L’identificazione degli autori dei massacri esige, prima di tutto, la comprensione di una serie di strategie che sono state spesso trascurate.
Seguendo la lunga storia di militarizzazione dell’Est della Repubblica Democratica del Congo (RD Congo), ci si accorge che, tra i gruppi armati congolesi, le alleanze possono cambiare bruscamente, qualora dei rivali vengano sconfitti o ne appaiano di nuovi, spesso indipendentemente da qualsiasi tipo di ideologia o di nozione di lealtà. I protagonisti del conflitto preferiscono spesso patteggiare o cooperare con i loro rivali, piuttosto che sconfiggerli militarmente, anche quando questo implichi un caro prezzo per la popolazione locale.
La formazione di coalizioni opportunistiche e l’esistenza di legami tra gruppi armati ed esercito nazionale sono alcuni elementi molto utili per comprendere i conflitti in corso non solo a Beni, ma anche in altre parti della RD Congo.
Questo rapporto presenta la dinamica e i protagonisti del conflitto nel territorio di Beni. Estendendosi lungo la frontiera tra la RD Congo e l’Uganda, Beni e l’adiacente territorio di Lubero compongono il Grande Nord della provincia del Nord Kivu. Durante la seconda guerra del Congo (1998 – 2003), questa zona fu la base operativa del Raggruppamento Congolese per la Democrazia / Kisangani – Movimento di Liberazione (RCD / K-ML) e del suo ramo armato, l’Esercito Popolare Congolese (APC).
Il territorio di Beni è tristemente conosciuto per una lunga serie di massacri ufficialmente attribuiti a un gruppo armato straniero, di origine ugandese, che ha cercato rifugio sul suo territorio sin dai primi anni 1990: le Forze Democratiche Alleate (ADF).
Quasi tutti i rapporti sulle ADF riportano gli elementi del loro profondo radicamento nella società locale congolese, tra cui l’alta percentuale di combattenti congolesi, l’esistenza di accordi commerciali con agenti e capi locali, i matrimoni misti con membri della popolazione locale e i legami di collaborazione con altri gruppi armati congolesi.
Tuttavia, il mito delle ADF come attore puramente esterno e straniero rimane ancora oggi intatto, alimentato dalle origini islamiche del gruppo e dal suo stile di riservatezza – segretezza per quanto riguarda le sue rivendicazioni.
Le affermazioni fabbricate a proposito delle connessioni delle ADF con reti terroristiche jihadiste internazionali hanno rafforzato questa immagine che, nello stesso tempo, è servita da utile schermo per altri attori armati locali, per distogliere l’attenzione dalle fonti e cause interne delle violenze.
Vari rapporti sottolineano che le ADF sono un gruppo armato pericoloso che ha svolto un ruolo importante nei massacri di Beni. Tuttavia, le ADF agiscono in un ambito conflittuale più ampio, in cui operano a fianco di altri gruppi armati.

2. I LEGAMI TRA LE ADF / NALU, LE MILIZIE LOCALI E LA POLITICA SUL TERRITORIO DI BENI (1980-2010)

Le dinamiche che hanno dato origine ai massacri sono profondamente radicate nel passato.
Questa sezione traccia l’evoluzione della strategia armata che, sul territorio di Beni, unisce le ADF, le milizie locali e i membri dell’ex-APC, attraverso relazioni fluide ma persistenti. Comprendere questo passato aiuta a chiarire gli aspetti sconcertanti dei massacri, come l’utilizzazione del logo “ADF” da parte di diversi gruppi armati congolesi e i collegamenti tra i diversi gruppi armati nella realizzazione di attacchi e massacri organizzati congiuntamente.

a. L’integrazione politica delle ADF / NALU (1980-1997)

Beni occupa un posto critico nella regione, in quanto città prospera e base di numerosi gruppi armati. È il punto di accesso a gran parte del commercio con l’Africa orientale. I suoi dintorni forniscono grandi quantità di legname, oro e olio di palma per i mercati regionali.
Nello stesso tempo, sin dagli anni 1980, le montagne del Ruwenzori hanno ospitato ribellioni di entrambi i lati della frontiera tra Congo e Uganda. Questi gruppi armati, in particolare le ADF, hanno stretto forti legami con le élite politiche, le autorità tradizionali locali e i diversi gruppi etnici di Beni.
Se in questa regione ci sono state ribellioni armate risalenti al periodo coloniale, l’incrocio tra politica e movimenti ribelli è stato in gran parte forgiato sotto il regime del presidente Mobutu Sese Seko. Nella sua ricerca di influenza politica nella regione dell’Africa orientale, Mobutu offrì un rifugio sicuro a varie ribellioni dell’Africa dell’est.
Tra esse, l’Esercito Nazionale per la Liberazione dell’Uganda (NALU), creato nel 1986 con l’obiettivo di rovesciare il governo ugandese. Ben presto, il NALU arrivò sul territorio di Beni e si stabilì presso la frontiera, ai piedi delle montagne del Ruwenzori.
Mobutu appoggiò il NALU come mezzo per mantenere un certo controllo sul suo omologo ugandese Joweri Museveni e, per farlo, si servì della principale figura politica di Beni, Enoch Muvingi Nyamwisi.
Membro dell’etnia Nande, ai piedi del Ruwenzori, Enoch Nyamwisi ha ricoperto una serie di incarichi ministeriali nei governi di Mobutu e guidava il partito politico della Democrazia Cristiana e Federalista / Nyamwisi (DCF / N). Enoch era in relazione con una milizia locale di Kasindi, implicata in traffici commerciali transfrontalieri di legname, oro e avorio. Questa milizia era inizialmente appoggiata dall’Uganda per destabilizzare il NALU.
Prefigurando lo schema delle alleanze opportunistiche diventato poi comune in seguito, Mobutu ha usato la milizia di Kasindi per rafforzare il reclutamento di nuove leve a favore del NALU, con l’apparente aiuto di Enoch Nyamwisi.
Anche i legami etnici con le popolazioni di Beni hanno facilitato l’integrazione del NALU nella società locale congolese. Il NALU fu, in un certo senso, il successore di una precedente ribellione ugandese denominata Rwenzururu, il cui scopo era quello di ripristinare il potere tradizionale delle comunità Bakonjo e Baamba. Questi due gruppi etnici ugandesi sono imparentati con le rispettive comunità Nande e Talinga del Congo, condividendo la stessa lingua e la medesima cultura.
Nel 1995, a Beni arrivò un’altra ribellione ugandese, le Forze Democratiche Alleate (ADF), nata da una disputa all’interno della comunità musulmana ugandese. Le ADF erano composte da membri della setta musulmana Tabliq e da ufficiali militari rimasti fedeli al precedente presidente ugandese Idi Amin, deposto dal suo successore Museveni. Le ADF furono rapidamente espulse dall’Uganda verso il Congo, dove si fusero con il NALU, dando origine a un nuovo gruppo: le ADF / NALU. (Il ramo NALU delle ADF / NALU si sciolse nel 2007, ma gli abitanti di Beni usano ancora “ADF” e “NALU” in modo intercambiabile). Sotto il patrocinio di Mobutu, le ADF / NALU usufruivano di una certa libertà, il che permetteva loro di reclutare apertamente nuove leve e di rifornirsi di viveri, armi e di altri beni di prima necessità. I loro membri hanno contratto matrimoni e stabilito legami commerciali con membri della popolazione locale.
Le alleanze politiche cambiarono quando il regime di Mobutu si sgretolò alla fine della prima guerra del Congo (1996-97). L’esercito ugandese invase il nord-est del Congo e iniziò a prendere di mira le posizioni delle ADF / NALU. Sotto pressione, le ADF / NALU hanno aumentato la loro dipendenza dagli appoggi locali. Parte delle loro truppe si rifugiarono nel raggruppamento di Bambuba-Kisiki, nel nord del territorio di Beni, trasferendo alcune loro basi dalle zone in cui i Nande erano predominanti verso altre zone sottoposte all’autorità tradizionale dei Vuba.
Questi spostamenti hanno rafforzato i legami tra le ADF / NALU, le minoranze etniche di Beni e i politici Nande.
Mateso Bwanadeke è un esempio di questo equilibrio. Membro dell’etnia Vuba, originario di Kisiki, Mateso era amico di Enoch Nyamwisi e membro del suo partito DCF / N. Egli appoggiò la DCF / N a Bambuba-Kisiki, ma difese tenacemente anche gli interessi della comunità Vuba, le cui terre venivano sempre più acquistate da migranti Nande provenienti dal territorio di Lubero. Mateso ha contribuito a integrare le ADF / NALU nel territorio di Bambuba-Kisiki e ha usato i suoi legami familiari con i capi della zona, per presentare le ADF / NALU ai leader Vuba e per reclutare nuove truppe. Secondo le autorità locali, la sorella di Mateso sarebbe sposata con un membro della famiglia dell’ex presidente ugandese Idi Amin, alcuni ufficiali militari del quale si erano integrati nelle ADF. Inoltre, il figlio di Mateso, Winny Bwanadeke, è diventato in seguito il comandante congolese più graduato nelle ADF / NALU, facendo leva proprio sui suoi legami familiari con le comunità Vuba e Batalinga per reclutare nuove leve e per ottenere informazioni.
Nello stesso modo, gli abitanti del raggruppamento di Bambuba-Kisiki ritengono che Feza, ufficiale delle ADF / NALU, abbia dei legami familiari con membri del loro raggruppamento e lo trattano come un autoctono (Feza è comunemente presentato come un membro della famiglia di Mateso e Winny, sebbene non si sia potuto confermare questa relazione). In questo contesto, Feza è diventato localmente noto come capo dei combattenti Vuba nelle ADF.
Altri comandanti ADF / NALU, come Braida, si sono in seguito sposati con donne appartenenti a  famiglie dei capi Vuba.

I legami sociali delle ADF / NALU con i vari gruppi etnici di Beni
                                             NALU
fusione
                ADF
RUWENZURU
Milizia KASINDIËN
Via Enoch Nyamwisi
VUBA
Raggruppamento
Bambuba Kisiki
TANGI
Settore
Beni Mbau
BAKONDIO
Cugini ugandesi dei NANDE congolesi
Settore Rwenzori
BAHAMBA
Cugini ugandesi dei TALINGA Congolesi
Distretto  Batalinga

In seguito a questo intreccio di relazioni, da una parte, molti combattenti Vuba sono entrati a far parte delle ADF / NALU e, dall’altra, le ADF / NALU acquistarono terre per i loro campi base dai capi Vuba e collaborarono con loro nel commercio di oro e legname.
Questi rapporti hanno procurato dei vantaggi a tutte le parti, permettendo ai capi Vuba di chiedere l’intervento delle ADF / NALU per intimidire i migranti Nande e alle ADF / NALU di tirar profitto dai conflitti locali.
Questo intreccio di legami sociali tra le ADF / NALU e i vari gruppi etnici di Beni si sono rivelati fondamentali per la sopravvivenza delle ADF / NALU, consentendo loro di riattivarsi dopo le successive operazioni militari intraprese contro di esse. D’altra parte, questi legami hanno fatto sì che la comunità maggioritaria di Beni, i Nande, mantenesse buoni rapporti con le minoranze che collaboravano con le ADF / NALU, tra cui i Vuba, i Batangi, i Batalinga e i Bapakombe.

b. La seconda guerra del Congo (1998-2003)

Durante la seconda guerra del Congo (1998-2003), a Beni apparve una nuova ribellione guidata, in gran parte, dalle élite Nande locali: il Raggruppamento Congolese per la Democrazia / Kisangani – Movimento di Liberazione (RCD / K-ML). La ribellione si è formata come una fazione dissidente, inizialmente appoggiata dall’Uganda, del Raggruppamento Congolese per la Democrazia (RCD). Mbusa Nyamwisi, fratello minore di Enoch Nyamwisi (ucciso nel 1993), ne divenne presidente nel 2000, prendendo la guida del partito come principale leader politico del Grande Nord del Nord Kivu. Il RCD / K-ML era dotato di un ramo militare, l’Esercito Patriottico Congolese (APC).

i. La collaborazione militare tra il RCD / K-ML e le ADF / NALU

La seconda guerra costituì un momento difficile per le ADF / NALU. L’esercito ugandese aveva dispiegato un gran numero di truppe in Congo. Aveva intrapreso l’Operazione Mountain Sweep contro di esse nel 1999 e le aveva attaccate lungo la frontiera tra Congo e Uganda nel 2000.
Nel frattempo, le relazioni del RCD / K-ML con l’Uganda si erano deteriorate, il che provocò frequenti tensioni tra Mbusa Nyamwisi e il governo di Kampala.
Questa situazione ha favorito la collaborazione tra e il RCD / K-ML e le ADF / NALU. Durante la ribellione, il RCD / K-ML ha fornito uniformi alle ADF / NALU, per farle apparire come un gruppo armato congolese agli occhi delle truppe ugandesi presenti in Congo.
I due gruppi, il RCD / K-ML e le ADF / NALU, hanno istituito un campo base comune a Kikingi (Watalinga), dove le ADF / NALU  addestravano i combattenti dell’Esercito Popolare del Congo (APC), ramo militare del RCD / K-ML. Secondo le autorità del Parco Nazionale dei Virunga, anche nel campo base delle ADF / NALU situato a Mwalika c’erano dei militari dell’APC, normalmente associati alle ADF / NALU.
La collaborazione comprendeva anche alcune operazioni congiunte. Un caso si è verificato nel 2001, quando l’Uganda tentò di unire il RCD / K-ML ad un altro gruppo ribelle congolese, il Movimento per la Liberazione del Congo (MLC), anch’esso appoggiato dall’Uganda.
La fusione avrebbe dato il sopravvento al MLC. Come reazione, il RCD / K-ML ha chiesto l’appoggio delle ADF / NALU per attaccare il MLC, allontanarlo da Beni e garantire il controllo di Mbusa Nyamwisi sulla zona. International Crisis Group ha confermato che, nel 2001, il RCD / K-ML aveva stretto un’alleanza con le ADF / NALU.
Le ADF / NALU hanno appoggiato il RCD / K-ML anche in battaglie contro le milizie rivali.
Durante la seconda guerra, l’APC ha reclutato nuove leve dalle ADF / NALU e viceversa.
Alcuni comandanti dell’APC hanno affermato che l’obiettivo del loro rapporto con le ADF / NALU era quello di infiltrarsi nel gruppo per raccogliere informazioni su di esso. Personaggi chiave dell’intelligence dell’APC, come Samuel Birotsho, avrebbero svolto tale ruolo, mentre Frank Kakolele Bwambale avrebbe avuto un ruolo importante come interlocutore tra l’APC e le ADF / NALU, fornendo loro delle uniformi dell’esercito nazionale.
Quando il RCD / K-ML, a predominanza Nande,  ha preso il controllo su Beni, i membri della comunità Vuba si sono uniti ad altre comunità minoritarie aventi una storia comune di emarginazione e hanno formato una loro milizia, per garantirsi l’accesso alle terre e a dei posti influenti dell’amministrazione (incluso nelle scuole, nelle chiese e negli ospedali).
Durante il periodo della dominazione del RCD / K-ML a Beni (2000-2003), queste comunità etniche minoritarie, tra cui i Vuba, che si ritenevano anch’esse “originarie” di Beni, hanno fatto pressione sul RCD / K-ML e si sono attivate, mediante la loro milizia, per rivendicare una loro partecipazione al potere politico che era ormai monopolizzato dai Nande e per ricuperare quelle terre che dei migranti Nande provenienti dal vicino territorio di Lubero avevano comprato, diventando, in alcune zone, i maggiori proprietari terrieri. Ciò è stato particolarmente vero nel caso di Bambuba-Kisiki, dove i terreni potevano essere acquistati a prezzi molto bassi.
Benché il RCD / K-ML fosse a predominanza Nande, l’opportunismo politico ha prevalso sulle agende etniche. Per tentare di risolvere il conflitto Vuba / migranti Nande di Lubero, Mbusa Nyamwiisi, che è Nande ed è cresciuto principalmente nel territorio di Beni, ha adottato la strategia delle alleanze opportuniste, coltivando dei legami con i leader della comunità Vuba e appoggiando la chiesa protestante di Oicha, che è strettamente legata all’identità etnica dei Vuba. Mbusa Nyamwisi ha rafforzato la sua base fornendo addestramento militare e uniformi ai capi delle minoranze etniche di Beni, tra cui i Vuba, con cui le ADF / NALU avevano già stretto dei legami. Un membro della milizia Vuba ricorda: «i dirigenti che hanno formato la milizia dei Vuba erano dell’APC. Mbusa Nyamwisi ha formato i membri di questa milizia per arrivare al potere».
Il RCD / K-ML ha organizzato anche attività di contrabbando in collaborazione con alcune autorità locali. Un commerciante di legname ricorda: «Durante il periodo del RCD / K-ML, ho tagliato alberi per il colonnello APC Hilaire Kombi … Durante quel periodo, a Bambuba-Kisiki, quasi tutti gli ufficiali del RCD / K-ML erano implicati nel commercio del legname».
Il contrabbando ha inoltre rafforzato il rapporto dell’APC con le ADF / NALU. Per le sue attività di commercio del legname, Frank Kakolele Bwambale acquistò dei terreni a Tchuchubo e, durante la guerra, egli si procurò dei combattenti delle ADF/NALU, con il pretesto che avrebbero tagliato degli alberi nelle sue concessioni. In realtà contribuì a costruire dei campi base per le ADF / NALU e ad aprire delle rotte di contrabbando che collegavano l’APC, i capi Vuba e le ADF / NALU. Un capo Vuba ha dichiarato di aver fornito personalmente a Kakolele una concessione di legname, precisando che «Kakolele vi si recava con uomini armati. Curiosamente, quei terreni sono poi diventati un campo base delle ADF /NALU».

c. L’intreccio delle varie reti militari nel periodo post-conflitto (2003-2010)

Verso la fine della seconda guerra del Congo, il RCD / K-ML cambiò strategia, alleandosi con il presidente Joseph Kabila nel 2002, con grande sgomento dei suoi ex alleati ugandesi. L’alleanza con Kinshasa ha fornito al RCD / K-ML un suo spazio nel nuovo governo di transizione (2003-2006). Il RCD / K-ML si trasformò in partito politico e Mbusa Nyamwisi fu nominato ministro della cooperazione regionale (2003-2006) e successivamente ministro degli esteri (2007-2010). Vari altri membri del RCD / K-ML furono integrati nella vita politica del Paese e nel governo. Anche se il RCD-K / ML era diventato un partito politico, aveva però mantenuto una sua sfera di influenza militare ed economica.
La riunificazione politica del paese mirava a integrare le truppe dei principali belligeranti nell’esercito nazionale. Di conseguenza, l’APC si sciolse e le sue truppe furono integrate nell’esercito regolare e vari ufficiali dell’ormai ex-APC hanno ottenuto posti importanti nei servizi di intelligence militare.
Tuttavia,  alcuni ufficiali dell’esercito nazionale provenienti dall’ex-APC, temendo che la loro smobilitazione potesse compromettere  i loro interessi economici e politici, conservarono dei loro nascondigli di armi.
Dei comandanti dell’esercito nazionale provenienti dall’ex-APC hanno continuato ad avere dei legami con i gruppi armati alleati, le milizie e le autorità locali. Gli ex-APC hanno continuato ad appoggiare i loro fedelissimi, nominandoli a numerosi posti dell’amministrazione, soprattutto presso gli uffici della dogana di Kasindi, al confine con l’Uganda, dove gli agenti doganali hanno continuato a favorire il contrabbando di armi e munizioni.
Uno studio sul traffico delle armi ha rivelato «evidenti indicazioni sull’implicazione di una rete di ufficiali dell’esercito provenienti dall’ex-APC e di autorità civili nel traffico d’armi, dall’Uganda verso Beni attraverso la frontiera di Kasindi, anche durante il governo di transizione». Secondo certi documenti conservati negli archivi governativi, nel 2005, le filiali dell’ufficio doganale di OFIDA a Beni collaboravano ancora apertamente con il RCD / K-ML.
Alcuni capi locali fungevano da intermediari per vari comandanti dell’esercito provenienti dall’ex-APC, sorvegliando  i loro nascondigli di armi o gestendone i combattenti che erano rimasti ancora attivi a Beni. Un capo locale di spicco ha ammesso senza mezzi termini: «le armi che il generale ugandese James Kazini vendeva a Mbusa Nyamwisi, anche dopo la riunificazione del Paese, sono passate attraverso di me». La milizia dei Bapakombe rimase un importante alleato dell’ex-APC. Un’autorità locale ha affermato che «gli ufficiali dell’esercito provenienti dall’ex-APC conoscevano molto bene la foresta di Mayangose, che serviva da nascondiglio sicuro quando il loro leader si trovava in difficoltà».
Nello stesso tempo, molti altri militari dell’ex-APC rimasero a Beni. Un ufficiale dell’esercito proveniente dall’ex-APC ha dichiarato che, «dopo la riunificazione del Paese, non tutti si sono integrati nella vita politica del paese o nell’esercito nazionale. Una parte si è alleata con il governo. Un’altra parte è rimasta sul posto come combattenti “smobilitati” inseriti nella vita sociale come gli altri civili. Altri facevano parte di un gruppo di nazionalisti che non accettarono di essere smobilitati, ma rimasero in città come miliziani di riserva … Io stesso ero un maggiore in riserva. Siamo rimasti in città, senza essere disturbati, perché l’intero governo [di Beni] appoggiava il RCD-K / ML».
Vari soldati dell’ex-APC continuarono ad essere dei combattenti attivi al di fuori dell’esercito. L’ufficio della MONUSCO di Beni ha rilevato che, durante il governo di transizione, alcuni ex-APC rimasero attivi nella valle del Semuliki. Come spiegato da un ex-APC, «al momento dell’integrazione nell’esercito nazionale, alcuni soldati dell’ex-APC non hanno lasciato [la foresta], dove rimasero un battaglione e una brigata». Un decennio più tardi, la MONUSCO notava che, a Beni, circa 1.000 combattenti dell’ex-APC continuavano ad essere ancora una fonte persistente di insicurezza. Anche il Gruppo Internazionale di Crisi ha fatto notare che, durante il governo di transizione, «Nyamwisi ha mantenuto il controllo sulle sue truppe stanziate nella regione di Beni-Lubero, al confine con l’Uganda».
Delle catene di comando parallele collegavano gli ex-APC integrati nell’esercito nazionale con quelli non integrati. Alcuni ufficiali ex-APC integrati nell’esercito nazionale ma rimasti a Beni, come Samuel Birotsho, rimasero in contatto con i combattenti “smobilitati”. Un ufficiale dell’ex-APC ha dichiarato: «In occasione della riunificazione del paese, ho optato per la smobilitazione, ma ho continuato a lavorare sotto un’altra forma … Data la mia esperienza, ho continuato a collaborare con Birotsho per i servizi di intelligence. Alcuni comandanti delle ADF, come Feza e Baluku, hanno collaborato con me». Come suggerito da questa citazione, per preservare la sua sfera di influenza sul territorio, l’ex-APC si è rivolto alle ADF.

i. Le relazioni dell’ex-APC con le ADF / NALU

La seconda guerra del Congo (1998 – 2003) aveva indebolito le ADF / NALU. Le operazioni militari ugandesi avevano ridotto il gruppo a poche centinaia di combattenti e l’organizzazione aveva perso la capacità di effettuare attacchi in Uganda. Le ADF / NALU si sono quindi trasformate da un’organizzazione che voleva prendere il potere in Uganda in un’organizzazione volta alla propria sopravvivenza in RD Congo, profondamente implicata nel traffico commerciale di contrabbando e retta da una versione radicale dell’Islam, capace di mantenere determinati codici comportamentali all’interno dei suoi campi base. Secondo un ex comandante delle ADF, «nel 2003, le ADF si resero conto che, [contro il governo ugandese], stavano combattendo una battaglia persa. E iniziarono a combattere in nome della jihad».
Tuttavia, quando le ADF / NALU cominciarono a riorganizzarsi, lo fecero principalmente attraverso il reclutamento di combattenti congolesi, il che trasformò le connotazioni demografiche del gruppo che, nel 2007, era ormai composto da un 60 % circa di combattenti congolesi. Alla morte del capo Yusuf Kabanda, Musa Baluku subentrò come comandante della componente militare, ma sempre sotto l’autorità di Jamil Mukulu, che spesso  era all’estero.
A proposito delle relazioni di collaborazione tra l’ex-APC e le ADF / NALU dopo la fine della seconda guerra, un membro dell’ex-APC ha dichiarato: «Alcuni combattenti ex-APC furono mandati in un campo base delle ADF, per essere formati in vista della creazione di un nuovo gruppo». Da parte loro, le ADF li accettarono, ma con un obiettivo diverso, che era quello di avere un ramo congolese. Un comandante delle ADF / NALU, Winny, ha ricordato di aver collaborato con dei combattenti ex-APC nel 2004 e ha dichiarato che, alla fine della guerra, Mbusa Nyamwisi aveva lasciato loro alcune armi.
Nel mese di dicembre 2005, l’esercito congolese e la Monusco hanno, per la prima volta, avviato delle operazioni militari congiunte (Keba I) contro le ADF / NALU, spingendole in gran parte fuori dai loro campi base situati sui monti Ruwenzori, costringendole ad attraversare il fiume Semliki e a ritirarsi verso Eringeti. Osservatori militari delle Nazioni Unite hanno notato che, durante questa operazione, le ADF / NALU si divisero in due gruppi, gli Ugandesi e i Congolesi.
Le relazioni dell’ex-APC con le ADF / NALU sono state condizionate anche dalla politica nazionale. Un momento chiave sono state le elezioni del 2006, nelle quali Mbusa Nyamwisi si era candidato alle presidenziali, ma senza  successo. Questa sconfitta elettorale ha indotto molti militari provenienti dall’ex-APC a disertare l’esercito nazionale in cui erano stati integrati.  Il gruppo di esperti dell’Onu ha potuto costatare che, in quel periodo, Antipas Mbusa Nyamwisi e il generale Frank Kakolele Bwambale mandarono vari combattenti in un campo base  delle ADF / NALU situato nella foresta di Mwalika, Un alto funzionario delle Nazioni Unite, che in quell’epoca lavorava a Beni, osservò che alcuni ex-APC che non si erano integrati nell’esercito si “mimetizzavano” in tenuta ADF / NALU.
Ancora oggi, vari comandanti dell’esercito provenienti dall’ex-APC ricordano questo periodo post-conflitto con dichiarazioni del genere: “Ero un ex-APC e facevo parte anche delle ADF”. Ufficiali e combattenti ex-APC hanno dichiarato di aver intrattenuto delle relazioni con ufficiali delle ADF, tra cui Baluku e Feza (rispettivamente ora capo principale del gruppo e comandante superiore delle operazioni).
Benché sconfitto alle elezioni presidenziali del 2006, Mbusa Nyamwisi fu nominato ministro degli Esteri nel 2007. Almeno tre fonti diverse – un combattente ex-APC, un membro del RCD / K-ML e un comandante delle FARDC – hanno dichiarato che, anche da ministro, Mbusa Nyamwisi ha contribuito a rafforzare le relazioni tra l’ex-APC e le ADF / NALU.
Molte persone affermano che Mbusa Nyamwisi è ancora in contatto con le ADF, tuttavia non si sono trovate prove dirette per confermare o smentire tale informazione.
Le relazioni dell’ex-APC con le ADF / NALU si sono estese anche al traffico commerciale. Come ha affermato Romkema nel 2007, «lo sfruttamento illegale delle risorse minerarie nella regione di Beni-Butembo e in alcune parti del Sud Ituri è diventato oggetto di collaborazione tra uomini d’affari locali, ex leader del RCD / K-ML e ribelli ugandesi ADF».
Nel 2007, il ramo NALU delle ADF / NALU firmò un accordo di smobilitazione con Kampala e Jamil Mukulu subentrò come principale leader del gruppo. Rimasto solo, il ramo ADF iniziò dei negoziati con Kampala, ma l’emergere della ribellione del Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo (CNDP) nell’est del Congo bloccò i colloqui.
Le ADF furono ulteriormente indebolite poiché, nelle operazioni militari contro di loro, l’esercito ugandese iniziò a usare ex ufficiali del NALU.

ii. L’attacco di Nyaleke (aprile 2010): ex APC, milizia Mayangose e ADF

Prima delle elezioni nazionali del 2011, Mbusa Nyamwisi abbandonò la coalizione governativa del presidente Kabila e raggiunse l’opposizione politica.
Come nel ciclo elettorale del 2006, il RCD / K-ML condusse una grande campagna di diserzione dall’esercito nazionale. Un ufficiale dell’esercito proveniente dall’ex-APC ha raccontato: «Nel 2010, prima delle elezioni del 2011, il RCD / K-ML ha sollecitato i militari ex-APC a disertare l’esercito nazionale in cui erano stati precedentemente integrati».
A Beni, il clima di insicurezza è aumentato in aprile 2010, dopo un incontro organizzato a Kampala, in cui hanno partecipato dei dirigenti del RCD / K-ML, per pianificare una nuova ribellione.
In questo contesto, l’attacco contro la base militare di Nyaleke, in aprile 2010, conferma la persistenza di oscuri legami tra le reti ex-APC, le milizie locali e le ADF.  Esso dimostra anche che gli elementi chiave dei successivi massacri (gruppi misti di combattenti e relazioni con misteriosi collaboratori) erano già presenti.
Nell’attacco di Nyaleke furono uccise circa 26 persone, tra cui donne, bambini e guardie del parco nazionale dei Virunga. Due ufficiali dell’esercito provenienti dall’ex-APC (Kakolele e Birotsho) integrati nell’esercito nazionale (FARDC) hanno fornito un appoggio dietro le quinte, mentre un ex ufficiale dell’APC (Kava wa Seli) ha fornito una collaborazione visibile, chiedendo l’intervento dei “Mai-Mai Mayangose” (la milizia di un capo locale suo alleato, Mbonguma Kitobi) e ottenendo l’appoggio delle ADF.
L’ex capitano dell’APC Kava wa Seli che, in quel tempo, era il capo della Forza Ecumenica per la Liberazione del Congo (FOLC), ha chiesto la collaborazione dei Mai-Mai Mayangose, la milizia di Mbonguma Kitobi. Infatti, questi ultimi hanno fornito una parte delle forze che perpetrarono l’attacco di Nyaleke. Mbonguma Kitobi ha precisato: «Abbiamo fornito delle truppe combattenti a Kava wa Seli, in cambio di un nostro maggiore accesso alle terre del Parco nazionale dei Virunga».
L’attacco di Nyaleke rivela anche l’integrazione di un certo Adrian Loni nelle reti armate di Beni. Collaboratore di lunga data degli ex ufficiali dell’APC, Adrian è una figura fondamentale ma enigmatica delle successive violenze. Degli ufficiali dell’ex-APC integrati nell’esercito nazionale, tra cui Samuel Birotsho e Bwambale Kakolele, erano dei collaboratori permanenti di Adrian e, contemporaneamente, appoggiavano anche la milizia Mai-Mai Mayangose, fornendole delle armi per l’attacco in questione. Operando sotto lo pseudonimo di “Yesse” (o “Lesse”), Adrian aveva trascorso tre giorni a Nyaleke prima dell’attacco, presentandosi come membro delle FARDC alle dipendenze dell’ufficio di intelligence militare di Birotsho, ma servendo da “guida” per gli assalitori. Adrian collaborò direttamente con i capi e i comandanti della milizia di Mayangose, che si unirono alle truppe di Kava wa Seli per perpetrare l’attacco. International Crisis Group riferisce che, nell’attacco di Nyaleke, parteciparono anche le ADF.
Una simile confluenza di attori e di gruppi sarebbe comparsa anche nei successivi massacri di Beni commessi tre anni dopo.

iii. L’utilizzazione del denominativo delle “ADF”

Nel 2010, l’ex-APC e i suoi alleati hanno fatto di tutto per nascondere le loro identità. Una strategia era quella di utilizzare le ADF come copertura per le loro attività.
Nella città di Beni, dei membri della FOLC e dei comandanti della milizia Mayangose ​ divulgarono un foglio di minaccia che la MONUSCO riuscì a ricuperare. Invece di sottoscrivere tale minaccia con il nome di un gruppo armato congolese (FOLC o Mai-Mai Mayangose), l’ex APC e la milizia Mayangose la  firmarono sotto lo pseudonimo di “esercito [ADF] NALU nel territorio di Beni”. Tuttavia, il denominativo “ADF” contiene alcuni elementi di verità: prima dell’attacco di Nyaleke, Mbonguma e un vice capo locale avevano scambiato armi e attrezzature con le ADF e furono successivamente arrestati per questo.
Un fratello di Mbusa Nyamwisi, Edouard Batotsi Nyamwisi, ha contribuito ad organizzare una campagna di reclutamento a favore del RCD / K-ML, facendo leva sulla sua posizione di capo del settore Ruwenzori. Come spiega un collaboratore delle ADF, «Edouard Nyamwisi e il RCD / K-ML si erano accorti di aver perso dei posti all’interno del governo e volevano iniziare una nuova guerra … ma usavano il nome “NALU”. Non utilizzavano il proprio nome, perché non volevano essere riconosciuti. Se avessero dichiarato il loro vero nome, le loro attività sarebbero state rintracciate più facilmente». Un altro combattente ha dichiarato di aver agito, in quel tempo, come “intermediario” tra l’ex ufficiale APC Kava wa Seli, Edouard Nyamwisi e le ADF. L’obiettivo, afferma, era di “creare una nuova ribellione del [RCD] K-ML”.

iv. La retorica di reclutamento dell’ex-APC

Le attività di reclutamento da parte dell’ex-APC hanno fatto leva sui persistenti timori che gli autoctoni di Beni avessero perso ogni possibilità di influenza politica, in un momento in cui il RCD / K-ML aveva perso, anche a livello locale, molti posti politici, amministrativi e militari.
Un ufficiale dell’ex-APC ha spiegato: «si era constatato che tutti i posti amministrativi erano occupati da non originari del posto e si è creato una milizia».  Un appello di reclutamento, diffuso in maggio 2010 a Beni, illustra così la situazione: «I figli [originari] di Beni non occupano nemmeno il 10% dei posti di responsabilità negli uffici e nelle agenzie dello stato. Non possiamo tollerare simili sciocchezze. Da nessuna parte in questo paese gli autoctoni sono così minimizzati nella loro zona di origine. I Nande non occupano alcun posto di comando nelle imprese statali presenti sul propri territorio. Citiamo: OGEFREM, SONAS, INSS, BCDC, FARDC, PNC, DGI, OCC, D [GRAD], ANR, RVA, DGDA, DGRNK, FPI, OFFICE DES ROUTES, TITRES IMMOBLIERS, TRANSCOM, TOURISME, TRIPAIX, PARQUET, AUDITORAT E ALTRI. L’elenco non è esaustivo. Cari fratelli e sorelle, è tempo di agire, di liberarci».
Nell’ex-APC si nota un atteggiamento di duplicità: da una parte, proclama  di lavorare per conto dei “figli del territorio” e dei “nativi di Beni”, dall’altra, agisce sotto l’etichetta delle “ADF”.

v. Operazione “Safisha Ruwenzori”

Proprio nel momento in cui iniziava questa nuova attività di reclutamento, nel mese di giugno 2010, l’esercito nazionale congolese ha lanciato l’operazione “Safisha Ruwenzori” (Swahili, Pulizia Ruwenzori) contro le ADF. L’esercito riuscì a smantellare vari campi base delle ADF, indebolendo le loro vie di approvvigionamento, ma provocando dei contrattacchi attribuiti alle stesse ADF.
Le relazioni delle ADF con le comunità locali si deteriorarono, perché alcuni civili avevano collaborato con le FARDC come guide, ciò che provocò delle ritorsioni contro le popolazioni civili.
Altre fonti suggeriscono che l’Operazione Safisha Ruwenzori avesse degli obiettivi più ampi, tra cui quello di impedire la riattivazione del RCD / K-ML e dei suoi alleati iniziata nei mesi precedenti.
I servizi di intelligence delle Nazioni Unite presentano l’operazione Safisha Ruwenzori come “una dimostrazione di forza prima delle elezioni presidenziali congolesi del 2011”, in coincidenza con la candidatura di Mbusa Nyamwisi alle presidenziali.
International Crisis Group descrive l’operazione Ruwenzori come una risposta all’attacco congiunto di Nyaleke, perpetrato da milizie locali in collaborazione con le ADF poche settimane prima.

3. I MASSACRI DI BENI DAL 2013 AL 2016

a. Panoramica generale

Alcuni aspetti delle violenze commesse sul territorio di Beni sono relativamente chiari: quante persone sono state uccise, dove e quando. È molto più difficile identificarne gli autori e comprenderne le motivazioni.
Una prima ondata di sequestri e massacri è avvenuta tra il 2010 e il 2013.
I massacri iniziati nel territorio di Beni nel mese di ottobre 2014 costituiscono la seconda ondata di violenze. Tra ottobre 2014 e dicembre 2016 sono state uccise oltre 800 persone e altre 180.000 sono fuggite dai loro villaggi. I massacri più gravi sono avvenuti verso la fine del 2014 e la loro frequenza ha raggiunto il picco all’inizio del 2015.
In questo periodo, gli obiettivi degli attacchi sono leggermente cambiati, passando dalle popolazioni civili alle installazioni militari. Gli aggressori usavano soprattutto armi bianche e machete, benché alcuni usassero anche armi militari. Le vittime venivano spesso legate prima di essere uccise.
Nel mese di gennaio 2014, appoggiato dalla Missione dell’ONU (Monusco), l’esercito congolese aveva lanciato una grande offensiva contro le ADF, nota come Operazione Sukola I. Sia le ADF che le FARDC registrarono centinaia di vittime. Tuttavia, l’offensiva aveva privato le ADF delle sue principali roccaforti situate ai piedi del Ruwenzori e nella valle di Semliki.
Jamil Mukulu, il comandante delle ADF, lasciò il paese. Il gruppo si disperse in varie direzioni e molti suoi membri morirono di fame nel Parco Nazionale dei Virunga. Da parte dell’esercito congolese, i due primi comandanti dell’operazione Sukola I furono entrambi uccisi in circostanze misteriose. Fine agosto 2014, il generale Muhindo Akili Mundos fu nominato capo delle operazioni. Sotto il generale Mundos, le operazioni militari contro le ADF conobbero un certo rallentamento, ciò che provocò una nuova ondata di massacri.
Questa ondata è stata la più brutale nella storia recente di questo territorio. Poco a poco, l’epicentro dei massacri si e spostato verso nord, cioè verso il raggruppamento di Bambuba-Kisiki. Gli attacchi si sono quindi concentrati lungo la strada nazionale n. 4, che porta dalla città di Beni verso la provincia dell’Ituri. Mentre i massacri continuavano, gli abitanti fuggivano dalle loro case, lasciando i villaggi situati lungo la strada, a nord di Oicha, in gran parte vuoti.
In  seguito al sospetto di una sua implicazione negli attacchi, a metà 2015 il Generale Mundos fu trasferito da Beni a Mambasa, in Ituri. Alcune delle sue truppe furono inviate a Komanda, un po’ più a nord di Beni, dove si erano formati dei grandi campi di accoglienza per gli sfollati provenienti dal territorio di Beni. Il generale Marcel Mbangu Mashita subentrò alla direzione dell’operazione Sukola I in giugno 2015. Dopo il trasferimento di Mundos, le violenze furono più sporadiche e meno cruente.
La sequenza dei massacri commessi tra il 2013 e il 2016 è relativamente chiara. Tuttavia, l’identità dei loro mandanti ed esecutori è rimasta avvolta nel mistero. Ciò è insolito per l’est della RD Congo, dove i ricercatori sono stati generalmente in grado di identificare gli autori dei principali casi di violenza e i loro collaboratori. È chiaro che gli attori armati di Beni e dintorni hanno investito ingenti risorse per dissimulare le loro azioni e creare distrazioni.
Varie sono le cause di questa situazione di ambiguità, confusione e mancanza di chiarezza.
I mandanti e gli esecutori dei massacri temevano ritorsioni nel caso in cui avessero lasciato trapelare informazioni sui loro gruppi armati. I testimoni oculari avevano grandi difficoltà nell’identificare gli autori dei massacri, perché indossavano le tenute dei loro rivali o dei loro collaboratori, al fine di sviare l’attenzione. Alcuni portavano uniformi militari dell’esercito, altri indossavano abiti caratteristici dell’Islam o semplici uniformi mimetiche utilizzate anche da molti altri gruppi armati. Inoltre, gli assalitori parlavano lingue diverse, tra cui il Kiswahili, il kinyaruanda, il lingala, il kinande e diverse altre.

b. Il ruolo delle ADF all’interno di una vasta rete di coalizioni atipiche

Il governo congolese ha generalmente attribuito la responsabilità dei massacri di Beni alle ADF. Anche la comunità internazionale ha spesso adottato tale versione. In questo contesto, si è affermato che i massacri siano stati il frutto di una strategia delle ADF per rallentare la pressione dell’esercito congolese sui loro campi base, costringendolo a concentrarsi sui centri abitati per assicurare la protezione della popolazione locale e attirandolo, in tal modo, verso località distanti dai loro campi base.
Certamente le ADF hanno svolto un ruolo importante nel conflitto e hanno partecipato fin dall’inizio alla realizzazione dei massacri, con l’obiettivo di intimidire la popolazione locale, affinché non collaborasse con l’esercito regolare. Tuttavia, se si concentra l’attenzione esclusivamente sulle ADF, non si riesce a capire come abbiano potuto aver compiuto, da sole, tutti i massacri constatati, né si possono spiegare gli aspetti più sconcertanti delle violenze. Una focalizzazione esclusiva sulle ADF rischierebbe di far dimenticare che questo gruppo armato ugandese è presente nell’est della RD Congo sin dal 1995 e che ha stretto profondi legami con altri gruppi armati locali. Essa ignorerebbe anche un ricco corpus di prove (rapporti del governo congolese, della società civile e delle Nazioni Unite) relative alla partecipazione, nei massacri, di un’ampia varietà di attori.
Uno dei primi rapporti delle Nazioni Unite sui massacri di Beni aveva fatto notare che delle milizie locali operavano e uccidevano “sotto l’etichetta ADF”. Un altro rapporto dell’intelligence delle Nazioni Unite aveva identificato una «nuova rete di differenti gruppi armati costituita da miliziani ex- APC smobilitati, ugandesi, ex M23, tutsi e combattenti locali che erano diversi dalle ADF, ma che operavano in una possibile alleanza con esse».
Altri rapporti interni delle Nazioni Unite hanno sottolineato dei collegamenti delle ADF con dei gruppi armati locali, descrivendo le ADF come “il principale fornitore” o “l’accesso facilitato alle forniture di guerra” per alcuni gruppi armati Mayi Mayi congolesi. Questi documenti hanno rivelato l’esistenza di “relazioni delle ADF con politici congolesi dell’opposizione (Nyamwisi)” e di incontri tra comandanti dell’ex-APC, dell’ex M23 e delle ADF, per elaborare una “strategia comune (alleanza)”. Anche un’inchiesta parlamentare congolese ha evocato l’implicazione dell’esercito nazionale nella facilitazione degli attacchi e dei massacri.
Questi rapporti sottolineano la necessità di identificare l’intera gamma degli attori che possono aver partecipato alla realizzazione dei massacri e di prendere in considerazione le relazioni tra loro esistenti. I rapporti esistenti hanno dimostrato che gli autori dei massacri provenivano da diversi contesti linguistici, con una forte presenza di attori di lingua Kinyarwanda, il che indica l’esistenza di una rete di coalizioni. Si dovrebbe quindi cercare di capire quali siano le cause e le origini di questa composizione mista dei gruppi che hanno compiuto i massacri. Occorre tenere conto anche dei tempi in cui sono stati realizzati gli attacchi che, spesso, sono avvenuti quando la pressione delle FARDC sulle ADF era diminuita. Infine, è assolutamente necessario verificare la partecipazione di membri dell’esercito congolese non solo nella facilitazione, ma anche nell’organizzazione stessa dei massacri e cercarne le cause e le motivazioni.

c. I responsabili dei massacri

Se le ADF hanno partecipato a molti massacri, è tuttavia chiaro che vi hanno partecipato anche molti altri gruppi, a volte in collaborazione tra loro e altre volte in competizione tra loro.
I diversi rapporti esistenti hanno rivelato che i massacri iniziati nel 2013 sono stati compiuti da gruppi misti di combattenti e non da singoli gruppi aventi un determinato programma o obiettivo politico. Questi gruppi misti (reti) comprendono dei membri dell’ex-APC integrati nell’esercito congolese, delle milizie locali (i Mai-Mai Mayangose ​​e la milizia Vuba), dei combattenti ruandofoni e le ADF. Degli ufficiali dell’esercito responsabili dell’Operazione Sukola I hanno spesso facilitato lo spostamento degli assalitori e, in alcuni casi, organizzato dei massacri. L’esistenza di relazioni tra i diversi gruppi non implicava necessariamente un loro coordinamento, ma un’intensa interazione per fini individualmente opportunistici.
A un certo punto, tra metà e fine 2014, le forze governative hanno cominciato a collaborare con questi gruppi armati che organizzavano gli attacchi e i massacri. Invece di consegnare i colpevoli alla giustizia, sembra che esse abbiano cooptato questi gruppi armati, continuandone le violenze.
In questo contesto, tutte le parti hanno potuto beneficiare della possibilità di scaricare la responsabilità delle violenze su un’organizzazione islamica straniera, le ADF appunto.
Tuttavia, risulta estremamente difficile identificare chiaramente i capi di questi gruppi e stabilire in modo definitivo le responsabilità, soprattutto nell’assenza quasi totale di inchieste giudiziarie.
I vari attori si distinguevano in base ai loro diversi ruoli. C’erano i “primi motori” che avevano iniziato le violenze e i “secondi motori” che, a loro volta, hanno organizzato altri massacri in risposta a quelli organizzati dai primi motori. C’erano i capi che hanno dato gli ordini e i combattenti di grado inferiore che li hanno eseguiti. Sia i primi che i secondi hanno fatto ricorso a nuove reclute e ad intermediari locali. Tutto ciò non ha fatto che aumentare l’opacità delle violenze. In questo quadro, piuttosto che un attore remoto e straniero, le ADF si sono trovate profondamente radicate in una vasta rete di relazioni tra diversi gruppi armati.

i. I “primi motori”

Le ricerche dimostrano che le origini dei massacri non derivavano semplicemente da una reazione delle ADF nei confronti dell’operazione militare Sukola I, come spesso viene suggerito, ma dall’iniziativa di certi gruppi armati che, a Beni, tra il 2012 e il 2013, si erano mobilitati durante il periodo della ribellione del Movimento del 23 marzo (M23). L’iniziativa dei massacri fu presa, almeno in parte, da ufficiali dell’esercito provenienti dall’ex-APC che, in quel momento, dopo aver disertato, cercavano nuovi mezzi per salvaguardare la loro influenza nel Grande Nord del Nord Kivu. Non tutti gli ufficiali e combattenti dell’APC erano membri del gruppo denominato “ex APC”.  L’uso del termine “ex APC” non implica che tutti i leader dell’ex-APC e dell’RCD / K-ML siano stati membri di questo gruppo e responsabili delle sue azioni.
L’ex-APC aveva come obiettivo quello di rinforzare la sua influenza sugli affari economici e politici di Beni, tra cui le attività commercial e le nomine dei dirigenti dell’amministrazione locale.
L’ex-APC rivendicava legami reali o immaginari con il leader dell’RCD / K-ML, Mbusa Nyamwisi.
Il RCD / K-ML si era trasformato in partito politico nel 2003, durante il governo di transizione ma, ai margini, restava ancora una fitta rete di ex ufficiali e combattenti APC, appoggiati da autorità locali. Dal 2006 in poi, questa rete aveva intrapreso varie iniziative di protesta contro il potere politico ed economico di allora, ma era rimanendo strettamente integrata nel circuito economico della regione. Tra le persone implicate nel porre le basi delle violenze, c’erano Frank Kakolele Bwambale, il suo collaboratore di vecchia data, Adrian Loni, e Edouard Nyamwisi, in collaborazione con le ADF e altri gruppi armati.
I primi attacchi e massacri del 2013 erano stati perpetrati da gruppi misti composti da combattenti ex-APC e da membri delle ADF. I due gruppi si servivano di catene di reclutamento congiunte, effettuavano gli attacchi e i massacri insieme e, talvolta, convivevano nei medesimi campi base. I promotori dei primi massacri furono gli ex-APC, ma anche le ADF avevano i loro interessi: preservare le loro rotte commerciali e vendicarsi contro le FARDC.
Già nei primi massacri del 2013, era stata notata la presenza di persone ruandofone. Una possibile spiegazione della loro implicazione deriva da un’eventuale esistenza, in quel tempo, di rapporti tra le truppe dell’ex-APC e quelle dell’ex M23. Altre fonti provenienti dall’ex-APC menzionano la presenza, a Beni, di persone ruandofone che, provenienti dal Piccolo Nord del Nord Kivu, avrebbero partecipato agli attacchi di dicembre 2013. Essi sarebbero stati degli esecutori dei massacri più che dei mandanti.
Un ultimo gruppo di combattenti era fornito da autorità locali e milizie alleate, su cui gli ufficiali dell’ex-APC facevano spesso affidamento per il reclutamento di nuove leve e per l’acquisizione di armi.
Gli ex-APC hanno fatto ricorso, in particolare, alla milizia Mai-Mai Mayangose, per organizzare alcuni degli attacchi iniziali del 2014. La milizia Mai-Mai Mayangose, con sede a Boikene, una località della periferia della città di Beni, era inizialmente una milizia di agricoltori, sorta durante la seconda guerra del Congo, per rivendicare l’accesso ai terreni agricoli del vicino Parco Nazionale dei Virunga ma, nel 2009, il capo Mbonguma Kitobi ne prese il controllo, discostandosi da questi obiettivi originali. Da quel momento, il gruppo di Mbonguma ha lavorato in stretto contatto con ufficiali dell’ex-APC e con le ADF e, per le sue attività, a volte usava lo pseudonimo “ADF”, altre volte quello “NALU”.
Una seconda milizia era composta da combattenti provenienti dal gruppo minoritario Vuba (o Bambuba), del raggruppamento di Bambuba-Kisiki. Questa milizia operava in collaborazione con le ADF e, spesso, anche con la milizia dei Mai-Mai Mayangose, con l’obiettivo di garantire alle popolazioni autoctone l’accesso alla terra e di ottenere una diminuzione delle tasse.

ii. I “secondi motori”

Le reti filo-governative all’interno dell’esercito nazionale, in particolare la 31ª brigata militare dell’operazione Sukola I, hanno agito come “secondi motori” delle violenze.
La direzione dell’operazione militare Sukola I contro le ADF  ha cooptato dei gruppi armati preesistenti, con un possibile obiettivo di indebolire i gruppi dell’opposizione politica che, secondo essa, sarebbero stati i veri responsabili dei massacri in corso. Invece di porre fine alle violenze, questo approccio ha provocato ulteriori stragi.
Le figure chiave di questa strategia erano dei comandanti dell’esercito regolare (FARDC) che, nell’ambito dell’operazione Sukola I, avevano acquistato importanza quando il generale Mundos subentrò al comando dell’operazione in agosto 2014. Mundos e altri comandanti di Sukola I avevano reclutato dei combattenti per organizzare dei contrattacchi. Per farlo, essi hanno chiesto la collaborazione di alcuni capi locali di Beni e delle ADF.
Se è difficile conoscere l’esatto pensiero dei decisori, fonti vicine ad essi hanno affermato che la direzione militare dell’operazione Sukola I era più intenzionata a neutralizzare l’opposizione politica piuttosto che a porre fine alle violenze.
Fonti dell’ex-APC hanno ammesso che, in seguito all’affievolimento della sua capacità di mobilitazione, l’ex-APC ha cercato una nuova strategia per mantenere il controllo sul territorio e ha optato per la lotta armata, anche se ciò fosse andato a scapito della popolazione civile.
Alcuni comandanti dell’operazione Sukola I erano venuti a conoscenza di questi piani e organizzarono un contrattacco. I comandanti di Sukola I presero contatto con autorità locali e comandanti delle milizie alleate dell’ex-APC e si servirono dei loro combattenti per eseguire dei massacri, per poi arrestare i loro ex collaboratori per le violenze commesse.
Mentre Mundos assunse la guida di Sukola I, le nomine fatte all’interno dell’operazione Sukola I suggeriscono che Kinshasa mirava a infiltrarsi nelle reti dell’ex-APC e alleati. Un importante facilitatore di questa strategia è stato Adrian Loni (alias “Muhumuza” o “Yesse”).  Egli entrò nell’APC durante la seconda guerra congolese. Integrato nell’esercito nazionale, mantenne stretti rapporti con molti comandanti provenienti dall’ex-APC e con i capi tradizionali alleati dell’ex-APC.
Successivamente, Adrian fu nominato tenente colonnello nell’ambito dell’operazione Sukola I. Da questa posizione, egli ha organizzato vari attacchi e massacri.
In modo similare, un altro ufficiale dell’ex-APC strettamente coinvolto in vicende di gruppi armati e nei sequestri di persone compiuti nel 2013-2014, Muhindo Charles Lwanga, fu nominato ufficiale nell’operazione Sukola I, pur mantenendo dei legami con dei combattenti locali implicati nei massacri.
Quando Mundos fu trasferito da Beni a metà 2015, il colonnello “Tipi Ziro Ziro” facilitò gli attacchi, collaborando con autorità e combattenti Vuba. Le violenze di Bambuba-Kisiki
hanno avuto luogo, in parte, in un contesto etnico più delimitato, per ristabilire il controllo dei Vuba sui migranti Nande.
Questi ufficiali di Sukola I implicati nell’organizzazione di alcuni massacri hanno facilitato l’entrata di combattenti ruandofoni in questa zona.
Le ADF si sono inserite in queste reti di gruppi armati, servendosene in diverse occasioni, per trarne il maggior vantaggio possibile. In questo contesto, gli ufficiali delle ADF Feza, Baluku e Braida hanno avuto un ruolo importante nell’organizzazione e nell’esecuzione di molti attacchi.

[1] Cf http://congoresearchgroup.org/new-crg-investigative-report-mass-killings-in-beni-territory/?lang=fr