Congo Attualità n. 401

I MASSACRI SUL TERRITORIO DI BENI: VIOLENZA POLITICA, DISSIMULAZIONE E COOPTAZIONE

Gruppo di Ricerca sul Congo (GEC)
Rapporto investigativo n. 2 (2ª parte)
Settembre 2017[1]

INDICE

4. I MASSACRI DEL 2013: I “PRIMI MOTORI”
a. Gli antecedenti dei massacri: la mobilitazione dell’ex-APC durante la crisi M23 (2012-2013)
b. I massacri di Watalinga e Ruwenzori
c. La collaborazione dell’ex-APC con le ADF
d. La collaborazione tra l’ex-APC e certe autorità locali
e. L’implicazione di Ruandofoni
5. I MASSACRI DEL 2014-2016: I “SECONDI MOTORI”
a. Le due diverse ondate delle violenze: i piani dei “primi motori” e la reazione dei “secondi motori”
b. Le implicazioni e le motivazioni delle ADF
c. Le implicazioni e le motivazioni dell’ex-APC
d. I secondi motori: le FARDC hanno cooptato gruppi già esistenti
e. Le prove dell’implicazione delle FARDC nei massacri
f. Le cause dell’implicazione di Sukola I
g. La complicità tra certi ufficiali di Sukola I e le ADF

4. I MASSACRI DEL 2013: I “PRIMI MOTORI”

I massacri di Beni si sono basati sulle seguenti dinamiche già preesistenti:
– un gruppo di ufficiali dell’ex-APC cercava di conservare il controllo sul territorio,
– alcuni capi locali volevano recuperare terre e autorità che temevano di aver perduto,
– il gruppo delle ADF cercava di sopravvivere.
Una prima ondata di massacri è iniziata nel 2013. Si trattava di una serie di massacri perpetrati nei pressi della frontiera con l’Uganda.
Le ricerche esistenti hanno constatato l’attivismo dell’ex-APC nel periodo del 2012-2013, l’implicazione delle ADF nei massacri del 2013 e le prime tracce di connessioni tra l’ex-APC e i massacri. Secondo questi studi, gli attacchi sarebbero stati organizzati da gruppi misti composti dalle ADF, dall’ex-APC, da combattenti ruandofoni e da milizie alleate sia dell’ex-APC che delle ADF.
Non è chiaro se la mobilitazione dell’ex-ACP nel 2012-2013 includesse un piano di massacri su vasta scala. Tuttavia, vari di quelli che hanno ammesso di aver partecipato ai massacri del 2013 e del 2014 hanno dichiarato di essere stati reclutati dall’ex-APC proprio in quel periodo. Alcuni reclutatori e partecipanti ai massacri successivi hanno dichiarato che l’idea di effettuare dei massacri nacque proprio durante quel periodo.
Molti di quelli che hanno partecipato all’esecuzione dei massacri l’hanno fatto sulla scia delle mobilitazioni passate, intese come una lotta per affermare il potere locale contro interessi esterni. Un partecipante agli attacchi ha fornito la seguente spiegazione: «L’obiettivo era quello di ricostituire l’ex territorio del RCD / K-ML e di riprendere il controllo sulle istituzioni finanziarie di Beni». Non si trattava di obiettivi nuovi, perché erano gli stessi che erano alla base delle precedenti mobilitazioni, inclusa quella del 2010.

a. Gli antecedenti dei massacri: la mobilitazione dell’ex-APC durante la crisi M23 (2012-2013)

Nel 2012, nell’est della RD Congo, e più precisamente a nord di Goma, ci fu un’ondata di  mobilitazione armata provocata dal Movimento del 23 marzo (M23). Questo movimento aveva l’intenzione di organizzare attacchi simultanei in tutto l’est del Paese e gli ex-APC avrebbero dovuto svolgere un ruolo chiave, soprattutto nei territori di Beni e di Lubero, chiedendo ai loro ex compagni d’armi di unirsi a loro.
Sebbene non sia chiaro chi sia stato all’origine della mobilitazione dell’ex-APC, il gruppo di esperti delle Nazioni Unite riporta che Mbusa Nyamwisi vi aveva una certa responsabilità, almeno parziale. Mbusa Nyamwisi aveva infatti chiesto agli ufficiali dell’ex-APC di disertare l’esercito nazionale (Forze Armate della Repubblica Democratica del Congo / FARDC).
Il maggiore Hilaire Kombi ha disertato l’esercito congolese nel mese di giugno 2012, per far parte delle Forze Ecumeniche di Liberazione del Congo (FOLC) di Kava wa Seli, un ex ufficiale APC. Dopo aver recuperato decine di armi nella residenza di Mbusa Nyamwisi a Beni, egli si recò da Kava wa Seli, nella valle del Semliki. Mbusa Nyamwisi appoggiò Hilaire Kombi, procurandogli nuove reclute.
Altri ufficiali FARDC hanno disertato l’esercito regolare per unirsi alle FOLC, sempre su istruzioni di Mbusa Nyamwisi. La collaborazione è continuata anche quando Hilaire Kombi ha creato l’Unione per la Riabilitazione della Democrazia nel Congo (URDC) in ottobre 2012, in sostituzione delle FOLC. David Lusenge e Charles Lwanga disertarono le FARDC e si unirono a questo nuovo gruppo nel mese di novembre 2012, installando delle loro truppe a Watalinga e a Ruwenzori. Un intero reggimento delle FARDC disertò in dicembre 2012, su istruzione del suo comandante ex-APC, per mettersi agli ordini di Lusenge.
Degli ufficiali dell’ex-APC si sono assicurati l’appoggio di altri gruppi armati.
Vari ufficiali dell’ex-APC, tra cui Hilaire Kombi, erano in continuo contatto con il leader del M23, il colonnello Sultani Makenga. Anche David Lusenge coordinò le sue operazioni con Hilaire Kombi e, come altri ufficiali dell’ex-APC, era in “stretto contatto con i comandanti del M23”.  Nel frattempo, Mbusa Nyamwisi si recò in Ruanda per incontrarvi alcune personalità, mentre un altro ufficiale dell’ex-APC vi reclutò delle truppe. Infine, l’ex-APC ha assunto posti di alto livello all’interno del M23.
La ribellione del M23 aveva grandi ambizioni e una dimensione internazionale. Il gruppo di esperti delle Nazioni Unite ha dimostrato che il generale ugandese Saleh tentò, ma senza successo, di creare un “comando unificato del M23 per il territorio di Beni”, che avrebbe dovuto collaborare con Mbusa Nyamwisi e Kakolele. L’associazione culturale Kyaghanda-Yira avrebbe aiutato le reclute ad attraversare la frontiera, soprattutto attraverso il posto di Kasese.
Oltre ad essere implicato in questo nuovo movimento, l’ex-APC ha tratto profitto anche dai suoi legami, già esistenti nel passato, con le ADF. La missione di mantenimento della pace delle Nazioni Unite (MONUSCO) ha osservato che l’URDC di Hilaire Kombi aveva dei legami con le ADF su tutto il territorio di Beni, compreso a Rwenzori e a Watalinga. La Monusco  ha notato anche un possibile addestramento militare fornito da comandanti militari delle ADF e dell’ex-APC alle FOLC, il gruppo precursore dell’URDC. L’intelligence delle Nazioni Unite ha documentato anche dei collegamenti esistenti tra i gruppi dell’ex-APC e le ADF, affermando che, nel 2013, «le ADF hanno avuto dei contatti con Antipas Mbusa Nyamwisi e hanno collaborato con gruppi armati locali, tra cui il gruppo di Hilaire Kombi». Un combattente delle ADF ha rivelato ai servizi segreti delle Nazioni Unite che, mentre l’esercito congolese (FARDC) era impegnato in operazioni militari contro il M23, Hilaire Kombi si sarebbe avvicinato alle ADF su istruzioni di Mbusa Nyamwisi, al fine di chiedere una loro collaborazione per prendere il controllo su Beni. Un ufficiale ugandese delle ADF ha dichiarato che, in quel periodo, Hilaire Kombi avrebbe collaborato con il leader delle ADF Jamil Mukulu, con l’obiettivo di creare una nuova ribellione.
È in questo periodo che, probabilmente, inizia una collaborazione tra i gruppi dell’ex-APC e degli attori ruandofoni. Il gruppo di esperti dell’ONU ha affermato che, in maggio 2013, il M23 ha inviato alcune sue truppe al gruppo di Hilaire Kombi, mentre un altro ufficiale dell’ex-APC reclutava altre truppe in Ruanda. Inoltre, altri due ex-APC hanno dichiarato di aver contribuito, in quel periodo, a trasferire dei ruandofoni dal Piccolo Nord del Nord Kivu verso Beni, situato nel Grande Nord del Nord Kivu.
All’inizio del 2013 si era formata una vasta coalizione di differenti gruppi armati. L’esistenza di relazioni tra questi diversi gruppi armati non implicava necessariamente che essi avessero gli stessi obiettivi o cooperassero in forma armonica, ma piuttosto che ciascuno di essi considerasse la collaborazione come un mezzo per rafforzare la propria influenza. Un attacco del mese di maggio 2013 contro la base militare dell’OZACAF, alcune settimane prima dei massacri di Kamango, illustra come una coalizione di ex-APC, combattenti ruandofoni, milizie locali e ADF abbia partecipato alle operazioni (vedi riquadro sotto).

RIQUADRO 1. Coalizioni di gruppi armati per attacchi misti: base militare dell’OZACAF (maggio 2013)

L’attacco alla base militare dell’OZACAF, il 15 maggio 2013, nei pressi di Beni, ha causato 28 morti. Sebbene questo attacco non sia direttamente collegato ai massacri, dimostra però che uno degli elementi dei massacri successivi – la collaborazione di diversi gruppi armati negli attacchi – si fosse già manifestato.
Riflettendo la tendenza dell’ex APC a ricorrere alle milizie locali, questo attacco ha visto l’URDC di Hilaire Kombi collaborare con la milizia di Mayangose guidata da Mbonguma Kitobi. Un ramo dell’URDC di Hilaire era, in effetti, basato a Mayangose e dei membri della milizia Mayangose hanno ammesso  di essere stati in diretto contatto con Hilaire Kombi e Mbusa Nyamwisi.
Mbonguma Kitobi ha aiutato a condurre l’attacco alla base dell’OZACAF. L’operazione ha coinvolto anche altri partner dell’ex-APC, tra cui quelli ruandofoni. L’attacco è avvenuto lo stesso mese in cui il M23 aveva inviato alcune sue truppe al gruppo di Hilaire Kombi. Un comandante della milizia Mayangose che ha partecipato all’attacco dell’OZACAF ha dichiarato che, per quest’operazione, Mbonguma aveva diviso gli assalitori in due gruppi, di cui uno era composto da truppe ruandofone. In una sua dichiarazione, egli ha spiegato: «Il secondo gruppo era costituito da soldati Tutsi. Dato che i Mai-Mai non potevano andare d’accordo con i soldati Tutsi, li avevamo suddivisi in due gruppi diversi». Sebbene i comandanti delle milizie locali collaborassero con dei combattenti tutsi, tuttavia reclutavano nuove leve dicendo che il loro obiettivo era di combattere l’influenza ruandese.
In altre dichiarazioni, Mbonguma e altri comandanti delle milizie hanno dichiarato che, per rafforzare l’attacco all’OZACAF, Hilaire Kombi apportò delle truppe da Mwalika, comunemente nota come base delle ADF. Vari sono i rapporti che documentano i collegamenti tra la base ADF di Mwalika con degli ufficiali dell’ex-APC: Hilaire Kombi e Kava wa Seli hanno riconosciuto di avervi mantenuto delle truppe, dei combattenti dell’ex-APC affermano di avervi incontrato le ADF, mentre la MONUSCO vi ha rilevato, in quel tempo, la presenza simultanea sia delle ADF che dell’ex-APC. L’attacco alla base dell’OZACAF dimostra che le alleanze tra i gruppi armati, che hanno caratterizzato i massacri di luglio e dicembre 2013 e quelli del 2014, erano già state stabilite.

b. I massacri di Watalinga e Ruwenzori

I primi grandi massacri sono scoppiati presso la frontiera tra la RD Congo e l’Uganda nel mese di  luglio 2013, alcune settimane dopo l’attacco contro la base militare dell’OZACAF. I massacri di Kamango perpetrati in luglio 2013 e quelli commessi lungo la strada Mwenda-Kikingi in dicembre 2013 sono i primi grandi massacri commessi sul territorio di Beni.
Kamango, capoluogo del distretto di Watalinga, è stato attaccato l’11 luglio 2013, causando dodici morti. Gli aggressori hanno ucciso varie autorità locali, tra cui Nelson Buliya, capo del raggruppamento di Bawisa, e incendiato gli uffici amministrativi. L’attacco ha costretto circa 66.000 persone a fuggire in Uganda.
Il 14 luglio 2013, altri combattenti hanno attaccato Kikingi, a sud di Kamango, saccheggiando farmacie e negozi e costringendo la popolazione locale a fuggire.
Un’altra serie di attacchi si è svolta tra l’11 e il 17 dicembre 2013, tra Mwenda e Kikingi, nel settore di Ruwenzori. Le vittime furono una ventina. Un partecipante agli attacchi del 2014 ha descritto gli attacchi di dicembre 2013 come “il primo test dei massacri”.
Le inchieste attribuiscono questi attacchi esclusivamente alle ADF, come una loro reazione al fatto che, a metà del 2013, le FARDC stavano per smantellare una loro via di approvvigionamento che passava attraverso Kamango, importante snodo stradale che serviva alle ADF come mezzo di collegamento tra i loro campi base situati nella zona del Ruwenzori.
Tuttavia, indagini posteriori presentano un quadro più complesso che dimostra il ruolo delle ADF in questi attacchi, ma anche l’implicazione di altri gruppi armati costituiti da ufficiali dell’ex-APC, milizie locali e combattenti ruandofoni.

c. La collaborazione dell’ex-APC con le ADF

Per effettuare gli attacchi, i gruppi affiliati ad ufficiali dell’ex-APC si sono accordati con le ADF e altri partner locali, il che dimostra l’esistenza di una collaborazione tra l’ex-APC e le ADF.
Nel 2012-2013, il fratello maggiore di Mbusa Nyamwisi, Edouard Batotsi Nyamwisi, si era personalmente implicato nella fase di mobilitazione dell’ex-APC, usando la sua proprietà di Mutwanga come luogo di reclutamento. Edouard Nyamwisi era diventato un punto focale nel coordinamento di questo reclutamento, gestendo incluso le relazioni tra l’ex-APC e le ADF. Edouard Nyamwisi aveva incoraggiato la mobilitazione dell’ex-APC, promettendo di accordare terre e posti amministrativi alle popolazioni di Beni.
Anche i membri dell’associazione culturale nande Kyaghanda-Yira hanno portato un loro contributo, sia per il reclutamento che per la logistica. Alcuni combattenti hanno affermato che i membri di Kyaghanda-Yira hanno lavorato in stretto contatto con Edouard per reclutare persone e fornire provviste. Anche l’ufficiale superiore delle ADF Winny Bwanandeke ha parlato del ruolo di Edouard Nyamwisi e di Kyaghanda-Yira nell’organizzazione di gruppi armati misti composti da ex-APC e da ADF.

RIQUADRO 2. Operazioni miste ADF / ex-APC

Reclutatore n. 1:
«È Edouard Nyamwisi che mi ha chiesto di fare questo lavoro di reclutatore. È un lavoro che facevo con gli ugandesi … ci chiedevano di cercare dei giovani. Li reclutavamo e li inviavamo da Edouard Nyamwisi e lui li mandava in foresta. Ci pagavano circa 50 $. Gli ADF venivano di notte, li vedevo faccia a faccia. Molte botteghe della zona lavoravano per loro. Le ADF venivano qui per far rifornimento.
Il nostro obiettivo era che Mzee [Mbusa Nyamwisi] prendesse il potere e diventasse presidente. Altri ex-APC, come Birotsho, lo avrebbero aiutato, e anche i capi tradizionali … Kyaghanda-Yira avrebbe cercato nuove reclute a Butembo e a Beni. Ci coordinavamo per telefono: Kyaghanda-Yira ci avrebbe inviato dei combattenti e noi saremmo andati a prenderli. Sarebbero passati per Bulongo e sarebbero entrati nella foresta nei pressi di Kikura.
Operavamo secondo le condizioni imposte dalle ADF: dovevamo mantenere il segreto sulle nostre operazioni. Infatti, le ADF non permettono di dire ad altri se le incontri o se lavori per loro. Sappiamo che sono nostri alleati, ma ciò che ci diciamo deve rimanere segreto … Un altro reclutatore ha iniziato a svelare i segreti di ciò che stavamo facendo e le ADF lo hanno punito».

Combattente n. 1, reclutato nel 2012 da membri del RCD / K-ML, attivo durante Sukola I:
«Sono stato reclutato per far parte delle ADF da un dirigente politico dell’RCD / K-ML, che mi ha chiamato per telefono e mi ha portato a Kasindi … Mi ha offerto 100 $ … Non avevo alcun documento per poter attraversare la frontiera, ma ho ricevuto un modulo di autorizzazione da un agente doganale e un altro da un membro del RCD / K-ML. Nelle ADF ho incontrato altri combattenti. Le ADF sono un’organizzazione islamista. Il nostro capo era Hood Lukwago, che collaborava con Jamil Mukulu … era un gruppo misto con le ADF … abbiamo attraversato la frontiera di Kasese a Bundibugyo. Entrati in Congo, ci siamo diretti verso Kamango, vicino a Biangolo.
È il dirigente politico del RCD / K-ML che mi ha reclutato … ma sono gli ugandesi che ci hanno impartito la formazione, poiché eravamo sottomessi alle ADF. Eravamo sicuri che avremmo preso Beni e conquistato l’intera zona …
Nel campo base delle ADF sono rimasto cristiano, ma circa l’80% delle persone erano musulmani. C’erano molte persone nel gruppo ma poi, con l’operazione Sukola I, siamo scesi a meno di 80. Siamo rimasti per due settimane senza niente da mangiare. Se tentavi di scappare, ti uccidevano. Le truppe di basso rango erano tenute in un posto separato da quello dei capi, che avevano un loro spazio proprio».

Combattente n. 2, partecipante ai massacri del 2013, a Mwenda-Kikingi e a Kamango:
«Delle persone che collaboravano con Kyaghanda-Yira mi hanno mandato nella foresta. Esse reclutavano dei giovani promettendo loro 100 $. Dicevano alle reclute di andare a casa di Edouard Batotsi [Nyamwisi]. È successo nel 2013 … c’erano 17 persone. Andammo a una riunione notturna che si teneva a casa di Edouard Batotsi che ci disse: “tra poco riprenderemo il nostro paese. Non abbiate paura, il Paese migliorerà, diventeremo i leader che dirigeranno il Paese”. Oltrepassammo Mutwanga, lungo la strada per Kikingi ed entrammo nel parco nazionale, dove un capo delle ADF ci accolse. Vi abbiamo trascorso due mesi per l’addestramento. Era un grande campo base diviso in molte sezioni. I congolesi erano sotto gli ugandesi, gli ugandesi avevano tutto il potere. C’era anche Feza … Le reclute imparavano a usare le armi … Nel campo, le reclute congolesi avevano una loro propria zona, con degli ufficiali congolesi, ma le truppe congolesi non potevano avvicinarsi agli ufficiali ugandesi … C’erano anche molti ex-APC … . Avevamo un capo il cui nome era Musa [Baluku]. Il capofila era un ufficiale ugandese di nome Feza. Abbiamo alloggiato insieme nella foresta, ma avevamo la nostra area, mentre le ADF avevano la loro zona dove noi non potevamo entrare. Ma durante le operazioni ci siamo uniti, alcuni congolesi e alcuni ugandesi. Nel campo base delle ADF c’erano dei Congolesi, degli Ugandesi, dei Ruandesi e dei Somali».

Combattente n. 3, partecipante ai massacri del 2013:
«Sono andato nella foresta … dopo essere arrivati a Mutwanga si entra nel parco e si continua fino alle sponde del Semliki. Quando sono arrivato, ho visto molti ufficiali, congolesi e ugandesi. (Domanda:  Come sapevi che erano ugandesi?) Ho vissuto nella foresta per molti anni e li ho conosciuti bene, abbiamo lavorato insieme. Ho visto anche ufficiali congolesi con cui avevo lavorato nell’APC …
I capi erano degli Ugandesi. I Congolesi potevano essere comandanti, ma non potevano ricoprire incarichi superiori a quelli degli Ugandesi … Nel campo base non si poteva parlare apertamente. Alcune persone hanno tentato di scappare, ma se le pattuglie ti prendono, ti uccidono. Gli Ugandesi non hanno pietà … I Congolesi possono continuare ad essere cristiani, ma nel campo quasi tutti erano musulmani. La gente della città, come dei membri di Kyaghanda-Yira, è venuta ad aiutarci. Molte provviste ci sono arrivate da Edouard Batsoti Nyamwisi … Anche Kakolele ci riforniva mentre eravamo in foresta. Reclutava nuove leve clandestinamente. Ci portava armi e munizioni.  Ci dicevano che saremmo diventati dei dirigenti: alcuni sarebbero diventati generali e altri ministri. Ci si diceva che “Mzee” (Mbusa Nyamwisi) sarebbe diventato presidente. Durante gli attacchi eravamo mascherati … Molte persone sono morte. Quando ci siamo scontrati con le FARDC, molti di noi sono stati uccisi».

Altri tre combattenti membri del gruppo misto ADF / ex-APC hanno ammesso di aver partecipato a dei massacri.  Un combattente dell’ex-APC ha così descritto la realizzazione degli attacchi contro Mwenda e Kamango nel 2013: «Gli ordini provenivano dagli Ugandesi. Gli ufficiali ugandesi dissero a quelli congolesi di prepararsi ad effettuare alcune operazioni … Ci hanno detto che andavamo in missione. Siamo arrivati a Mwenda … e i capi ci hanno dato l’ordine di uccidere … Per la prima volta ho potuto vedere come una persona possa essere sgozzata come una capra. Quando l’ho visto, ho iniziato a tremare. Abbiamo finito l’operazione e siamo tornati al campo base. I membri delle ADF sono molto riservati. Non vogliono che gruppi diversi si conoscano tra loro. Partecipano anche loro alle operazioni, ma non vogliono essere riconosciuti … Per questo, quando siamo partiti per gli attacchi, abbiamo messo delle maschere».

d. La collaborazione tra l’ex-APC e certe autorità locali

Le ricerche fatte hanno permesso di identificare alcuni di quelli che hanno contribuito a organizzare i massacri del 2013. Un gruppo ruotava attorno a Bwambale Kakolele e, in momenti diversi, includeva ufficiali dell’ex- APC, tra cui David Lusenge, Charles Lwanga, Sibenda Kambale e Adrian Loni, tutti ufficiali ex-APC integrati nell’esercito nazionale, anche se David Lusenge e Charles Lwanga l’avevano disertato verso la fine del 2012. All’inizio del 2013, Kakolele e Lusenge hanno collaborato con Adrian Loni per reclutare nuove leve ugandesi a Kampala.
Vari di questi ufficiali dell’ex-APC stabilirono le loro basi nel distretto di Watalinga (soprattutto a Ndama) e nel settore di Rwenzori. Il capo del distretto di Watalinga era Saambili Bamukoka, noto collaboratore delle ADF, e il vice capo della località di Ndama era Muganda.
Lusenge acquistò dei campi a Ndama, che divennero poi un nascondiglio d’armi e una postazione militare che includeva truppe sia congolesi che ugandesi.
Un rapporto della MONUSCO permette di collegare questo gruppo di ufficiali ex-APC ai massacri di luglio 2013 perpetrati a Kamango. Questo rapporto delle Nazioni Unite rivela un incontro avvenuto il giorno prima dell’attacco a Kamango, in cui il vice-capo Muganda avvertiva Saambili Bamukoka, circa la “presenza, nella zona, di ribelli armati sconosciuti”. I partecipanti a questo incontro hanno rivelato che Muganda aveva avvertito Saambili circa le attività di David Lusenge e di Adrian Loni e che Saambili non ne tenne conto.
Un osservatore locale ha constatato che, in occasione delle violenze di luglio 2013, gli assalitori avevano attaccato a partire da campi base situati proprio vicino a Kikingi e Ndama (dove c’erano dei combattenti agli ordini di alcuni ufficiali dell’ex-APC, tra cui Hilaire Kombi, Lusenge, Lwanga e Adrian). Un’altra fonte ha detto di aver condotto delle truppe a Ndama per conto dell’ex-APC e che quelle truppe avevano poi partecipato ai massacri. Infine Saambili Bamukoka fu accusato di essere implicato nei massacri di Kamango avvenuti in luglio 2013.
Il gruppo di esperti dell’Onu ha notato che questi massacri hanno svelato una più vasta rete di relazioni  esistenti tra alcuni capi locali e le ADF. Queste persone avevano già collaborato tra loro in precedenza. Lwanga e Adrian avevano già contribuito alla realizzazione di alcuni sequestri di alto profilo che, generalmente, erano stati attribuiti alle ADF.
Un comandante di una milizia affiliata all’ex-APC ha rivelato che certi sequestri, tra cui quello dei tre sacerdoti di Mbau alla fine del 2012, erano stati effettuati in coordinazione con le ADF. Secondo questa fonte, fu Adrian Loni, insieme ad alcuni partner locali, a dar l’ordine di «sequestrarli e di venderli a Feza (comandante militare delle ADF), per far sembrare che fossero state le ADF a sequestrarli». Anche altri gruppi ex-APC, tra cui quello di Hilaire Kombi, hanno contribuito alla realizzazione di molti sequestri.
Anche i massacri di dicembre 2013 rivelano le connessioni esistenti tra l’ex-APC e le ADF. Due partecipanti ai massacri e collaboratori di Kakolele hanno ammesso la loro responsabilità in quei massacri. Altri due combattenti del campo base  misto ex-APC / ADF situato nei pressi del Semliki hanno dichiarato di aver partecipato agli attacchi commessi lungo la strada Mwenda-Kikingi. Un combattente delle ADF ha segnalato la presenza delle truppe che Kakolele aveva portato in questo campo base misto. Un miliziano reclutato da Kakolele per i massacri del 2014 ha descritto i massacri di dicembre 2013 come “il primo test dei massacri futuri” e ha raccontato di essere stato pagato per aver partecipato all’attacco di dicembre. Dei comandanti dell’ex-APC hanno progettato i massacri come mezzi per “conquistare spazi e ottenere posti di comando nella politica, nell’amministrazione, nell’esercito e nell’economia locale”. Come i massacri di luglio, anche quelli di dicembre 2013 sono stati perpetrati in collaborazione con le ADF. Anche le ADF avevano i loro motivi per parteciparvi. Infatti, il gruppo già sapeva che l’esercito congolese stava organizzando una vasta offensiva contro di loro e, quindi, vi si stava preparando.

e. L’implicazione di Ruandofoni

In questo periodo, si è notato un afflusso di combattenti ruandofoni nei gruppi armati di Beni , il che ha contribuito ad intensificare la collaborazione tra l’ex-APC e dei ruandofoni nei successivi massacri di Beni. Mentre numerose testimonianze segnalano la presenza di ruandofoni nella realizzazione degli attacchi, non è tuttavia chiaro se si trattasse di truppe tutsi del M23 o di migranti hutu che, alla ricerca di terre, sono stati strumentalizzati e indotti a partecipare ai massacri.
Secondo il gruppo di esperti delle Nazioni Unite, alcuni combattenti del M23 furono inviati nel Grande Nord del Nord Kivu per appoggiare la ribellione di Hilaire Kombi. Come osserva il Gruppo, in maggio 2013, «il M23 aveva inviato delle truppe e delle armi a Hilaire [Kombi], nel tentativo di stabilire una presenza del M23 anche nei territori di Beni e di Lubero».
Un comandante di milizia ha dichiarato che, in quel periodo, Kakolele e altri ufficiali dell’ex-APC, tra cui Lusenge, avevano portato dei ruandofoni a Watalinga, precisando che, anche nel 2010, Kakolele aveva già installato dei ruandofoni a Beni, precisamente dopo aver lasciato il CNDP nel 2008.

5. I MASSACRI DEL 2014-2016: I “SECONDI MOTORI”

In ottobre 2014, a Beni e dintorni è iniziata una lunga serie di massacri, in cui sono rimaste uccise oltre 800 persone, tra cui donne e bambini. La sequenza degli eventi è relativamente chiara. Dopo aver sconfitto il M23, l’esercito congolese (FARDC) ha spostato la sua attenzione verso il nord e, in gennaio 2014, ha iniziato l’operazione Sukola I contro le ADF, in collaborazione con la missione di mantenimento della pace delle Nazioni Unite. Il primo comandante di queste operazioni contro le ADF, il colonnello Mamadou Ndala, è stato ucciso in un’imboscata organizzata già nei primi giorni dell’operazione stessa. L’attacco è stato attribuito alle ADF, in collaborazione con Birotsho, un ufficiale dell’ex-APC integrato nell’esercito nazionale.
Sotto il comando del suo successore, il generale Lucien Bahuma, l’operazione Sukola I ebbe un certo successo, perché riuscì a smantellare i campi base delle ADF, riconquistando il territorio e provocando enormi defezioni in seno alle ADF. Secondo quanto riferito, durante i combattimenti sono morti centinaia di soldati delle FARDC e di combattenti delle ADF. Benché sia difficile ottenere cifre esatte, si ritiene che, sotto il comando di Bahuma, gli effettivi delle ADF siano scesi da circa 1.200 combattenti nel solo campo base di Madina a soli 150 membri in totale.
Dopo la caduta del loro campo base principale di Madina, in aprile 2014, le ADF si sono frammentate in vari gruppi più piccoli e mobili. Molti ufficiali delle ADF erano scomparsi nei giorni precedenti all’attacco di Madina, il che lascia pensare a una fuga di informazioni a loro vantaggio o a una complicità tra le ADF e alcuni membri dell’esercito congolese (FARDC).
Il comandante delle ADF, Jamil Mukulu, era fuggito dal paese e fu arrestato in Tanzania un anno dopo. Tuttavia, la leadership delle ADF rimase sostanzialmente intatta. Musa Baluku subentrò come capo del gruppo principale delle ADF, mentre il comandante delle operazioni, Feza, prese la guida di un’altra ala nel raggruppamento di Bambuba-Kisiki. Le ADF si divisero in gruppi più piccoli e iniziarono una serie di operazioni del tipo “mordi e fuggi” contro l’esercito congolese (FARDC).
Il 31 agosto 2014, il generale Bahuma morì in circostanze controverse dopo un incontro a Kasese, in Uganda. Il generale di brigata Muhindo Akili Mundos lo sostituì e le operazioni contro le ADF subirono un certo rallentamento.
Poco dopo, nel mese di ottobre 2014, è iniziata una lunga serie di massacri commessi contro le popolazioni civili. All’inizio, si trattava di piccoli attacchi, con due o tre persone uccise. È l’attacco al villaggio di Oicha, il 9 ottobre 2014, che ha marcato un notevole innalzamento del livello di violenza. In quell’occasione, furono uccise almeno dieci persone. La violenza si è intensificata ulteriormente con i massacri di Ngadi e di Kadohu, alla periferia della città di Beni, e ha raggiunto il picco con il massacro di Vemba, in cui rimasero uccise tra le 80 e le 200 persone. Gli attacchi sono continuati per tutto il 2015-2016, sebbene il numero di persone uccise sia calato in modo significativo nella seconda metà del 2015.
Come per i massacri del 2013, in questa nuova ondata di violenze hanno partecipato diverse gruppi armati sovrapposti, tra cui le ADF, gli ex-APC e le milizie locali. Inoltre, in questa nuova fase, si è constatata l’implicazione anche dello stesso esercito congolese (FARDC), in quanto alcuni ufficiali dell’operazione militare Sukola I hanno partecipato all’organizzazione di numerosi massacri, facendo ricorso a gruppi armati preesistenti.
Come spiegare questa sovrapposizione di organizzatori dei massacri? Secondo vari osservatori, all’inizio i massacri furono pianificati da un insieme di “primi motori” riconducibili all’ex-APC e alle ADF. Avendo l’esercito nazionale scoperto questa preesistente pianificazione di violenze, esso ha adottato una sua strategia per contrastarla. Alcuni ufficiali di Sukola I hanno collaborato con milizie alleate dell’ex-APC e delle ADF nella realizzazione dei massacri, per imputarne la responsabilità all’ex-APC e alle ADF, il che ha loro permesso di camuffare in tal modo la propria partecipazione. L’obiettivo avrebbe potuto essere quello di infiltrare questi gruppi armati per sconfiggerli dal di dentro, arrestando e consegnando alla giustizia i loro responsabili. Ma, alla fine, per il prevalere di interessi d’ordine politico ed economico, tale strategia di “infiltrazione” non ha fatto altro che intensificare ulteriormente la realizzazione dei massacri.

a. Le due diverse ondate delle violenze: i piani dei “primi motori” e la reazione dei “secondi motori”

I preparativi degli attacchi del 2014 rivelano l’esistenza di lotte parallele per il controllo politico della zona. Le forze governative avevano certamente scoperto i piani preesistenti dei futuri massacri che l’ex-APC e le ADF stavano per realizzare e hanno reagito adottando la strategia della collaborazione / infiltrazione di questi gruppi  armati, ciò che ha portato alla continuazione dei massacri. Secondo questi ufficiali dell’esercito congolese, mantenere il controllo sui gruppi armati della zona era più importante – e forse più fattibile – che porre fine alle violenze.

b. Implicazioni e motivazioni delle ADF

Vi sono pochi dubbi che le ADF fossero implicate nei vari massacri. Tra i comandanti delle ADF responsabili degli attacchi, varie testimonianze hanno citato Baluku, Feza e Braida.
Le ADF avevano i loro motivi per partecipare a quelle violenze. Gli attacchi organizzati dal generale Bahuma contro le ADF durante l’operazione Sukola I avevano avuto delle conseguenze disastrose sul gruppo. Tra gennaio e aprile 2014, l’esercito congolese era riuscito a smantellare molti campi base delle ADF e a interrompere le loro vie di approvvigionamento in armi e viveri. Centinaia di membri delle ADF –  tra cui molti loro familiari – erano morti per fame, mentre girovagavano nelle foreste del Parco Nazionale dei Virunga e centinaia di altri furono uccisi nei combattimenti con l’esercito congolese. Si stima che, in foresta, sia rimasto solo un piccolo gruppo di circa 150-250 membri delle ADF, tra cui molti dei loro capi.
Le ADF iniziarono quindi a riorganizzarsi per contrastare l’operazione Sukola I.
Durante precedenti campagne militari, come l’Operazione Ruwenzori del 2010, le ADF avevano già adottato la strategia delle rappresaglie contro i civili che avessero fornito informazioni su di loro all’esercito regolare. Alla luce di quanto sopra, i massacri compiuti dalle ADF possono essere considerati come una loro strategia per allentare la pressione dell’esercito congolese contro i loro campi base. Per costringerlo ad allontanarsi dalle loro posizioni situate ad est del territorio di Beni, le ADF hanno organizzato dei massacri nella zona ovest del territorio di Beni, in prossimità della strada nazionale N 4.
Tuttavia, le ADF non sembrano essere state le uniche responsabili dei massacri. Le pressioni dell’esercito nazionale sulle ADF si erano già attenuate dopo la morte di Bahuma avvenuta in agosto 2014. Non è quindi chiaro il motivo per cui le ADF abbiano organizzato una nuova serie di massacri in ottobre, proprio quando si notava un grande rallentamento delle operazioni militari contro di esse.
In realtà, la ripresa dei massacri da parte delle ADF va ricercata nella complicità esistente tra vari ufficiali dell’operazione Sukola I e le ADF. Se le ADF avessero organizzato i massacri da sole, per allentare la pressione delle FARDC su di esse, sarebbe stato strano che li avessero commessi in un momento in cui esse avevano dei contatti con alcuni comandanti dell’esercito. Tutto ciò sembra confermare che i massacri non fossero organizzati solo dalle ADF.
Le ADF hanno sicuramente partecipato a numerosi attacchi e massacri, ma spesso a fianco di altri partner locali, tra cui le milizie locali (Vuba e Mayangose), gli ex-APC (attraverso la milizia Mayangose), dei combattenti ruandofoni e alcuni ufficiali dell’operazione militare Sukola I.
La partecipazione di più gruppi armati ai massacri, ciascuno con le proprie motivazioni, rivela l’esistenza di legami opportunistici dettati da interessi politici, economici e militari, multipli ma convergenti. In questo contesto, le ADF hanno potuto interagire con più parti, spesso tra loro in conflitto, per trarne un proprio vantaggio e assicurare la propria sopravvivenza, soprattutto dopo la loro frammentazione in gruppi più piccoli.

c. Implicazioni e motivazioni dell’ex-APC

Membri dell’ex-APC hanno contribuito a dare il via all’ondata di violenze del 2014, in collaborazione con altri partner, come le ADF e le milizie locali. I gruppi che si erano formati durante la mobilitazione dell’ex-APC nel 2012 e nel 2013 hanno continuato ad esistere e hanno partecipato ad alcuni degli attacchi più violenti del 2014 e a vari massacri successivi.
I massacri perpetrati a Beni e dintorni sono stati visti, dai loro promotori, come parte di una lotta per il controllo politico su quella parte di territorio, considerata come roccaforte dell’opposizione politica attiva nel Grande Nord del Nord Kivu.
Quando l’ex-APC si è riattivato in occasione della ribellione del M23, Kinshasa ha tentato di disinnescare questa minaccia, mandando una delegazione guidata da Apollinaire Malu Malu, ex presidente della commissione elettorale e nativo di Butembo, per cercare di integrare i vari gruppi armati nell’esercito nazionale. Malu Malu ebbe un parziale successo: nel 2013, egli riuscì a mediare l’integrazione di certi comandanti di milizie, come Hilaire Kombi e David Lusenge, nell’esercito congolese.
All’inizio dell’operazione Sukola I, anche l’ex-APC aveva subito la pressione dell’esercito regolare e dovette rivedere la sua strategia. Poiché influenti ufficiali dell’ex-APC furono arrestati o cooptati e trasferiti a Kinshasa (tra cui Hilaire Kombi, Kava wa Seli e David Lusenge), il gruppo adottò una nuova strategia che implicava l’avvio di una serie di massacri. Un ufficiale dell’ex-APC, incaricato del reclutamento di nuove leve, ha dichiarato: «Dal momento che Malu Malu aveva vinto la partita, portando Hilaire [Kombi] a Kinshasa, noi avevamo bisogno di un gruppo che fosse capace di destabilizzare i non originari di Beni-Lubero».
Inizialmente, i gruppi armati affiliati all’ex-APC avevano intenzione di effettuare solo degli attacchi a scala ridotta, con l’obiettivo di continuare a fare pressione su Kinshasa e di occupare un’area in cui organizzare posteriormente una ribellione più vasta. Il prendere di mira la popolazione civile avrebbe avuto due scopi: provocare la fuga della popolazione, al fine di poter disporre di una zona operativa più ampia, e rimettere in questione la legittimità del presidente Joseph Kabila.
Un ufficiale dell’ex-APC ha così spiegato la logica delle violenze del 2014: «La nostra visione era quella di seminare il terrore, come ai tempi del FLC, quando Mbusa Nyamwisi aveva deciso di cacciare Bemba da Beni. In quel tempo, ogni sera, a Butembo c’era almeno un morto. Quello era il metodo che usavamo per cacciare gli amministratori “bakuyakuya” [non originari del luogo] da Beni-Lubero. Con lo stesso metodo, avremmo potuto destabilizzare Kabila a partire da Beni. Questa è la strategia applicata in quelli che sono generalmente conosciuti come “i massacri di Beni”».
Anche un altro ufficiale ex-APC ha confermato questa strategia, spiegandosi così: «volevamo indebolire Kabila con lo stesso modo con cui avevamo fatto con Bemba durante l’epoca del FLC: addossare a Kabila la responsabilità dei massacri di Beni, come avevamo addossato a Bemba la responsabilità dei nostri attacchi del 2001a Butembo».
Una simile strategia era già stata utilizzata nel 2010, quando Edouard Nyamwisi e il RCD / K-ML “volevano iniziare una nuova guerra”, ma “senza rivelare il loro nome e convincendo la popolazione che le responsabilità dei massacri era del governo”.
Le ricerche effettuate non hanno trovato prove dirette del ruolo personale di Mbusa Nyamwisi nella realizzazione dei massacri. Tuttavia, i partecipanti alle violenze hanno affermato che credevano di star operando nell’ambito di un programma dell’ex-APC, che aveva loro promesso l’accesso alle terre e a molti posti amministrativi, qualora si fosse riusciti a consolidare l’influenza politica di Mbusa Nyamwisi nel Grande Nord del Nord Kivu.

d. I secondi motori: le FARDC hanno cooptato gruppi già esistenti

Sin dai primi giorni dei massacri, si è notata la presenza d’un nuovo gruppo di partecipanti ai massacri. Questo nuovo gruppo, o “secondi motori” dei massacri, era costituito da certi ufficiali dell’operazione Sukola I, senza tuttavia sostituirsi ai “primi motori” rimasti ancora attivi. Certi ufficiali dell’operazione Sukola I hanno partecipato all’organizzazione dei massacri, appoggiandosi sui primi motori o in collaborazione con essi, infiltrando dei gruppi armati già esistenti.

e. Le prove dell’implicazione delle FARDC nei massacri

Vi sono molte prove di complicità e di non intervento da parte dell’esercito congolese. Dopo essere subentrato come comandante dell’operazione Sukola I nel mese di agosto 2014, il generale Mundos non ha preso provvedimenti sufficienti per garantire la protezione dei civili.
Quando si verificavano degli attacchi, la popolazione ne informava l’esercito ma, come ha osservato il gruppo di esperti delle Nazioni Unite, «spesso, la risposta  era sempre la stessa: era troppo pericoloso intervenire, era buio, era di notte, i militari a disposizione erano mal equipaggiati o insufficienti per poter intervenire». Un’inchiesta parlamentare ha rilevato che, quando la popolazione li avvertiva di attacchi in corso o imminenti, spesso l’esercito e la polizia nazionale non hanno preso alcun provvedimento o sono intervenuti molto in ritardo. Alcuni di questi attacchi sono avvenuti a un chilometro circa di distanza dalle basi militari dell’esercito o della polizia.
Inoltre, alcuni comandanti dell’esercito hanno tassativamente impedito ai loro soldati di intervenire per  prevenire o sventare i massacri o di rivelare informazioni sui loro esecutori.
Dall’indagine parlamentare è emerso che, in ottobre 2014, un comandante delle FARDC ha ordinato ai suoi soldati di non intervenire per prevenire gli attacchi e ha persino ritirato le munizioni dei soldati che stavano tentando di farlo.
In un altro caso documentato dal gruppo di esperti delle Nazioni Unite, dopo un massacro, un ufficiale dell’esercito ha ricevuto l’ordine di non arrestarne i colpevoli. Quando, contro gli ordini ricevuti, egli li ha arrestati, essi non sono stati deferiti alla giustizia militare.
Alcuni partecipanti ad altri massacri hanno affermato che, dopo essere stati arrestati, gli ufficiali dell’esercito hanno provveduto alla loro liberazione. Un comandante che lavorava nei servizi dell’intelligence militare per Sukola I, ha contribuito a far liberare vari noti collaboratori delle milizie ADF e Vuba. Sono stati liberati anche soldati e ufficiali dell’esercito che erano stati precedentemente arrestati per aver partecipato a dei massacri.
Ci sono numerose prove sulla complicità diretta delle FARDC. Alcun ufficiali delle FARDC hanno appoggiato dei gruppi armati implicati nei massacri.
Secondo varie testimonianze,  il generale Mundos ha appoggiato e, in alcuni casi, organizzato dei massacri. Nel suo rapporto del 2016, il gruppo di esperti delle Nazioni Unite ha confermato l’implicazione di Mundos nei massacri. Secondo il Gruppo, l’implicazione di Mundos consisteva nella fornitura di armi, munizioni e uniformi militari agli esecutori dei massacri. Altri testimoni hanno dichiarato di aver ricevuto denaro da Mundos per effettuare dei massacri. Inoltre, Mundos aveva reclutato dei membri di una milizia congolese e degli individui collegati alle ADF, per servirsene come spie e guide nella preparazione ed esecuzione degli attacchi.
Secondo numerose fonti, per facilitare i massacri, il generale Mundos ha collaborato con altri ufficiali dell’operazione  Sukola I, in particolar modo con degli ufficiali provenienti dall’ex-APC, tra cui il vice comandante di Sukola I, il colonnello Dieudonné Muhima, ufficiale dell’ex-APC.
A questo proposito, un ufficiale dell’intelligence militare ha rivelato quanto segue: «Quando avvisavamo Muhima della presenza di un gruppo sospetto in determinati villaggi, agli elementi [delle FARDC] che pattugliavano quella zona egli dava informazioni del tutto diverse. E il giorno seguente apprendevamo che, in quelle località segnalate dalle nostre fonti di informazione, si era verificato un massacro». La fonte ha dichiarato di aver sospettato che quei massacri fossero stati pianificati durante incontri a porte chiuse tra Mundos e Muhima.
Altri ufficiali delle FARDC, in particolare dell’808° reggimento di Sukola I, tra cui il colonnello Murenzi, ex-CNDP, hanno facilitato l’organizzazione di vari massacri. Un ufficiale delle FARDC ha dichiarato che, in occasione di alcuni massacri, Murenzi ha ordinato alle truppe “di non uscire, di non fare pattuglie e di restare in standby”.
Dei soldati dell’esercito appartenenti alla 31ª brigata, denominata Hiboux e agli ordini di Mundos, hanno spesso facilitato i massacri, cinturando la zona attorno ai villaggi attaccati, per permettere agli esecutori dei massacri di operare senza essere ostacolati. Un miliziano che ha partecipato a vari attacchi e massacri ha descritto come il suo gruppo ha potuto operare sotto la supervisione di ufficiali dell’operazione Sukola I: «Quando andavamo a compiere qualche massacro, arrivavano anche dei soldati della 31ª brigata … Ogni volta che c’era un massacro, i soldati della 31ª brigata cinturavano la zona, in modo che nessuno potesse fuggire … Non usavamo solo armi da fuoco, ma anche dei machete e delle asce. I soldati legavano le persone, poi noi le uccidevamo con i machete … Durante i massacri, qualche militare che aveva un telefonino, restava in contatto con qualcun altro dell’esterno, parlando in lingala … Mundos o il suo assistente, il colonnello Muhima, venivano solo alla fine per verificare il massacro».
Un altro partecipante alle violenze, presentandosi come membro delle ADF, ha raccontato uno schema simile di collaborazione con i membri di Sukola I: «Quando si organizza un massacro, occorre una coordinazione … Succede così: noi entriamo nel villaggio, incendiamo le case e uccidiamo le persone. Infine, quando il “lavoro” è finito, spariamo molti colpi di seguito …  Si tratta di un segnale rivolto all’esercito. Quindi, il comandante dell’esercito dà l’ordine di intervenire, [ma] quando arrivano, non fanno che sparare in aria».
Come indicato da queste testimonianze, raramente gli ufficiali di Sukola I hanno operato da soli. Gli ufficiali delle FARDC hanno favorito dei massacri servendosi di gruppi armati preesistenti: essi hanno operato a fianco di comandanti provenienti dall’ex-APC, hanno fatto appello alle milizie locali di Boikene e di Bambuba-Kisiki, in alcuni casi si sono coordinati con le ADF e hanno facilitato l’ingresso di ruandofoni in questi gruppi.

f. Le cause dell’implicazione di Sukola I

Ci si chiede spesso perché le FARDC abbiano potuto partecipare all’organizzazione di vari massacri di persone civili, anche se in collaborazione con altri gruppi armati preesistenti. Dei membri delle FARDC hanno spesso appoggiato gruppi armati anche in altre parti del Congo e si sono resi colpevoli di saccheggi, stupri ed estorsioni, ma l’organizzazione, in modo proattivo, di massacri di popolazioni civili va oltre la maggior parte dei crimini commessi da membri dello stesso esercito congolese. Accertarne le cause e le motivazioni è sempre difficile, in quanto richiede di ottenere delle informazioni sulle intenzioni degli attori.
Sulla base di informazioni ottenute, le forze governative avevano scoperto dei piani preesistenti di massacri e vi hanno reagito. L’hanno fatto infiltrando o collaborando / alleandosi con i vari gruppi armati che ne erano responsabili, al fine di poter mantenere il controllo su di essi. Per gli ufficiali delle forze governative, il controllo sui gruppi armati nella regione era più importante, e forse più fattibile, che porre fine alle violenze stesse. L’atteggiamento iniziale del generale Mundos nei confronti dei gruppi armati che avevano effettuato i massacri del 2013 era probabilmente quello di considerarli come dei gruppi che era necessario infiltrare o con cui si doveva cooperare, per poterli controllare. Purtroppo, è questa strategia che ha contribuito alla continuazione dei massacri.
L’implicazione delle FARDC nei massacri sembra essere iniziata nel modo seguente.
Per conservare e incrementare sul territorio di Beni l’influenza politica del regime di allora, gli ufficiali di Sukola I adottarono la strategia della competizione armata, stringendo delle alleanze con determinati gruppi armati contro altri, ciò che contribuì all’intensificazione dei massacri.
Tre ufficiali dell’ex-APC hanno affermato che l’esercito nazionale era venuto a conoscenza del piano dei massacri concepito dall’ex-APC. Secondo loro, l’ex-APC era stato “tradito” e “infiltrato” da certi ufficiali di Sukola I collegati a Mundos.
Un membro dei servizi di sicurezza ha spiegato ciò che potrebbe essere successo, sottolineando in particolare il ruolo del colonnello Muhima, un ufficiale proveniente dall’ex-APC e vice comandante dell’operazione Sukola I: «Il colonnello ex-APC Muhima avrebbe rivelato a Mundos l’esistenza di un piano di massacri che sarebbero stati compiuti dall’ex-APC. A sua volta, Mundos avrebbe proposto al Capo dello Stato di adottare la stessa strategia per sbarrare la strada agli uomini di Mbusa Nyamwisi comandati da John Tshibangu. Conoscendo il  piano dell’ex-APC, il colonnello Muhima l’applicò in collaborazione con Mundos, utilizzando lo stesso gruppo reclutato dall’ex- APC per effettuare i massacri che avrebbero dovuto condurre alla caduta di Beni».
Un’altra fonte delle FARDC all’interno dell’operazione Sukola I ha presentato una situazione simile, affermando che il tenente-colonnello ex-APC Charles Lwanga aveva tradito i suoi colleghi cospiratori: «David Lusenge aveva chiesto a Charles Lwanga di appoggiare gli uomini di John Tshibangu per una nuova ribellione contro Kabila … Lwanga, che era a conoscenza del piano di John Tshibangu, informò il generale Mundos, fornendogli tutti i dettagli del piano».
Queste rivelazioni aiutano a spiegare anche i tempi dei massacri. I primi attacchi coincidono con i piccoli massacri che l’ex-APC aveva programmato come suo obiettivo. Ad esempio, gli alleati dell’ex-APC si sono assunti la responsabilità degli attacchi di Mukoko (2 ottobre 2014), Kokola (2 ottobre 2014) e Mayi Moya (6 ottobre 2014), in cui furono uccise due o tre persone per volta. Un partecipante a questi attacchi ha dichiarato che, un successivo attacco a Oicha, dove furono uccise dieci persone, colse il loro gruppo di sorpresa, poiché fu commesso da un gruppo diverso dal loro.
Un ufficiale delle FARDC ricorda un incontro tenutosi il 7 ottobre 2014, durante il quale Mundos e altri ufficiali “decisero di usare lo stesso metodo del nemico per bloccarne l’avanzata”.
Un militare delle FARDC ha dichiarato che il massacro del 9 ottobre 2014 a Oicha era il primo attacco a cui le FARDC hanno partecipato: «Dopo il massacro di Oicha il 9 ottobre 2014, il mio capo diretto, il colonnello X, ha esclamato: “Ecco, gli uomini di Mundos hanno iniziato a uccidere dei civili”».
Un altro partecipante al massacro ha affermato che Mundos e Muhima avevano appoggiato il suo gruppo durante l’attacco a Apetina Sana, avvenuto in quella stessa settimana.
Un altro membro delle FARDC ha confermato l’incontro del 7 ottobre e la strategia adottata:
«quando il comandante dell’operazione Sukola I ha scoperto la modalità operativa del nemico … per bloccare questa nuova ribellione in gestazione, egli ha optato per la sua stessa modalità operativa, seminando la confusione».
Un reclutatore di nuove leve per l’attuazione dei massacri, che lavorava alle dipendenze di Mundos, ha presentato una lettura simile degli eventi: «Abbiamo dovuto organizzare qualcosa per uccidere molte persone in un solo attacco, perché la gente di Mbusa Nyamwisi stava già preparando una nuova ribellione in foresta. Quindi abbiamo organizzato un gruppo per scaricare la colpa su Mbusa Nyamwisi».
Le nomine effettuate all’interno di Sukola I in quel periodo confermano il fatto che Mundos cercava di infiltrare o di cooptare dei piani preesistenti sui massacri.
In primo luogo, il colonnello Muhima fu promosso vice comandante di Sukola I dopo la morte di Bahuma.
In secondo luogo, Adrian Loni (alias “Muhumuza” o “Yesse”) e il colonnello Muhindo Charles Lwanga, strettamente implicati nei gruppi armati affiliati all’ex-APC a Beni nel 2012-2013, sono stati integrati nell’operazione Sukola I, ma hanno continuato a collaborare con quei gruppi affiliati all’ex-APC, in particolare con la  milizia di Mayangose, per fomentare i massacri, ricorrendo ai loro ex collaboratori.
Adrian Loni (alias “Muhumuza” o “Yesse) è una figura misteriosa e controversa. Ha facilitato il reclutamento di nuove leve per Kakolele e Lusenge nel 2013, mentre trafficava armi con entrambi a Mayangose e a Watalinga. Lusenge ha descritto Adrian come membro dell’esercito ugandese, ciò che corrisponde alle sue attività in quel paese. Indipendentemente dalla sua affiliazione principale, Adrian ha collaborato a lungo con degli ufficiali dell’ex-APC e aveva quindi una profonda conoscenza dei gruppi armati di Beni. In quanto “confidente” dei comandanti dell’ex-APC, aveva probabilmente collaborato con loro per la creazione dei legami con le ADF. Il gruppo di esperti dell’Onu ha constatato che, «nel 2013, Muhumuza aveva chiesto a un dirigente delle ADF di far parte di un nuovo gruppo armato che sarebbe anch’esso stato denominato “ADF”».
In agosto 2014, Adrian si era arreso alla MONUSCO, presentandosi come reclutatore regionale di nuove leve per le ADF. Nelle sue dichiarazioni alla Monusco aveva fatto alcune stravaganti affermazioni sulle connessioni delle ADF con Al-Qaeda. Adrian aveva aggiunto di essere sfuggito ad un suo arresto a Kampala nel mese di maggio 2013 e di essere ritornato con le ADF, ma vari comandanti di milizia hanno dichiarato che egli collaborava con Kakolele, per creare dei gruppi armati, in collaborazione con i Mai-Mai Mayangose.
All’inizio di ottobre 2014, alcune settimane prima dei massacri, Adrian Loni fu nominato tenente colonnello nella 31ª brigata sotto il comando del generale Mundos. Mediante questo suo ruolo in Sukola I, Adrian ha appoggiato i tentativi di Kinshasa di infiltrarsi nei gruppi armati affiliati all’ex-APC con i quali aveva precedentemente collaborato.
Il momento della nomina di Adrian Loni in seno all’operazione Sukola I era un momento politicamente instabile poiché, a Beni, era in corso il processo per l’assassinio del primo comandante di Sukola I, il colonnello Mamadou Ndala. In quel processo, Adrian è stato il testimone principale che ha accusato un ufficiale dell’ex-APC integrato nell’esercito e suo ex collaboratore, Samuel Birotsho, di avere collaborato con le ADF per assassinare Mamadou Ndala.
Un membro dei servizi di sicurezza ha spiegato che le conoscenze di Adrian sulle relazioni tra le ADF e l’ex-APC lo avevano reso molto utile a Kinshasa e ciò gli era valso la nomina all’interno dell’operazione Sukola I: «Quando il procuratore militare [Ntumba] ha avuto delle indicazioni secondo cui Birotsho sarebbe stato implicato nell’assassinio del colonnello Mamadou Ndala, egli cercò qualcuno che avesse una profonda conoscenza delle relazioni tra Birotsho e le ADF. È così che si è imbattuto in Adrian. Il colonnello Ntumba usò Adrian per avere tutti gli elementi possibili sulle relazioni tra le ADF e alcuni militari dell’ex APC. È così che, nel processo Mamadou, [Adrian] ha testimoniato contro Birotsho».
La testimonianza di Adrian non era solo finzione. In qualità di ufficiale dell’intelligence delle FARDC con base permanente a Beni, Birotsho era stato, in effetti, in contatto con le ADF, insieme ad altri associati dell’ex-APC, come Edouard Nyamwisi e Mbonguma. Alcuni combattenti hanno persino definito Birotsho come il “capo di false ADF”. La testimonianza di Adrian fu un tradimento personale nei confronti di Birotsho, con il quale aveva coordinato molte operazioni. Dopo essere stato integrato nell’operazione Sukola I, Adrian ha collaborato nell’organizzazione di alcuni massacri. Egli ha collaborato anche con i Mai-Mai Mayangose, con cui aveva una relazione da lungo tempo, per organizzare dei massacri nella periferia della città di Beni. Egli ha collaborato con Mundos e Ntumba, per reclutare i gruppi incaricati di compiere i massacri.
Il colonnello Muhindo Charles Lwanga, ufficiale proveniente dall’ex-APC, fu nominato S3 di Sukola I sotto il comando di Mundos. Con questa funzione, Lwanga era incaricato di nominare i comandanti della 31ª brigata di Mundos. Lwanga aveva precedentemente collaborato con Mundos, a Goma, quando era stato membro del consiglio di sicurezza del governatore del Nord Kivu, e poi a Dungu. Ex capitano dell’APC, Lwanga ha partecipato alla mobilitazione dell’ex-APC nel 2012-2013, insieme a David Lusenge e Hilaire Kombi a Watalinga. Insieme a Adrian e ad altri comandanti di milizie locali, fu implicato in alcuni sequestri di alto profilo, tra cui quello dei tre sacerdoti cattolici di Mbau.
La multiforme infiltrazione di Sukola I nei gruppi dell’ex-APC può essere letta nel contesto di una preesistente lotta per il controllo sul territorio e nell’ambito di un tentativo di influire sull’insieme delle coalizioni locali sorte attorno alle ADF.

g. La complicità tra certi ufficiali di Sukola I e le ADF

Dopo che Mundos subentrò come capo dell’operazione Sukola I, le operazioni militari contro le ADF arrivarono a un punto morto.
Benché ciò abbia potuto dipendere anche dalla natura più decentralizzata delle ADF dopo la caduta di Medina, diversi ufficiali delle FARDC e funzionari delle Nazioni Unite hanno confermato che il comando delle FARDC ha dimostrato una minor determinazione nel perseguire le ADF. A questo proposito, vari militari hanno affermato di aver combattuto duramente contro le ADF sotto il comando del generale Bahuma, ma molto meno sotto quello di Mundos. Un altro membro delle FARDC ha dichiarato che, quando Mundos prese il comando, chiese ai soldati di Sukola I di abbandonare le basi delle ADF che avevano recuperato e di avvicinarsi alle città.
Altri ufficiali di Sukola I, tra cui il colonnello Muhima, hanno continuato a trafficare legname in aree note per essere sotto il controllo delle ADF.
Più preoccupante, quattro membri delle ADF hanno descritto come degli ufficiali di Sukola I hanno collaborato direttamente con le ADF e hanno citato degli incontri tra ufficiali della 31ª brigata provenienti dall’ex CNDP e / o dall’ex-APC, con comandanti delle ADF, per coordinare le operazioni.
Un imam delle ADF che ha partecipato a questi incontri ha affermato che un membro della 31ª brigata è andato a incontrare le ADF nei loro campi base. Sempre secondo questa fonte, anche alcuni elementi congolesi delle ADF sono stati integrati nella 31ª brigata. Come egli afferma, «i combattenti potevano essere di qualsiasi luogo, di Butembo, di Kisangani, di Beni, ma era necessario che fossero congolesi».
Un ufficiale dell’intelligence militare ha dichiarato che Mundos aveva nominato un noto collaboratore delle ADF a un posto importante dell’ufficio dei sevizi dell’intelligence T2.
Altre persone nominate all’interno di Sukola I hanno indicato che degli ufficiali delle FARDC avevano dei collegamenti diretti con le ADF. Nel 2016, il gruppo di esperti delle Nazioni Unite ha scoperto il numero di telefono del colonnello Lwanga, S3 di Sukola I all’inizio dei massacri, su una carta SIM recuperata su un noto combattente ADF. Un altro collaboratore delle ADF ha dichiarato che Mundos si è incontrato clandestinamente con combattenti Vuba e Bapakombe che avevano stretti legami con Feza, ufficiale delle ADF. Due membri delle ADF hanno descritto la collaborazione con dei membri della 31ª brigata per organizzare  delle false imboscate, per dissimulare degli scambi reciproci di forniture.
Altre fonti dirette vanno oltre, dichiarando al gruppo di esperti delle Nazioni Unite che degli ufficiali di Sukola I, tra cui Mundos, hanno collaborato attivamente con le ADF per organizzare alcuni massacri. Un membro della 31ª brigata ha detto che gli ufficiali agli ordini di Mundos hanno organizzato dei massacri e utilizzato dei collaboratori delle ADF come guide per compierli.
Il gruppo di esperti delle Nazioni Unite ha scoperto che Mundos si è incontrato con alcuni combattenti ADF in un loro campo base vicino a Mwalika e li ha reclutati per partecipare a dei massacri. Due partecipanti ai massacri hanno spiegato che Mundos ha contribuito a facilitare l’approvvigionamento dei loro rispettivi gruppi che hanno effettuato dei massacri. Un reclutatore per compiere massacri e noto collaboratore delle ADF ha dichiarato che Mundos lo contattò per aiutarlo a organizzare dei gruppi che avrebbero compiuto dei massacri.
Una fonte dell’intelligence militare ha affermato che «i complici delle ADF che massacrano la popolazione si trovano nelle file delle FARDC, in particolare tra gli ex-APC e gli ex-CNDP». Secondo vari partecipanti ai massacri, le ADF operavano in complicità con le FARDC. Un miliziano Mai-Mai che ha partecipato a dei massacri con le ADF, ha affermato: «durante i nostri attacchi, abbiamo avuto il totale appoggio delle FARDC, in particolare per quanto riguarda i nostri spostamenti durante lo svolgimento dei massacri».
È importante sottolineare che furono solo certe reti parallele all’interno dell’operazione Sukola I – non necessariamente controllate da Kinshasa – a collaborare con le ADF nell’esecuzione dei massacri. Molti militari delle FARDC, infatti, parteciparono lealmente alla battaglia contro le ADF, come si può constatare per l’alto numero di soldati delle FARDC e di membri delle ADF uccisi durante l’operazione Sukola I.

[1] Cf http://congoresearchgroup.org/new-crg-investigative-report-mass-killings-in-beni-territory/?lang=fr