Congo Attualità n. 510

INDICE

1. LA FIRMA DI UN ACCORDO DI PACE TRA LA RDC E IL RUANDA
a. Tre elementi principali: sicurezza, economia e aiuti umanitari
2. L’ANOMALIA CHE FRAGILIZZA L’IMPEGNO PER LA SICUREZZA
a. La questione delle FDLR
b. La questione dell’AFC/M23
3. IL RISCHIO CHE INCOMBE SULLA DIMENSIONE ECONOMICA

1. LA FIRMA DI UN ACCORDO DI PACE TRA LA RDC E IL RUANDA

a. Tre elementi principali: sicurezza, economia e aiuti umanitari

Il 27 giugno, con la mediazione degli Sati Uniti, la Repubblica Democratica del Congo (RDC) e il Ruanda hanno ufficialmente firmato un accordo di pace. La cerimonia si è tenuta presso il Dipartimento di Stato americano, alla presenza del Segretario di Stato Marco Rubio. L’accordo è stato firmato da Thérèse Kayikwamba Wagner, Ministra degli Esteri congolese, e da Olivier Nduhungirehe, suo omologo ruandese.
L’intento dell’accordo è quello di porre fine a un conflitto trentennale che sta devastando l’Est della RDC dove, secondo diversi rapporti di esperti delle Nazioni Unite, il Ruanda ha dispiegato le sue truppe in appoggio al gruppo armato denominato Movimento del 23 Marzo (M23). Ispirato alla dichiarazione di principi e al testo preparatorio firmati rispettivamente il 25 aprile e il 18 giugno dalle delegazioni congolese e ruandese, questo accordo è da molti osservatori considerato un vago copia-incolla di numerosi accordi precedenti che non sono mai stati rispettati.
Il testo comprende tre elementi principali: sicurezza, economia e aiuti umanitari.
– Sul piano della sicurezza, l’accordo prevede il rispetto dell’integrità territoriale di entrambi i Paesi; la cessazione delle ostilità tra i loro eserciti, mediante un loro graduale disimpegno; e la fine di ogni tipo di appoggio ai gruppi armati, tra cui le FDLR o l’M23/AFC. L’accordo prevede anche il disarmo dei gruppi armati e l’integrazione dei loro membri nella vita sociale o, solo a certe condizioni, nei ranghi dell’esercito nazionale.
A proposito di quest’ultimo punto, l’accordo stabilisce che “ogni eventuale reinserimento dei combattenti nelle Forze Armate della Repubblica Democratica del Congo (FARDC) e nella Polizia Nazionale Congolese (PNC) sarà effettuato in modo rigoroso, individualizzato e condizionato, caso per caso, sulla base di criteri chiari, tra cui l’idoneità fisica e morale, l’assenza di gravi violazioni del diritto internazionale umanitario e la lealtà verso lo Stato e le sue istituzioni”.
L’accordo include inoltre la creazione, entro 30 giorni dall’entrata in vigore dell’accordo, di un meccanismo congiunto di coordinamento della sicurezza tra la RDC e il Ruanda, ispirato al principio della fine irreversibile e verificabile del sostegno dello Stato (congolese) alle FDLR e ai gruppi armati loro associati e basato sul concetto di operazioni (CONOPS), un organo di condivisione di informazioni e di programmazione delle operazioni militari che, adottato a Luanda nell’ottobre 2024, prevede la localizzazione, l’identificazione e la neutralizzazione dei combattenti delle FDLR, con due opzioni: il rimpatrio volontario in Ruanda, oppure delle operazioni di disarmo forzato condotte dalle forze armate congolesi, eventualmente appoggiate da quelle ruandesi.
– Sul piano economico, l’accordo prevede la creazione di un ambito di integrazione economica regionale con l’obiettivo di rafforzare la cooperazione bilaterale in progetti congiunti, in particolare nei settori dell’energia idroelettrica, della gestione dei parchi nazionali e della tracciabilità dei minerali. Questa cooperazione bilaterale si baserà su organizzazioni regionali già esistenti – la CIRGL, la COMESA, la ZLECAf ed l’EAC – per promuovere l’integrazione economica e contrastare il contrabbando e ogni forma di traffici illeciti. Gli Stati Uniti svolgeranno un importante ruolo nel settore dei minerari strategici e, come investitori, intendono garantirsi l’accesso ai minerali strategici congolesi, riducendo al contempo la crescente influenza della Cina in quella regione.
– Sul piano umanitario, l’accordo prevede la facilitazione del rientro dei rifugiati e degli sfollati interni e l’accesso agli aiuti umanitari.[1]

Secondo l’osservatore Christophe Rigaud, il testo dell’accordo di pace firmato a Washington non ha nulla di rivoluzionario e riprende tutte le disposizioni già previste in precedenti bozze di accordo ma mai attuate: “rispetto dell’integrità territoriale; cessazione delle ostilità: disimpegno, disarmo e integrazione condizionata dei gruppi armati; facilitazione del ritorno dei rifugiati e degli sfollati interni e accesso umanitario”, a cui si aggiunge l’unico elemento nuovo, “la creazione di un quadro di integrazione economica regionale”.[2]

Nel suo discorso, la Ministra degli Esteri congolese, Thérèse Kayikwamba Wagner, ha dichiarato che questo accordo apre un nuovo capitolo: «Firmando questo accordo, riaffermiamo una semplice verità. La pace è una scelta, ma anche una responsabilità: rispettare il diritto internazionale, proteggere i diritti umani e salvaguardare la sovranità degli Stati. Quelli che hanno sofferto di più ci stanno guardando e attendono che questo accordo venga rispettato».[3]

Il presidente congolese Félix Tshisekedi ha esortato a non sopravvalutare un’iniziativa ancora molto fragile. Secondo lui, la firma di un accordo è solo un inizio: il suo successo dipenderà dalla sua reale attuazione, dal rispetto degli impegni presi da tutte le parti e, soprattutto, dalla cessazione effettiva dell’appoggio ai gruppi armati.
Il vice portavoce del Dipartimento di Stato americano, Tommy Pigott, ha ribadito l’importanza di questo accordo di pace tra Kinshasa e Kigali. Tuttavia, egli ha riconosciuto che la pace raggiunta sulla carta deve ora concretizzarsi sul campo, ovvero nelle relazioni quotidiane tra questi due stati. Secondo Tommy Pigott, solo l’attuazione di questo accordo potrà favorire gli investimenti economici e la stabilità regionale.[4]

2. L’ANOMALIA CHE FRAGILIZZA L’IMPEGNO PER LA SICUREZZA

È davvero sorprendente notare che, mentre gran parte del Nord e del Sud Kivu è attualmente occupata militarmente dal Movimento del 23 Marzo (M23), un gruppo armato “congolese” appoggiato dall’esercito ruandese e responsabile di molte violenze contro la popolazione, l’accordo si concentra invece sulla neutralizzazione delle Forze Democratiche di Liberazione del Ruanda (FDLR), un gruppo armato hutu di origine ruandese, ancora attivo nell’est della RDC ma ormai considerato come un gruppo residuale, che non rappresenta più una vera minaccia per il regime ruandese. Questa anomalia deriva dal fatto che, durante i negoziati di Washington, il Ruanda è riuscito ad imporre la sua versione, che consiste  nella costante negazione del suo appoggio militare all’M23, contrariamente a quanto affermato da molti rapporti internazionali, e nella strumentalizzazione della presenza, in territorio congolese, delle FDLR che, benché ormai ridotte a un gruppo relativamente piccolo, costituirebbero ancora una rilevante minaccia per la sicurezza del regime ruandese. È così che la questione relativa all’occupazione del Kivu da parte dell’M23 è stata rinviata ai negoziati attualmente in corso tra l’M23 e il governo congolese a Doha, con la mediazione delle autorità del Qatar. In tal modo, l’occupazione di gran parte del Kivu da parte dell’M23 è stata ridotta a un conflitto interno tra l’M23 e il governo congolese, ciò che ha portato a scagionare il regime ruandese dall’accusa di aggressione della RDC mediante l’invio di sue truppe in territorio congolese per appoggiare l’M23.

a. La questione delle FDLR

Il Ministro degli Esteri ruandese Olivier Nduhungirehe ha dichiarato che «il cuore dell’accordo di pace di Washington è la decisione di creare un meccanismo permanente di coordinamento congiunto per la sicurezza tra il Ruanda e la RDC. Il primo compito sarà quello di avviare l’attuazione del Concetto di Operazioni per la Neutralizzazione delle Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR), accompagnato dalla revoca delle “misure difensive” adottate dal Ruanda (ritiro delle truppe ruandesi dal territorio congolese) . Ciò si basa sull’impegno di porre fine in modo irreversibile e verificabile all’appoggio dello Stato (congolese) alle FDLR e alle milizie associate. È il fondamento della pace e della sicurezza nella nostra regione». Secondo il Ministro, «le FDLR non sono una milizia ordinaria. Sono ciò che resta delle forze che hanno commesso il genocidio contro i Tutsi in Ruanda nel 1994, durante il quale sono state uccise un milione di persone».[5]

Il cuore dell’accordo è costituito da due delicate questioni:  quella del “ritiro delle truppe ruandesi dal suolo congolese”, timidamente definito “revoca delle misure difensive” adottate dall’esercito ruandese, e quella della neutralizzazione delle FDLR, un gruppo armato di origine ruandese e ancora attivo nell’est della RDC, che Kigali considera come “una minaccia esistenziale” contro la sua sicurezza, perché tra i suoi membri ci sono anche degli Hutu ruandesi che avevano partecipato al genocidio avvenuto in Ruanda nel 1994 e i loro discendenti che, sempre secondo Kigali, manterrebbero una ideologia genocida.
Una prima difficoltà risiede nella neutralizzazione delle FDLR, che dovrebbe permettere il ritiro delle truppe ruandesi dal territorio congolese. Le due fasi sono collegate e costringono Kinshasa a neutralizzare le FDLR nel più breve tempo possibile. Il problema è che le FDLR stanno collaborando con l’esercito congolese proprio per combattere l’M23.
Una seconda difficoltà sta nel fatto che, per 20 anni, la lotta contro le FDLR non ha mai prodotto i risultati attesi. Nel 2005, nel 2009 o nel 2024, l’esercito congolese non è mai riuscito a sradicare questo gruppo armato, né con l’aiuto delle forze della Missione dell’ONU in Congo (MONUSCO), né con l’aiuto dell’esercito ruandese. La neutralizzazione delle FDLR rappresenta quindi un’operazione molto difficile.[6]

Il ricercatore americano Jason Stearns, co-fondatore dell’istituto di ricerca congolese Ebuteli, è stato intervistato dal giornalista Christophe Boisbouvier di Radio Francia Internazionale (RFI).
RFI: Quali sono le linee generali dell’accordo firmato?
Jason Stearns: Non se ne conosce il contenuto esatto. Ma si può credere che si tratti di un accordo basato sul doppio principio del ritiro delle truppe ruandesi dal territorio congolese e dell’avvio di operazioni militari condotte dall’esercito congolese contro le FDLR. Questo è il punto più importante dell’accordo. Tra i punti più discussi durante i negoziati è stato quello della simultaneità delle due fasi: l’organizzazione delle operazioni militari contro le FDLR da parte dell’esercito congolese e, contemporaneamente, il ritiro delle sue truppe da parte del Ruanda. Il problema è che, trattandosi di fasi simultanee, entrambe le parti potrebbero accusarsi reciprocamente di non mantenere gli impegni assunti. Inoltre, poiché gran parte delle FDLR si trova in territorio attualmente controllato dall’M23 e dalle truppe ruandesi, ci si chiede come l’esercito congolese potrà gestire delle operazioni militari contro le FDLR in quelle zone che sfuggono al suo controllo.
RFI: Quali garanzie si possono avere sul ritiro delle truppe ruandesi e sulla neutralizzazione delle FDLR nel Nord e Sud Kivu?
Jason Stearns: Non ci sono garanzie in senso stretto. Quindi ci si può porre la seguente domanda: cosa ha spinto il Ruanda e la RDC a firmare questo accordo? Credo che si sia ricorso alla strategia del bastone e delle carote. Le carote sono principalmente di ordine economico. In effetti, gli Stati Uniti hanno promesso una serie di investimenti nella regione. Per quanto riguarda il settore delle risorse minerarie, ci sono delle società private americane che, a quanto pare, sono disposte a investire nelle miniere dell’est della RDC. Ma la trasformazione e l’esportazione dei minerali, inclusi quelli di origine congolese, avverrebbero a partire dal Ruanda. In questo modo, entrambi i Paesi sarebbero incoraggiati a investire nella pace e non nell’instabilità.[7]

Per quanto riguarda una possibile tempistica per l’attuazione delle operazioni di neutralizzazione delle FDLR, l’accordo prevede quanto segue. Il primo passo dovrà essere effettuato nell’arco di un mese, cioè entro il 27 luglio 2025: la RDC e il Ruanda dovranno istituire un “meccanismo di coordinamento congiunto”. Questo meccanismo collaborerà con un comitato di monitoraggio congiunto composto  dall’Unione Africana (UA), Stati Uniti e Qatar. La sua prima riunione dovrà svolgersi entro l’11 agosto.
Sul terreno, le priorità sono due: la neutralizzazione delle FDLR e la revoca delle misure difensive attuate dal Ruanda (ritiro delle truppe ruandesi dal territorio congolese). Queste azioni dovranno essere completate entro quattro mesi, in diverse fasi.
Inizialmente, ci sarà una fase di preparazione di due settimane per analizzare la situazione, localizzare le FDLR e condividere le informazioni tra le parti.
In seguito, inizieranno le operazioni vere e proprie: tre mesi per neutralizzare le FDLR e porre fine alla presenza militare ruandese in territorio congolese. Secondo alcune informazioni, non è esclusa un’operazione congiunta tra l’esercito congolese e le truppe ruandesi per la neutralizzazione delle FDLR. Ma la decisione dovrà essere presa congiuntamente dai due Paesi.[8]

b. La questione dell’AFC/M23

La gestione della crisi legata all’Alleanza Fiume Congo / Movimento del 23 Marzo (AFC / M23), un gruppo armato “congolese” attivo nell’est della RDC con l’appoggio di truppe ruandesi, non è stata inclusa nell’accordo di Washington, essendo stata rinviata all’iniziativa parallela di Doha, sotto la mediazione dal Qatar. In effetti, a Doha sono attualmente in corso dei negoziati tra il governo congolese e l’AFC/M23. Si tratta di negoziati iniziati in seguito al fallimento dell’iniziativa di pace che si stava svolgendo a Luanda (Angola) in dicembre 2024, quando la delegazione ruandese aveva chiesto l’apertura di colloqui diretti tra il governo congolese e l’AFC/M23 come condizione a qualsiasi tipo di accordo tra la RDC e il Ruanda.
Un alto funzionario ruandese ha confermato che «la questione dell’AFC/M23 è stata affidata all’iniziativa di pace in corso a Doha, in Qatar. L’accordo di Washington prevede semplicemente un impegno congiunto, da parte di Kinshasa e di Kigali, di appoggiare l’iniziativa di Doha. Washington non ha mai avuto l’ambizione di risolvere direttamente la questione dell’insicurezza legata all’attivismo dell’AFC/M23».
Per risolvere la questione relativa all’AFC/M23, il Ministro degli Esteri ruandese, Olivier Nduhungirehe, ha precisato che l’accordo di pace firmato a Washington tra la RDC e il Ruanda prevede un appoggio delle due parti (RDC e Ruanda) ai negoziati in corso a Doha tra Kinshasa e l’AFC/M23. Secondo Kigali, l’obiettivi dei negoziati di Doha tra l’AFC/M23 e il governo congolese è quello di raggiungere un accordo di pace separato, che integrerebbe quello firmato a Washington.[9]

Firmando un accordo di pace con Kigali senza una previa negoziazione con l’AFC/M23, Kinshasa spera di indebolire quest’ultimo. Secondo le Nazioni Unite, l’AFC/M23 è appoggiata dall’esercito ruandese, con 4.000-5.000 militari presenti sul suolo congolese, ciò che Kigali smentisce. Nel  2013, durante la prima ribellione dell’M23, il ritiro ruandese in seguito alle forti pressioni internazionali fu sufficiente per far implodere lo stesso gruppo armato. Washington, e soprattutto Kinshasa, oggi sperano di riprodurre quel scenario del 2013. Ma nel 2025 la situazione è cambiata. L’M23 occupa territori molto più estesi, e da molti mesi. L’AFC/M23 controlla attualmente i due capoluoghi di provincia, Goma e Bukavu, e le principali vie di comunicazione della zona. L’AFC/M23 sta amministrando i territori conquistati e reclutando nuovi membri. L’attuale situazione è molto diversa da quella del 2013, quando l’M23 occupò Goma solo per una decina di giorni. La situazione dell’est della RDC è quindi tutt’altro che risolta. Per arrivare alla pace, sarà necessario tener conto delle rivendicazioni avanzate dall’AFC/M23. Attualmente, i colloqui di Doha sono bloccati, sebbene le delegazioni siano tornate a Doha, capitale del Qatar, l’11 giugno. Le rivendicazioni dell’M23 sono state riviste al rialzo, in seguito alle nuove conquiste territoriali. All’interno della ribellione, si parla ormai chiaramente di una sorta di “autonomia” delle zone passate sotto il suo controllo, e di una loro gestione “federalista” con Kinshasa.
Ci si può chiedere se l’accordo di pace firmato a Washington tra la RDC e il Ruanda sarà sufficiente affinché la RDC riacquisti la sua integrità territoriale e una parvenza di pace Due scuole di pensiero si contendono la risposta. La prima considera l’M23 semplicemente come il braccio armato del Ruanda e che continuerà ad agire secondo le istruzioni di Kigali. La seconda ritiene che l’M23 possieda ormai un certo livello di autonomia e che si sia rafforzato con le conquiste di Goma e di Bukavu. Entrambi gli approcci dimostrano l’ambiguità dell’M23, che è sì affiliato a Kigali, ma ha raggiunto un notevole margine di manovra sul terreno, soprattutto da quando si è maggiormente “congolizzato” con la creazione dell’AFC di Corneille Nangaa nel 2023. D’altra parte, la presenza dell’ex presidente Joseph Kabila a Goma, in territorio ribelle, ha ulteriormente dimostrato che la crisi nell’Est della RDC è anche una crisi interna. Una parte della risoluzione del conflitto dipenderà quindi dalla capacità di Washington di far pressione su Kigali e poi dalla capacità di Kigali di influenzare l’M23. In questo ultimo caso, ci si può chiedere se il Ruanda possa decidere di rispettare l’impegno, assunto con l’accordo di pace di Washington, di ritirare le proprie truppe dal territorio congolese e di dissociarsi da ciò che l’M23 potrebbe fare sul terreno.[10]

Il ricercatore americano Jason Stearns, co-fondatore dell’istituto di ricerca congolese Ebuteli, è stato intervistato da Christophe Boisbouvier, di Radio France Internationale (RFI).
RFI: Il governo congolese spera che, se l’esercito ruandese si ritirasse dal territorio congolese, l’M23 crollerebbe. Ma è davvero così semplice?
Jason Stearns: Non è così semplice, nel senso che negli ultimi mesi l’AFC/M23, soprattutto dopo l’occupazione di Goma, ha reclutato migliaia di nuove leve, ha creato un’amministrazione parallela e un nuovo sistema fiscale, ha organizzato corsi di formazione destinati all’élite locale e ha sottoposto i capi tradizionali a forti pressioni. Sarà difficile smantellare tutto questo. Pertanto, è importante che l’attuazione delle disposizioni dell’accordo di Washington sia oggetto di controllo e verifica, non solo da parte degli Stati Uniti, ma anche delle Nazioni Unite e dell’Unione Africana, per assicurarsi che anche l’M23 sia parte integrante del processo di pace.[11]

3. IL RISCHIO CHE INCOMBE SULLA DIMENSIONE ECONOMICA

Il contenuto dell’accordo economico “minerali in cambio di sicurezza” non è ancora noto. Sarà oggetto di un nuovo accordo e discusso nel prossimo mese di settembre.
Sul piano economico, l’accordo si basa su un’architettura a tre livelli: cooperazione bilaterale, integrazione regionale e interessi statunitensi.
– In primo luogo: cooperazione bilaterale. Kinshasa e Kigali potranno rafforzare la loro cooperazione bilaterale nell’ambito di alcune priorità ritenute strategiche: la gestione dei parchi nazionali, il settore idroelettrico e la messa in sicurezza delle catene di approvvigionamento dei minerali. A riguardo di questo ultimo punto,  l’obiettivo è creare catene di valore aggiunto integrate e trasparenti, “dalla miniera alla raffineria”.
– In secondo luogo: integrazione regionale. Per procedere verso una graduale integrazione economica, la RDC e il Ruanda potranno appoggiarsi sulle strutture già esistenti, come la Conferenza Internazionale per la Regione dei Grandi Laghi (CIRGL), il Mercato Comune per l’Africa Orientale e Meridionale (COMESA), le Zone di Libero Scambio Economico in Africa (ZLECAf)  e la Comunità dell’Africa dell’Est (EAC). L’obiettivo è di favorire il commercio, attrarre investimenti e, soprattutto, “smantellare le reti del contrabbando”. Dovrebbero inoltre essere istituiti dei meccanismi indipendenti di controllo, per monitorare le filiere minerarie, i progetti infrastrutturali e gli accordi economici, concentrando l’attenzione in particolare sulla trasparenza delle transazioni e sulla lotta contro la corruzione.
– In terzo luogo: il ruolo degli Stati Uniti. Washington potrà implicare i propri investitori, in particolare quelli del settore minerario, ma anche di altri settori. Gli investimenti non si limiteranno alle province del Nord e del Sud Kivu, ma potranno espandersi anche verso altre regioni del Paese.
L’obiettivo principale degli Stati Uniti è di garantirsi e mettere in sicurezza l’approvvigionamento di materiali critici in Congo. Pertanto, attraverso l’accordo firmato a Washington, l’amministrazione Trump vuole semplicemente difendere i propri interessi economici nella RDC, soprattutto nell’ambito dei minerali strategici.
A questo proposito, intervistato da TV5MONDE, l’ex ambasciatore statunitense nella Repubblica Centrafricana, Jeff Hawkins, ricercatore associato presso l’Iris e docente di Scienze Politiche, ha dichiarato che «l’interesse dell’amministrazione Trump non è tanto quello di mettere fine al conflitto nell’est della RDC, ma piuttosto quello di aver accesso ai minerali critici del Congo». Dubitando dell’implicazione a lungo termine dell’amministrazione Trump nella risoluzione della conflitto in corso nell’est della RDC, Hawkins ha aggiunto: «Non credo che il Segretario di Stato americano Marco Rubio continui ad interessarsi di questo conflitto una volta che l’accesso degli Stati Uniti ai minerali della RDC sia garantito».[12]

Un accordo minerario tra la RDC e gli Stati Uniti è ancora in fase di discussione. Una volta firmato, questo accordo attirerà investimenti americani nel settore minerario congolese, in cambio di garanzie di sicurezza. In base a questo futuro accordo, le società americane investiranno nel settore minerario congolese e in quello delle infrastrutture necessarie per lo sviluppo della RDC, come strade, ferrovie, energia elettrica e altri progetti. Secondo il governo statunitense, questo futuro accordo minerario sarà una partenariato vantaggiosa per tutti, nel rispetto delle leggi nazionali e internazionali, in particolare in materia di lavoro, ambiente e lotta contro la corruzione e il contrabbando. Tuttavia, all’interno della società congolese, alcune voci già criticano questo futuro accordo, che nasconderebbe una vera e propria svendita delle risorse minerarie della RDC.[13]

Per quanto riguarda la cooperazione economica e la cogestione delle risorse transfrontaliere tra la RDC e i paesi limitrofi, Prince Epenge, comunicatore di Lamuka e presidente del partito politico Add Congo, ritiene che, su questo tema, diversi punti rischino di trasformare la RDC in una mucca da mungere a favore dei paesi limitrofi: «In molti aspetti, in questo accordo si considera il Congo come una gigantesca miniera piena di minerali, una miniera a cielo aperto da cui verranno estratti tutti i tipi di minerali strategici necessari per rifornire l’industria mineraria ruandese». Per evitare questo rischio, Lamuka chiede quindi agli Stati Uniti di impegnarsi a favore del ritiro delle truppe ruandesi attualmente dispiegate sul suolo congolese, ciò che permetterebbe di mettere fine alle ostilità nell’Est della RDC.[14]

Il 3 luglio, in una conferenza stampa organizzata a Kinshasa, la Ministra congolese degli Affari Esteri, Thérèse Kayikwamba Wagner, ha apportato alcuni chiarimenti sull’accordo di pace firmato il 27 giugno a Washington tra la Repubblica Democratica del Congo e il Ruanda con la mediazione degli Stati Uniti d’America. Qualificando l’accordo come “storico”, la Ministra ha cercato di dissipare ogni dubbio sulla sua natura: «Questo accordo non è né un trattato economico tra la Repubblica Democratica del Congo e gli Stati Uniti, né un accordo commerciale bilaterale tra la RDC e il Ruanda». Ella ha aggiunto che si tratta innanzitutto di un accordo politico per la sicurezza: «Si tratta innanzitutto di un accordo politico per la sicurezza imperniato su impegni concreti: la cessazione delle ostilità, il rispetto dell’integrità territoriale, il ritiro delle truppe straniere, la fine dell’appoggio ai gruppi armati, siano essi l’M23 o altri e la neutralizzazione delle FDLR, ciò che permetterà il ritorno di una pace duratura nell’est del nostro Paese».
La ministra ha infine annunciato la prossima convocazione di un vertice ad alto livello a Washington, a cui parteciperanno i presidenti Félix Tshisekedi e Paul Kagame, sempre sotto l’egida della mediazione americana.[15]

Mentre l’Accordo di Washington è considerato da alcuni come un passo significativo nella ricerca della pace nella regione dei Grandi Laghi Africani, altri ritengono che, firmando tale accordo di con Kigali, la RDC abbia ceduto la propria sovranità e dato al Ruanda il via libera per continuare a saccheggiare le sue risorse naturali.
In una conferenza stampa, la Ministra congolese degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, Thérèse Kayikwamba Wagner, ha cercato di chiarire il capitolo relativo alla questione dell’integrazione economica regionale. Secondo lei, l’accordo non prevede alcuna contropartita economica con gli Stati Uniti, né tantomeno un trattato economico con il Ruanda. Parlando alla stampa, Thérèse Kayikwamba Wagner ha dichiarato che «la componente economica dell’accordo (Capitolo 6) è uno dei capitoli che ha dato origine a molte voci e interpretazioni talvolta errate, talvolta sospette. Il capitolo in questione non contiene alcun impegno di tipo economico; esprime piuttosto la preoccupazione di prevedere per il futuro una maggiore integrazione regionale. È una conseguenza che abbiamo tratto dalla storia della nostra regione e di altre zone africane. L’accordo non prevede alcuna contropartita economica, nessuna concessione mineraria, nessun accordo commerciale bilaterale con il Ruanda … Esprime piuttosto l’impegno assunto da entrambe le parti per riattivare le dinamiche di cooperazione economica regionale, in uno spirito di stabilizzazione post-conflitto. A medio termine, ciò comporta la riabilitazione delle infrastrutture stradali e logistiche a livello regionale, la riattivazione del sistema doganale e degli scambi commerciali nelle zone economiche transfrontaliere. Tuttavia, occorre riconoscere che queste disposizioni sono volontarie, progressive, non vincolanti e non dipendenti dal calendario relativo alla sicurezza».
Alla domanda se, dal punto di vista economico, ci possa essere il rischio che il Ruanda metta le mani sulle risorse della RDC, il capo della diplomazia congolese ha spiegato che la priorità è innanzitutto la pace e che la fase dello sviluppo economico arriverà in seguito: «Assolutamente no, perché non è previsto in alcun modo dall’accordo firmato. Ciò che è importante ricordare è proprio il fatto che l’accordo si basa sull’esperienza già vissuta nell’ambito della Regione dei Grandi Laghi e di altre zone dell’Africa, quella cioè di una maggiore integrazione economica che consenta una maggiore stabilizzazione a lungo termine».
La ministra Thérèse Kayikwamba Wagner ha aggiunto: «Veniamo da 30 anni di aggressioni, con milioni di morti, popolazioni sfollate, saccheggi, stupri e minerali estratti illegalmente per alimentare meccanismi di arricchimento illecito. La cooperazione economica può essere un vettore di stabilità, ma non può essere avviata in modo affrettato. È qualcosa che deve essere fatto in modo sequenziale e graduale. Avremo sempre i vicini che abbiamo, e se vogliamo costruire una pace duratura, dovremo collaborare con loro. Ma, allo stesso tempo, siamo anche consapevoli della nostra storia e delle sue conseguenze e dobbiamo assumerla con responsabilità».
Secondo l’Accordo di Washington, le Parti (la RDC e il Ruanda) potranno usufruire di questo progetto di integrazione economica regionale per favorire il commercio estero e gli investimenti finanziari nel settore delle catene di approvvigionamento dei minerali strategici della regione, introducendo una maggiore livello di trasparenza, che dovrebbe impedire l’esistenza di attività economiche illecite e portare maggiore prosperità a entrambe le parti – soprattutto a favore della popolazione della regione – a partire dalle risorse naturali della regione, attraverso accordi di partenariato e opportunità di investimenti reciprocamente vantaggiosi.[16]

[1] Cf Actualité.cd, 27.06.’25; Radio Okapi, 27.06.’25; Clément Muamba – Actualité.cd, 28.06.’25
[2] Cf Christophe Rigaud – Afrikarabia.com, 22.06.’25   https://afrikarabia.com/wordpress/rdc-rwanda-les-espoirs-incertains-dune-paix-a-washington/
[3] Cf Radio Okapi, 27.06.’25
[4] Cf 7sur7.cd, 27.06.’25 e Clément Muamba – Actualité.cd, 27.06.’25
[5] Cf Clément Muamba – Actualité.cd, 28.06.’25
[6] Cf Christophe Rigaud – Afrikarabia.com, 29.06.’25   https://afrikarabia.com/wordpress/les-1001-defis-de-laccord-entre-la-rdc-et-le-rwanda/
[7] Cf RFI, 27.06.’25
[8] Cf RFI, 29.06.’25
[9] Cf b-One / MCP , via mediacongo.net, 23.06.’25; Actualité.cd, 27.06.’25
[10] Cf Christophe Rigaud – Afrikarabia.com, 22.06.’25   https://afrikarabia.com/wordpress/rdc-rwanda-les-espoirs-incertains-dune-paix-a-washington/
[11] Cf RFI, 27.06.’25
[12] Cf RFI, 27.06.’25; TV5monde.com/Afrique, 27.06.’25
[13] Cf Radio Okapi, 27.06.’25
[14] Cf Le Quotidien / MCP , via mediacongo.net, 22.06.’25
[15] Cf Prince Mayiro – 7sur7.cd, 04.07.’25
[16] Cf Clément Muamba – Actualité.cd, 06.07.’25