LA RD CONGO E LA REGIONE DEI GRANDI LAGHI AFRICANI
Prospettive per una pace sostenibile e reciprocamente vantaggiosa entro il 2040
Nota di advocacy dell’Ufficio di Coordinamento della Società Civile del Sud Kivu – Bukavu, 21 maggio 2025
INDICE
RIASSUNTO
1. CONTESTO
2. CONSTATAZIONI E RACCOMANDAZIONI
a. Alla Repubblica Democratica del Congo
b. Al Ruanda
3. CONCLUSIONI E PROPOSTE AGLI STATI UNITI D’AMERICA
RIASSUNTO
– I membri della società civile del Sud Kivu appoggiano con determinazione la proposta di partenariato strategico tra gli Stati Uniti d’America e la Repubblica Democratica del Congo.
– Accolgono con favore la proposta avanzata dal Presidente Félix Tshisekedi agli Stati Uniti a proposito di un partenariato economico nel settore dei minerali strategici della RDC, in cambio di un’assistenza nel settore della sicurezza e di investimenti infrastrutturali nella Repubblica Democratica del Congo da parte degli Stati Uniti.
– La proposta di un partenariato tra la Repubblica Democratica del Congo e gli Stati Uniti nel settore dei minerali strategici rappresenta una grande opportunità per porre fine alla guerra che sta lacerando l’est della RDC e per costruire una pace duratura nella Regione dei Grandi Laghi Africani.
– Come il Piano Marshall, questo partenariato con gli Stati Uniti potrebbe contribuire alla ripresa economica della RDC e alla prosperità della Regione dei Grandi Laghi Africani.
– Il suo successo dipenderà in particolare dalla capacità degli Stati Uniti di far valere tutto il loro peso per eliminare le funeste conseguenze del malgoverno nella RDC, da un lato, il bellicismo e la distorsione dei fatti storici da parte del regime ruandese, dall’altro. In effetti, dal regno di Mobutu in poi, passando per Joseph Kabila e Felix Tshisekedi, i vari regimi congolesi non hanno fatto altro che perpetuare la corruzione e l’appropriazione indebita di fondi pubblici come modalità di gestione dello Stato. I politici arrivano al potere con le tasche vuote, ma, 5 o 10 anni dopo, si ritrovano milionari o, addirittura, miliardari, grazie al saccheggio del Paese. Per quanto riguarda l’attuale regime ruandese, esso non fa altro che perpetuare una governance caratterizzata dalla violenza politica e dall’esclusione interna, come avvenuto sotto i regimi dei suoi predecessori Habyarimana, Kayibanda e i monarchi del Ruanda precoloniale.
– Questo progetto di partenariato richiede la mobilitazione e il coinvolgimento della società civile, del Parlamento congolese (Assemblea Nazionale e Senato) e di tutte le forze vive della Regione dei Grandi Laghi Africani. La partecipazione dei giovani e delle donne come attori a pieno titolo è garanzia di successo e sostenibilità.
– Questo progetto trarrebbe beneficio anche dalla mobilitazione e dal coinvolgimento dell’Unione Africana, della Comunità per lo Sviluppo dell’Africa Australe (SADC), della Comunità dell’Africa dell’Est (EAC), dei paesi e delle persone di buona volontà che, negli ultimi decenni, hanno contribuito alla pacificazione della RDC e della Regione dei Grandi Laghi.
– Infine, questo progetto trarrebbe beneficio dalla mobilitazione e dal coinvolgimento dei partner europei della RDC, impegnati nel continente africano attraverso il progetto Global Gateway. Tra gli obiettivi di questo programma dell’Unione Europea, si possono citare i seguenti: appoggiare le iniziative per la pace e la sicurezza, facilitare il commercio e i trasporti e gestire le risorse naturali.
1. CONTESTO
Oltre alle risorse specifiche di ogni Stato, la Regione dei Grandi Laghi africani abbonda di immense risorse naturali transfrontaliere. Estratte e commercializzate in modo razionale e sostenibile, esse potrebbero garantire la prosperità di ciascun popolo della regione e del mondo intero. Si pensi alla possibilità di collaborazione tra la RDC, il Burundi e la Tanzania, per quanto riguarda le risorse ittiche del Lago Tanganica; di cooperazione tra la RDC e il Ruanda per quanto riguarda l’estrazione del gas metano del Lago Kivu; alla cooperazione tra la RDC e l’Uganda per quanto riguarda la pesca nei Laghi Edoardo e Alberto; al turismo circolare tra Uganda, Kenya, Tanzania, Ruanda, Burundi e RDC, in una regione paradisiaca, benedetta da un clima primaverile permanente, parchi naturali con flora e fauna eccezionali e montagne, fiumi e laghi a mozzafiato.
2. CONSTATAZIONI E RACCOMANDAZIONI
a. Alla Repubblica Democratica del Congo
Benché ci siamo congratulati con il Presidente Felix Tshisekedi per la sua proposta di un partenariato strategico con gli Stati Uniti nel settore minerario, deploriamo il fatto che questo importante progetto venga concordato in una preoccupante mancanza di trasparenza, pur riguardando il presente e il futuro del nostro popolo. Il Mahatma Gandhi disse: “Qualunque cosa facciate per me senza di me, la fate contro di me”.
Ricordiamo al Presidente Tshisekedi che molti progetti sono falliti nel nostro Paese, perché i nostri dirigenti li hanno formulati e attuati senza tenere conto delle opinioni della popolazione.
È il caso del famoso Contratto Minerario firmato tra la RDC e la Cina nel 2007. Nonostante le promesse, oggi, 18 anni dopo, non ha prodotto reali risultati e i benefici concreti attesi dalla popolazione sono pressoché inesistenti. Le ferrovie, le strade, le centrali idroelettriche, gli ospedali e le scuole promesse non hanno mai visto la luce. Gli autori di questo crimine economico non sono mai stati arrestati. Alcuni di loro, certi di rimanere impuniti, contribuiscono addirittura al deterioramento dell’attuale situazione di sicurezza nel Paese.
Per evitare di ripetere gli stessi errori, è indispensabile fare piena luce su questo progetto e, contemporaneamente, coinvolgere direttamente la popolazione nell’individuazione delle vere necessità e nella definizione delle priorità.
Affinché questo contratto con gli Stati Uniti possa realmente apportare benefici alla popolazione, riteniamo sia importante che non si limiti esclusivamente al settore minerario. Dovrebbe essere visto come un incentivo e un catalizzatore per lo sviluppo a lungo termine di tutte le province della RDC e dei Paesi della Regione dei Grandi Laghi.
In quanto tale, dovrebbe dare priorità alla costruzione e alla riabilitazione delle infrastrutture (strade interprovinciali e secondarie, porti, aeroporti, centrali idroelettriche, impianti di trasformazione dei minerali e dei prodotti agricoli, ecc.). Dovrebbe permettere la modernizzazione dell’agricoltura, dell’allevamento e della pesca. Dovrebbe inoltre favorire l’istruzione, la sanità e l’imprenditorialità locale, nazionale e regionale. Questo partenariato dovrebbe servire per facilitare l’attuazione di grandi riforme statali di vari settori (giustizia, fiscalità, pubblica amministrazione, servizi di sicurezza e dell’esercito, ecc.). Siamo infatti convinti che senza una riforma copernicana dello Stato e senza una classe politica più responsabile, sarà difficile creare un clima favorevole agli investimenti e allo sviluppo imprenditoriale. Il rispetto delle regole democratiche, delle libertà e dei diritti fondamentali è essenziale per rafforzare la coesione sociale, prerequisito necessario per un clima che possa favorire gli investimenti.
Per il successo di questo partenariato tra la RDC e gli Stati Uniti, la lotta contro la corruzione endemica e generalizzata, la lotta contro la gestione abusiva dei beni statali e il rispetto dei mandati elettorali dovrebbero essere considerati come elementi essenziali. Questi sono, tra altri, i motivi per cui esortiamo il governo congolese a impegnarsi per promuovere la coesione sociale, basandosi sull’iniziativa di pace guidata dalla Conferenza Episcopale della Chiesa Cattolica e dalla Chiesa di Cristo in Congo (Chiesa Protestante).
Per ripristinare la fiducia e garantire una coesione sociale a lungo termine, il regime congolese dovrebbe rinunciare al suo autoritarismo (che rasenta la dittatura), al clientelismo e al nepotismo come forme di governo, e esistere dai suoi tentativi di modificare la Costituzione, per mantenere il potere al di là dei suoi mandati legali. In definitiva, per poter risollevare il nostro Paese dallo stato di degrado in cui si trova attualmente, noi Congolesi dobbiamo avere la lucidità e l’onestà intellettuale di riconoscere che siamo corresponsabili delle nostre disgrazie. Per molti anni, dai tempi di Mobutu fino ad oggi, la classe politica congolese si è dimostrata antipatriottica, egoista, avida, irrazionale e superficiale. Smettiamo di dare la colpa unicamente agli altri.
Oggi è diventato un luogo comune accusare il Presidente Kagame di essere l’unico responsabile di tutte le disgrazie della RDC. Sebbene nulla possa giustificare i crimini del regime ruandese nella RDC, per onestà intellettuale abbiamo comunque il dovere di interrogarci sulla nostra parte di responsabilità. È forse il regime ruandese che impedisce ai nostri dirigenti di costruire strade, scuole, ospedali, ecc.? È forse il regime ruandese che elargisce stipendi astronomici a ministri e parlamentari, mentre soldati, insegnanti, operatori socio-sanitari e funzionari pubblici sono costretti a sopravvivere con gli avanzi? È forse il regime ruandese che tollera la scandalosa appropriazione indebita di centinaia di milioni di dollari da parte dei nostri dirigenti a scapito della popolazione, che languisce in una povertà insopportabile? È ora che il popolo congolese rifiuti di essere succube di una spudorata propaganda che, imperniata sul patriottismo, la sovranità e il nazionalismo, distoglie l’attenzione dai crimini commessi dai nostri dirigenti. Le centinaia di milioni, persino miliardi di dollari, sottratti dai politici congolesi tramite i progetti Bukanga-Lonzo, il progetto dei 100 giorni e il progetto di perforazione e illuminazione avrebbero consentito, da soli, la riabilitazione e l’asfaltatura di numerose strade.
Per illustrare ulteriormente la decomposizione del nostro Stato, a Bukavu e a Goma la maggior parte delle istituzioni private ha una casella postale in Ruanda perché, nel nostro Paese, il servizio postale non è operativo da almeno cinquant’anni. L’unico modo per ricevere la posta dall’estero in tempi brevi e in modo sicuro è aprire un indirizzo postale in Ruanda. Pertanto, quale credito possiamo dare alla cosiddetta retorica sovranista, nazionalista e antimperialista dei nostri dirigenti a proposito della minaccia di spartizione o balcanizzazione del nostro Paese? In termini di organizzazione, diversi Paesi confinanti con la RDC sono più avanti di noi. Basta attraversare i posti di frontiera con il Congo-Brazzaville, l’Angola, la Zambia, la Tanzania, il Burundi, il Ruanda e l’Uganda, per rendersi conto di quanto, in materia di sviluppo economico, noi siamo in ritardo rispetto a loro. Invece di ripiegarci su noi stessi in una vuota retorica nazionalista, dovremmo avere l’umiltà e l’intelligenza di imparare da loro. Dovremmo chiederci perché il Ruanda stia attaccando solo la RDC, nonostante confini anche con la Tanzania e il Burundi, due paesi in cui vivono anche cittadini ruandesi. La risposta è ovvia e chiara: perché lo Stato congolese è debole, senza esercito e guidato da politici nella maggior parte irresponsabili.
Infine, per quanto riguarda la risoluzione dell’attuale crisi, come hanno sottolineato diverse organizzazioni continentali e internazionali, la soluzione di questo conflitto non sarà di ordine militare.
Nelle province del Nord e del Sud Kivu, è chiaro che il rapporto di forze militari sul campo è attualmente a sfavore della RDC. Tuttavia, sebbene l’AFC-M23 abbia un’influenza militare dominante e occupi un vasto territorio, esso si scontra con la sfiducia e la resistenza da parte della popolazione civile. Considerando le lezioni della storia, l’AFC-M23 potrebbe temporaneamente imporsi con la forza delle armi, ma non riuscirà mai a sottomettere psicologicamente la popolazione di Bukavu e del Sud Kivu.
Data questa realtà e la nuova situazione internazionale, è necessario che il regime di Kinshasa e l’AFC-M23 adottino un approccio pragmatico di negoziati, con l’obiettivo di porre fine alle sofferenze della popolazione del Nord e del Sud Kivu. Compromesso non è compromissione. Il governo congolese e l’AFC-M23 devono avere il coraggio di concludere una “pace tra bravi”.
b. Al Ruanda
Innanzitutto, è importante distinguere tra l’attuale regime politico in Ruanda e il popolo ruandese. L’aggressione subita dal Congo e dal popolo congolese è opera dell’attuale regime politico e non del popolo ruandese, che è in gran parte soggetto allo stesso autoritarismo. Noi Congolesi siamo legati al popolo ruandese per geografia e destino. Essendo il Kivu una provincia senza sbocco sul mare, il Ruanda, il Burundi, l’Uganda e la Tanzania sono le uniche vie che ci danno accesso all’Oceano Indiano. Nel contesto travagliato e violento in cui sopravviviamo, Ruandesi e Congolesi siamo chiamati a rivisitare le rappresentazioni degli uni nei confronti degli altri, a vivere il valore della solidarietà e a fare nostra l’esortazione di Martin Luther King Jr.: “Impariamo a vivere insieme come fratelli, o moriremo tutti insieme come degli idioti”. Negli ultimi trent’anni, il regime ruandese ha fondato la sua aggressione contro la RDC e le conseguenti violenze commesse contro la popolazione congolese su tre pretesti che descrive come le “cause profonde del conflitto”. Eccoli:
1. Le rivendicazioni territoriali derivanti dal “mito del Grande Ruanda precoloniale”
2.La protezione delle “minoranze ruandofone” che, in territorio congolese, sarebbero discriminate e minacciate di sterminio.
3. La messa in sicurezza delle sue frontiere, di fronte alla presunta “minaccia esistenziale” rappresentata dal gruppo armato “Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda” (FDLR).
A1: Sono state espresse varie rivendicazioni territoriali, in particolare dal presidente Pasteur Bizimungu, nel suo discorso del 10 ottobre 1996, a Cyangugu (Ruanda); dal presidente Paul Kagame, nel suo discorso del 15 aprile 2023, in Benin e dal Parlamento ruandese, nella sua risoluzione del 21 febbraio 2025.
Queste rivendicazioni da parte delle autorità ruandesi sono infondate. Il mito del “Grande Ruanda precoloniale” è stato smentito da numerosi storici ruandesi e stranieri (Vansina, Nahimana, Lugan, Ndaywel, Mworaha, de Lacger, Ntezimana, Kagame, Newbury, Pages, ecc.). La storia dimostra che, prima dell’anno 1900, data corrispondente all’esplorazione del territorio e al tentativo di insediamento dei colonizzatori tedeschi e belgi nella regione africana dei Grandi Laghi, l’antico Ruanda, cioè il “Regno Nyinginya”, era molto più piccolo dell’attuale Ruanda.
Il Regno Nyinginya era un piccolo territorio situato nei pressi del lago Muhazi, nell’attuale distretto di Gasabo, nella parte centro-orientale dell’attuale Ruanda. Fu la colonizzazione tedesca, poi belga, che permise all’attuale Ruanda di annettere territori dell’ovest e del nord-ovest del Ruanda. È il caso del territorio del Kinyaga, la regione occidentale, al confine con l’attuale RDC. L’intera regione, dal fiume Ruzizi a Gikongoro, compreso il Parco Nazionale di Nyungwe, faceva storicamente parte del Regno Bushi (oggi distretto di Kabare, territorio congolese).
I territori Shi, come il Bukunzi e il Busozo, erano indipendenti dal regno Nyinginya. Solo nel 1920 essi furono integrati nell’attuale Ruanda dalla colonizzazione belga. I loro ultimi monarchi, Ndagano e Ngoga, deposti dalla colonizzazione belga, erano dei principi Shi discendenti del grande re Kabare del Bushi nella RDC. Queste zone, che si estendono dall’isola di Nkombo fino a Bugarama, includendo le località di Nyamasheke, Cyangugu e Impara, erano dei prolungamenti territoriali e culturali del regno Bushi (oggi distretto di Kabare, un territorio congolese). Ancora oggi, la loro popolazione rimane in gran parte di cultura shi. Si considerano Bashi e molti parlano il Mashi, oltre al Kinyarwanda. Non è un caso che, il 28 giugno 2024, il presidente Paul Kagame sia stato accolto, durante il suo comizio elettorale nello stadio del distretto di Ruzisi, con canti di gioia in Mashi. Lui stesso, per cortesia, rivolse i suoi saluti alla folla esultante in mashi, dicendo: “Rusizi, Nyamasheke mwazukire! Enyanya!”, per poi continuare il suo discorso elettorale in kinyarwanda. Fino alla fine del XIX° secolo, il monarca ruandese Rwabugiri tentò, invano, una serie di spedizioni per conquistare il Bushi, m fu a Nyamasheke che, nel 1895, egli morì ferito mortalmente, dopo una schiacciante sconfitta militare inflittagli dai Bashi, per mano dell’esercito di re Rutaganda di Kabare.
La tradizione orale del Bushi e anche alcuni storici ruandesi, tra cui Alexis Kagame, riportano anche la schiacciante sconfitta che l’esercito Bashi-Bahavu, guidato da re Nsibula di Idjwi, inflisse alle truppe del re ruandese Ndahiro Cyamatare, a Gitarama. A pagina 98 del libro “Storia del Ruanda: dalle origini al XX° secolo”, pubblicato nel 2011 dalla Commissione Nazionale per l’Unità e la Riconciliazione, in collaborazione con l’Università Nazionale del Ruanda e disponibile online, Gamaliel Mbonimana riferisce che il re Ndahiro Cyamatare, ferito, attraversò il fiume Kibilira, versando sangue nelle sue acque. In ricordo di questa sconfitta, nessun monarca ruandese poté più attraversare quel fiume. Cyamatare fu ucciso sul massiccio del Rugarama. Nsibula portò con sé, come trofeo di guerra, il tamburo con l’emblema “Rwoga”. Di fronte a questa ecatombe, venne dichiarato un periodo di lutto nazionale di due settimane e si decise che nessun monarca ruandese avrebbe mai più portato il nome dinastico di Ndahiro, poiché incarnava la vergogna del regno e avrebbe, quindi, portato sfortuna ai suoi successori.
Come diceva lo storico ruandese Alexis Kagame: tra tutti i popoli della regione, i Bashi erano i più coraggiosi e incutevano rispetto da parte del Ruanda. L’antico Bushi era una fortezza inespugnabile. Con i suoi formidabili guerrieri, è sempre stato il cimitero delle ambizioni espansionistiche dell’antico Ruanda. Ma fortunatamente, questa storia non fu solo un’epopea di guerra. Fu anche una storia di amicizia, di fratellanza, di matrimoni e di scambi commerciali tra Bashi e Banyarwanda. Le tradizioni orali di entrambi i paesi e gli storici riportano che, in tempi di pericolo o di guerra. dei re e dei principi Bashi e Banyarwanda avevano reciprocamente trovato rifugio nel Bushi o in Ruanda. Fu il caso di re Mibambwe Sekarongoro Mutabazi del Ruanda, che fuggì nel Bushi quando il suo regno fu invaso dagli Abanyoro dell’attuale Uganda. Da parte loro, Bernard Lugan e Antoine Nyagahene hanno dimostrato che il Kinyaga era, in epoca precoloniale, al centro di una rete commerciale che collegava il Tanganica settentrionale, il Burundi, il Ruanda e l’est della Repubblica Democratica del Congo. Collegando i popoli di questi tre Paesi, oltre alla Tanzania, il Kinyaga fu un preludio alla Comunità dei Paesi dei Grandi Laghi Africani, di cui ne auspichiamo sinceramente rivitalizzazione.
Per quanto riguarda l’attuale Nord-Ovest del Ruanda, gli storici Nahimana e de Lacger hanno dimostrato che il Ruanda pre-Nyinginya comprendeva una cinquantina di entità politiche o dei regni indipendenti che non facevano parte dell’attuale Ruanda. È il caso dell’intera regione di Kiga, Bushiru, Buhoma, Bugamba, Bugoyi, Bukonya, Bwanamwari, Cyingogo, Kiabari, Kiganda, Ruhengeri, Rwankeri, ecc. La maggior parte di essi non fu integrata nel regno centrale che durante la colonizzazione e con l’appoggio dei colonizzatori tedeschi e successivamente belgi.
Anche la regione del Bwisha, che attualmente comprende i territori congolesi di Rutshuru e Masisi, rivendicata dal Ruanda per il semplice fatto ché alcuni dei suoi abitanti sono “ruandofoni”, era uno stato indipendente dal regno Nyinginya. Il Bushiru, per esempio, era un territorio del popolo Hunde della RDC. Nel nord-est, anche lo Ndorwa era indipendente. A sud, lo Nduga, il Bugesera e il Gisaka erano dei regni indipendenti. Il fiume Akagera segnava i confini del Gisaka con gli attuali Burundi e Tanzania. Solo intorno al 1840, sotto il regno di Mwami Mutara II Rwogera, il Gisaka fu annesso al Ruanda.
Da questi fatti storici si evince che, contrariamente ai cliché e alle pretese delle attuali autorità ruandesi, l’antico Ruanda (il regno Nyiginya) non raggiunse mai le dimensioni spaziali del Ruanda attuale. Fu la colonizzazione tedesca e poi belga, che hanno costruito lo stato centralizzato attuale del Ruanda e che vi hanno annesso numerosi territori che appartenevano agli stati indipendenti confinanti.
Le rappresentazioni territoriali dell’attuale regime ruandese sono quindi anacronistiche e belligeranti. Affermare che tutti i territori in cui si parla kinyarwanda o lingue affini al kinyarwanda, nella Repubblica Democratica del Congo, in Uganda o in Tanzania, siano territori ruandesi è un’assurdità. Ciò equivarrebbe a sostenere che una parte del Belgio sia olandese, un’altra francese e un’altra ancora tedesca, perché vi si parla olandese, francese e tedesco. Ciò vorrebbe dire che la Svizzera potrebbe essere legittimamente rivendicata sia dalla Germania che dall’Italia e dalla Francia, perché vi si parla tedesco, italiano e francese.
Le rivendicazioni ruandesi nei confronti della RDC sono estremamente pericolose perché, proseguendo con altri esempi, permetterebbero che uno stato come la Florida, negli Stati Uniti, possa essere rivendicata da Cuba, perché abitato da oltre un milione di americani che dichiarano di essere di origine cubana. Ciò equivarrebbe a dire anche che città e regioni come Sacramento, San Francisco, Santa Cruz, Los Angeles, San Diego, Las Vegas e Santa Fe non apparterrebbero agli Stati Uniti, perché la loro toponomastica è ispanofona. Più vicino a noi, le origini dei Barega, un gruppo etnico congolese del Sud Kivu, risalgono al regno di Bunyoro, nell’attuale Uganda. Al tempo della loro migrazione verso la RDC, la dinastia Kabalega (figli dei Balega) rimase a Bunyoro e ancora oggi continua a regnare su questo regno ugandese. Partendo da questa storia e seguendo la logica del Ruanda, l’ attuale RDC potrebbe permettersi di rivendicare le terre di Bunyoro in Uganda?
Infine, si sa che in Tanzania ci sono dei Babembe, le cui origini risalgono alla deportazione schiavista araba. La maggior parte di loro vive nel distretto di Kigoma. Sono tanzaniani a tutti gli effetti, sebbene siano discendenti dei Babembe, un gruppo etnico congolese del Sud Kivu. In nessun caso l’esistenza di questa diaspora congolese in Tanzania potrebbe conferire alla RDC il diritto di rivendicare alcun territorio in Tanzania o di interferire nella gestione di questa comunità ora tanzaniana.
Abbiamo dimostrato che le motivazioni che stanno alla base di queste rivendicazioni territoriali da parte del Ruanda nei confronti della RDC non sono storicamente fondate. Sono semplicemente degli alibi utilizzati per giustificare le varie guerre di aggressione intraprese dal Ruanda contro la RDC, in vista del saccheggio delle sue risorse naturali, in generale, e minerarie, in particolare.
In diverse occasioni, le autorità ruandesi ai massimi livelli hanno chiesto una nuova suddivisione territoriale nota come “Berlino II”. Se così fosse, la società civile del Sud Kivu e la RDC avrebbero il diritto di rivendicare tutte le terre e i popoli attualmente appartenenti al Ruanda, ma storicamente appartenenti al regno del Bushi. Va qui ricordato che il regno del Bushi andava oltre l’attuale RDC e si estendeva dal fiume Ruzizi fino alla prefettura di Gikongoro in Ruanda. La riorganizzazione delle frontiere proposta dal Ruanda darebbe logicamente origine a una grande alleanza tra i Bashi del Congo e i Bashi del Ruanda.
A2: Per quanto riguarda la pretesa di proteggere le “minoranze ruandofone” discriminate e minacciate di sterminio nella RDC, anche questo alibi è contraddetto dalla storia e dai fatti.
Innanzitutto, nella Repubblica Democratica del Congo, l’uso del concetto di “minoranze ruandofone” non ha alcuna base demografica, linguistica, culturale o politica.
Nella Repubblica Democratica del Congo ci sono più di 500 gruppi etnici e tribù. In tutto il paese, ognuno di essi è una minoranza. Inoltre, tutti questi gruppi etnici sono multilingue. Usano sia la loro lingua madre, sia altre lingue veicolari (comuni). Pertanto, nell’est della RDC, lo swahili è la lingua veicolare (comune) di tutti gli abitanti. È la lingua che si usa nelle scuole e è una vera e propria “lingua franca” che, nel settore commerciale, collega le popolazioni dell’est della RDC con le popolazioni dei paesi dell’Africa orientale: Kenya, Uganda, Ruanda, Burundi, Tanzania, Malawi e persino Zambia e Mozambico. Ciò significa che, in realtà, nella RDC non esiste una frattura geolinguistica come nel caso, ad esempio, del Belgio o del Canada. La strumentalizzazione della questione linguistica da parte del Ruanda ha come obiettivi finali la conquista e il saccheggio della Repubblica Democratica del Congo.
Inoltre, nel Nord Kivu e nel Sud Kivu, gran parte della popolazione che parla il kinyarwanda si dichiara innanzitutto congolese ed è addirittura ostile alla strumentalizzazione della questione identitaria da parte del regime ruandese.
Nel Nord Kivu, Mwami Jean-Baptiste Ndeze Katurere, capo tradizionale del Bwisha, lo ha espresso in diverse occasioni. Le sue dichiarazioni pubbliche su questo tema sono ampiamente disponibili online. Nell’ottobre 2024, si è persino rifiutato di partecipare alla cerimonia di intronizzazione di capi tradizionali illegali da parte dell’M23, come segno di lealtà nei confronti della nazione congolese da parte delle autentiche autorità tradizionali della regione.
Nel Sud Kivu, i rappresentanti della popolazione ruandofona “Banyamulenge” hanno ripetutamente condannato la strumentalizzazione della loro identità da parte del regime ruandese per scopi bellici. È il caso della loro dichiarazione del 28 febbraio 2025, in cui denunciavano le dichiarazioni del colonnello Charles Sematama (del gruppo armato Twirwaneho, alleato dell’M23 e del Ruanda) sull’implicazione della comunità Banyamulenge nella guerra dell’AFC/M23. Le loro parole sono chiare ed esplicite:
Al punto 2, dichiarano: «Smentiamo e condanniamo qualsiasi persona, organizzazione o stato che cerchi di strumentalizzare la nostra tribù per motivi personali e inammissibili».
Al punto 6, essi sottolineano: «Desideriamo profondamente la coesistenza pacifica tra la nostra tribù e quelle vicine, anche quando questa coesistenza diventa sempre più difficile quando si combatte una guerra in nome nostro».
Al punto 9, essi concludono: «Riaffermiamo il nostro incrollabile attaccamento alle istituzioni legalmente costituite della RDC. Il nostro appoggio non è un pio desiderio, poiché molti dei nostri giovani sono impegnati a difendere la nostra patria, la Repubblica Democratica del Congo, insieme ai loro commilitoni delle FARDC e muoiono ogni giorno in prima linea, combattendo i nemici della Repubblica».
Queste dichiarazioni dei Banyamulenge dimostrano che la strumentalizzazione bellica della loro comunità da parte del Ruanda è ben lungi dall’essere accolta favorevolmente dall’intera popolazione Banyamulenge e dagli altri “ruandofoni”. La stragrande maggioranza non desidera altro che vivere in pace insieme ai propri compatrioti congolesi e servire il proprio Paese.
In quanto cittadini a pieno titolo della RDC, essi godono degli stessi diritti e sono soggetti agli stessi doveri di tutti gli altri Congolesi. Molti di loro sono ufficiali del’esercito congolese. È il caso del Tenente Generale Pacifique Masunzu, Comandante della Terza Zona di Difesa della RDC (Tshopo, Ituri, Nord Kivu, Sud Kivu, Maniema), impegnato in prima linea contro e truppe dell’esercito ruandese e dell’M23. Lo stesso vale per il Colonnello Munyamulenge Alexis Rugabisha, comandante della 12a Brigata delle Forze Armate della RDC, ucciso sul fronte il 1° febbraio 2025 a Mukwija, nel territorio di Kalehe (Sud Kivu), durante una battaglia contro le RDF/M23. In ambito politico, un altro Munyamulenge, Alexis Gisaro, attuale ministro congolese delle Infrastrutture e dei Lavori Pubblici, si è più volte schierato contro l’ingerenza ruandese negli affari interni della Repubblica Democratica del Congo e contro la strumentalizzazione dei Banyamulenge.
Il Ministro Gisaro non è il primo, né l’unico Munyamulenge a ricoprire un’alta carica governativa nella RDC. Prima di lui, molti “ruandofoni” Tutsi e Hutu hanno ricoperto posizioni di rilievo nella pubblica amministrazione, nell’esercito e nei servizi di sicurezza. Tra essi si possono citare Azarias Ruberwa, ex Vicepresidente della Repubblica, e numerosi ministri, generali e alti ufficiali militari.
Come parziale conclusione di questo secondo punto, si può dire che la RDC è una nazione multietnica. Come molti altri Paesi del mondo, la RDC può talvolta sperimentare delle tensioni tra i vari gruppi che la compongono. Finora, queste tensioni sono state gestite in modo relativamente soddisfacente e non hanno mai raggiunto l’alta intensità delle rivalità etniche viste in Ruanda e in Burundi. Non vi è alcun dubbio che il rafforzamento dello Stato congolese e la ripresa economica attraverso il partenariato con gli Stati Uniti contribuiranno a una maggiore coesione nazionale, alla coesistenza pacifica e alla cooperazione tra i gruppi etnici congolesi.
A3: Per quanto riguarda la necessità di neutralizzare le Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR), la cui presenza nella Repubblica Democratica del Congo rappresenterebbe una “minaccia esistenziale” per la sicurezza del Ruanda, si tratta di un falso pretesto a cui il Ruanda ricorre, per giustificare le sue molteplici invasioni della Repubblica Democratica del Congo.
Molti esperti internazionali, tra cui quelli delle Nazioni Unite, concordano sul fatto che le FDLR, attualmente composte da meno di 1.000 uomini, sono ormai diventate una “forza residuale”, incapace di destabilizzare il Ruanda, il cui esercito è noto per la sua efficacia, come dimostrato dal dispiegamento di varie sue truppe in numerosi scenari militari del mondo.
La maggior parte dei combattenti delle FDLR sono stati rimpatriati in Ruanda insieme ai loro familiari; oltre 30.000 persone, secondo la MONUSCO. Molti di essi sono stati integrati nella società ruandese o arruolati nell’esercito ruandese.
Benché talvolta ci siano state delle riprovevoli collusioni tra questi ribelli hutu, presentati globalmente come genocidari, e l’esercito congolese, è altrettanto vero che, in diverse occasioni l’esercito congolese ha condotto delle operazioni militari congiunte con la MONUSCO e con l’esercito ruandese stesso, per neutralizzare le FDLR. A questo proposito, si possono citare le operazioni Sokola II, Amani Leo, Umoja Wetu e Kimia II. È stata questa collaborazione militare tra la Repubblica Democratica del Congo e il Ruanda che ha portato all’eliminazione di Sylvestre Mudacumura, il “Comandante Supremo” dell’ala militare delle FDLR, il 18 settembre 2019, nel Nord Kivu. Questi fatti smentiscono la tesi secondo cui l’appoggio del Ruanda all’M23 sia motivato dalla minaccia delle FDLR. L’analisi di queste guerre combattute nell’arco di tre decenni non solo mette in luce, in diverse fasi, la buona fede della Repubblica Democratica del Congo, ma diventa sempre più evidente che la risoluzione dei problemi della Regione dei Grandi Laghi Africani passerà anche attraverso la risoluzione dei problemi interni del Ruanda.
In effetti, per una pace duratura nella regione dei Grandi Laghi africani e nella Repubblica Democratica del Congo, è essenziale che il regime ruandese risolva politicamente i propri problemi interni. Il Ruanda non può continuare a ricorrere alla repressione violenta, come unica risposta a una legittima divergenza politica. La diversità di opinione è uno dei pilastri della democrazia ed è necessaria per la stabilità politica ed economica. Pertanto, porre fine alle minacce rappresentate dalle FDLR e da altri movimenti che si oppongono all’attuale regime di Kigali non è solo responsabilità della Repubblica Democratica del Congo, ma anche della comunità internazionale. È stato il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, con la risoluzione 929 del 22 giugno 1994, a permettere l’Operazione Turquoise e la fuga precipitosa dei rifugiati ruandesi verso lo Zaire (attuale Repubblica Democratica del Congo). Per raggiungere una pace duratura, il regime ruandese non può sottrarsi indefinitamente alle proprie responsabilità e delegarle alla RDC. Deve affrontare i propri problemi interni e risolverli. Il regime ruandese deve cessare di mentire, rivendicando il diritto di perseguire le FDLR, per giustificare i suoi continui attacchi alla RDC, motivati principalmente dal controllo e dal saccheggio dei minerali congolesi.
In conclusione, il riconoscimento da parte degli Stati Uniti e della comunità internazionale delle aggressioni e dei crimini commessi nella RDC dal regime ruandese e suoi alleati rappresenta, per milioni di vittime congolesi, un passo avanti e l’inizio di un lungo processo di ricostruzione. La “guarigione” degli uomini, delle donne e dei bambini vittime di queste aggressioni richiederà verità, giustizia e riparazione. Finché il regime ruandese si crederà investito, da parte della comunità internazionale, della legittimità di imporre il proprio potere sugli altri; finché il Ruanda crederà di poter massacrare impunemente intere popolazioni civili, si continuerà a contare milioni di morti e il futuro della regione dei Grandi Laghi africani rimarrà incerto e oscuro.
3. CONCLUSIONI E PROPOSTE AGLI STATI UNITI D’AMERICA
-Il progetto di partenariato strategico tra la Repubblica Democratica del Congo e gli Stati Uniti è, a nostro avviso, più di una semplice prospettiva di estrazione e commercializzazione dei minerali congolesi. Esso rappresenta una grande opportunità per costruire una pace duratura nella Repubblica Democratica del Congo e nella regione dei Grandi Laghi africani e l’inizio di una prosperità condivisa. A tale proposito, la Repubblica Democratica del Congo, con le sue numerose risorse, ha il potenziale per diventare un motore di sviluppo per tutta la regione dei Grandi Laghi.
– Per raggiungere questo obiettivo, gli Stati Uniti dovrebbero contribuire alla ricostruzione dello Stato congolese come garanzia di un partenariato duraturo. La lotta contro la corruzione, l’impunità e la cattiva amministrazione dovrebbe essere considerata come un passo preliminare nell’attuazione del partenariato. La costruzione della coesione sociale attraverso un dialogo politico inclusivo è garanzia di un clima politico pacifico e di una stabilità favorevole agli investimenti.
– Gli Stati Uniti dovrebbero inoltre impegnarsi per una maggiore democratizzazione e rispetto dei diritti umani in Ruanda. Come la Repubblica Democratica del Congo, il Ruanda è un paese afflitto da divisioni interne. Le discordie interne sono molto diffuse in entrambi i paesi. Dalle sue origini ad oggi, il Ruanda ha il culto della violenza politica e dello sviluppo di facciata. Il Ruanda dovrebbe abbandonare questa tendenza, per poter inserirsi in una modernità umanista e sostenibile. L’inclusione e la partecipazione di tutti i Ruandesi alla gestione del loro paese ci sembrano essere un prerequisito per una pace duratura e per il successo di questo partenariato strategico. È tempo che il Ruanda e la Repubblica Democratica del Congo offrano ai propri figli un’altra via d’uscita al malessere dell’esclusione, della disoccupazione e della povertà. La guerra non dovrebbe essere l’unica via d’uscita. È tempo di spezzare questo circolo vizioso e offrire nuove opportunità al nostro popolo, mettendo in comune le nostre intelligenze e competenze, per consentire uno sviluppo a beneficio di tutti. È tempo di incanalare positivamente l’energia autodistruttiva della regione e di trasformare i carri armati in trattori e i kalashnikov in annaffiatoi per le piante.
– Gli Stati Uniti dovrebbero considerare questo partenariato strategico come un approccio a lungo termine e sistemico (strutturale), per promuovere lo sviluppo complessivo della regione dei Grandi Laghi Africani. A tal fine, sarebbe utile rilanciare la Comunità dei Paesi dei Grandi Laghi. Questo strumento di integrazione regionale, creato nel 1976, già disponeva di istituzioni comuni in vari settori, tra cui la finanza, l’agricoltura, la ricerca e l’energia. La sua estensione a nuovi paesi come la Tanzania, l’Uganda e il Kenya potrebbe rafforzarne le capacità e l’influenza.
– Questa cooperazione regionale dovrebbe basarsi sull’implementazione di progetti di infrastrutture integratrici in vari settori. A tal proposito, l’est della RDC e la regione dei Grandi Laghi africani potrebbero essere collegate al Corridoio di Lobito, interconnettendosi con il Corridoio Orientale della Ferrovia Tanzania – Zambia (Tazara).
– Questa cooperazione regionale dovrebbe anche promuovere la conoscenza e gli scambi tra gli attori della Società Civile dei Paesi della regione (operatori economici, movimenti associativi, organizzazioni femminili, organizzazioni giovanili, università, scienziati, corporazioni professionali, ecc.). Questa prospettiva potrebbe favorire la condivisione e la messa in comune dei vantaggi comparativi degli uni e degli altri. La comprensione reciproca tra i popoli permette di costruire un modo migliore di vivere insieme e di sradicare scorciatoie retrograde e distruttive, come “la guerra tra Nilotici e Bantu”. Le realtà umane sono più complesse di quanto suggeriscano gli stereotipi.
– È essenziale e necessario applicare la Risoluzione 2773 delle Nazioni Unite, adottata all’unanimità dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite il 21 febbraio 2025.
– È auspicabile la cooperazione con altri paesi d’Europa e del mondo, per poter beneficiare delle loro competenze e del loro finanziamento per l’attuazione di questo vero e proprio “Piano Marshall”.