Congo Attualità n. 509

INDICE

1. A DOHA, LA MEDIAZIONE DEL QATAR HA PROPOSTO UNA BOZZA DI ACCORDO DI PACE TRA IL GOVERNO CONGOLESE E IL GRUPPO ARMATO AFC/M23
2. A WASHINGTON, CON LA MEDIAZIONE DEGLI STATI UNITI, È STATO FIRMATO UN TESTO PREPARATORIO DI UN ACCORDO DI PACE TRA LA RDC E IL RUANDA
a. Un oscuro accordo minerario per un fallace accordo di pace tra la RDC e il Ruanda
b. Presentata una seconda bozza di accordo di pace tra la RDC e il Ruanda
c. Firmato un documento preparatorio per un accordo di pace tra la RDC e il Ruanda
d. Alcune reazioni

1. A DOHA, LA MEDIAZIONE DEL QATAR HA PROPOSTO UNA BOZZA DI ACCORDO DI PACE TRA IL GOVERNO CONGOLESE E IL GRUPPO ARMATO AFC/M23

Il 4 maggio, a Doha (Qatar), sono ripresi i colloqui di pace tra il governo della Repubblica Democratica del Congo (RDC) e il gruppo armato Alleanza Fiume Congo / Movimento del 23 marzo (AFC/M23), con la mediazione delle autorità dello stesso Qatar e due settimane dopo la firma di una loro dichiarazione congiunta, in cui entrambe le parti avevano annunciato la loro disponibilità a “lavorare per la conclusione di una tregua”, in vista di un cessate il fuoco effettivo. Questa nuova serie di incontri colloqui rappresenta ancora una fase preliminare con l’obiettivo di porre le basi per futuri negoziati.
Vale la pena ricordare qui alcuni gesti concreti di fiducia compiuti da entrambe le parti in conflitto, per far progredire il processo di pace. Tra questi gesti, si possono citare: il ritiro delle truppe dell’M23 da Walikale, la pubblicazione della dichiarazione congiunta firmata dal governo congolese e dall’AFC-M23, l’autorizzazione per il ritiro delle truppe della SADC da Goma e l’accordo per il trasferimento, da Goma a Kinshasa, degli ufficiali dell’esercito e della polizia che erano sotto la protezione della MONUSCO a Goma. Già in corso di realizzazione, queste iniziative continueranno anche nel mese di giugno.[1]

Il 19 maggio, in un memorandum indirizzato alle due delegazioni (Governo – AFC/M23) che partecipano ai negoziati di Doha (Qatar), la Società Civile del Sud Kivu ha constatato che, per quanto riguarda la sicurezza, le province dell’Ituri, del Nord Kivu, del Sud Kivu, del Maniema e del Tanganica stanno vivendo una recrudescenza della violenza: massacri, omicidi mirati, rapine, sequestri di persone, stupri, saccheggio delle risorse naturali e massicci spostamenti di popolazione causati dall’attivismo dei gruppi armati. Secondo la Società Civile del Sud Kivu, l’occupazione di Goma e di Bukavu da parte dell’AFC-M23 ha rivelato non solo le interazioni in materia di sicurezza regionale, ma anche le cause profonde del conflitto, spesso trascurate in diversi precedenti accordi di pace, spesso firmati frettolosamente, senza affrontare le cause profonde dei conflitti: questioni economiche regionali (minerarie), la persistenza dei gruppi armati, la questione dell’identità – nazionalità, il non completamento delle riforme essenziali, tra cui la riforma del settore della sicurezza e della giustizia, la riforma agraria, la riforma della territorialità e la ingiusta / disuguale distribuzione delle risorse nazionali, da un lato tra Kinshasa e le province e, dall’altro, tra queste ultime e le Entità Territoriali Decentrate (ETD) di base, ciò che fa apparire Kinshasa come un centro di consumo delle ricchezze nazionali, senza alcuna contropartita  per le province e le ETD, attraverso una pratica incostituzionale, la retrocessione, in violazione dell’articolo 175 che stabilisce invece la ritenuta del 40% alla fonte.
Alla luce di quanto sopra, la Società Civile del Sud Kivu propone una serie di misure volte a rafforzare la fiducia e a soddisfare i bisogni vitali e immediati della popolazione. Tra queste misure, si possono citare: l’apertura di vie di accesso e di comunicazione (strade e aeroporti) tra i territori occupati dall’AFC-M23 e quelli ancora controllati dal governo congolese, per alleviare le sofferenze della popolazione e facilitare l’accesso agli aiuti umanitari; l’apertura urgente di banche, cooperative di risparmio e credito e di altre Istituzioni di Microfinanza (IMF); la riunificazione del sistema sanitario, per favorire l’accesso alle visite mediche, ai medicinali e alle campagne di vaccinazione; la creazione di un sistema integrato per la mobilitazione e il coordinamento degli aiuti umanitari destinati agli sfollati, ai rifugiati e alle vittime di calamità naturali (corridoi umanitari); il coinvolgimento degli attori sociali (società civile, donne, giovani, popolazioni indigene, autorità tradizionali, ecc.) nelle diverse fasi del processo di pace. La società civile del Sud Kivu propone inoltre importanti opzioni in materia di sicurezza, governance, pace duratura e coesione nazionale. con l’obiettivo di affrontare in modo olistico i principali problemi e le cause profonde del conflitto. Tra queste opzioni, si possono citare le seguenti:
– Sul piano dell’insicurezza: definire chiaramente i vari aspetti relativi alla riforma dei settori della sicurezza e della giustizia, tra cui le questioni degli effettivi, del networking e delle operazioni di controllo, per non limitarsi solo all’assegnazioni di gradi e di posti di prestigio; identificare consensualmente le aree di cooperazione in materia di sicurezza, sia a livello regionale che internazionale; adottare strategie adeguate, per risolvere definitivamente la questione dei gruppi armati e ristabilire l’autorità dello Stato.
– Sul piano della governance: adottare dei provvedimenti capaci di garantire processi elettorali credibili, pacifici e democratici; rafforzare l’autonomia delle province, attraverso un federalismo capace di garantire l’equa ridistribuzione delle risorse e delle prerogative, al fine di rafforzare una governance locale centrata sullo sviluppo endogeno; ridurre le spese delle istituzioni governative; completare le riforme agrarie e territoriali; promuovere un sistema giudiziario capace di assicurare l’equità della giustizia e il decollo dello stato di diritto.
– Per quanto riguarda la pace e la coesione sociale, la Società Civile del Sud Kivu propone la creazione di meccanismi di giustizia di transizione, tra cui una commissione autonoma e indipendente per la verità e la riconciliazione, la designazione di un difensore del popolo e una campagna nazionale di educazione civica per la coesione nazionale, con lo scopo di sanare le ferite sociali provocate dai ripetitivi conflitti armati.[2]

Quasi un mese dopo la ripresa dei colloqui a Doha, le due delegazioni si sono incontrate in maniera diretta solo quatto volte. Il resto delle discussioni si è svolto attraverso la modalità della mediazione. «È quasi un dialogo tra sordi», confida un diplomatico che segue da vicino la questione. A Kinshasa, le autorità insistono per un cessate il fuoco. Alcuni membri della delegazione congolese si spingono oltre, chiedendo il ritiro dell’AFC/M23 dalle città sotto suo controllo, come condizione per poter proseguire i colloqui. Dall’altra parte, la delegazione dell’AFC/M23 pone le proprie condizioni, tra cui  la liberazione dei loro compagni arrestati e incarcerati.[3]

Il 5 giugno, la mediazione del Qatar ha presentato un progetto di accordo di pace alle due delegazioni, quella del governo congolese e quella dell’AFC-M23, nel tentativo di risolvere il conflitto che sta dilaniando l’Est della Repubblica Democratica del Congo (RDC). Entrambe le delegazioni dovrebbero consultarsi con le rispettive autorità superiori, per poi ritornare al tavolo delle trattative.
Secondo un rapporto della Reuters, il progetto di accordo include i seguenti punti:
– Un cessate il fuoco immediato tra l’esercito congolese e l’AFC-M23.
– Un graduale ritiro delle truppe dell’AFC/M23 dalle zone occupate.
– L’integrazione parziale dei combattenti dell’M23 nell’esercito congolese, previa verifica degli antecedenti individuali.
– La concessione di un’amnistia limitata ai membri dell’M23 non implicati in crimini gravi o in violazioni dei diritti umani.
– La restaurazione dell’autorità dello Stato congolese sui territori ricuperati.
– La ripresa delle attività economiche e minerarie, accompagnata da un maggior controllo internazionale.
– L’istituzione di un meccanismo congiunto di monitoraggio, con la partecipazione del Qatar, dell’Unione Africana e dell’ONU
Nonostante questa dettagliata proposta, la sfiducia tra le due parti resta ancora profonda. Kinshasa chiede il ritiro completo dell’M23 e rifiuta qualsiasi forma di reintegrazione militare di membri di gruppi armati nell’esercito nazionale. Da parte sua, l’AFC/M23 esige garanzie politiche e di sicurezza, accusando il governo congolese di aver violato gli impegni presi in precedenza.
Diversi membri delle due delegazioni hanno lasciato Doha, frustrati dai contenuti del progetto di accordo di pace proposto. Benché presentato come un passo importante, il progetto di accordo non rappresenta ancora una svolta decisiva. Si teme che il conflitto possa protrarsi ancora per troppo tempo, alimentato da interessi contrastanti, in particolare nel settore delle risorse minerarie strategiche della regione (coltan, oro, litio). «Questo testo pone le basi, ma la pace non può essere decretata sulla carta. Deve essere costruita localmente, attraverso la fiducia reciproca e degli impegni chiari», confida un analista politico congolese.[4]

2. A WASHINGTON, CON LA MEDIAZIONE DEGLI STATI UNITI, È STATO FIRMATO UN TESTO PREPARATORIO DI UN ACCORDO DI PACE TRA LA RDC E IL RUANDA

a. Un oscuro accordo minerario per un fallace accordo di pace tra la RDC e il Ruanda

Benché evocatori di un piano di pace tra la Repubblica Democratica del Congo (RDC) e il Ruanda, i negoziati attualmente in corso a Washington sono essenzialmente delle trattative, il cui obiettivo sarebbe di permettere agli Stati Uniti di ottenere il controllo su alcune miniere strategiche per l’economia americana, in una regione (la RDC) in cui la Cina ha finora imposto la sua egemonia. I negoziatori stanno quindi trattando per “nuove prospettive economiche”, che dovrebbero permettere “l’integrazione regionale” e “la collaborazione tra il Ruanda, la RDC e varie società americane nella realizzazione di alcuni progetti”, tra cui ambiziosi progetti idroelettrici, la creazione di una catena di valore per i minerali critici e la cogestione di parchi nazionali nella regione di confine tra il Ruanda e la RDC.
Si tratta di un’iniziativa inconcepibile senza progressi significativi in materia di sicurezza per entrambi i paesi. Washington è ben consapevole che la pace e la stabilità nella regione sono un passo necessario per lo sviluppo economico. Si sta quindi discutendo anche di meccanismi di sicurezza congiunti, ma i negoziati di Washington non potranno avere successo senza progressi reali nei negoziati tra Kinshasa e l’AFC/M23, che si stanno svolgendo contemporaneamente a Doha, in Qatar. Una miniera ambita da Washington, quella di Rubaya (Nord Kivu), è infatti sotto il controllo dell’AFC/M23.
A Doha, il ritmo è significativamente più lento e le tensioni sono più alte. Kinshasa ha finora respinto tutte le precondizioni poste dalla coalizione AFC/M23, che si è ritirata dalla regione occupata di Walikale, dimostrando così la sua “buona volontà”.
Prima di questi negoziati di Doha, si ricorderà che i primi colloqui diretti tra Kinshasa e l’AFC/M23 si erano rivelati un clamoroso fallimento, Essi erano stati previsti a Luanda (Angola), sotto l’egida del presidente angolano João Lourenço, nominato mediatore dall’Unione Africana. Quel fallimento aveva spinto il presidente angolano ad abbandonare il suo incarico de mediatore, tanto più che, lo scorso febbraio, era anche stato eletto, per un anno, presidente dell’Unione Africana. Il suo ruolo è stato affidato al presidente togolese Faure Gnassingbé, affiancato da cinque co-facilitatori (tutti ex presidenti africani in pensione), ciascuno incaricato di esaminare un aspetto specifico delle relazioni tra le due parti.
«L’accordo di pace discusso a Washington deve integrare i negoziati di Doha», ha confermato senza esitazione il Ministro degli Esteri ruandese Olivier Nduhungirehe, prima di proseguire: «Deve anche tenere conto dei negoziati condotti dagli organismi regionali (Unione Africana, Comunità degli Stati dell’Africa Australe e Comunità degli Stati dell’Africa Orientale)». Gli Stati Uniti, sotto la presidenza repubblicana, saranno in grado di accettare questo ritmo? «Si sta cercando di trovare una soluzione duratura a un conflitto che dura da oltre 30 anni; ci vorrà del tempo», ha risposto il Ministro degli Esteri ruandese, continuando: «Ma oggi ci si sta presentando una reale opportunità e se vogliamo una pace veramente duratura… dobbiamo andare al fondo delle questioni. Le tre iniziative (Doha, Washington e Unione Africana) devono procedere di pari passo. Sono complementari; abbiamo bisogno di negoziati che tengano conto delle cause profonde che sono all’origine delle tensioni che lacerano l’Est nella RDC. Se non lo si fa, i conflitti riemergeranno subito dopo. Per il Ruanda, la stabilizzazione a lungo termine dell’Est della RDC è una questione fondamentale».
Nell’attuale contesto di insicurezza, qualsiasi iniziativa deve includere l’AFC/M23, che controlla gran parte dell’Est della RDC e minaccia anche l’ex Gran Katanga, una provincia ricchissima in minerali che non sarà in grado di resistere a una possibile offensiva delle truppe antigovernative dell’AFC/M23, finora ostacolata solo dai militari burundesi, dalle Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR), eredi di un gruppo armato hutu di origine ruandese, e dai Wazalendo, milizie locali congolesi trasformate da Kinshasa in “patrioti” a suon di dollari e di armi. Si tratta di un conglomerato di gruppi armati eterogenei concentrato nelle due province del Kivu, ma completamente assente al di fuori di queste due province, il che potrebbe permettere alle truppe dell’AFC/M23 di avanzare rapidamente, trovando di fronte a sé solo l’esercito congolese, mal equipaggiato e sottopagato.
Inoltre, le rivendicazioni dell’AFC/M23 non si limitano più solo a questioni relative all’Est della RDC, ma si sono ampliate fino a raggiungere il livello nazionale. Di fronte a questa constatazione, il ministro ruandese degli Affari Esteri insiste anche sulla necessità di un dialogo intercongolese, evocato non solo dall’Unione Africana, ma anche dai Vescovi cattolici della Conferenza Episcopale Nazionale del Congo (CENCO) e dalla Chiesa protestante di Cristo in Congo  (ECC).[5]

Le autorità congolesi intendono accelerare le discussioni con gli Stati Uniti sull’accordo strategico riguardante i minerali critici, un accordo che potrebbe implicare maggiormente Washington nella risoluzione del problema dell’insicurezza nell’Est della RDC. Questo “accordo minerario” tra la RDC e gli Stati Uniti viene negoziato contemporaneamente all’accordo di pace tra Kinshasa e Kigali, sotto l’egida di Washington. In vista di una migliore organizzazione di queste discussioni, è stata istituita una commissione di coordinamento delle varie strategie all’interno del gabinetto del Presidente della RDC, Félix Tshisekedi. Tale commissione di coordinamento  delle strategie sarà incaricato di monitorare i negoziati e di accompagnare l’attuazione del partenariato tra la RDC e gli Stati Uniti. Questa unità di coordinamento delle strategie è guidata da tre membri del gabinetto presidenziale, tra cui due ministri: Thérèse Kayikwamba Wagner, Ministro per gli Affari Esteri, Kizito Pakabomba Kapinga Mulume, Ministro delle Miniere, e Guy-Robert Lukama Nkunzi, Presidente del Consiglio di Amministrazione della Gécamines SA, la società mineraria più grande  della RDC.[6]

Nonostante la grande tensione esistente nell’est della RDC, Kigali e Kinshasa stanno proseguendo le discussioni sui rispettivi accordi minerari con le società americane, sotto l’egida del Dipartimento di Stato statunitense. Per quanto riguarda il Ruanda, è già stato firmato un protocollo d’intesa, Per quanto riguarda la RDC, i negoziati sono ancora in corso. L’equipe congolese sta ancora lavorando per finalizzare un accordo commerciale che potrebbe avere una durata di diversi decenni. Questo accordo riguarderebbe le operazioni di esplorazione di un’ampia parte del sottosuolo congolese e non solo del Katanga o del Kivu. Da parte sua, Kinshasa insiste sul fatto che l’attività di trasformazione delle risorse minerarie debba svolgersi sul posto. Ma per ora, questa richiesta del governo congolese non può essere esaudita, almeno non a breve termine. Per quanto riguarda il Kivu, si nota un certo interesse ma, a causa dell’insicurezza, poche aziende osano fare il grande passo e molte di esse aspettano di vedere come evolverà la situazione. Infatti, nel Nord Kivu e nel Sud Kivu la situazione rimane molto tesa e incerta, a causa degli scontri tra i Wazalendo e l’AFC/M23. Infine, per quanto riguarda il Katanga, l’interesse delle società statunitensi è molto grande, nonostante l’immensa presenza cinese in quella regione. La società californiana KoBold Metals, appoggiata da Jeff Bezos e Bill Gates e già presente in Zambia, ha già dimostrato il suo interesse per il litio congolese. Secondo fonti prossime ai negoziatori, gli Stati Uniti non avrebbero alcuna intenzione di inviare truppe di terra nella regione, ma potrebbero coinvolgere società di sicurezza private.[7]

b. Presentata una seconda bozza di accordo di pace tra la RDC e il Ruanda

Attese a Washington nel corso della settimana dal 9 al 14 giugno per discutere della crisi nell’est della RDC, le delegazioni congolese e ruandese sono già arrivate e hanno già iniziato i lavori. Il loro obiettivo? Raggiungere un accordo di pace da sottoporre ai ministri degli Esteri di entrambi i Paesi. Per la firma di tale accordo, non è stata fissata alcuna data. Hanno iniziato a incontrarsi direttamente, faccia a faccia, una novità dall’inizio delle trattative sotto mediazione statunitense. Niente più discussioni indirette tramite facilitatori o messaggi WhatsApp. Sul tavolo delle discussioni c’è una seconda bozza di accordo proposta dalla mediazione statunitense, come sintesi delle reazioni delle due delegazioni a una precedente bozza di accordo, sempre proposta da Washington.[8]

L’equipe di mediazione di Washington ha redatto una seconda bozza di accordo tra la RDC e il Ruanda e l’ha presentata alle delegazioni di entrambi i Paesi. Questo testo va oltre la dichiarazione di principi firmata lo scorso aprile a Washington dai ministri degli esteri congolese e ruandese.
Nel documento attuale, la firma dell’accordo di pace è subordinata innanzitutto al ritiro incondizionato del Ruanda dal territorio congolese. Il ritiro riguarda personale militare, armi ed equipaggiamenti sotto controllo ruandese, ad eccezione dei casi espressamente previsti dal Meccanismo Congiunto di Coordinamento per la Sicurezza. Secondo alcune informazioni, questo punto era già stato sollevato nelle proposte congolesi che avevano dato origine alla prima bozza del 15 maggio. Il problema è che il governo ruandese non ha mai riconosciuto la presenza delle sue truppe in territorio congolese e ha sempre fatto riferimento invece a “misure difensive” messe in atto per la propria sicurezza.
La seconda condizione: la revoca della legge marziale nel Nord Kivu e nell’Ituri. In vigore dal 2021, questo stato di emergenza deve cedere il passo a un’amministrazione civile che permetti di ritornare alla normalità. Il nuovo documento fa riferimento anche all’accordo di cessate il fuoco tra Kinshasa e l’AFC-M23, ancora in discussione nei negoziati di Doha (Qatar). La logica è chiara: l’accordo con il Ruanda potrà essere firmato solo dopo la conclusione dell’accordo tra Kinshasa e l’AFC/M23.
La bozza di accordo affronta anche la questione delle Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR). I due Paesi dovranno “collaborare in buona fede, per identificare, valutare, localizzare e mettere fine all’esistenza delle FDLR” in territorio congolese. Questa cooperazione era già nel Concetto Operativo concordato a Luanda nel mese di ottobre 2024. Il testo del progetto di accordo stabilisce infine che la RDC interdirà e intercetterà ogni appoggio materiale o finanziario, nazionale o estero, destinato alle FDLR.[9]

Poche settimane dopo la firma di una “dichiarazione di principi” e la trasmissione di una prima bozza di accordo a Kinshasa e a Kigali da parte della mediazione statunitense, le trattative procedono verso la firma di un accordo di pace nell’est della RDC e nella regione dei Grandi Laghi Africani.
Secondo fonti citate da Reuters il 10 giugno, gli Stati Uniti stanno promuovendo un accordo che obbligherebbe il Ruanda a ritirare le sue truppe dall’est della RDC, come condizione previa a qualsiasi firma ufficiale. L’amministrazione Trump sta conducendo questi negoziati con il duplice obiettivo di porre fine ai combattimenti e di permettere investimenti miliardari occidentali in questa regione ricca di minerali. Secondo alcune fonti, questo progetto non sarà attuato che dopo il ritiro delle truppe ruandesi dal territorio congolese, unica condizione sine qua non posta da Kinshasa.
Questa seconda bozza di accordo di pace tra la RDC e il Ruanda condiziona la firma dell’accordo conclusivo al ritiro di truppe, armi ed equipaggiamenti ruandesi dalla RDC. Questa condizione, tuttavia, rischia di infastidire Kigali, che considera i gruppi armati che operano nella RDC una minaccia esistenziale. Inoltre, il Ruanda ha sempre negato di aver fornito appoggio militare all’M23, affermando, nello stesso tempo, che le sue forze agiscono per autodifesa contro l’esercito congolese e i miliziani hutu delle FDLR, molti dei quali hanno partecipato al genocidio del 1994, che ha causato la morte di quasi un milione di persone, per lo più tutsi.
La bozza di accordo prevede anche un Meccanismo Congiunto di Coordinamento per la Sicurezza. Esso sarebbe composto da osservatori militari congolesi, ruandesi e stranieri incaricati di esaminare le questioni relative all’insicurezza, tra cui la continua presenza di milizie hutu ruandesi nella RDC. Gli analisti citati da Reuters ritengono però che le FDLR non rappresentino più una minaccia significativa per Kigali, benché il governo del presidente Paul Kagame continui a considerarle una seria minaccia. Secondo la bozza di accordo, Kinshasa si impegnerebbe a permettere all’AFC-M23 di partecipare a un dialogo nazionale “su un piano di parità con gli altri gruppi armati della RDC”. Si tratta di una concessione molto importante da parte del governo congolese, che considera l’AFC-M23 come gruppo terroristico appoggiato dal Ruanda. L’annuncio di questa bozza di accordo giunge mentre Kinshasa e Washington stanno negoziando contemporaneamente un partenariato strategico nel settore dei minerali critici. L’obiettivo è garantire alle società americane un accesso privilegiato alle risorse minerarie strategiche della RDC.[10]

c. Firmato un documento preparatorio per un accordo di pace tra la RDC e il Ruanda

Il 18 giugno, riuniti a Washington, gli esperti congolesi e ruandesi hanno siglato un documento preparatorio per un accordo di pace sotto l’egida degli Stati Uniti e alla presenza del Sottosegretario agli Affari Politici statunitense, Allison Hooker. Era presente anche un rappresentante del Qatar, impegnato in un processo di mediazione tra il governo congolese e l’AFC/M23 parallelo a quello degli Stati Uniti tra la RDC e il Ruanda.
Questo importante passo dovrà essere convalidato e definitivamente approvato dai Ministri degli Esteri di entrambi i Paesi. La loro firma è prevista per il 27 giugno, alla presenza del Segretario di Stato americano Marco Rubio. Un eventuale futuro incontro tra i capi di Stato, in data ancora da definire, non avrà come obiettivo l’approvazione dell’accordo, ma quello di promuovere la pace, la stabilità e la prosperità economica nella regione dei Grandi Laghi Africani.
Il testo siglato dagli esperti congolesi e ruandesi si basa sulla “dichiarazione di principi” firmata il 25 aprile scorso. L’attuale documento contiene cinque disposizioni, tra cui: il rispetto dell’integrità territoriale, la cessazione delle ostilità e la creazione di un quadro di integrazione economica regionale. È inoltre prevista la creazione di un meccanismo congiunto di coordinamento per la sicurezza. Tale meccanismo deve integrare il CONOPs (Concept of Operations), un ambito di condivisione di intelligence negoziato a Luanda in ottobre 2024. Esso prevede l’attuazione di diverse operazioni, tra cui lo smantellamento delle Forze Democratiche di Liberazione del Ruanda (FDLR) ancora presenti nell’est della RDC anche se in forma ridotta, la revoca delle cosiddette misure difensive del Ruanda, la cessazione delle operazioni militari transfrontaliere e una valutazione congiunta della situazione attraverso un meccanismo di verifica. Un altro punto centrale riguarda il disimpegno e il disarmo dei gruppi armati, nonché l’integrazione individuale nell’esercito nazionale di quei combattenti membri dei gruppi armati che soddisfino le condizioni richieste. A questo proposito, Tina Salama, portavoce del presidente Félix Tshisekedi, ha ribadito che qualsiasi eventuale integrazione non potrà che essere realizzata nell’ambito del programma di disarmo, smobilitazione, reinserimento sociale e stabilizzazione. Tra le altre disposizioni, si possono ricordare il ritorno dei rifugiati e degli sfollati interni e l’accesso umanitario.[11]

Se gli Stati Uniti cercano di ristabilire la pace nell’est della RDC e nella Regione dei Grandi Laghi Africani, è per permettere alle loro società industriali di accedere alle materie prime strategiche (litio, coltan, ecc.) presenti nel sottosuolo di questa regione. Tuttavia, il gruppo armato antigovernativa dell’Alleanza Fiume Congo / Movimento del 23 marzo (AFC/M23) controlla gran parte delle province del Nord Kivu e del Sud Kivu. Di conseguenza, oggi Kinshasa non controlla più le principali miniere di quelle due province. Inoltre, quasi tutte le miniere congolesi sono controllate da società cinesi. Il governo congolese ha quindi poco da offrire agli Stati Uniti, che saranno costretti a negoziare dietro le quinte con le autorità cinesi, bypassando Kinshasa.
Nella regione dei Grandi Laghi Africani in generale e nella RDC in particolare, i numerosi conflitti hanno regolarmente condotto alla firma di cessate il fuoco e di accordi di pace che non hanno mai messo a tacere le armi. Negli ultimi quattro anni, si sono firmati una decina di questi testi che sono poi stati sistematicamente violati e mai rispettati.
L’attuale testo americano, che tenta di conciliare le posizioni ruandese e congolese, fa riferimento ai negoziati di pace che parallelamente si stanno svolgendo a Doha, in Qatar, tra una delegazione del governo congolese e una delegazione dell’AFC/M23.
«A Doha, le due delegazioni non si parlano … Non c’è ancora stato alcun contatto diretto tra i negoziatori di entrambe le parti che, in almeno due occasioni, hanno sbattuto la porta e sono rientrati a Kinshasa e a Goma», spiega una fonte prossima al dossier in questione..
In questo contesto, è davvero molto improbabile che la firma di questo accordo a Washington possa portare ad un miglioramento della situazione sul posto, né a una riduzione delle tensioni tra i presidenti dei due Paesi che, da mesi, non fanno altro che insultarsi l’un l’altro.
Le voci che circolano su ingenti acquisti di armi da parte del governo congolese e sull’arrivo di Joseph Kabila, ex presidente congolese, a Goma, “capitale” dell’AFC / M23, non lasciano presagire alcun segno di de-escalation all’interno della crisi congolese che, in molti punti, sfugge completamente dalle mani dei negoziatori, sia del Qatar che degli Stati Uniti.
Mentre un eventuale futuro accordo tra i Presidenti Félix Tshisekedi (RDC) e Paul Kagame (Ruanda) resta ancora molto utopico, un riavvicinamento tra il coordinatore dell’AFC/M23 Corneille Nangaa e il Presidente della RDC Félix Tshisekedi sembra altrettanto ipotetico, se non impossibile. Il testo dell’accordo di pace, la cui firma è stata annunciata per il 27 giugno a Washington, potrebbe quindi essere rapidamente accantonata nello stesso cassetto degli accordi precedenti, privi di futuro, qualsiasi siano le pressioni del presidente Donald Trump.[12]

d. Alcune reazioni

Se la firma di un testo provvisorio di accordo è stata accolta con favore da alcuni, altri rimangono scettici sulla sua attuazione. Il premio Nobel per la pace, il dottor Denis Mukwege, che si dice favorevole a tutte le attuali iniziative per una pace giusta e duratura, fa notare che il futuro accordo non sarà che il risultato di un negoziato “opaco e non inclusivo” che andrà a beneficio del solo Ruanda. «Confermiamo la nostra cautela riguardo a tentativi di mediazione che omettono il riconoscimento dell’aggressione del Ruanda contro la RDC e a negoziati caratterizzati da opacità e non inclusività, ciò che lascia intendere che tutto andrà a vantaggio dell’aggressore che, non sanzionato, vedrà così i suoi crimini passati e presenti fatti passare come atti di “cooperazione economica” …  Nella sua forma attuale, l’accordo sembrerebbe premiare l’aggressione, legittimare il saccheggio delle risorse naturali congolesi e costringere la vittima ad alienare il proprio patrimonio nazionale, sacrificando la giustizia a favore di una pace precaria e fragile», ha scritto Denis Mukwege.  Inoltre, egli ha fatto notare che questo documento preparatorio non tiene sufficientemente conto delle proposte della Risoluzione 2773, adottata il 20 febbraio dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Secondo il Dott. Mukwege, in quanto fonte di diritto internazionale ed essendo, quindi, vincolante per tutti gli Stati, quella risoluzione esige un cessate il fuoco immediato e incondizionato; il ritiro immediato delle truppe dell’esercito ruandese dal territorio della RDC e la cessazione, senza condizioni, dell’appoggio militare all’M23 da parte del regime ruandese e, infine, lo smantellamento delle amministrazioni parallele illegali istituite dall’AFC-M23 nelle zone occupate.
«Esprimiamo pertanto le nostre riserve sui negoziati in corso e chiediamo trasparenza e inclusività, mediante una partecipazione significativa delle donne e dei giovani. Inoltre, essendo la continuazione di trent’anni di guerre di aggressione e di una lunga serie di crimini di guerra, crimini contro l’umanità e crimini internazionali, l’attuale conflitto in corso non può essere risolto senza porre la lotta contro l’impunità e il ricorso a tutti i meccanismi di giustizia “transizionale” (post-conflitto) al centro di tutte le varie iniziative di pacificazione della regione», ha egli affermato, aggiungendo: «Proporre un’integrazione economica e una cogestione delle risorse naturali con uno Stato aggressore, responsabile della morte di milioni di persone e del saccheggio sistematico delle risorse minerarie, senza menzionare misure di giustizia e di riparazione, è assolutamente inconcepibile per la popolazione congolese in generale e per le comunità martirizzate dell’est della RDC in particolare. La giustizia non è negoziabile e le ricchezze del sottosuolo congolese non possono essere svendute a basso prezzo e nell’opacità nel quadro di una logica mineraria neocoloniale».
Secondo Denis Mukwege, la pace non può essere ridotta a un silenzio temporaneo delle armi o a un armistizio che permettano di fare affari. Non è possibile una pace giusta, duratura e reale senza giustizia e senza rispetto dei diritti umani e del diritto internazionale. «È quindi necessario ricorrere alla giustizia transizionale (post-conflitto) per prevenire il ripetersi di conflitti e gravi violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario e per costruire una pace duratura. Giustizia, verità e riparazioni sono i prerequisiti per la riconciliazione e la coesistenza pacifica nei Paesi dei Grandi Laghi africani. Nessun accordo deve lasciar passare sotto silenzio i numerosi e troppi massacri subiti dalla popolazione civile, gli stupri commessi contro centinaia di migliaia di donne e i milioni di persone  sfollate costrette ad abbandonare le loro case e i loro campi a causa della violenza», ha egli dichiarato.[13]

Mentre l’accordo di pace recentemente siglato tra la RDC e il Ruanda e facilitato dagli Stati Uniti, suscita numerose reazioni, il Professor emerito Nyabirungu Mwene-Songa, autorevole esperto del diritto congolese e presidente onorario della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Kinshasa, ha sottolineato un requisito fondamentale: la vera pace non può essere costruita senza giustizia. In un post condiviso sul suo account X, l’avvocato della Corte di Cassazione ha scritto: «La storia dei trattati di pace tra le nazioni dimostra che nessuno di essi può reggere, se ignora la giustizia e il risarcimento per le vittime. Nessuna pace senza giustizia». Con questa posizione, il Professor Nyabirungu sottolinea l’importanza di non relegare in secondo piano i diritti delle vittime dei conflitti armati che affliggono l’est della RDC da diversi decenni. Il suo appello si inserisce nella prospettiva della giustizia di transizione (post – conflitto), intesa come un processo che integra verità dei fatti, riconoscimento dei torti, risarcimento delle vittime e punizione dei colpevoli. Mentre l’accordo firmato a Washington mira a voltare pagina sulle tensioni tra Kinshasa e Kigali, le parole di questo celebre giurista risuonano come un monito contro una pace basata esclusivamente su interessi economici e diplomatici, senza riparazioni nei confronti delle vittime di crimini di guerra, violazioni dei diritti umani e violenze dì ogni tipo perpetrate contro le popolazioni civili.[14]

Due giorni dopo la firma, a Washington, di un documento preparatorio per un accordo di pace tra la RDC e il Ruanda da parte dei rappresentanti di entrambi i Paesi, l’evento continua a suscitare numerose reazioni a Kinshasa. Mentre Martin Fayulu, che nelle ultime settimane ha avviato un riavvicinamento con il presidente Tshisekedi, sottolinea aspetti positivi come “l’obbligo per il Ruanda di ritirare le sue truppe dal suolo congolese”, Prince Epenge, portavoce di Lamuka, dice di temere che la RDC diventi «nient’altro che un enorme giacimento, una miniera a cielo aperto dove verrebbero estratti minerali destinati a rifornire le industrie minerarie del Ruanda».[15]

[1] Cf Radio Okapi, 05.05.’25
[2] Cf Clément Muamba – Actualité.cd, 20.05.’25
[3] Cf RFI / MCP, via mediacongo.net, 06.06.’25
[4] Cf Reuters / MCP, via mediacongo.net, 06.06.’25
[5] Cf Hubert Leclercq – Lalibre.be/Afrique, 25,05,’25   https://afrique.lalibre.be/79640/rdc-rwanda-la-crise-dans-lest-dure-depuis-30-ans-il-faudra-etre-patient-pour-aboutir-un-accord-de-paix-definitif/
[6] Cf RFI – 03.06.’25
[7] Cf RFI, 29.05.’25
[8] Cf RFI, 15.06.’25
[9] Cf RFI, 12.06.’25
[10] Cf Clément Muamba – Actualité.cd, 11.06.’25
[11] Cf RFI, 19.06.’25
[12] Cf Hubert Leclercq – Lalibre.be/Afrique, 19.06.’25
[13] Cf Clément Muamba – Actualité.cd, 20.06.’25
[14] Cf Prehoub Urprus – Opinion-info / MCP , via mediacongo.net, 21.06.’25
[15] Cf RFI, 21.06.’25