Congo Attualità n. 477

IL MOVIMENTO DEL 23 MARZO (M23) VIOLA IL CESSATE IL FUOCO: LA STRAGE DI KISHISHE (NORD KIVU)

INDICE

1. SONO SCAPPATI DAI MASSACRI DI KISHISHE E SI TROVANO AMMASSATI IN UN CAMPO PROFUGHI
2. IL MESSAGGIO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
3. L’INIZIO DEL DISPIEGAMENTO DELLA FORZA MILITARE REGIONALE DELLA CAE
4. IL MINI VERTICE DI LUANDA (ANGOLA)
5. LE CONSULTAZIONI DI NAIROBI III (KENIA)
6. LE DICHIARAZIONI DELLA COMUNITÀ INTERNAZIONALE
7. I MASSACRI DI KISHISHE

1. SONO SCAPPATI DAI MASSACRI DI KISHISHE E SI TROVANO AMMASSATI IN UN CAMPO PROFUGHI

Il ​​29 novembre, nel loro villaggio di Kishishe, nell’est della Repubblica Democratica del Congo, hanno visto gli orrori dei massacri, hanno deciso di fuggire e, nella paura e nel freddo, hanno camminato per decine di chilometri, per scappare dalle violenze del Movimento del 23 marzo (M23).
A seconda del percorso intrapreso, Samuel, Tuyisenge, Eric, Florence e altri hanno percorso 40 o 60 km a piedi,  per arrivare fino al campo profughi di Mungote, situato nei pressi di Kitshanga, nel territorio di Masisi.
«I miliziani dell’M23 hanno iniziato a sparare ovunque», ha detto Samuel, un uomo molto giovane, che ha detto di aver visto sei morti: tre membri della sua famiglia, tra cui suo fratello maggiore, James, e altri tre abitanti di Kishishe. «Ho deciso di fuggire e mi ci è voluta una settimana per arrivare qui a Kitshanga», ha aggiunto.
Tuyisenge è una mamma di 30 anni. «Ero in chiesa e sono riuscita a scappare. Alcuni sono rimasti e sono stati uccisi. Ho visto nove morti», dice con le lacrime agli occhi. «Ho sette figli, ma sono arrivata qui con tre. Gli altri quattro sono scomparsi e di mio marito non ho nessuna notizia», aggiunge, circondata da altre donne che, anch’esse, vogliono raccontare il terrore che hanno vissuto. Non hanno niente, solo i vestiti che indossavano quando sono scappati.
Poco più avanti, tra le baracche degli sfollati, Florence, 45 anni, spiega di aver camminato diversi giorni per arrivare fin qui. Non ha notizie né del marito né di due dei suoi figli. «Qui, nel campo profughi, chi ha pietà di me mi dà alcune patate dolci da mangiare», sussurra tristemente.
Eric è ossessionato dal ricordo dei due figli del fratello maggiore che «sono usciti di casa gridando “stanno sparando”. Sono stati colpiti proprio sulla porta e sono morti sul colpo, si chiamavano Jacques e Musayi».
Secondo i suoi responsabili, il campo di Mungote ospitava già più di 40.000 famiglie e circa altre 4.000 sono arrivate negli ultimi giorni. «Fino a quattro famiglie dormono in una sola capanna, uomini, donne e bambini. La gente sta morendo», ha detto Vumilia Peruse, vicepresidente del campo. «Arrivano senza niente… Le autorità devono intervenire al più presto, per evitare una catastrofe», ha detto allarmata.
«Pensavamo che questa guerra fosse tra soldati e che non ci avrebbe toccati. Invece su uccide proprio la popolazione civile», commenta Toby Kahunga, presidente della società civile del distretto di Bashali, chiedendo che «il presidente ruandese Paul Kagame ritiri le sue truppe».[1]

2. IL MESSAGGIO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Il 3 novembre, di fronte all’incremento dell’insicurezza nell’est della Repubblica Democratica del Congo (RDC), in particolare nel Nord Kivu dove il Movimento del 23 marzo (M23), appoggiato dal Ruanda, occupa diverse località nel territorio di Rutchuru, il Capo dello Stato Félix-Antoine Tshisekedi Tshilombo ha chiesto una mobilitazione generale della popolazione, al di là di ogni differenza di tipo politico, ideologico, religioso e tribale:
«Ampi territori del Nord Kivu sono stati aggrediti e occupati dal gruppo terroristico conosciuto come Movimento del 23 marzo (M23), manifestamente appoggiato militarmente e logisticamente  dal Ruanda, il che ha costretto oltre 200.000 connazionali ad abbandonare le zone di combattimento, provocando così un’immane tragedia umanitaria. Questa situazione non è nuova. In effetti, da diversi decenni, gruppi armati nazionali e stranieri hanno preso in ostaggio l’est del nostro paese, commettendovi atrocità indicibili che permettono loro di sfruttare illegalmente le nostre risorse naturali.
Infatti, accusando ingiustamente l’esercito congolese di appoggiare le Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR), il regime ruandese tenta, in realtà, di camuffare le sue mire espansionistiche verso l’est del nostro Paese, avendo come principale obiettivo quello di appropriarsi dei nostri minerali. Per farlo, il regime ruandese ha optato per la destabilizzazione dell’Est della RDCongo, creandovi una zona di illegalità, al fine di soddisfare suoi appetiti criminali.
In questo momento, al di là di ogni differenza politica, ideologica, religiosa e tribale, la difesa della Patria è l’unico obiettivo che deve unirci. Il Paese ci chiama, la Nazione ha bisogno dell’impegno di tutte le sue figlie e di tutti i suoi figli.
In questo momento particolarmente eccezionale della nostra storia, esorto i nostri valorosi soldati a un alto senso di patriottismo, per difendere il nostro paese, proteggere l’integrità del suo territorio e garantire la sicurezza del popolo congolese contro qualsiasi tipo di aggressione o di attacco, da qualsiasi parte provengano.
Chiedo a tutti i compatrioti di non cedere ai discorsi xenofobi che incitano all’odio o alla stigmatizzazione delle comunità ruandofone, discorsi che l’avversario può usare come strumenti di ricatto. Invito i giovani ad organizzarsi in gruppi di vigilanza, al fine di appoggiare e accompagnare le nostre forze di difesa e di sicurezza, nel compimento della loro nobile missione.
Infine, rivolgo un vibrante appello ai nostri giovani, affinché possano decidere di arruolarsi in massa nelle nostre Forze Armate. Ribadisco quindi l’istruzione data al Capo di Stato Maggiore Generale di accelerare, a tal fine, la creazione di centri di reclutamento in tutte le ventisei province del nostro paese.
Insieme, dobbiamo essere consapevoli che nessuno, tranne noi stessi, verrà a salvare la nostra nazione e che questo richiede una mobilitazione a tutto campo da parte di ciascuna/o di noi».[2]

a. Le reazioni della Società Civile

Il 4 novembre, il Movimento Civico Lotta per il Cambiamento (LUCHA) ha espresso la sua disapprovazione nei confronti del discorso del Presidente Félix Tshisekedi. In una serie di tweet, infatti, questo movimento civico ha affermato che «il Capo dello Stato ha tenuto in sospeso l’intera nazione, per poi esprimere solo inutili lamentele e assurdi incantesimi», in un momento in cui, sui vari fronti di guerra, l’M23 sta beneficiando dell’appoggio sia del Ruanda che dell’Uganda e continua ad espandersi, occupando parti sempre più importanti del territorio di Rutshuru.
La LUCHA ha ribadito le sue varie proposte per arrestare l’incremento delle violenze nell’est del paese. Tra queste proposte, LUCHA ha esortato le autorità congolesi a rompere le relazioni diplomatiche con il Ruanda e con l’Uganda, accusati di appoggiare militarmente e logisticamente l’M23; interrompere tutte le operazioni militari congiunte intraprese in collaborazione con eserciti stranieri, tra cui la Forza regionale della Comunità dell’Africa dell’Est (CAE); rafforzare le Forze Armate della Repubblica Democratica del Congo (FARDC); revocare la legge marziale nelle province del Nord Kivu e dell’Ituri, ridurre significativamente il livello dello stile di vita delle istituzioni della Repubblica, per destinando i mezzi risparmiati allo sforzo bellico nell’Est del Paese; chiedere alle Nazioni Unite la creazione di un tribunale penale speciale per la RDCongo, per consegnare alla giustizia gli autori dei crimini commessi sul suolo congolese a partire dal 1990.[3]

Il 7 novembre, la popolazione di Uvira (Sud Kivu) ha chiesto al governo congolese di sospendere tutti i traffici transfrontalieri tra la RDC e il Ruanda. Nel corso di una marcia pacifica di protesta contro l’aggressione della RDC da parte del Ruanda, un attivista del movimento civico Lotta per il Cambiamento (LUCHA), François Igilima, ha dichiarato che, con tale iniziativa, «la popolazione intende chiedere al governo di sospendere, fino a nuovo avviso, ogni tipo di traffico e di transito transfrontaliero con i paesi aggressori». Le organizzazioni della società civile hanno proposto il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro dei membri dei servizi di difesa e sicurezza (esercito e polizia) e l’istituzione del servizio militare obbligatorio per tutti i giovani sull’intero territorio nazionale. Secondo la Società Civile, ciò richiederà di reclutare nuove leve, programmare le attività per la loro formazione in ogni provincia e predisporre la logistica necessaria per evitare ogni eventualità di aggressione da parte dei paesi vicini.[4]

b. Le ripercussioni sul Parlamento e sul Governo

L’8 novembre, i deputati nazionali hanno approvato una raccomandazione in cui si sconsiglia  l’integrazione di membri dei gruppi armati nell’esercito, nella polizia nazionale e nei servizi di sicurezza. Questa raccomandazione è rivolta al governo e il suo obiettivo è quello di preservare l’esercito, la polizia e i servizi di sicurezza da infiltrazioni negative e da conseguenze dannose (indisciplina, corruzione, catene di comando parallele, nuove diserzioni e apparizione di nuovi gruppi armati), come successo in passato, quando la procedura di integrazione dei gruppi armati nei servizi di difesa e sicurezza dello stato sembrava essere la soluzione dei conflitti e la via per arrivare alla pace, senza tuttavia tener conto del fatto che, normalmente, i gruppi armati sono responsabili di omicidi, sequestri, saccheggi, sfruttamento illecito delle risorse naturali, violazioni dei diritti umani, crimini sessuali, crimini di guerra e crimini contro l’umanità, a danno del popolo congolese.[5]

L’11 novembre, il ministro degli Esteri congolese, Christophe Lutundula, ha dichiarato che il governo potrebbe aprire la porta a una ripresa dei negoziati con l’M23, ma non a qualsiasi prezzo.«Potremmo dialogare con l’M23, ma non negozieremo mai sull’integrità territoriale, la sovranità e l’indipendenza del nostro Paese», ha egli dichiarato, prima di elencare una serie di condizioni che l’M23 deve previamente soddisfare: cessare le ostilità, ritirarsi dalle località occupate, permettere il ritorno degli sfollati nei propri villaggi e cessare di ricevere appoggi militari e logistici dall’esterno. «In tal caso, saremmo aperti ad eventuali discussioni», ha egli concluso.[6]

3. L’INIZIO DEL DISPIEGAMENTO DELLA FORZA MILITARE REGIONALE DELLA CAE

Ai primi di novembre, il parlamento del Kenya ha approvato il dispiegamento di 904 soldati nell’ambito della forza militare regionale della Comunità dell’Africa dell’Est (CAE), per aiutare il governo congolese a combattere e sconfiggere i gruppi armati attivi nell’est del Paese.
Il presidente della Commissione per la difesa e le relazioni esterne dell’Assemblea nazionale, Nelson Koech, ha affermato che la presenza di un contingente di militari kenioti nella forza militare regionale della CAE in RDCongo aiuterà il Kenia a proteggere i propri interessi all’estero, tra cui un controllo maggiore sul mercato commerciale da e verso i suoi porti sull’Oceano Indiano e l’incremento delle banche keniote che operano in Congo, Il mandato di tale missione è di sei mesi e, per finanziare tale operazione, il Kenya ha preventivato 4,45 miliardi di scellini (36,6 milioni di dollari). Se l’operazione sarà prolungata, i costi saliranno a circa 6 miliardi di scellini all’anno.
Il Kenya assumerà il comando di questa missione militare che, voluta dalla CAE, comprende anche soldati provenienti da Burundi, Uganda e Sud Sudan. I soldati kenioti e ugandesi collaboreranno con i soldati congolesi nel nord Kivu e nell’Ituri, le truppe sud sudanesi si dispiegheranno nell’Haut-Uélé e le burundesi nel sud Kivu. Poiché il governo congolese si è opposto alla presenza di truppe ruandesi sul proprio territorio, Kigali dispiegherà un suo contingente nei pressi della frontiera con la RDCongo ma all’interno del proprio territorio, per assicurarne la sicurezza.[7]

Il 12 novembre, un primo contingente di militari kenioti è arrivato a Goma (Nord Kivu). Si tratta di un centinaio di soldati su un totale di 900 previsti dal parlamento keniota.
Il dispiegamento di una forza militare regionale per “imporre” la pace nell’est della RDC era stato deciso il 20 giugno, a Nairobi (Kenya), al termine del 3° conclave dei Capi di Stato dei Paesi membri della East African Community (EAC).[8]

Il 16 novembre, un secondo contingente di militari kenioti, composto da un centinaio di soldati, è arrivato a Goma, capoluogo della provincia del Nord Kivu.
In una conferenza stampa, il generale Jeff Nyagah, comandante della forza militare della Comunità dell’Africa dell’Est (CAE), ha affermato che, in questa fase, «favoriremo anzitutto il dialogo e la diplomazia perché, in molti casi, la guerra non ha mai portato la pace». Ha aggiunto che si procederà all’opzione militare in caso di fallimento dei negoziati. A sostegno di queste affermazioni, ha citato i processi di pace di Luanda e di Nairobi che sono attualmente in corso per una de-escalation. Questa posizione del generale Jeff Nyagah sembra contraddice completamente le dichiarazioni fatte dal Generale-Maggiore Jérôme Shiko Tshitambwe, Vice Capo di Stato Maggiore e responsabile delle operazioni militari nell’esercito congolese che, nella stessa conferenza stampa, aveva dichiarato: «Spero che, con il vostro arrivo, molte cose cambieranno, trattandosi ora di una missione offensiva contro l’M23 appoggiato dalle forze dell’esercito ruandese e contro tutti gli altri gruppi armati, tra cui le FDLR».[9]

Il 21 novembre, l’esercito ugandese ha annunciato di starsi preparando per mandare un contingente di mille uomini nell’est della RDCongo, come suo contributo alla forza militare regionale della Comunità dell’Africa dell’Est (CAE). Questo annuncio è arrivato in un momento in cui è evidente una certa sfiducia tra Kinshasa e Kampala, perché alcuni ufficiali congolesi sono convinti che, come il Ruanda, anche l’Uganda stia appoggiando l’M23. Va qui ricordato che diverse centinaia di soldati ugandesi sono già presenti in territorio congolese già da diversi mesi, nell’ambito dell’operazione congiunta Shujaa, iniziata il 1° dicembre 2021 contro le Forze Democratiche Alleate (ADF) nelle province del Nord Kivu e dell’Ituri.[10]

4. IL MINI VERTICE DI LUANDA (ANGOLA)

Il 23 novembre, a Luanda (Angola), João Manuel Gonçalves Lourenço, Presidente della Repubblica dell’Angola e mediatore nel dialogo tra la RDC e il Ruanda, ha presieduto un mini vertice da lui convocato per la pace e la sicurezza nell’est della RDCongo.
A questo incontro, hanno partecipato Evariste Ndayishimiye, Presidente del Burundi e attuale Presidente della Comunità dell’Africa dell’Est (CAE), Uhuru Kenyatta, ex Presidente del Kenya e Facilitatore della CAE nel processo di pace di Nairobi, Félix-Antoine Tshisekedi, Presidente della RDCongo e Vincent Biruta, Ministro degli Affari Esteri del Ruanda, delegato del Presidente ruandese Paul Kagame.
I Capi di Stato hanno innanzitutto preso atto del deterioramento della sicurezza nel Nord Kivu e del proseguimento delle azioni militari dell’M23. Hanno inoltre constatato che l’M23 sta usando armi sempre più sofisticate e che sta intensificato i suoi attacchi contro l’esercito nazionale; hanno notato che i gruppi armati continuano a commettere violenze contro la popolazione civile e hanno ribadito che tutto ciò costituisce una minaccia per la pace, la sicurezza e la stabilità non solo nel Nord Kivu, ma in tutta la regione dei Grandi Laghi Africani. Al termine del vertice, i Capi di Stato hanno deciso la cessazione, a partire dal 25 novembre 2022, ore 18:00, delle ostilità in generale e, in particolare, degli attacchi dell’M23 contro le forze dell’esercito e della Missione dell’Onu in RDCongo.
Hanno inoltre deciso di continuare il dispiegamento della forza militare regionale della CAE.
Hanno chiesto il ritiro dell’M23 dalle aree occupate e il suo ritorno nelle posizioni iniziali anteriori al mese di aprile, a Sabyinyo, a est di Rutshuru (lato RDCongo). Hanno quindi chiesto il disarmo delle sue truppe e il loro confinamento, in territorio congolese, sotto il controllo dell’esercito, della Forza militare Regionale della CAE e del Meccanismo ad hoc di verificazione, con la collaborazione della Missione dell’Onu in RDCongo, in accordo con le conclusioni dell’Assemblea Straordinaria dei Capi di Stato Maggiore della Forza militare regionale della CAE, tenutasi l’8 novembre 2022, a Bujumbura (Repubblica del Burundi).
I partecipanti al mini vertice hanno deciso l’intervento della forza militare regionale della CAE contro l’M23, nel caso in cui esso rifiutasse di cessare le ostilità e di ritirarsi dai territori occupati. Tale decisione è stata presa in conformità con le raccomandazioni del Processo di Nairobi e della riunione dei capi di stato maggiore della CAE, tenutasi a Bujumbura, l’8 novembre 2022.
Essi hanno chiesto anche la cessazione di ogni appoggio politico-militare all’M23 e a tutti gli altri gruppi armati, locali e stranieri, attivi nell’est della RDCongo. Hanno inoltre insistito sulla ripresa e delle consultazioni tra il governo congolese e i gruppi armati locali, tra cui l’’M23, e hanno raccomandato l’accelerazione dell’attuazione del Programma di Smobilitazione, Disarmo e  Reinserimento Comunitario (P-DDRCS) per la Stabilizzazione del paese. Infine, hanno espresso profonda preoccupazione per le condizioni in cui vivono centinaia di migliaia di sfollati nelle zone colpite dalla guerra nella provincia del Nord Kivu e hanno fatto appello alla comunità internazionale per l’assistenza umanitaria a favore di queste popolazioni.[11]

Il 24 novembre, il portavoce politico del Movimento del 23 marzo (M23), Lawrence Kanyuka, ha dichiarato che «l’M23 è venuto a conoscenza delle conclusioni del mini vertice di Luanda  attraverso i social network. Normalmente, quando si decide un cessate il fuoco, vuol dire che ci sono almeno due parti in conflitto. Al minivertice di Luanda, non c’era nessuno dell’M23, quindi le sue conclusioni non ci riguardano in alcun modo». Egli ha aggiunto che «l’M23 è sempre pronto a un dialogo diretto con il governo congolese, per risolvere le cause profonde del conflitto».[12]

Il 25 novembre, secondo un comunicato firmato da Bertrand Bisimwa, presidente dell’M23, «la Direzione del Movimento del 23 marzo ha preso atto del comunicato finale di Luanda e ringrazia i Capi di Stato della regione per i loro instancabili sforzi nella ricerca di una soluzione pacifica al conflitto in corso… L’M23 accetta il cessate il fuoco come raccomandato dai Capi di Stato. Chiede però al governo di Kinshasa di rispettarlo a sua volta. In caso contrario, l’M23 si riserva il diritto di difendersi. L’M23 chiede un incontro con il presidente dell’Angola, João Lourenço, mediatore del processo di pace di Luanda, e con l’ex presidente del Kenya, Uhuru Kenyata, facilitatore del processo di Nairobi, per discutere sulle conclusioni del comunicato finale del Mini-vertice del 23 novembre in generale, ma soprattutto sui punti che lo riguardano più direttamente. al fine di ristabilire una pace duratura». Come si può constatare, l’M23 non ha espresso alcuna volontà di ritirarsi verso le sue posizioni iniziali, come raccomandato dai Capi di Stato riuniti a Luanda. D’altra parte, il governo congolese si è detto categoricamente contrario a qualsiasi tipo di colloqui con l’M23, definito come gruppo terrorista.[13]

Il 6 dicembre, in un comunicato firmato a Bunagana, il Movimento del 23 marzo (M23), in un momento in cui è oggetto di diversi messaggi di disapprovazione, sia a livello nazionale che internazionale, e sotto pressione militare, per la prima volta ha annunciato di essere “pronto a ritirarsi” dai territori occupati, anche se non era presente al mini-vertice di Luanda. Secondo il comunicato, «il movimento M23 chiede un incontro con i responsabili della Forza militare regionale della Comunità dell’Africa dell’Est (CAE) e del Meccanismo ad hoc di verificazione, per accordarsi sulle modalità di attuazione delle risoluzioni del minivertice di Luanda. L’M23 ribadisce la sua richiesta di incontrare il mediatore del processo di Nairobi e il facilitatore del processo di Luanda, per esporre loro le sue preoccupazioni e le sue rivendicazioni. Ribadisce la sua disponibilità a dialogare direttamente con il governo congolese, al fine di trovare una soluzione alle cause profonde del conflitto». Questo comunicato stampa dell’M23 è stato diffuso il giorno dopo che il Segretario di Stato americano, Antony Blinken, abbia di nuovo contattato il presidente ruandese Paul Kagame per un colloquio sulla situazione di insicurezza che colpisce l’est della RDCongo e che è incrementata dall’appoggio del regime ruandese all’M23, che occupa diverse zone del Nord Kivu, commettendo violenze che hanno raggiunto il culmine con i massacri del 29 novembre a Kishishe.[14]

5. LE CONSULTAZIONI DI NAIROBI III (KENIA)

Il 18 novembre, in un comunicato stampa emesso dopo una telefonata, il facilitatore della Comunità dell’Africa dell’Est (CAE) per la pace nell’est della RDCongo, Uhuru Kenyatta, ha affermato che «il presidente ruandese Paul Kagame ha riconosciuto la necessità di un immediato cessate il fuoco tra l’M23 e l’esercito congolese e ha accettato di collaborare con il facilitatore della CAE nel chiedere all’M23 di ritirarsi dai territori conquistati, in conformità con la risoluzione dei capi di stato maggiore della forza militare regionale durante il loro incontro di Bujumbura».[15]

Il 28 novembre, a Nairobi (Kenya), si è aperta la terza fase delle consultazioni di Nairobi per la pace nell’est della RDCongo. Erano presenti il Presidente del Burundi e Presidente della Comunità dell’Africa dell’Est (CAE), Evariste Ndayishimiye, l’ex presidente del Kenia e facilitatore delle consultazioni, Uhuru Kenyatta, l’attuale Presidente del Kenya, William Ruto, il rappresentante speciale del Presidente della RDCongo per il processo di Nairobi, Serge Tshibangu. L’Unione Africana e l’Inviato Speciale delle Nazioni Unite per la Regione dei Grandi Laghi hanno partecipato in qualità di osservatori. A questi colloqui di Nairobi partecipano diversi rappresentanti (200 circa) di gruppi armati, autorità locali e organizzazioni della società civile. Il grande assente è l’M23, che non è stato invitato, poiché continua ad occupare varie zone dei territori di Rutshuru e di Nyiragongo, nonostante l’appello al cessate il fuoco fatto dai Capi di Stato al termine del minivertice del 23 novembre a Luanda (Angola).
Durante la cerimonia di apertura, sono intervenuti in videoconferenza Felix Tshisekedi, Yoweri Museveni e Paul Kagame, rispettivamente presidenti della RDCongo, dell’Uganda e del Ruanda.
Il presidente congolese Félix-Antoine Tshisekedi ha invitato tutti i gruppi armati a deporre le armi e ad aderire al Programma di Smobilitazione, Disarmo, Reinserimento Comunitario per la Stabilizzazione del paese (DDRC-S). Il presidente ugandese Yoweri Museveni ha avvertito che i gruppi armati congolesi dovranno scontrarsi con la forza militare regionale della CAE, se non ascolteranno gli appelli a loro rivolti durante il minivertice di Luanda e le consultazioni di Nairobi. Da parte sua, il presidente ruandese Paul Kagame si è impegnato a contribuire al buon esito di questo terzo ciclo di consultazioni avviato a Nairobi.
Da ricordare che un primo ciclo di consultazioni si era svolto in maggio 2022 a Nairobi e un secondo si era tenuto in agosto a Goma.[16]

Il 30 novembre, il facilitatore del processo di pace di Nairobi, Uhuru Kenyatta, si è incontrato con i delegati dei gruppi armati attivi nelle province del Nord Kivu, Sud Kivu, Ituri, Maniema e Tanganica. Al termine di queste consultazioni, egli ha affermato che tutti i gruppi armati hanno accettato di deporre le armi e hanno avanzato alcune proposte per risolvere la crisi di insicurezza che caratterizza l’est della RDCongo.
Un gruppo armato dell’Ituri, la “CODECO”, ha chiesto al governo congolese di esigere che anche il gruppo armato “Zaire” (che non si è presentato a Nairobi) deponga le armi e cessi di attaccare le sue postazioni. I gruppi armati del Maniema chiedono l’effettivo rispetto degli accordi firmati tra i gruppi armati, le comunità locali, il governo e la compagnia “Banro”, a proposito dell’estrazione e vendita dei minerali in questa provincia. Quelli del Tanganica chiedono misure di sicurezza per la comunità “TWA”. I gruppi armati del Sud Kivu hanno espresso il loro desiderio di porre fine ai combattimenti. Alcuni di loro hanno proposto la ripresa del dialogo tra le comunità “Bembe” e “Banyamulenge”; altri hanno chiesto il disarmo di tutti i gruppi armati stranieri presenti nella provincia. I gruppi armati del Nord Kivu hanno chiesto il disarmo delle FDLR, le ADF e l’M23.
Infine, i vari gruppi armati hanno chiesto l’integrazione dei loro membri nei servizi di sicurezza dello stato (esercito o polizia), la liberazione dei loro compagni catturati dall’esercito e incarcerati e l’amnistia per i loro membri ricercati dalle varie istanze giudiziarie.[17]

Il 6 dicembre, a Nairobi, si è conclusa la terza sessione delle consultazioni di pace. Secondo il comunicato finale, tra le dieci principali risoluzioni si possono citare le seguenti:
I firmatari del comunicato di Nairobi III hanno accettato di aderire al Programma di Smobilitazione, Disarmo, Reinserimento Comunitario per la Stabilizzazione del paese (PDDRC-S). Tuttavia, all’unanimità, essi hanno dimostrato la loro totale opposizione all’attuale coordinatore di tale programma, a causa del suo oscuro passato. Il facilitatore delle consultazioni, Uhuru Kenyatta, si è impegnato a discutere tale questione con il Presidente della Repubblica Felix Tshisekedi che, dopo aver consultato, su questo tema, i rappresentanti del governo e delle comunità interessate, rilascerà una dichiarazione pubblica in tal senso.
I partecipanti hanno deciso di istituire un gruppo di lavoro, per esaminare la questione dei membri dei gruppi armati catturati e incarcerati e presentare un rapporto agli organi giudiziari competenti, al fine di trovare delle soluzioni adeguate, tra cui la liberazione di tutti quelli che non sono accusati di aver commesso atrocità o che non sono oggetto di una condanna penale.
Il Facilitatore Uhuru Kenyata si è impegnato a portare all’attenzione del Capo dello Stato congolese le richieste di integrazione dei membri dei gruppi armati nell’esercito regolare congolese, benché ciò sia contrario allo spirito del PDDRC-S.
Vari gruppi armati hanno detto chiaramente che non deporranno le armi, finché sul territorio congolese ci saranno ancora dei gruppi armati stranieri. Pertanto, Uhuru Kenyatta, facilitatore delle consultazioni in nome della Comunità dell’Africa dell’Est (CAE), ha chiesto a tutti i gruppi armati stranieri di deporre le armi e di lasciare il territorio congolese: «Per entrare in RDCongo, occorre passare attraverso la porta, non attraverso la finestra. È quindi necessario che i gruppi armati stranieri che sono entrati per la finestra ritornino a casa loro». Affinché ciò sia possibile, egli ha chiesto ai governi dei loro rispettivi Paesi di origine (Ruanda, Uganda e Burundi) di poter aprire un dialogo con essi, in vista del loro ritorno in patria, ciò che contribuirebbe al ritorno della pace nell’est della RDCongo.
I partecipanti hanno inoltre chiesto la collaborazione tra il Programma di sviluppo dei 145 territori e il programma di disarmo e reinserimento (PDDRC-S), per facilitare l’integrazione delle diverse  comunità locali, creando opportunità di lavoro e di commercio.
Per quanto riguarda le comunità residenti all’interno o nei dintorni dei parchi nazionali, il presidente Tshisekedi ha accettato di facilitarle e di coinvolgerle in progetti ecologici e rispettosi della conservazione della natura.
Sotto gli auspici del presidente Tshisekedi, sarà organizzato un incontro tra rappresentanti del governo e delle comunità locali del Maniema, per discutere su come coinvolgere le diverse comunità locali, affinché possano beneficiare dell’industria mineraria della regione.
Infine, per gennaio 2023, è stata prevista una serie di incontri nelle città di Goma, Bukavu e Bunia, per valutare i progressi compiuti.[18]

6. LE DICHIARAZIONI DELLA COMUNITÀ INTERNAZIONALE

Il 18 novembre, in un comunicato, gli Inviati Speciali di Stati Uniti, Belgio, Francia e Regno Unito per la regione dei Grandi Laghi «hanno condannato con la massima fermezza la continua avanzata del Movimento del 23 marzo (M23), gruppo armato illegale già sanzionato dalle Nazioni Unite». Essi hanno notato che «la ripresa delle ostilità da parte sua, il 20 ottobre, in particolare a Rutshuru, Kiwanja, Rumangabo, Kibumba e dintorni, ha vanificato gli sforzi di pace e ha causato una maggiore insicurezza e grandi sofferenze umane».
Essi hanno chiesto all’M23 di cessare le ostilità, di ritirarsi immediatamente e di porre fine a tutte le attività che violano il diritto internazionale. Nel loro comunicato, hanno dichiarato: «Riaffermiamo il nostro appoggio agli sforzi diplomatici inter-regionali, tra cui le iniziative di Nairobi e Luanda, che promuovono l’abbassamento delle tensioni e creano le condizioni per una pace vera e duratura. Incoraggiamo la ripresa del dialogo attraverso questi meccanismi e esortiamo i gruppi armati congolesi a partecipare alle consultazioni di Nairobi. Chiediamo di mettere fine ad ogni tipo di appoggio ai gruppi armati, compreso l’appoggio esterno all’M23. Chiediamo ai Paesi della regione di fare tutto ciò che è in loro potere, per rendere possibile l’immediata cessazione delle ostilità e l’immediata ripresa delle consultazioni di Nairobi. Riaffermiamo la necessità del rispetto della sovranità e dell’integrità territoriale dei Paesi della regione dei Grandi Laghi».[19]

Il 24 novembre, sottolineando il legame dell’M23 con il Ruanda, il Parlamento Europeo «ha chiesto al Ruanda di cessare il suo appoggio all’M23; al Consiglio dell’Unione e ai suoi Stati membri di imporre delle sanzioni agli autori di violazioni dei diritti umani perpetrate nell’est della RDCongo, ricorrendo al meccanismo mondiale di sanzioni in materia di diritti umani; di mantenere e di estendere le sanzioni emanate contro gli alti comandanti dell’M23, per includere anche quelli che sono stati ritenuti responsabili di violazioni più recenti, senza dimenticare quelli che, a livello regionale, ne sono stati complici».
Il Parlamento Europeo «chiede all’M23 di ritirarsi dalle sue posizioni attuali e di deporre le armi; a tutti i gruppi armati di partecipare alle consultazioni di Nairobi, per aderire al Programma di Smobilitazione, Disarmo, Reinserimento Comunitario per la Stabilizzazione del paese (PDDRC-S); a tutti gli attori politici della regione di cessare ogni cooperazione con l’M23 e altri gruppi armati; al governo congolese di assicurarsi che qualsiasi accordo politico non includa alcun tipo di amnistia nei confronti degli autori di gravi crimini internazionali, né alcun tipo di integrazione  di ufficiali dell’M23, responsabili di violazioni dei diritti umani, nelle Forze Armate della Repubblica Democratica del Congo (FARDC)».[20]

Il 5 dicembre, il Segretario di Stato americano, Antony J. Blinken, ha parlato per telefono con il Presidente del Ruanda, sull’importanza della pace e della stabilità nell’est della RDCongo. Ha invitato il presidente ruandese Paul Kagame a cessare ogni appoggio all’M23: «Ogni tipo di appoggio esterno ai gruppi armati attivi nella RDCongo deve cessare, compreso l’appoggio del Ruanda all’M23». Per quanto riguarda la Repubblica Democratica del Congo, Antony J. Blinken ha «condannato la recrudescenza dei discorsi xenofobi e di incitamento pubblico all’odio contro le comunità ruandofone» e ha ricordato le orribili conseguenze che possono derivare da tale retorica.[21]

7. I MASSACRI DI KISHISHE

Nonostante l’appello al cessate il fuoco emesso dai Capi di Stato della Comunità del’Africa dell’Est  (CAE) il 23 novembre, a Luanda (Angola), si registrano degli scontri tra l’M23 e una decina di gruppi armati, proprio mentre i delegati di questi ultimi stanno partecipando alle consultazioni di Nairobi III. I principali gruppi armati implicati negli scontri con l’M23 sono i seguenti: NDC-Rénové di Guidon Shimwerayi, APCLS di Janvier Karairi, CMC-Nyatura di Domi, FPP/AP di Kabidon, NDC-Rénové di Fidèle Mapenzi, AFRC di Kakule e le FDLR. Gli scontri tra l’M23 e questi gruppi sono segnalati soprattutto nei raggruppamenti Bishusha e Bambo (distretto di Bwito), ma anche a Kisigari, Rugari e Binza (distretto di Bwisha). nel territorio di Rutshuru.
Alcuni attivisti e movimenti civici si dicono favorevoli all’intervento dei gruppi armati locali contro l’M23, perché sta impedendo o, almeno, ritardando la sua avanzata  verso altri grandi centri del Nord Kivu, come Kitshanga, Kibirizi o Nyamilima. Tuttavia, tale intervento ha aperto la strada a diversi atti di rappresaglia da parte dell’M23 che, nei villaggi in cui è attaccato, sospetta i civili di essere dei miliziani Mai-Mai o complici delle FDLR. La conseguenza è che molte persone vengono uccise o prese in ostaggio dall’M23, come successo a Kishishe, Kisharu e Rugari.[22]

Il 29 novembre, degli scontri tra l’M23 e una coalizione FDLR e Mai-Mai Nyatura sono stati registrati nel villaggio di Kishishe, nel raggruppamento Bambo, territorio di Rusthuru. Al termine di questi scontri, l’M23 ha ripreso il controllo di Kishishe, che aveva perso la settimana anteriore, in seguito a precedenti scontri con le FARDC, i Maï-Maï e le FDLR. Durante questi scontri, l’M23 ha compiuto rappresaglie sia contro i civili che si trovavano ancora sul posto, sia contro i miliziani locali catturati. Diverse fonti locali hanno precisato che gli scontri tra l’M23 e i combattenti dei gruppi armati locali e stranieri (tra cui le FDLR) sono iniziati una decina di giorni prima, in particolare tra Kitshanga e Chumba, nel raggruppamento di Bishusha, tra Katale e Biruma, nel territorio di Rutshuru e tra Nkwenda e Kisharu, nel raggruppamento di Binza.[23]

Nel periodo compreso tra il 15 e il 30 novembre, la Società Civile di Rutshuru ha registrato circa 250 persone uccise dall’M23 nei seguenti 3 raggruppamenti:
– Raggruppamento di Binza: a Kisharo sono stati sepolti 29 corpi, ma le ricerche sono ancora in corso.
– Ragruppamento di Bambu: 150 persone, di cui 60 donne e bambini, sono state uccise nella chiesa avventista di Kishishe. Le altre 90 persone sono state uccise in diverse località del raggruppamento di Bambu, tra cui: Kirumba, Kapopi, Bambu centro e ancora Kishishe.
– Raggruppamento di Tongo: 64 persone sono state uccise a Rusekera, Muhindo e Bugina.[24]

Il 5 dicembre, in una conferenza stampa, Julien Paluku, ministro congolese dell’Industria ed ex governatore del Nord Kivu dal 2007 al 2019, ha rivelato che il bilancio del massacro commesso a Kishishe è passato da 100 a 272 civili uccisi. Egli ha smentito le affermazioni del governo di Kigali e del presidente ruandese Paul Kagame, secondo cui le persone uccise a Kishishe erano membri delle FDLR e dei gruppi armati che avevano attaccato l’M23. Secondo il ministro Julien Paluku, le vittime sono persone civili. Prova ne è il fatto che diverse vittime sono state uccise in una chiesa avventista. Il ministro dell’Industria ha parlato di una guerra legata a motivi economici per accedere alle miniere della regione: a Kishishe, l’esercito ruandese vuole prendere il controllo sulla miniera della SOMIKIVU, in cui ci sono dei giacimenti di un minerale necessario per la fabbricazione dei missili. A Masisi, il Ruanda vuole continuare il saccheggio del coltan.[25]

Il 7 dicembre, all’Aja (Paesi Bassi), in un suo intervento all’Assemblea annuale degli Stati che hanno aderito allo Statuto di Roma, la ministra congolese della Giustizia, Rose Mutombo, ha chiesto alla Corte Penale Internazionale (CPI) di aprire un’inchiesta giudiziaria internazionale, affinché gli autori e coautori dei massacri commessi nell’est della RDCongo, tra cui quelli di Kishishe, rispondano dei loro crimini davanti alla giustizia. Prima della sua partenza per L’Aja, la Ministra della Giustizia aveva ricevuto istruzioni, da parte del Capo dello Stato, sull’urgenza dell’apertura di un’indagine a livello interno e sulla necessità di chiedere una seconda indagine  a livello internazionale, al fine di far piena luce sui massacri di Kishishe e dintorni.[26]

Il 7 dicembre, la Missione dell’ONU in RDCongo (MONUSCO) ha confermato che l’M23 ha ucciso almeno 131 persone civili a Kishishe e dintorni, Raggruppamento di Bambo, nel Territorio di Rutshuru (Nord Kivu): «Un’indagine preliminare dell’Ufficio delle Nazioni Unite per i diritti umani (UNJHRO) e della MONUSCO ha permesso di confermare che l’M23 ha ucciso almeno 131 civili (102 uomini, 17 donne e 12 bambini) in atti di rappresaglia perpetrati contro la popolazione civile il ​​29 e il 30 novembre, a Kishishe». La MONUSCO ha aggiunto che, a Kishishe e dintorni, l’M23 ha ferito anche otto persone, sequestrato altre 60, stuprato almeno 22 donne e cinque ragazze.
Le indagini si sono svolte a Rwindi (a 20 km da Kishishe), dove c’è una base della MONUSCO, presso la quale vittime e testimoni si sono rifugiati dopo gli incidenti. L’equipe non ha potuto recarsi a Kishishe, a causa di vari problemi di insicurezza, dovuti al fatto che il villaggio di Kishishe è controllato dall’M23 e per l’elevato rischio di rappresaglie nei confronti delle vittime e dei testimoni ancora presenti nella zona. Tuttavia, gli investigatori della MONUSCO e dell’UNJHRO desiderano recarsi a Kishishe il prima possibile, per continuare le indagini. I risultati dell’inchiesta potranno dunque cambiare.
Secondo la MONUSCO, questi massacri, stupri, sequestri e saccheggi sono stati commessi come atti di rappresaglia nei confronti della popolazione civile, in seguito agli scontri tra l’M23 e la coalizione composta dalle Forze Democratiche di Liberazione del Ruanda (FDLR-FOCA), gruppi armati Mai-Mai Mazembe e Nyatura, Coalizione dei Movimenti per il Cambiamento (CMC). La missione delle Nazioni Unite condanna l’indicibile violenza contro i civili e chiede libero accesso alla zona per un’assistenza umanitaria urgente alle vittime. Accoglie con favore la decisione delle autorità congolesi di avviare procedimenti legali contro gli autori di tali violazioni dei diritti umani e del diritto umanitario internazionale. La MONUSCO offre la sua disponibilità a collaborare e chiede l’immediata cessazione delle violenze contro i civili. La missione delle Nazioni Unite ribadisce infine l’appello che il suo Segretario generale ha rivolto ai gruppi armati congolesi e stranieri, affinché depongano immediatamente le armi e aderiscano alle iniziative di pace in corso.[27]

[1] Cf AFP – Actualité.cd, 11.12.’22
[2] Testo completo: https://actualite.cd/2022/11/04/avancee-du-m23-discours-de-felix-tshisekedi-integralite
https://congovirtuel.com/information/rdc-discours-de-felix-antoine-tshisekedi-tshilombo-a-la-nation-du-03-novembre/
[3] Cf Monge Junior Diama – Politico.cd,04.11.’22
[4] Cf ACP – Politico.cd, 09.11.’22
[5] Cf Christian Okende – Politico.cd, 08.11.’22
[6] Cf Hubert Leclercq – Lalibre.be/Afrique, 13.11.’22
[7] Cf Stéphie Mukinzi – Politico.cd, 10.11.’22
[8] Cf Radio Okapi, 12.11.’22
[9] Cf Glody Murhabazi – 7sur7.cd, 16.11.’22; Actualité.cd, 16.11.’22
[10] Cf Actualité.cd, 21.11.’22
[11] Cf Jephté Kitsita – 7sur7.cd, 23.11.’22; Radio Okapi, 24.11.’22; Monge Junior Diama – Politico.cd, 23.11.’22
[12] Cf AFP – Actualité.cd, 25.11.’22
[13] Cf Isaac Kisatiro – 7sur7.cd, 26.11.’22; Radio Okapi, 26.11.’22
[14] Cf Stéphie Mukinzi – Politico.cd, 06.12.’22
[15] Cf Radio Okapi, 19.11.’22
[16] Cf Radio Okapi, 28.11.’22
[17] Cf Radio Okapi, 01.12.’22
[18] Cf Radio Okapi, 06.12.’22; Jephté Kitsita – 7sur7.cd, 06.12.’22; Siméon Isako Cas.info.ca, 06.12.’22; Monge Junior Diama – Politico.cd, 07.12.’22
[19] Cf Actualité.cd, 18.11.’22; Radio Okapi, 19.11.’22
[20] Cf Actualité.cd, 25.11.’22; Radio Okapi, 25.11.’22
[21] Cf Radio Okapi, 06.12.’22; AFP – Lalibre.be, 06.12.’22
[22] Cf Radio Okapi, 30.11.’22
[23] Cf Radio Okapi, 29 et 30.11.’22
[24] Cf Aimé Mukanda Mbusa – Congovirtuel.com, 03.12.’22
[25] Cf Clément Muamba – Actualité.cd, 06.12.’22 ; David Mukendi – Politico.cd, 06.12.’22
[26] Cf Radio Okapi, 08.12.’22; Odon Bakumba – Politico.cd, 07.12.’22
[27] Cf Radio Okapi, 08.12.’22