Congo Attualità n. 475

LEGGE MARZIALE, OPERAZIONE SHUJAA. FORZA MILITARE CAE: TRE MISURE INADEGUATE PER SOPPERIRE ALLA MANCANZA DELL’AUTORITÀ DELLO STATO

INDICE

1. LA QUESTIONE DELL’APPOGGIO DEL RUANDA ALL’M23 È APPRODATA ALL’ASSEMBLEA GENERALE DELL’ONU
a. La cittadina di Bunagana ancora sotto controllo dell’M23
b. Le rivelazioni sconcertanti del segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres
c. Il discorso del Presidente congolese Félix Tshisekedi all’Assemblea Generale dell’ONU
d. La replica del presidente ruandese Paul Kagame
e. L’incontro tra Felix Tshisekedi, Paul Kagame e Emmanuel Macron
2. LA SOCIETÀ CIVILE ESIGE LA LIBERAZIONE DELLA CITTÀ DI BUNAGANA
3. L’INIZIO DEL DISPIEGAMENTO DELLA FORZA MILITARE DELLA COMUNITÀ DELL’AFRICA DELL’EST (CAE)
4. IL RINNOVO DEL MANDATO DELL’OPERAZIONE “SHUJAA” CONTRO LE FORZE DEMOCRATICHE ALLEATE (ADF)
5. L’ENNESIMA VALUTAZIONE DELL’APPLICAZIONE DELLA LEGGE MARZIALE IN ITURI E NORD KIVU

1. LA QUESTIONE DELL’APPOGGIO DEL RUANDA ALL’M23 È APPRODATA ALL’ASSEMBLEA GENERALE DELL’ONU

a. La città di Bunagana ancora sotto controllo dell’M23

Dal 13 giugno scorso, la cittadina di Bunagana e molti altri villaggi del territorio di Rutshuru (Nord Kivu) sono passati sotto il controllo del Movimento del 23 marzo (M23) appoggiato dal Ruanda. Le località occupate dall’M23 appartengono ai 4 seguenti raggruppamenti:
– Raggruppamento di Jomba: Bunagana, Bigega, Musongati, Gisiza, Kayenzi, Nyarubara, Bugusa, Kinyamahura, Runyoni, Chanzu, Sabyinyo, Kibugut, Cheya, Chengerero, Basare, Kabindi e Ruvumbu.
– Raggruppamento di Busanza: una parte di Murore, nei pressi di Chengerero.
– Raggruppamento di Bweza: Mbuzi, Bugina, Kinihira, Shangi, Tanda, Rutsiro e Nanyabikona.
– Raggruppamento di Kisigari: Kashari, Bikenke, una piccola parte di Kanombe e di Kazuba, a 7 km dal campo militare di Rumangabo.
Da novembre 2021, più di 150.000 persone sono fuggite dai loro villaggi: alcune si sono rifugiate in Uganda, altre sono state ospitate in famiglie residenti in zone protette dal governo.
Secondo fonti anonime, l’M23 sta reclutando nuove leve nei campi profughi allestiti in Uganda e in Kenya, fornisce loro un addestramento militare nella zona di Chanzu, nel cuore del Parco Nazionale dei Virunga.
Secondo un deputato provinciale eletto nel territorio di Rutshuru, nelle zone occupate dall’M23 vengono utilizzate tre monete estere. Si tratta dello scellino ugandese, del franco ruandese e del dollaro USA. Non si usa il franco congolese. Questo parlamentare chiede al Capo dello Stato di varare urgentemente le misure necessarie per liberare le località occupate e ripristinare l’autorità dello Stato.
L’M23 è un gruppo armato a predominanza tutsi. Sconfitto nel 2013 dall’esercito congolese in collaborazione con la brigata di rapido intervento della MONUSCO, ha ripreso le armi alla fine del 2021, accusando le autorità congolesi di non aver rispettato gli accordi di pace firmati nel 2013,  in Kenya, da entrambi le parti, dopo la sua sconfitta militare.[1]

b. Le rivelazioni sconcertanti del segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres

Il 18 settembre, in un’intervista rilasciata a RFI, il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, ha affermato che la Missione dell’ONI in Congo (MONUSCO) non ha i mezzi militari sufficienti per sconfiggere l’M23: «Le Nazioni Unite non sono in grado di sconfiggere l’M23. La verità è che l’M23 oggi è un esercito moderno, con un equipaggiamento militare più avanzato di quello della Monusco». Inoltre,il segretario generale delle Nazioni Unite non ha osato nominare Kigali come principale sostenitore dell’M23, presentato come gruppo terrorista dalle autorità congolesi. In questa intervista, ad Antonio Guterres è stato chiesto esplicitamente di esprimersi sulla provenienza dei mezzi militari di cui dispone l’M23, ma la sua risposta è stata molto vaga: «provengono da qualche parte». Dietro insistenza del giornalista, egli ha comunque precisato che «ciò che è ora necessario è iniziare una discussione seria tra RDCongo, Ruanda e Uganda, in vista di una prospettiva comune, al fine di evitare una situazione in cui, anche quando ci sono dei progressi, si ritorna sempre indietro. Questi Paesi devono intendersi e cooperare efficacemente tra loro per la sicurezza dell’est della RD Congo, ma anche del Ruanda e dell’Uganda».
In un approccio più globale, Antonio Guterres ha citato anche altri gruppi armati: «Non si deve dimenticare che, nell’est del Paese, ci sono ancora altri gruppi armati, tra cui le Forze Democratiche Alleate (ADF), un gruppo armato di origine ugandese, e le  Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR), tra i cui membri ci sono anche degli Hutu responsabili di crimini di genocidio. La presenza di tali gruppi armati è oggetto di preoccupazione da parte non solo della RDCongo, ma anche del Ruanda e dell’Uganda. Perciò, questi tre Paesi devono trovare un accordo, perché è impossibile pensare che una forza di pace possa risolvere i problemi, quando si tratta di forze armate estremamente ben armate».
Antonio Guterres ha sollevato anche la questione della concezione stessa della missione della MONUSCO: «Si tratta di un problema generale che riguarda il futuro delle operazioni di mantenimento della pace. Le operazioni di mantenimento della pace sono state istituite per mantenere la pace. Ma ora si stanno effettuando in situazioni in cui la pace non esiste. E ciò è un fatto essenziale da prendere in considerazione. Si è già fatto una serie di riforme per migliorare la loro capacità di promuovere la sicurezza, ma occorre ripensare profondamente il loro futuro in situazioni come questa, in cui non c’è ancora la pace. Da parte mia, sono del tutto favorevole all’intervento di forze africane di imposizione della pace, per operazioni condotte sotto l’egida dell’Unione africana e finanziate con il contributo delle Nazioni Unite, come le forze di mantenimento della pace. Senza robuste forze africane di imposizione della pace, non si andrà da nessuna parte».
Antonio Guterres è quindi favorevole a una soluzione africana, che passi attraverso i Paesi e i  meccanismi regionali. È in questo contesto che egli ha suggerito un dialogo tra Kinshasa, Kigali e Kampala e l’intervento di forze africane di imposizione della pace.
Attualmente, sono in corso due grandi iniziative di tipo politico e diplomatico, per ottenere una riduzione dell’escalation tra Kinshasa e Kigali. Si tratta di due iniziative appoggiate dalla Comunità dell’Africa orientale (EAC) e dall’Unione africana (UA). Si tratta, rispettivamente, del “Processo di Nairobi”, posto sotto la guida congiunta del Presidente uscente del Kenya, Uhuru Kenyatta, e del Presidente in carica della RDC, Félix Antoine Tshisekedi Tshilombo, e del “Processo di Luanda”, guidato dal Presidente dell’Angola, Joao Gonçalves Lourenço, su mandato del 16° Vertice Straordinario dei Capi di Stato e di Governo dell’UA, tenutosi a Malabo, il 28 maggio 2022. Queste due iniziative sembrano essere attualmente bloccate. Il Kenya e l’Angola sono appena uscite da recenti elezioni e sembrano considerare la questione congolese come secondaria.[2]

Secondo Pierre Boisselet, coordinatore per la ricerca sulla violenza presso l’Istituto congolese per la ricerca su politica, governance e violenza / Ebuteli, partner del Gruppo di Studio sul Congo (GEC), «una cosa che sorprende molti Congolesi è il fatto che, in questa intervista, Antonio Guterres non ha evidenziato chiaramente la responsabilità del Ruanda, nonostante che un rapporto del Gruppo di esperti delle Nazioni Unite sulla RDC lo abbia individuato come il principale appoggio dell’M23. A mio avviso, ciò si spiega per il fatto che, secondo lui, la soluzione al problema dell’M23 proverrà da negoziati a livello regionale tra la RDCongo, il Ruanda e l’Uganda. Di conseguenza, per consentire alle Nazioni Unite di svolgere un ruolo di mediazione in questo processo di negoziati, Antonio Guterres ha ritenuto opportuno di non rischiare di irritare il Ruanda».[3]

c. Il discorso del Presidente congolese Félix Tshisekedi all’Assemblea Generale dell’ONU

Il 20 settembre, il presidente congolese Felix Tshisekedi è intervenuto alla 77ª Assemblea generale delle Nazioni Unite, a New York. Nel suo discorso, egli ha denunciato l’aggressione dell’est del suo Paese da parte del Ruanda, sotto copertura del Movimento del 23 marzo (M23): «Da più di 20 anni, l’est della Repubblica Democratica del Congo (RDCongo) sta vivendo un situazione di grande insicurezza causata, principalmente, dalla cupidigia suscitata dalle sue favolose risorse naturali e dalle ambizioni di potere avanzate da alcuni Paesi vicini.
Per sradicare definitivamente questa insicurezza, ristabilire una pace duratura e assicurare la stabilità, il governo congolese ha concluso, sotto l’egida della comunità internazionale, vari accordi con diversi gruppi armati e con alcuni Paesi limitrofi. Sono stati creati dei meccanismi nazionali e internazionali di monitoraggio. Tutte queste prospettive per una soluzione definitiva del conflitto sono durate solo pochi mesi e sono rapidamente crollate. E sempre si è continuato con le stesse violenze e con le stesse tragedie.
Dalla mia elezione alla presidenza della Repubblica, non ho mai smesso di lottare, ogni giorno, per la pace e la sicurezza nelle province congolesi di Ituri, Nord Kivu e Sud Kivu. Nell’ambito di una filosofia di riconciliazione con i Paesi limitrofi, non ho risparmiato sforzi per collaborare con i Capi di Stato di quei paesi e ricostruire un clima di fiducia reciproca, in particolare attraverso un’attività di consultazione permanente su questioni di interesse comune, la conclusione di accordi di cooperazione in materia di sicurezza e di partenariato economico e l’attuazione di progetti di sviluppo a favore delle nostre rispettive popolazioni.
Nonostante ciò, alcuni Paesi limitrofi non hanno trovato niente di meglio che ringraziarci aggredendoci, appoggiando certi gruppi armati attivi nell’est della RDCongo. Si tratta in particolare del Ruanda che, lo scorso marzo, ancora una volta ha attaccato la RDCongo, inviando alcune truppe del suo esercito sul territorio congolese e occupando alcune località della provincia del Nord Kivu, mediante l’interposizione di un gruppo armato terroristico, il Movimento del 23 marzo (M23), a cui fornisce un massiccio appoggio militare, sia in materiale bellico che in invio di truppe.
Inoltre, le autorità ruandesi accusano alcuni ufficiali congolesi di collaborare con le Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR), Si tratta di un alibi che le autorità ruandesi utilizzano per giustificare le ripetute aggressioni del loro paese contro la RDCongo, ma che non è corroborato da alcun fatto accertato,  Le FDLR, infatti, sono state definitivamente sconfitte dalle Forze Armate della RDC (FARDC), in stretta collaborazione con l’esercito ruandese, nell’ambito di operazioni militari congiunte realizzate negli ultimi anni. La RDCongo ha rimpatriato diversi membri delle FDLR insieme alle loro famiglie. Pertanto, i congolesi si chiedono di quali FDLR il Ruanda sta parlando? Esiste un metro quadrato di territorio ruandese occupato da queste spettrali FDLR? In quale luogo preciso del suolo ruandese si è mai visto un solo militare congolese?
In questo luogo emblematico della vita internazionale, denuncio con la massima energia questa ennesima aggressione di cui il mio Paese è vittima da parte del Ruanda, sotto copertura di un gruppo terroristico denominato M23.
L’implicazione del Ruanda e la sua responsabilità nella tragedia vissuta dai miei connazionali nelle zone occupate dall’esercito ruandese e dai suoi alleati M23 non sono più messe in dubbio, poiché esse sono state confermate varie volte nei molti rapporti documentati e oggettivi dei diversi gruppi di esperti dell’ONU per la RDCongo, dal meccanismo congiunto di verifica istituito dalla Conferenza Internazionale sulla Regione dei Grandi Laghi (CIRGL) e da molte organizzazioni non governative umanitarie per i diritti umani.
Quindi, per meglio informare la comunità delle nazioni e porre fine alle continue smentite delle autorità ruandesi su questo tema, il governo congolese conferma la sua richiesta al Presidente del Consiglio di Sicurezza di distribuire ufficialmente ai membri del Consiglio l’ultimo rapporto degli esperti delle Nazioni Unite sulla situazione d’insicurezza nell’est della RDC e di farlo esaminare diligentemente, al fine di trarne tutte le conseguenze necessarie sul piano del diritto della pace e della sicurezza internazionale. Procedere diversamente significherebbe, da un lato, permettere al Ruanda di continuare ad aggredire l’est della RDCongo perpetrandovi, come sempre, dei crimini di guerra e dei crimini contro l’umanità e, dall’altro, alimentare maggiormente il legittimo dubbio dei Congolesi sull’imparzialità dell’ONU e il conseguente sospetto sulla complicità di alcuni suoi membri nei crimini sopra citati.
È per porre fine a questo sospetto e per dissipare l’ambiguità di alcune posizioni del Consiglio di Sicurezza sulla crisi dell’est della RDCongo, ambiguità che irrita la popolazione congolese e che acuisce la tensione tra essa e la Missione del Nazioni Unite per la Stabilizzazione del Congo (MONUSCO), che il Governo del mio Paese ha chiesto una rivalutazione del piano per il ritiro graduale e responsabile di questa Missione. Questa procedura di aggiustamento è conseguente alla constatazione unanime, anche al più alto livello della nostra Organizzazione, delle deplorevoli debolezze della MONUSCO, che intaccano l’efficacia e la legittimità dell’azione delle Nazioni Unite nella Repubblica Democratica del Congo.
Il popolo congolese chiede alle Nazioni Unite, all’Unione Africana, alle comunità regionali africane e ai partner della RDCongo di non fidarsi più delle smentite avanzate dalle autorità ruandesi e di contribuire invece al ripristino della sicurezza e alla costruzione di una pace duratura, creando le condizioni per una fruttuosa cooperazione nella regione dei Grandi Laghi a beneficio di tutti. A tal fine è necessario:
– Rendere effettivi il ritiro immediato dell’M23 dalle località occupate, il ritorno degli sfollati congolesi da queste località alle loro case e la cessazione senza condizioni dell’appoggio dell’esercito ruandese all’M23, secondo lo spirito e la lettera della tabella di marcia di Luanda concordata tra la RDC e il Ruanda, e delle successive dichiarazioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, del Consiglio di pace e sicurezza dell’UA, della Comunità dell’Africa dell’Est (EAC) e della Comunità per lo Sviluppo dell’Africa australe (SADC);
– Aumentare la pressione sul Ruanda e sull’M23, i cui dirigenti sono peraltro già oggetto delle sanzioni dell’ONU, e mostrare maggiore fermezza nei loro confronti, affinché rispettino le posizioni assunte dalle suddette organizzazioni internazionali;
– Appoggiare la continuazione del processo di pace di Nairobi, dei colloqui di Luanda tra la RDCongo e il Ruanda e il dispiegamento della forza militare della Comunità dell’Africa dell’Est (CAE), il cui statuto e regole di ingaggio sono stati firmati l’8 settembre scorso, a Kinshasa, dal governo congolese e dal Segretariato generale della CAE da un lato, e dalle FARDC e dal comando della Forza stessa dall’altro;
– Incoraggiare il Presidente Onorario del Kenya, Uhuru Kenyatta e il Presidente dell’Angola, João Lourenço, mediatori della CAE e dell’UA nella risoluzione della crisi di insicurezza nell’est della RDCongo, affinché continuino ad apportare il loro contributo di mediazione;
– Rimuovere ogni ostacolo alla ristrutturazione, da parte della RDCongo, delle sue forze armate, affinché possano migliorare lo svolgimento della loro missione. Si tratterrebbe in particolare di abrogare definitivamente tutte le misure che possano limitare l’acquisto di equipaggiamento militare, qualunque sia la forma adottata dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu».[4]

d. La replica del presidente ruandese Paul Kagame

Il 21 settembre, il Presidente della Repubblica del Ruanda, Paul Kagame, è intervenuto alla 77ª Assemblea Generale delle Nazioni Unite a New York. Nel suo intervento, egli è ritornato sulla situazione di insicurezza che caratterizza l’est della Repubblica Democratica del Congo (RDCongo). Accusato dal suo omologo congolese Félix Tshisekedi di appoggiare il Movimento del 23 marzo (M23), Paul Kagame ha smentito tale accusa: «È necessario avere la volontà politica capace di affrontare definitivamente le cause profonde dell’instabilità e dell’insicurezza che pervadono l’est della RDCongo. È perfettamente inutile gettarne la responsabilità su altri. Non si tratta di difficoltà insormontabili … Se ne possono trovare le soluzioni e queste soluzioni sarebbero molto meno costose in termini finanziari e in termini di vite umane. La cooperazione internazionale può permetterci di risolvere questi problemi che ci riguardano tutti».
L’argomentazione di Kigali è nota da tempo: «la presenza delle FDLR nell’est della RDCongo e la loro stretta collaborazione con l’esercito congolese sono sempre state la principale causa di insicurezza per il Ruanda, in quanto esse permettono alle FDLR di effettuare operazioni terroristiche sul territorio ruandese, operazioni che il governo ruandese non può assolutamente tollerare», aveva spiegato Vincent Biruta, ministro degli Affari esteri ruandese, in occasione della visita a Kigali di Antony Blinken. Invece, secondo Kinshasa la questione delle FDLR è un semplice pretesto a cui il Ruanda ricorre per intervenire nell’est della RDCongo. Infatti, sempre secondo Kinshasa, i membri delle FDLR presenti sul suolo congolese sono rimasti così pochi, da non poter essere considerati un pericolo reale per la sicurezza del Ruanda.[5]

e. L’incontro tra Felix Tshisekedi, Paul Kagame e Emmanuel Macron

Il 21 settembre, i presidenti congolese, ruandese e francese, Felix Tshisekedi, Paul Kagame e Emmanuel Macron, si sono incontrati a New York, in occasione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. I tre presidenti hanno discusso soprattutto sulla situazione di insicurezza nell’est della RDCongo. Il comunicato finale pubblicato al termine di questo incontro promosso da Emmanuel Macron, Presidente di turno del Consiglio di Sicurezza, non è stato molto diverso da tutti quelli emessi precedentemente da altri organismi internazionali:
– agire insieme per ottenere, il più rapidamente possibile, il ritiro del Movimento del 23 marzo (M23) da tutte le località occupate e il ritorno degli sfollati di guerra alle loro località di origine, con l’appoggio delle Nazioni Unite e dei partner dell’Unione Africana (UA), della Comunità Africana dell’Est (CAE) e della Conferenza Internazionale sulla Regione dei Grandi Laghi (CIRGL);
– intensificare la cooperazione per combattere l’impunità e porre fine all’attività dei gruppi armati, tra cui le Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR).
Secondo il comunicato, questi due impegni presi dalla RDCongo e dal Ruanda dovrebbero essere portati avanti nell’ambito delle iniziative di pace regionali già esistenti, tra cui quella di Nairobi (Kenia / CAE) e quella di Luanda (Angola / UA).
Va notato che questo incontro tra i due Presidenti della RDCongo e del Ruanda è il frutto di una missione di mediazione segreta svolta da diverse settimane dai servizi segreti francesi per una de-escalation tra Kinshasa e Kigali. In effetti, un gruppo di agenti dei servizi di intelligence congolesi, ruandesi e ugandesi si erano recati a Parigi nei giorni scorsi, nell’ambito di una missione di mediazione guidata dalla Direzione Generale della Sicurezza Esterna (DGSE).[6]

I tre Capi di Stato hanno convenuto di agire insieme per ottenere quanto prima il ritiro dell’M23 da tutte le località occupate e per porre fine all’attività dei gruppi armati, tra cui le Forze Democratiche di Liberazione del Ruanda (FDLR).
Questo secondo aspetto dell’accordo tra Tshisekedi e Kagame sembra costituire un riconoscimento inequivocabile, anche da parte della RDCongo, della minaccia rappresentata dalle FDLR nei confronti del Ruanda. A ciò si aggiunge il fatto che gli impegni presi dai due presidenti, congolese e ruandese, debbano essere portati avanti nell’ambito della iniziative di pace regionali già esistenti, tra cui i vertici di Nairobi (Kenia/CAE) e di Luanda (Angola/UA).
È in questa fase che è necessario tenere gli occhi ben aperti, per evitare alla RDCongo un futuro alquanto difficile, visto che la Roadmap concordata a Luanda include alcune disposizioni che potrebbero esporre la RDCongo al rischio di un prolungamento del conflitto.
Ad esempio, un punto apparentemente secondario della Roadmap di Luanda cita esplicitamente il “ritorno dei rifugiati” che implicherebbe sia Kigali che Kinshasa. In realtà, esso non riguarda affatto il Ruanda, il cui discorso ufficiale, sostenuto da organismi internazionali, si basa sulla “clausola di cessazione”, cioè sulla possibilità di non considerare più come rifugiati quei cittadini ruandesi che rifiutano di rientrare nel proprio Paese, quando le condizioni per il loro ritorno e il loro reinserimento sociale sono state ufficialmente riconosciute. Da parte sua, la RDCongo deve invece affrontare dapprima due sfide: creare le condizioni logistiche per l’accoglienza e organizzare il ritorno di diverse decine di migliaia di rifugiati che vivono nei campi profughi allestiti in Ruanda. Come si suole dire, il diavolo si nasconde nei dettagli.
In effetti, evocare il “ritorno dei rifugiati” significa, senza dubbio, riportare in primo piano i fattori endogeni di conflitto nell’est del Paese: problemi fondiari, demografici e politici (riconoscimento o meno della nazionalità congolese a quelli considerati, giustamente o a torto, come stranieri). Questo dato sarebbe sufficiente per contribuire ad offuscare la dimensione esogena del problema dell’insicurezza, incentrato sull’appoggio del Ruanda all’M23, e ad incoraggiare Kigali nella sua vecchia strategia, non tanto di annettere parte del Kivu (come alcuni sostengono), ma di mantenervi piuttosto una forte influenza e di provocarvi una situazione di insicurezza generalizzata, fino a quando gli sia favorevole. Spetta alle autorità congolesi rimanere  vigilanti, per non lasciare che le iniziative di mediazione internazionale, come quelle dei presidenti Emmanuel Macron, João Lourenço e Uhuru Kenyatta, nascondino, senza necessariamente una complicità attiva da parte di questi ultimi, delle trappole insidiose, di cui Kinshasa potrebbe essere ancora una volta vittima.[7]

2. LA SOCIETÀ CIVILE ESIGE LA LIBERAZIONE DELLA CITTÀ DI BUNAGANA

Il 9 settembre, quasi tre mesi dopo la presa della città di Bunagana da parte dell’M23, la Società Civile del Nord Kivu ha deciso di rompere il silenzio per chiedere a Kinshasa di intervenire.
Mentre nel comunicato stampa del 18 agosto le autorità militari affermavano di dover osservare il cessate il fuoco proposto dai Capi di Stato della regione, la Società Civile si aspetta che il Governo congolese prenda delle misure concrete per riprendere il controllo sul posto di frontiera di Bunagana e degli altri villaggi occupati dall’M23.
In un comunicato stampa, la Società Civile del Nord Kivu riferisce che, dopo la cessazione delle ostilità, la coalizione Movimento del 23 marzo (M23) / Esercito ruandese (RDF) ha approfittato dell’occasione per reclutare nuove leve nei campi profughi di Uganda e Ruanda, per inviarle a Rubavu e Mungo (raggruppamento di Busanza), a Tchengerero (raggruppamento di Jomba), a Rutshiro e Ruseke (raggruppamento di Bweza), a Rumuvu, Kanyabusono e Bukima (raggruppamento di Kisigari), con l’obiettivo di raggirare la posizione militare di Nyesisi e raggiungere il territorio di Nyiragongo.
Secondo la Società Civile, l’obiettivo dell’M23 è di bloccare la strada nazionale n. 4, occupare progressivamente Rutshuru, Kiwanja, Kibumba e Goma. L’obiettivo finale di un’operazione del genere sarebbe quello di ottenere l’integrazione nell’esercito congolese. La società Civile deplora il fatto che l’esercito congolese abbia accettato di osservare una tregua, mentre l’M23, appoggiato dal Ruanda, controlla importanti villaggi. Per questo, la Società Civile chiede al presidente Tshisekedi di ordinare la ripresa dei combattimenti, per liberare le zone conquistate dall’M23. In caso contrario, essa avverte di essere pronta ad organizzare proteste pacifiche ad ampio raggio.[8]

Il 20 settembre, in una sua dichiarazione, la Società Civile del territorio di Rutshuru ha chiesto al governo di riprendere le operazioni militari contro l’M23 da parte delle FARDC, al fine di liberare la città transfrontaliera di Bunagana e tutte le altre località occupate da questo gruppo armato da ormai più di 3 mesi. La Società Civile di Rutshuru ha quindi annunciato una serie di azioni pacifiche a partire dal 22 settembre fino alla liberazione di Bunagana.[9]

Il 22 settembre, a Rutshuru, la Società Civile ha organizzato un “sit-in a tempo indeterminato” davanti all’ufficio dell’amministratore militare. Tutte le attività sono state paralizzate, scuole e negozi chiusi, la strada nazionale 2 interrotta. L’obiettivo della manifestazione era quello di  protestare contro la “inerzia” dell’esercito nei confronti dell’M23 che, da ben 100 giorni, occupa Bunagana, località strategica al confine con l’Uganda, e altri villaggi del territorio di Rutchuru. Una persona è rimasta uccisa e altre due ferite dalla polizia, intervenuta per disperdere i manifestanti. «Non desisteremo finché non riprenderanno le operazioni militari contro l’M23», ha affermato Justin Bin Serushago, relatore della società civile del territorio di Rutshuru.[10]

Il 24 settembre, il presidente della Società Civile di Rutshuru, Jean-Claude Bambaze, ha annunciato la sospensione delle manifestazioni, dopo che il comandante del settore operativo Sokola 2, il generale di brigata Clément Bitangalo, abbia promesso la ripresa, entro breve tempo, delle operazioni militari contro l’M23.[11]

3. L’INIZIO DEL DISPIEGAMENTO DELLA FORZA MILITARE DELLA COMUNITÀ DELL’AFRICA DELL’EST (CAE)

Il 15 agosto, dei militari dell’esercito burundese sono entrati ufficialmente nella Repubblica Democratica del Congo attraverso la frontiera di Kiliba, nel territorio di Uvira (Sud Kivu). Secondo il portavoce del settore operativo Sokola 2 del Sud Kivu, il tenente Marc Elongo, questi soldati burundesi hanno raggiunto il centro di addestramento di Luberizi, nella pianura del Ruzizi.
Il tenente Marc Elongo ha spiegato che essi fanno parte della forza militare regionale  voluta dai Capi di Stato della Comunità dell’Africa dell’Est (CAE). Questa “Task force” è posta sotto il comando della RDCongo. La sua missione è quella di neutralizzare tutti i gruppi armati, nazionali e stranieri, attualmente attivi nell’est del Paese. Il Tenente Elongo ha ricordato che, prima di ricorrere a questa nuova operazione militare, si era già chiesto ai gruppi armati stranieri di deporre le armi e di ritornare nei loro paesi di origine, mentre ai gruppi armati locali si era proposto di aderire al programma governativo di Smobilitazione, Disarmo, Reinserimento Comunitario e Stabilizzazione (DDRC-S). Prima di questo ingresso ufficiale del contingente dell’esercito burundese, la società civile aveva già denunciato diversi episodi di vari ingressi clandestini di soldati burundesi sul suolo congolese, precisamente sugli altopiani di Uvira, Fizi e Mwenga, dove numerose milizie locali e straniere si scontrano regolarmente, provocando massicci spostamenti di popolazioni e una crisi umanitaria senza precedenti.[12]

Il 16 agosto, in un tweet, il dottor Denis Mukwege ha così reagito all’arrivo ufficiale delle truppe burundesi nel Sud Kivu: «Il dispiegamento del contingente burundese della CAE dimostra il fallimento della diplomazia congolese. Ancora una umiliazione per la nostra Nazione».
Alcuni giorni prima, il ginecologo congolese aveva affermato che la diplomazia del Presidente Felix Tshisekedi non faveva che “prolungare l’aggravarsi dell’instabilità” nell’est del Paese. Denis Mukwege insiste sulla riforma dell’esercito, per renderlo professionale e operativo. Chiede la fine dell’esternalizzazione della sicurezza affidata all’intervento di “stati destabilizzanti”. Secondo lui, «un’approfondita riforma delle FARDC (esercito congolese) e dei servizi di sicurezza e la lotta contro l’impunità sono le misure più appropriate, per assicurare la pacificazione e la stabilità duratura nell’est della RDC». Molti Congolesi non tollerano l’arrivo di forze militari straniere, perché costituite da truppe fornite da Paesi già implicati nella destabilizzazione della RDCongo. Tra questi, il Ruanda, accusato di appoggiare il Movimento del 23 marzo (M23).[13]

Il 12 settembre, il Vice Primo Ministro e Ministro degli Affari Esteri, Christophe Lutundula Apala, ha fornito alcuni dettagli sull’accordo relativo allo statuto della forza militare regionale della CAE da inviare nell’est della RDC. L’accordo è stato firmato alla presenza di Félix Tshisekedi da esperti della Commissione economica della Comunità degli Stati dell’Africa dell’Est (EAC), a Kinshasa. Secondo il capo della diplomazia congolese, «si tratta di una forza militare regionale integrata, dove ad ogni Paese è stata assegnata una zona precisa. Il Burundi dispiegherà le sue truppe nel territorio di Uvira, che confina con esso. Il Ruanda dispiegherà le sue truppe lungo la linea di confine con la RDCongo, ma rimanendo all’interno del suo territorio. Il Kenya invierà le sue truppe nel sud del Nord Kivu, più precisamente nel territorio di Rutshuru. L’Uganda manterrà le sue truppe là dove già si trovano per le operazioni congiunte in corso, cioè nel territorio di Beni (Nord Kivu) e nella provincia di Ituri. Il Sud Sudan si schiererà nel nord dell’ex Provincia Orientale». Infine, Christophe Lutundula ha ricordato che la durata delle operazioni di questa forza militare regionale è di sei mesi, rinnovabile ogniqualvolta sia necessario.[14]

Il 23 settembre, nella riunione del Consiglio dei ministri, il ministro della Difesa nazionale, Gilbert Kabanda, ha dichiarato che, «venendo in appoggio del nostro esercito per lottare contro i gruppi armati, la forza militare regionale della Comunità dell’Africa dell’Est (CAE) sta procedendo, già dal 19 settembre, all’invio di materiale bellico proveniente dall’Uganda, passando attraverso la frontiera di Kasindi».[15]

4. IL RINNOVO DEL MANDATO DELL’OPERAZIONE “SHUJAA” CONTRO LE FORZE DEMOCRATICHE ALLEATE (ADF)

Il 25 e 26 agosto, a Fort Portal, distretto di Kabarole (Uganda), le Forze Armate della Repubblica Democratica del Congo (FARDC) e le Forze di Difesa Popolare dell’Uganda (UPDF) hanno proceduto ad una verifica della terza fase delle operazioni condotte contro le Forze Democratiche Alleate (ADF) nei territori di Beni (Nord Kivu) e di Irumu (Ituri). Il generale Kayanja Muhanga, dell’esercito ugandese, ha ammesso che, in questa terza fase delle operazioni, le ADF non sono ancora state sconfitte. Tuttavia, ha affermato che si è riusciti a interrompere le fonti di reclutamento e di rifornimento delle ADF. Egli ha aggiunto che le FARDC e le UPDF hanno costretto le ADF ad abbandonare le loro roccaforti di Yuwa, Tondoli, Lusulubi e Belu. Tuttavia, i massacri di persone civili continuano senza sosta. Attualmente, le ADF hanno esteso il loro raggio d’azione oltre i territori di Beni (Nord Kivu) e di Irumu (Ituri), fino ad arrivare nel territorio di Mambasa (Ituri), dove compiono attacchi lungo la strada Komanda-Mambasa, uccidono e sequestrano persone, rubano prodotti alimentari e beni di prima necessità, incendiano villaggi e veicoli, costringendo la popolazione a fuggire.[16]

Il 26 agosto, gli eserciti ugandese e congolese hanno deciso di prolungare, per altri due mesi, le operazioni militari denominate “Ushuja”, condotte congiuntamente contro le Forze Democratiche Alleate (ADF) e altri gruppi armati, nei territori di Beni (Nord Kivu) e di Irumu (Ituri). Il generale congolese Camille Bombele Luhola, coordinatore delle operazioni congiunte FARDC-UPDF, ha indicato che, dall’inizio di queste operazioni, tutte le principali roccaforti delle ADF sono state distrutte e conquistate. Secondo lui, questa nuova prolungazione consentirà ai due eserciti di porre completamente fine all’attività dei gruppi armati ancora presenti nei territori di Beni (Nord Kivu) e di Irumu (Ituri), tra cui le ADF. Queste operazioni militari congiunte contro le ADF e gli altri gruppi armati attivi nel territorio di Beni (Nord Kivu) e di Irumu (Ituri) erano iniziate il 30 novembre 2021. Vi partecipano almeno 1.700 soldati ugandesi.[17]

Il 20 settembre, le operazioni militari congiunte, condotte contro le ADF e gli altri gruppi armati nel Nord Kivu e nell’Ituri, dalle Forze Armate della Repubblica Democratica del Congo (FARDC) e dalle Forze di Difesa Popolare dell’Uganda (UPDF), sono state prorogate per altri due mesi. Secondo il comunicato finale di una riunione dei ministri della Difesa della RDC e dell’Uganda, «si è raccomandato di prolungare queste operazioni per due mesi, in attesa del dispiegamento completo della forza militare regionale della Comunità dell’Africa dell’Est (CAE), quando si effettuerà il passaggio delle truppe ugandesi attualmente impegnate nell’operazione congiunta Shujaa a questa forza militare regionale della Comunità dell’Africa dell’Est (CAE)».[18]

5. L’ENNESIMA VALUTAZIONE DELL’APPLICAZIONE DELLA LEGGE MARZIALE IN ITURI E NORD KIVU

Il 21 settembre, il primo ministro Jean-Michel Sama Lukonde, accompagnato da una delegazione governativa e parlamentare, si è recato a Bunia (Ituri), per una terza missione di valutazione dell’attuazione della legge marziale in vigore nella provincia. Durante le consultazioni, la classe socio-politica dell’Ituri è stata unanime nel constatare la mancanza di risultati e, ancora una volta, ha chiesto l’immediata revoca della legge marziale, a causa della sua inefficacia sul terreno.
«Abbiamo già detto molte volte che la legge marziale ha dimostrato i suoi limiti. Da più di tre mesi, l’Ituri vive come se essa non esistesse, non ci sono più operazioni militari, tutto è tornato alla normalità, come se non fossimo più in un regime speciale», ha affermato Dieudonné Lossa, coordinatore della società civile dell’Ituri.
«La legge marziale ha ampiamente dimostrato i suoi limiti, ha creato tanti problemi invece di risolverli. In effetti, la situazione umanitaria continua ad essere disastrosa a causa dell’insicurezza che non tende a diminuire. Le Forze Democratiche Alleate (ADF) continuano a massacrare la popolazione civile e ad incendiare villaggi e veicoli sulla strada nazionale RN4 e la Cooperativa per lo Sviluppo del Congo (CODECO) continua a seminare terrore e desolazione nei centri minerari e nelle località del territorio di Djugu», ha spiegato il deputato nazionale Raymond Patayi, eletto per il territorio di Djugu. «Le analisi fatte dimostrano chiaramente che l’inutilità della legge marziale e la convenienza di mettervi fine immediatamente. Chiediamo di ritornare al regime di amministrazione civile e di rendere effettivo il Programma di Disarmo, Smobilitazione, Reinserimento Comunitario e Stabilità (P-DDRCS)», ha chiesto Patayi, che descrive questa missione di vautazione come una terza passeggiata di piacere.[19]

Il 22 settembre, a Goma, il primo ministro Jean-Michel Sama Lukonde ha tenuto una riunione del Consiglio provinciale di sicurezza, per valutare l’andamento della legge marziale in vigore nella provincia. Secondo il deputato Singoma Mwanza, presidente del Gruppo dei parlamentari del Nord Kivu, la legge marziale non ha raggiunto i suoi obiettivi. Lo giustifica per il fatto che i massacri di civili continuano fino ad oggi.«Dopo una panoramica della situazione, è emerso che gli obiettivi assegnati alla legge marziale non sono stati raggiunti, poiché l’insicurezza è ancora una triste realtà. Gli attacchi delle ADF nel territorio di Beni continuano a causare morti e spostamenti della popolazione; le stesse ADF si spostando sempre più in zone in cui erano finora assenti; l’occupazione di Bunagana e dintorni da parte del Movimento del 23 marzo (M23) ha delle conseguenze umanitarie indescrivibili», ha affermato questo deputato eletto nel territorio di Nyiragongo. Tra queste conseguenze, Singoma Mwanza ha rilevato l’alto numero di sfollati a Rutshuru e Nyiragongo e la non apertura di molte scuole, perché occupate da questi sfollati.
Il Gruppo dei parlamentari del Nord Kivu ha ricordato al Primo Ministro che, nella loro provincia, la priorità è quella di ripristinare la sicurezza. Per questo, essi propongono una riqualificazione della legge marziale. Essi auspicano che l’amministrazione della provincia sia rimessa nelle mani dell’autorità civile e che i territori di Rutshuru e Beni siano considerati come aree militarmente operative. I deputati hanno anche chiesto al ministro degli Affari umanitari, presente all’incontro, un piano di emergenza per assistere gli sfollati del territorio di Rutshuru.[20]

[1] Cf Aimé Mukanda – Congovirtuel.com, 10.08.’22; Radio Okapi, 15.09.’22
[2] Cf Actualité.cd, 19.09.’22
[3] Cf Actualité.cd, 20.09.’22
[4] Cf Radio Okapi, 21.09.’22
https://www.radiookapi.net/sites/default/files/2022-09/77e_assemblee_generale_des_nations_unies-1.pdf
[5] Cf Jephté Kitsita – 7sur7.cd, 22.09.’22; Actualité.cd, 21.09.’22
[6] Cf Actualité.cd, 22.09.’22; Bernard Mpoyi – Politico.cd, 22.09.’22
[7] Cf Lembisa Tini – Actualité.cd, 23.09.’22
[8] Cf Isaac Kisatiro – 7sur7.cd, 09.09.’22
[9] Cf Radio Okapi, 21.09.’22
[10] Cf AFP – Actualité.cd, 22.09.’22
[11] Cf Radio Okapi, 24.09.’22
[12] Cf Radio Okapi, 15.08.’22; Justin Mwamba – Actualité.cd, 15.08.’22
[13] Cf Actualité.cd, 17.08.’22
[14] Cf Actualité.cd, 12.09.’22
[15] Cf Clément Muamba – Actualité.cd, 24.09.’22
[16] Cf Patrick Maki – Actualité.cd, 26.08.’22
[17] Cf Radio Okapi, 27.08.’22
[18] Cf Patrick Maki – Actualité.cd, 21.09.’22
[19] Cf Freddy Upar – Actualité.cd, 22.09.’22
[20] Cf Actualité.cd, 23.09.’22