Congo Attualità n. 473

LE DUE STAMPELLE DEL MOVIMENTO DEL 23 MARZO (M23): IL RUANDA E L’UGANDA

INDICE

1. INTRODUZIONE
2. L’APPOGGIO INCONTESTABILE DEL RUANDA ALL’M23
3. IL RITORNO DELL’M23: UGANDA, UN VERO “FALSO ALLEATO” DELLA RDC
4. IL MINIVERTICE DI LUANDA (ANGOLA)

1. INTRODUZIONE

Il 14 luglio, in un incontro con la Commissione per i diritti umani del Congresso degli Stati Uniti, la direttrice del dipartimento “Crisi e Conflitti” di Human Rights Watch (HRW), Ida Sawyer, ha dichiarato che, da metà giugno, nelle zone sotto il suo controllo, il Movimento del 23 Marzo (M23) ha ucciso almeno 30 civili.
L’M23 ha ucciso almeno 20 civili il 21 giugno nel villaggio di Kavumu. Tra queste vittime ci sono due adolescenti, accusati di aver fornito all’esercito congolese delle informazioni sulle posizioni dell’M23. Secondo Ida Sawyer, «Alcuni sono stati uccisi mentre cercavano di fuggire, altri giustiziati a distanza ravvicinata. Due ragazzi, di 6 e 7 anni, sono stati uccisi da un proiettile lanciato dall’M23 contro il cortile di una scuola a Biruma. Una donna e un bambino sono stati uccisi da colpi di mortaio sparati dall’M23 a Kisiza e a Katwa». Secondo Ida Sawyer, l’M23 continua a commettere oggi queste violenze perché i suoi comandanti non sono mai stati citati in giustizia per i loro crimini di guerra perpetrati in passato. Ida Sawyer si rammarica che i leader dell’M23 siano rimasti liberi e protetti dai governi ruandese e ugandese, sebbene molti di loro appaiano nelle liste delle sanzioni degli Stati Uniti e dell’ONU e siano oggetto di mandati di arresto emessi dalle autorità congolesi per crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Infine, Human Rights Watch ha affermato che «i paesi donatori dovrebbero sospendere l’assistenza militare ai governi che appoggiano l’M23 e altri gruppi armati noti per le loro violenze».[1]

Il 22 luglio. quaranta giorni dopo aver conquistato la cittadina transfrontaliera di Bunagana (territorio di Rutshuru) nel Nord Kivu, il Movimento del 23 Marzo (M23) controlla gran parte del raggruppamento di Jomba, una piccola parte dei raggruppamenti di Bweza e di Kisigari e alcune località del raggruppamento di Busanza. lungo il confine tra la RDCongo, il Ruanda e l’Uganda. Finora, gli elementi dell’M23 sono visibili a Bunagana, Tchengerero, Kinyangurube, Bugusa, Chanzu, Runyoni, Gitovu e Rutsiro. Jackson Gachuki, capo del raggruppamento di Jomba, attualmente in fuga a Goma, ha affermato che l’M23 ha nominato dei suoi amministratori a capo del raggruppamento di Jomba e di sei degli otto villaggi che lo compongono.
L’ONG per i diritti umani, la Voce dei Senza Voce (VSV) ha espresso la sua preoccupazione per la prolungata occupazione della cittadina di Bunagana da parte dell’M23. Secondo un suo comunicato, «Dall’occupazione della città di Bunagana da parte dell’M23, la popolazione ha dovuto affrontare una situazione molto drammatica, sia a livello economico e umanitario che sul piano della insicurezza: decine di persone sono rimaste uccise o ferite, numerosi sono i casi di imposizione di tasse illegali e di saccheggi e decine di migliaia sono gli sfollati».[2]

2. L’APPOGGIO INCONTESTABILE DEL RUANDA ALL’M23

Parlando, su France 24, delle ragioni storiche ed economiche relative all’instabilità della regione dei Grandi Laghi Africani, e più in particolare del conflitto tra Kigali e Kinshasa, il professor Filip Reyntjens, professore all’Università di Anversa, ha rivelato che il Ruanda considera il Nord Kivu come parte della sua “zona naturale di influenza” e che, per conseguenza, non ha accolto di buon occhio il recente dispiegamento di truppe dell’esercito ugandese nell’est della RDCongo. «La riapparizione del Movimento del 23 Marzo (M23) risale alla fine di novembre 2021 e coincide con il dispiegamento, autorizzato dal governo di Kinshasa, di truppe ugandesi nel Nord Kivu e nell’Ituri, per combattere contro le Forze Democratiche Alleate (ADF)», ha indicato il professor Reyntjens, aggiungendo che «il dispiegamento delle truppe ugandesi ha irritato il Ruanda, che considera il Nord Kivu come parte della sua naturale zona di influenza».
Secondo questo esperto della regione dei Grandi Laghi, l’esercito ruandese ha già più volte invaso la Repubblica Democratica del Congo (RDCongo): «Dopo il genocidio del 1994, l’esercito ruandese ha invaso l’allora Zaire (ora RDCongo) due volte: nel 1996 appoggiando l’Alleanza delle Forze Democratiche di Liberazione (AFDL) e nel 1998, sostenendo il Raggruppamento Congolese per la Democrazia (RDC). Questa seconda guerra si è ufficialmente conclusa nel 2003 ma, da allora, l’esercito ruandese è stato presente sul territorio congolese attraverso gruppi armati interposti: il CNDP (2006) e  l’M23 (2012)». Sempre secondo il professor Filip Reyntjens, «oggi l’appoggio politico e diplomatico del regime ruandese all’M23 è fuori dubbio, ma il suo appoggio militare non è ancora stato ben delucidato, perché non ci sono ancora prove confermate da fonti indipendenti».[3]

Il ritorno in scena del Movimento del 23 marzo (M23) non sorprende a Jason Stearns, ricercatore e fondatore del Congo Research Group, della New York University, perché, secondo lui, «anche dopo la sua sconfitta nel 2013, il problema dell’M23 non è mai stato veramente risolto, in quanto i suoi membri non sono mai stati arrestati, né consegnati alla giustizia, né reintegrati nella società».
Secondo Thierry Vircoulon, ricercatore dell’Istituto Francese per le Relazioni Internazionali (IFRI), «il vero obiettivo dell’M23 è quello di crearsi un posto al sole, cioè all’interno dell’esercito e della politica nel Nord Kivu. L’M23 vuole poter tacitamente controllare un determinato territorio, come succede per molti gruppi armati di questa regione».
La ripresa delle ostilità da parte dell’M23 nell’est della Repubblica Democratica del Congo (RDCongo) ha riacceso le tensioni tra il Ruanda e la RDCongo. Il Congo accusa il Ruanda di appoggiare l’M23. Da parte sua, Kigali smentisce qualsiasi suo appoggio all’M23, ritenendo che si tratti di un “conflitto intra-congolese”.
In realtà, la vera intenzione di Kigali è quella di mantenere il controllo sul Nord Kivu, un vasto territorio limitrofo che il Ruanda sfrutta da anni attraverso il contrabbando di minerali e legname. Infatti, il Ruanda esporta più materie prime, soprattutto minerarie, di quante ne produca. Come ricordato da un altro specialista di Africa centrale, Pierre Boisselet, membro del Gruppo di Studi sul Congo (GEC), «i minerali del Congo vengono spesso introdotti di contrabbando in  Ruanda evitando, in tal modo, di pagare le tasse allo stato congolese. Frequentemente ciò avviene con la complicità delle stesse autorità congolesi».
Per dissimulare le sue vere intenzioni di egemonia sul Nord Kivu, il regime ruandese sta cercando di distrarre l’opinione pubblica internazionale, accusando l’esercito congolese di utilizzare le Forze Democratiche di Liberazione del Ruanda (FDLR) come una delle sue forze ausiliarie, Secondo Kigali, tra le FDLR ci sono degli Hutu ruandesi arrivati nell’est del Congo in luglio 1994, accusati di essere gli autori del genocidio dei tutsi ruandesi e ancora considerati dal Ruanda come una reale minaccia. Secondo Jason Stearns, «anche se si tratta di una minaccia ormai ridotta al minimo, l’attuale potere installato a Kigali continua a insistere su di essa, perché è questa minaccia che fonda la “legittimità” dell’attuale regime che ha posto fine al genocidio del 1994, di cui alcuni responsabili si trovano ancora latitanti nell’est della RDCongo». «Questo è il discorso ufficiale», ha detto Thierry Vircoulon. Ma, secondo lui, «le FDLR sono oggi ormai ridotte ai loro minimi termini e, attualmente, non costituiscono alcuna grave  minaccia per il Ruanda, come Kigali vorrebbe far credere».[4]

Secondo il Prof. Ntumba Luaba Lumu, la questione delle FDLR è una questione prettamente  ruandese che richiede una risposta adeguata da parte del governo ruandese che, da decenni, si sottrae alla sua responsabilità, addossandola paradossalmente al governo congolese. Si dovrà forse ricordare, per quanto sia doloroso, che il genocidio del 1994 in Ruanda è avvenuto tra Ruandesi, senza alcuna implicazione dei Congolesi?
Che piaccia o no, le FDLR sono cittadini ruandesi ed è il governo del Ruanda ad averne la responsabilità primaria. A questo proposito, la principale via di soluzione sarebbe l’apertura di un dialogo interruandese tra il governo del Ruanda e i suoi cittadini che vivono sul territorio congolese, ciò che contribuirebbe alla pacificazione e alla stabilizzazione dell’intera regione dei Grandi Laghi. Per questo, occorrerebbe:
1. Proseguire la procedura di disarmo delle FDLR e il loro rimpatrio in Ruanda.
Molto è stato fatto in questo settore, anche se il Ruanda si ostina a non riconoscere gli sforzi compiuti e la progressiva riduzione degli effettivi delle FDLR in RDCongo. Infatti, come riconosciuto all’inizio di giugno anche da Vincent Karega, ambasciatore ruandese in RDCongo, dal 2001 in poi sono già stati rimpatriati e reintegrati nella società ruandese più di 12.000 combattenti FDLR.
2. Promuovere il ritorno dei rifugiati in Ruanda.
A questo proposito, è necessario ricordare che i figli e i nipoti di persone che hanno commesso atti di genocidio non possono essere considerati tutti automaticamente come responsabili  di genocidio. Si tratta di un principio fondamentale: la responsabilità penale è individuale. La colpevolezza del reato di genocidio non può essere trasmessa per eredità. I figli dei nazisti non furono mai perseguiti. Anzi, la Germania fu ricostruita con loro. Il Ruanda dovrebbe ispirarsi a questo modello.
3. Il governo ruandese dovrebbe trasmettere al governo congolese una lista ufficiale, completa e consolidata, credibile e verificabile, di quelli che, in Ruanda, sono accusati di genocidio e che si ritiene si trovino in territorio congolese. Nello stesso tempo, dovrebbe permettere l’estradizione verso la RDCongo degli autori di crimini di genocidio, crimini di guerra e crimini contro l’umanità commessi nella RDC e che, attualmente, si trovano in Ruanda. Quei cittadini ruandesi che desiderassero vivere pacificamente in territorio congolese, in conformità con la Costituzione e le leggi della RDCongo, potrebbero essere oggetto di un trattamento specifico, qualora adempissero le condizioni richieste dalla legge.[5]

3. IL RITORNO DELL’M23: UGANDA, UN VERO “FALSO ALLEATO” DELLA RDC

Se le autorità congolesi accusano il Ruanda di appoggiare l’M23, il Ruanda non sarebbe però il solo paese a sostenere questo gruppo armato che, secondo la missione Onu nella RDC (Monusco), assomiglia sempre più  a un “esercito convenzionale” dotato di armi molto sofisticate. Secondo varie fonti informative, l’M23 sarebbe appoggiato anche dall’Uganda.
Infatti, a metà giugno, fonti militari congolesi hanno sospettato alcuni militari ugandesi di aver collaborato con l’M23, in occasione della caduta di Bunagana nelle mani dell’M23. Fonti militari congolesi avevano affermato che le forze lealiste avevano subito attacchi da parte di elementi ugandesi insieme all’M23. Su un possibile appoggio militare dell’Uganda all’M23, Filip Reyntjens ritiene che, stando attualmente conducendo un’operazione militare congiunta con l’esercito ugandese contro le Forze Democratiche Alleate (ADF), la RDCongo non possa, almeno per il momento, puntare il dito contro l’Uganda, benché sia servito da rifugio ad alcuni capi dell’M23 dopo la sua sconfitta nel 2013.[6]

Il 23 giugno, intervenendo durante la trasmissione “Appel sur l’actualité” di Radio France Internationale (RFI), il vice portavoce del governo ruandese, Alain Mukuralinda, ha accusato l’Uganda di aver servito come campo base per l’M23, quando è riapparso verso la fine del 2021: «L’M23 era stato sconfitto nel 2013. Alcuni di loro si erano rifugiati in Ruanda e un’altra parte in Uganda. Quelli che erano fuggiti in Ruanda sono stati disarmati e trasferiti a più di 200 km dal confine congolese. Quelli che hanno ripreso le ostilità verso la fine del 2021 sono quelli che si erano rifugiati in Uganda. Perché non lo si dice? Si dice che sono appoggiati dal Ruanda solo perché parlano kinyarwanda. In realtà, quelli dell’M23 che hanno ripreso le armi sono venuti dall’Uganda che fornisce loro logistica e materiali bellici».
Oltre alle affermazioni ruandesi, nel loro rapporto del 10 giugno 2022, i membri del gruppo di esperti delle Nazioni Unite sulla Repubblica Democratica del Congo hanno affermato che, nel mese di gennaio 2017, «l’M23/ARC ha iniziato a ricostituirsi quando alcuni combattenti guidati dal “generale” Sultani Makenga hanno abbandonato il campo militare di Bihanga, in Uganda, per stabilire una loro base sul monte Sabinyo, nel Parco Nazionale di Virunga, in territorio congolese».[7]

Se la ripresa delle ostilità da parte dell’M23 e l’intensificarsi dei combattimenti hanno inizialmente riacceso le tensioni tra la RDC e il Ruanda, quest’ultimo apertamente accusato da Kinshasa di appoggiare l’M23, l’attacco su Bunagana solleva degli interrogativi anche sul ruolo svolto dall’Uganda nel conflitto.
Sono sempre più le voci che denunciano l’implicazione di Kampala nell’attacco dell’M23, nella notte tra il 12 e il 13 giugno, a Bunagana, una cittadina situata sul confine tra i due Paesi. L’Uganda e la Repubblica Democratica del Congo (RDC). Uno studente congolese che si trovava nella zona neutrale della frontiera ha dichiarato di aver visto circa 50 militari dell’esercito ugandese, mentre «attraversavano la frontiera insieme ai miliziani dell’M23».
Un altro abitante di Bunagana, che si trovava anch’egli nella zona neutrale tra i due paesi, ha affermato di aver visto, durante l’offensiva, degli uomini in uniforme che indossavano degli stivali con la scritta “UPDF”, la sigla dell’esercito ugandese e che «stavano comunicando con l’M23 tramite radio walkie-talkie». Secondo altri due testimoni, sul lato ugandese, l’erogazione della corrente elettrica è stata interrotta per diverse ore, al fine di facilitare l’attacco su Bunagana.
Da diverse settimane, l’M23 desiderava prendere il controllo su Bunagana, perché è un crocevia commerciale strategico. Secondo un rapporto del Gruppo di esperti delle Nazioni Unite pubblicato lo scorso 14 giugno, il 28 e 29 marzo l’M23 aveva già lanciato un primo assalto su Bunagana, ma le Forze Armate della RDC (FARDC) lo avevano bloccato con “l’appoggio dell’esercito ugandese”. Ma, in seguito, la situazione è cambiata, come testimoniato da un rappresentante della Società Civile di Bunagana: «durante il secondo attacco l’esercito ugandese ha collaborato con l’M23 e non abbiamo capito questo cambio di strategia».
Il 16 giugno, in una trasmissione della NBS, un canale televisivo ugandese, il portavoce dell’esercito ugandese, Felix Kulayigye, ha rapidamente smentito l’implicazione dell’esercito ugandese nell’attacco dell’M23 su Bunagana.
Questa smentita non ha convinto Kinshasa. Il 21 giugno, durante un incontro tra i presidenti delle Assemblee Nazionali dell’Africa australe, Christophe Mboso, presidente dell’Assemblea nazionale congolese, ha denunciato con vigore «l’occupazione “illegale” di Bunagana da parte dell’M23 con la “complicità dell’Uganda”».
I sospetti sull’implicazione dell’Uganda risalgono a qualche settimana prima. Tutto è iniziato con una serie di Twitter pubblicati dal figlio del presidente ugandese, Muhoozi Kainerugaba, comandante delle forze terrestri dell’esercito ugandese. In quei twitter, egli esprimeva il suo appoggio al presidente ruandese Paul Kagame.
Negli ultimi mesi, il figlio del presidente Museveni ha incrementato i suoi viaggi a Kigali. La frontiera di Gatuna tra i due paesi, chiusa da febbraio 2019, è stata riaperta in gennaio 2022. Questo posto di frontiera era stato chiuso su iniziativa di Kigali, che sospettava un appoggio di Kampala ad alcuni movimenti armati ostili al regime di Paul Kagame, tra cui il partito di opposizione Rwanda National Congress (RNC), costituito da Hutu ruandesi. Secondo Reagan Miviri, dell’istituto congolese Ebuteli, «il miglioramento delle relazioni ruando ugandesi per opera di Muhoozi Kainerugaba spiegherebbe, in parte, perché le autorità di Kampala hanno permesso che l’M23 prendesse il controllo su Bunagana». Sempre secondo questo ricercatore, «l’M23 riceve rifornimenti dall’Uganda e attraversa la frontiera indisturbato» e il Presidente ugandese Yoweri Museveni, ha espresso un “chiaro appoggio diplomatico all’M23”, consigliando a una delegazione congolese, che si era recata in visita ufficiale a Kampala a metà luglio, di dialogare con l’M23, ciò che Kinshasa continua a rifiutare, perché lo considera come un gruppo armato terrorista.[8]

4. IL MINI VERTICE DI LUANDA (ANGOLA)

Il 6 luglio, nell’ambito di un mini-vertice svoltosi a Luanda, capitale dell’Angola, sotto la mediazione del presidente angolese João Lourenço, i presidenti congolese e ruandese, Félix Tshisekedi e Paul Kagame, hanno concordato:
– l’immediata cessazione delle ostilità nell’est della RDCongo,
– il ritiro immediato e incondizionato dell’M23 dalle sue posizioni occupate in territorio congolese,
– la definitiva “neutralizzazione” delle Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR), movimento di ribelli hutu ruandesi, alcuni dei quali sono accusati di aver partecipato al genocidio dei tutsi perpetrato nel 1994 in Ruanda,
– la normalizzazione delle relazioni diplomatiche tra Kinshasa e Kigali,
– il ritorno dei rifugiati nel loro paese di origine,
– la riattivazione della commissione congiunta RDCongo – Rwanda, che si riunirà a Luanda il 12 luglio,
– il principio secondo il quale qualsiasi attività di produzione e commercializzazione delle risorse naturali, tema molto delicato nell’est del Paese, ricchissimo di minerali, deve svolgersi “nel rigoroso rispetto della sovranità degli Stati”,
– la creazione di un meccanismo “ad-hoc” di verifica delle reciproche accuse che, sotto la guida di un generale angolano, agirà contemporaneamente ad un altro già  esistente a livello della Conferenza Internazionale sulla Regione dei Grandi Laghi (CIRGL).
Se secondo Kinshasa, il mini-vertice di Luanda ha previsto la cessazione immediata delle ostilità e il ritiro immediato e incondizionato dell’M23 dalle sue posizioni in territorio congolese, da parte ruandese si insiste che la cessazione delle ostilità comprende anche la risoluzione della questione delle FDLR, che dovrebbero essere disarmate e rimpatriate e la questione dell’M23, che deve essere affrontata a livello nazionale e nel quadro del processo di Nairobi. Ciò equivarrebbe a dire che, secondo Kigali, Kinshasa dovrebbe accettare di negoziare con l’M23, cosa che finora ha escluso. Come Kinshasa accusa Kigali di appoggiare l’M23, cosa che Kigali continua a smentire, così il Ruanda accusa regolarmente la RDCongo di complicità con le FDLR, cosa che la RDCongo a sua volta nega. Ciò dimostra che ciascuna delle due parti ha una lettura della realtà molto diversa l’una dall’altra e ciò lascia trapelare un futuro molto complicato.[9]

Il 7 luglio, il portavoce dell’M23, Willy Ngoma, ha affermato che le conclusioni annunciate a Luanda al termine del vertice tra il presidente congolese Félix Tshisekedi e il presidente ruandese Paul Kagame “non costituiscono alcun impegno da parte dell’M23”. «Non siamo ruandesi, né angolani. Siamo dei Congolesi che avevamo firmato degli accordi con il governo congolese. La questione di un eventuale cessate il fuoco riguarderà solo noi e il governo congolese», ha egli affermato.[10]

Il 12 luglio, l’Ufficio di Comunicazione della Presidenza della RDCongo ha annunciato che la prima riunione della Commissione mista RDC-Ruanda, inizialmente prevista per questa data a Luanda, è stata posticipata all’ultima settimana di luglio, dopo i funerali del precedente Capo dello Stato, Eduardo Dos Santos, deceduto in Angola pochi giorni prima, l’8 luglio.[11]

Il 21 luglio, a Luanda (Angola), i due ministri degli esteri del Ruanda e della Repubblica Democratica del Congo, Vincent Biruta e Christophe Lutundula, hanno partecipato alla prima riunione della Commissione mista RDC-Rwanda. La mediazione è stata affidata al capo della diplomazia angolana, Tete Antonio. La RDC e il Ruanda hanno concordato di concentrarsi sul ristabilimento di un clima di fiducia tra i due paesi e sulla creazione di condizioni ottimali di dialogo e di concertazione, che permettano di risolvere il grave problema dell’insicurezza nell’est della RDC. L’obiettivo dell’incontro era quello di sanare le relazioni bilaterali tra i due Paesi, ricostruendo un clima di fiducia reciproca che permetta di affrontare la crisi di insicurezza provocata nell’est della RDC dall’attivismo dei vari gruppi armati, tra cui il Movimento del 23 Marzo (M23) e le Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR).
Entrambe le parti hanno raccomandato la cessazione delle ostilità da parte dell’M23, il suo ritiro immediato allestì della Repubblica Democratica del Congo e la neutralizzazione delle FDLR / FOCA. Per questo, esse hanno chiesto ai Capi di Stato della Comunità dell’Africa dell’Est (EAC) il rapido dispiegamento di una forza militare regionale, già proposto nei mesi scorsi in un loro incontro a Nairobi.
Per quanto riguarda le questioni della cooperazione commerciale e economica, «entrambe le parti si sono impegnate a proseguire gli sforzi per ristabilire la pace, al fine di facilitare il proseguimento degli scambi commerciali e la gestione delle frontiere comuni».
Kinshasa e Kigali hanno anche affrontato la questione del ritorno, in Repubblica Democratica del Congo, dei rifugiati congolesi ancora presenti in Ruanda e hanno concordato di attualizzare l’accordo tripartito tra Ruanda, Repubblica Democratica del Congo e Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) firmato a Kigali il 17 febbraio 2010, tenendo conto dell’evoluzione del contesto e delle realtà sul campo. Questa questione relativa al ritorno dei rifugiati congolesi faceva parte dell’accordo firmato tra il governo congolese e il Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo (CNDP) il 23 marzo 2009 e era stata ripresa negli accordi di pace firmati nel mese di novembre 2013 dalla Repubblica Democratica del Congo e dall’M23.
La riunione della Commissione mista RDC-Ruanda si è svolta dopo quasi due settimane di relativa calma nei raggruppamenti di Bweza e Jomba, in territorio di Rutshuru (Nord Kivu).[12]

[1] Cf Radio Okapi, 17.07.’22
[2] Cf Patrick Maki – Actualité.cd, 23.07.’22
[3] Cf Serge Sindani – Politico.cd, 04.07.’22
[4] Cf Mersiha Nezic – information.tv5monde.com, 13.06.’22   https://information.tv5monde.com/info/le-m23-au-coeur-des-tensions-entre-la-rdc-et-le-rwanda-460283
[5] Cf Ntumba Luaba Lumu – Congovirtuel.com, 06.07.’22; Ivan Kasongo – Actualité.cd, 07.07.’
[6] Cf Serge Sindani – Politico.cd, 04.07.’22
[7] Cf Carmel Ndeo – Politico.cd, 16.07.’22
[8] Cf Coralie Pierret – Le Monde, 21.07.’22   https://www.lemonde.fr/afrique/article/2022/07/21/ils-echangeaient-par-talkie-walkie-en-rdc-les-liens-entre-l-ouganda-et-la-rebellion-du-m23-interrogent_6135632_3212.html
[9] Cf Radio Okapi, 06.07.’22; AFP – Actualité.cd, 07.07.’22; Jephté Kitsita – 7sur7.cd, 06.07.’22
[10] Cf AFP – Actualité.cd, 07.07.’22
[11] Cf Radio Okapi, 12.07.’22
[12] Cf Actualité.cd, 21 et 22.07.’22; Radio Okapi, 22.07.’22