Congo Attualità n. 247

INDICE

EDITORIALE: PER IL RISPETTO DELLA COSTITUZIONE E DELLE LEGGI CHE NE DERIVANO

  1. AFRICA CENTRALE: ELEZIONI E VIOLAZIONI DIRETTE E INDIRETTE DELLE COSTITUZIONI
  2. RDCONGO: UNA SECONDA SESSIONE STRAORDINARIA DEL SENATO
    1. Chiusura della sessione straordinaria di luglio
    2. Convocazione d’una seconda sessione straordinaria
    3. Apertura e conclusione
  3. L’OPERAZIONE DI PRESENTAZIONE DELLE CANDIDATURE ALLE ELEZIONI DEI GOVERNATORI DELLE 21 NUOVE PROVINCE

EDITORIALE: PER IL RISPETTO DELLA COSTITUZIONE E DELLE LEGGI CHE NE DERIVANO

1. AFRICA CENTRALE: ELEZIONI E VIOLAZIONI DIRETTE E INDIRETTE DELLE COSTITUZIONI

Per assicurare il principio democratico dell’alternanza ed evitare il fenomeno dei Presidenti a vita,

molte Costituzioni africane hanno previsto un massimo di due mandati presidenziali. Ma attualmente, questa disposizione si scontra con la realtà, non solo nella Repubblica Democratica del Congo, ma anche in altri Paesi dell’Africa Centrale.

Nella Repubblica Democratica del Congo (RDCongo), l’attuale presidente Joseph Kabila è arrivato al potere nel 2001, dopo l’assassinio dell’allora presidente Laurent Désiré Kabila. Dopo un periodo di transizione di 5 anni, è stato eletto una prima volta nel 2006 e una seconda volta nel 2011. Secondo l’articolo 70 della Costituzione, il Presidente della Repubblica è eletto a suffragio universale diretto per un mandato di 5 anni rinnovabile una sola volta. Di conseguenza, stando per terminare il suo secondo ed ultimo mandato presidenziale, il presidente Joseph Kabila non potrà candidarsi alle elezioni presidenziali del 2016, tanto più che l’articolo 220 della Costituzione stipula che «… il numero e la durata dei mandati del Presidente della Repubblica … non possono essere oggetto di alcuna revisione costituzionale». Già nel 2013, la Maggioranza Presidenziale (MP) aveva tentato di lanciare l’idea di un’eventuale revisione dell’articolo 220 mediante referendum popolare, ma la reazione dell’opposizione e della popolazione è stata talmente vigorosa che la MP aveva dovuto desistere dal suo intento e adottare una nuova strategia, quella dello slittamento, cioè del rinvio delle elezioni presidenziali a dopo il 2016. Varie sono state le modalità di tale strategia:

– Il tentativo, in gennaio 2015, di modificare la legge elettorale, condizionando le elezioni all’organizzazione di un previo censimento generale della popolazione. Si sarebbe trattato di una misura in sé corretta, ma che avrebbe ritardato le elezioni presidenziali di almeno 3 o 4 anni.

– La priorità data all’organizzazione, in primo luogo, delle elezioni locali, molto complesse e costose. Il fatto che, ancora alla fine di luglio, il Parlamento non abbia ancora approvato gli annessi alla legge elettorale, per quanto riguarda la ripartizione dei seggi per circoscrizioni nelle elezioni locali, provocherà certamente il rinvio di tali elezioni previste in ottobre 2015 e, quindi, presumibilmente, anche delle presidenziali di novembre 2016.

– La creazione, all’ultimo momento, di 21 nuove province mediante lo smembramento di 6 province. Benché questa suddivisione territoriale sia prevista dalla Costituzione del 2006, la sua applicazione risulta alquanto difficile, soprattutto per mancanza di infrastrutture e risorse finanziarie, e rischia di complicare e ritardare il processo elettorale. Per esempio, la Commissione elettorale dovrà organizzare, il 6 ottobre 2015, le elezioni di governatori provvisori nelle 21 province appena create, benché abbia previsto, nel suo calendario elettorale globale pubblicato nel mese di febbraio 2015, le elezioni dei governatori di tutte le province a livello nazionale il 31 gennaio 2016. Molti osservatori si chiedono perché disperdere tempo e risorse per organizzare due elezioni di governatori in meno di quattro mesi.

L’obiettivo della strategia dello slittamento delle elezioni sarebbe quello di potere ottenere, attraverso un “dialogo nazionale” tra maggioranza, opposizione e società civile, un “passaggio consensuale” ad un “periodo di transizione” che sancirebbe la fine del ciclo degli attuali due mandati presidenziali consecutivi dell’attuale Presidente Joseph Kabila, ma che gli aprirebbe la strada per potersi ricandidare alle elezioni presidenziali successive al periodo di transizione.

In Burundi, l’articolo 75 della Costituzione sembra abbastanza chiaro: “Il Presidente della Repubblica è eletto a suffragio universale diretto per un mandato di cinque anni rinnovabile una sola volta. Tuttavia, il primo presidente del periodo post-transizione è eletto dall’Assemblea Nazionale e dal Senato riuniti in Congresso, con una maggioranza di due terzi dei membri ….. Nessuno può esercitare più di due mandati presidenziali». Tuttavia, il presidente Nkurunziza si è ripresentato come candidato alle elezioni presidenziali del 2015 per la terza volta consecutiva, adducendo come motivo il fatto che la prima volta, nel 2005, era stato eletto a suffragio indiretto dal parlamento e non a suffragio diretto dal popolo.

In Ruanda, secondo l’articolo 100 della Costituzione, «il Presidente della Repubblica è eletto a suffragio universale diretto, con scrutinio segreto e a maggioranza relativa dei voti espressi». L’articolo 101 afferma che «il Presidente della Repubblica è eletto per un mandato di sette anni rinnovabile una sola volta. In ogni caso, nessuno può esercitare più di due mandati presidenziali».

Eletto nel 2003 e nel 2010, l’attuale presidente Paul Kagame non potrà quindi ricandidarsi alle prossime elezioni presidenziali del 2017. Lo potrebbe fare solo nel caso di una possibile revisione dell’attuale Costituzione.

In effetti, secondo l’articolo 193, «l’iniziativa della revisione della Costituzione spetta contemporaneamente al Presidente della Repubblica, previa delibera del Consiglio dei ministri, e a ciascuna Camera del Parlamento, mediante una votazione che ottenga una maggioranza pari o superiore ai due terzi dei suoi membri. La revisione è data per acquisita solo con voto a maggioranza dei tre quarti dei membri di ciascuna Camera. Tuttavia, quando la revisione verte sul mandato del Presidente della Repubblica, sulla democrazia pluralistica o sulla natura del regime costituzionale, in particolare, sulla forma repubblicana dello Stato e sull’integrità del territorio nazionale, dopo essere adottata da ciascuna Camera del Parlamento, essa deve essere approvata anche da un referendum popolare». È ciò che già si sta preparando.

Secondo il quotidiano ruandese New Times, a metà giugno, 3,7 milioni di Ruandesi – su sei milioni di elettori – avevano già presentato al Parlamento una petizione per modificare l’articolo 101 della Costituzione che limita a due il numero dei mandati presidenziali. Secondo le autorità ruandesi, si tratta di petizioni spontanee provenienti da individui, gruppi di persone o associazioni che mandano lettere o che si presentano personalmente. Gli osservatori denunciano invece una manovra del potere, in un paese senza reale opposizione, dove l’egemonico Fronte Patriottico Ruandese (FPR) è presente in tutti i settori della società. Se alcuni Ruandesi assicurano di avere firmato per propria volontà, molti altri affermano di averlo fatto sotto pressione, implicita o esplicita. È sulla base di queste petizioni popolari che il Parlamento ruandese ha votato, il 14 luglio, a favore di un emendamento costituzionale che permetterebbe al presidente Paul Kagame di ripresentarsi nel 2017.

Nella Repubblica del Congo, Denis Sassou Nguesso è al potere da più di 30 anni. A 72 anni, egli ha guidato il Paese nell’epoca del partito unico, dal 1979 fino alle elezioni multipartitiche del 1992, quando le ha perse. Tornato al potere nel 1997 dopo una violenta guerra civile, è stato eletto presidente nel 2002 e rieletto nel 2009. Adottata nel 2002, la Costituzione della Repubblica del Congo fissa a 70 anni l’età massima per presentarsi come candidati alle elezioni presidenziali e limita a due il numero dei mandati presidenziali. Secondo l’attuale Costituzione, Denis Sassou Nguesso non potrà quindi presentarsi come candidato alle prossimo presidenziali del 2016. Tuttavia, al termine di un “dialogo nazionale” di cinque giorni voluto dal presidente stesso per discutere sul futuro delle istituzioni, i delegati che vi hanno partecipato si sono espressi per una nuova costituzione senza limite massimo di età per i candidati alla presidenza della Repubblica e senza alcuna restrizione del numero dei mandati presidenziali autorizzati. Spetta ora al presidente Sassou decidere quali misure adottare in seguito a queste raccomandazioni. La Costituzione stipula che l’iniziativa della sua revisione spetta congiuntamente al Capo dello Stato o al Parlamento ma, se l’iniziativa parte dal presidente, la revisione deve essere approvata con un referendum popolare. In tal modo, il famoso “dialogo nazionale” sul futuro delle istituzioni della Repubblica ha aperto la strada ad un referendum su una nuova costituzione che permetta all’attuale Capo dello Stato di ripresentarsi ancora nel 2016.

2. RDCONGO: UNA SECONDA SESSIONE STRAORDINARIA DEL SENATO

a. Chiusura della sessione straordinaria di luglio

Il 31 luglio, il Senato ha concluso la sessione parlamentare straordinaria di luglio, senza però che i senatori siano pervenuti ad approvare il progetto di legge sulla ripartizione dei seggi per circoscrizioni elettorali, necessario per l’organizzazione delle elezioni locali. Il motivo è che non si è raggiunto la maggioranza assoluta dei voti favorevoli (55 su 108 senatori). Su 62 senatori che hanno partecipato al voto, solo 48 hanno votato sì, uno ha votato no e tredici si sono astenuti. La votazione è stata effettuata nel corso di una seconda seduta plenaria, in applicazione dell’articolo 79 del Regolamento Interno del Senato: “Il Senato si riunisce validamente solo se raggiunge la maggioranza assoluta dei membri che lo compongono. Non prende decisioni se non in presenza di due terzi dei suoi membri. Tuttavia, se nella prima convocazione del Senato, non si raggiunge il quorum dei due terzi, le decisioni sono validamente adottate se la maggioranza assoluta dei membri è presente nella riunione successiva. Fatte salve le disposizioni della Costituzione e altre del presente Regolamento, qualsiasi decisione, qualsiasi risoluzione e qualsiasi raccomandazione sono prese a maggioranza assoluta dei membri che compongono il Senato“. Anche secondo l’articolo 118 della Costituzione: “L’Assemblea nazionale e il Senato si riuniscono validamente se raggiungono la maggioranza assoluta dei membri che li compongono“. Secondo molti osservatori, il risultato di questa votazione non deve essere interpretato come una bocciatura del testo, ma semplicemente come un voto che non ha raggiunto la maggioranza richiesta.[1]

Il 1° agosto, in seguito ai risultati della votazione in Senato, il deputato Alphonse Awenze ha chiesto al Comitato centrale dell’Assemblea Nazionale di applicare l’articolo 135 della Costituzione che stipula: “Ogni progetto di legge viene preso in esame dalle due Camere, in vista dell’adozione di un testo identico. Qualora, in seguito a un disaccordo tra le due Camere, un progetto di legge non sia stato adottato da ciascuna Camera, i Comitati centrali delle due Camere creano una commissione mista paritaria incaricata di proporre un testo sulle disposizioni ancora in discussione. Il testo elaborato dalla commissione mista è sottoposto, per adozione, alle due Camere. Se la Commissione mista paritaria non riesce ad adottare un unico testo o se questo testo non è approvato nelle condizioni previste al paragrafo precedente, la decisione finale spetta all’Assemblea Nazionale. In questo caso, l’Assemblea nazionale può riprendere il testo elaborato dalla commissione mista paritaria, ovvero l’ultimo testo da essa votato, modificato, se necessario, da uno o più emendamenti adottati dal Senato“.

Da parte sua, il presidente dell’Assemblea Nazionale, Aubin Minaku, dopo aver precisato che la legge è stata votata dalla Commissione Politica, Amministrativa e Giuridica (PAJ) del Senato in termini identici a quelli dell’Assemblea Nazionale, ha preferito prendere tempo, affermando: «Dal momento che non abbiamo ancora ricevuto, ufficialmente, i risultati del voto del Senato, è necessario aspettare, prima di trarre le conseguenze giuridiche derivanti dalle disposizioni costituzionali previste in tali circostanze».[2]

Il 2 agosto, l’Assemblea Nazionale ha concluso la sua sessione parlamentare straordinaria del mese di luglio 2015. In linea di principio, l’obiettivo di questa sessione parlamentare straordinaria era quello di esaminare e approvare un testo che avrebbe dovuto chiarire la mappatura delle circoscrizioni elettorali (comuni, raggruppamenti, settori). Ma, a giudizio di molti parlamentari, sia della maggioranza che dell’opposizione, che hanno esaminato il progetto di legge presentato dal Ministro dell’Interno, i dati demografici raccolti e le quote dei seggi assegnati creano un vero e proprio imbroglio nella cartografia elettorale.

Secondo vari osservatori, la confusione è tale che il testo innescherà senz’altro delle proteste in tutto il Paese. In effetti, la sottorappresentazione di alcune entità territoriali rischia di deludere i loro abitanti e di provocare una loro contestazione. Astenendosi dal dare il suo appoggio morale a una mostruosità giuridica e tecnica, il Senato ha scelto la via della saggezza.[3]

Dei Deputati della maggioranza hanno accusato il presidente del Senato Léon Kengo e i senatori di volere provocare un ulteriore prolungamento del loro mandato, costituzionalmente terminato già nel 2011. Se è vero che il Senato ha effettivamente oltrepassato la durata legale del suo mandato, tuttavia, l’accusa dei deputati nei confronti dei senatori spinge a interrogarsi sulle varie strategie messe in atto per bloccare il processo elettorale. Si scoprirà che i principali responsabili di queste strategie si trovano esattamente all’interno della famiglia politica del Capo dello Stato.

L’opinione nazionale e internazionale non ha dimenticato che, nel 2013, alcuni esponenti della Maggioranza Presidenziale (MP) avevano sostenuto l’idea di un referendum popolare per una revisione della Costituzione, anche nei suoi articoli “bloccati”. Alcuni giuristi e politologi di questa famiglia politica avevano sostenuto che non vi è nulla che vieti una radicale modificazione della Legge fondamentale.

L’opinione nazionale e internazionale ricorda bene che, nel mese di gennaio 2015, la MP aveva tentato di modificare la legge elettorale, proponendo un censimento generale della popolazione prima di organizzare qualsiasi tipo di elezioni, il che avrebbe provocato il prolungamento di tutti i mandati per un periodo di almeno cinque anni.

Tenendo conto della precipitazione con cui si è proceduto alla creazione delle 21 nuove province e dell’improvvisazione constatata nell’organizzazione delle elezioni dei governatori e vice-governatori delle nuove province, proprio nel periodo originariamente riservato alle elezioni locali e provinciali, il dubbio è che sia proprio il governo a volere far “slittare” le elezioni già previste. Inoltre, tutti gli esponenti della maggioranza che sostengono la battaglia dell’alternanza al potere, proponendo un altro candidato che non sia la “autorità morale” del loro partito, che ha già esaurito la quota dei mandati costituzionalmente permessi, sono oggetto di critiche e accusati di aver tradito la “causa comune”.[4]

b. Convocazione d’una seconda sessione straordinaria

Il 4 agosto, il servizio di protocollo del Senato ha inviato un SMS ai senatori con il seguente messaggio: “Onorevole, questo lunedì, 10.08.2015, alle ore 10:00, apertura della sessione straordinaria del mese di agosto 2015. Si richiede pertanto agli onorevoli senatori presenti a Kinshasa di non lasciare la capitale e a quelli che sono fuori, di prendere le disposizioni necessarie per ritornare a Kinshasa, al fine di partecipare a questa nuova sessione speciale“. In assenza del Presidente del Senato Léon Kengo wa Dondo, la sessione è stata convocata dal Primo Vice Presidente del Senato Mokolo wa Pombo. Il servizio di protocollo del Senato non precisa l’ordine del giorno di questa seconda sessione straordinaria.[5]

Negli ambienti politici di Kinshasa, l’annuncio della convocazione di una seconda sessione speciale del Senato è stato accolto come una bomba. Molti si sono chiesti se è possibile convocare due sessioni straordinarie del Parlamento nell’intervallo che intercorre tra due sessioni parlamentari ordinarie. Su questo punto, le opinioni sono diverse a seconda che si appartenga alla maggioranza o all’opposizione. Immediatamente, l’opposizione ha denunciato una violazione della Costituzione, perché convinta che il Parlamento non possa organizzare due sessioni parlamentari straordinarie consecutive. Questi parlamentari si sono basati sulle disposizioni del loro Regolamento Interno per affermare che, quando una materia non è esaurita o non è approvata nel corso di una sessione straordinaria, essa è automaticamente rinviata alla sessione ordinaria successiva, per essere presa in esame con priorità come arretrato legislativo.

Invece, la Maggioranza ha giustificato la convocazione di una seconda sessione speciale del Senato facendo ricorso all’articolo 116 della Costituzione che lascia a ciascuna Camera del Parlamento la possibilità di una sessione speciale, nel caso in cui l’ordine del giorno non sia stato esaurito. Secondo la Maggioranza, la Costituzione non determina il numero delle sessioni speciali del Parlamento. Il legislatore fissa solo la durata di una sessione straordinaria, che non può superare i 30 giorni. Pertanto, il Parlamento, o una delle sue camere, può essere convocato per più sessioni straordinarie, purché ciascuna non superi il periodo di 30 giorni.

È utile ricordare che l’articolo 75 del Regolamento Interno del Senato stipula che: “Il Senato può essere convocato in sessione straordinaria dal suo Presidente per un ordine del giorno specifico, su richiesta sia del proprio Comitato di presidenza, sia della metà dei suoi membri, sia del Presidente della Repubblica o del Governo. La chiusura avviene dopo che il Senato abbia esaurito l’ordine del giorno per il quale è stato convocato e non oltre i trenta giorni dalla data di inizio della sessione. Se 1’ordine del giorno della sessione straordinaria non è esaurito quando si apre 1a sessione ordinaria, essa (la sessione straordinaria) si conclude automaticamente. Se l’ordine del giorno della sessione straordinaria non è esaurito entro i trenta giorni, essa (la sessione speciale) si conclude automaticamente, fatta eccezione per la sessione speciale inaugurale della legislatura. In entrambi i casi, le materie dell’ordine del giorno rimaste in sospeso saranno esaminate con priorità durante la sessione ordinaria come arretrati legislativi“. L’articolo 116 della Costituzione stipula che: “Ciascuna Camera del Parlamento può essere convocata in sessione straordinaria dal suo Presidente per un ordine del giorno specifico, su richiesta sia del proprio Comitato di presidenza, sia della metà dei suoi membri, sia del Presidente della Repubblica o del governo. La chiusura avviene dopo che la Camera abbia esaurito l’ordine del giorno per il quale è stata convocata e, al più tardi, 30 giorni dopo la data di inizio della sessione“.[6]

Il 5 agosto, il senatore Moïse Nyarugabo ha raccomandato al governo di ritornare in Parlamento all’inizio della sessione ordinaria del mese di settembre, per reintrodurre la sua proposta di legge sulla ripartizione dei seggi secondo le varie circoscrizioni elettorali, necessaria per l’organizzazione delle elezioni locali. Moïse Nyarugabo ha affermato che una legge non adottata da una delle due Camere del Parlamento nel corso di una sessione straordinaria, non può che essere esaminata nel corso della seguente sessione ordinaria: «Quando una legge non è approvata da una Camera, non si può dire che essa sia stata approvata in termini non identici a quelli dell’altra camera. L’unico modo per procedere è ricominciare il processo legislativo. Ciò significa che quando una camera non riesce ad approvare una legge, l’iter legislativo si arresta. A mio parere, è necessario che, alla riapertura del Parlamento, il governo ritorni con un altro progetto o con lo stesso, ma migliorato e corretto». Il senatore Moïse Nyarugabo ha anche detto che non è “legale” ricorrere ad una commissione mista Assemblea nazionale – Senato per dirimere la questione relativa al progetto di legge sulla ripartizione dei seggi, perché non si tratta di un testo approvato da entrambe le camere in termini diversi.[7]

b. Apertura e conclusione

L’11 agosto, si è aperta una seconda sessione straordinaria del Senato. Nel suo discorso iniziale, il presidente del Senato, Léon Kengo wa Dondo, ha affermato che «questa sessione straordinaria si apre conformemente agli articoli 116 della Costituzione e 75 del Regolamento Interno del Senato. Convocata dall’11 agosto al 9 settembre 2015, sarà dedicata esclusivamente all’esame e all’adozione del progetto di legge sulla ripartizione dei seggi per circoscrizione in vista delle elezioni municipali e locali».

Egli ha ricordato «le ragioni per le quali, in un primo tempo, l’Assemblea nazionale aveva rinviato il progetto di legge al Governo:

– Messa in questione dei decreti sulla creazione di nuove città e comuni;

– Contestazione dell’incorporazione di alcuni raggruppamenti e dell’approvazione di altri raggruppamenti di fatto;

– Attribuzione di un minimo di un seggio ad alcuni raggruppamenti senza alcun elettore;

– Ripartizione disuguale di seggi tra i raggruppamenti ad alto numero di elettori;

– Diminuzione significativa del numero di elettori nella maggior parte dei territori;

– Distacco di alcune località dal loro territorio di origine;

– Non presa in conto della problematica dei nuovi maggiorenni nell’organizzazione delle prossime elezioni, considerate come degli “arretrati elettorali;

– Contestazione dell’operazione di consolidamento del database elettorale da parte della Commissione elettorale».

Egli ha aggiunto che, «dato che la maggior parte di queste preoccupazioni sono state affrontate dal Governo e dalla Commissione elettorale, l’Assemblea nazionale aveva già approvato il disegno di legge e il Senato lo aveva preso in considerazione, conformemente all’articolo 132 della Costituzione».

Egli ha precisato che «contrariamente ad alcune affermazioni, il progetto di legge non è stato respinto dal Senato, in quanto è stato approvato a maggioranza assoluta dei senatori presenti. Purtroppo, secondo l’articolo 79, ultimo comma, del Regolamento Interno del Senato, i voti favorevoli non sono stati sufficienti per consentire l’approvazione della legge da parte del Senato. Questi voti insufficienti non possono in alcun modo essere interpretati come un voto negativo, bensì come un sostegno politico.

È per questo che, su espressa richiesta del Comitato di presidenza del Senato e di più della metà dei senatori, ho deciso di convocare questa sessione speciale».

Egli ha poi ricordato «alcune osservazioni formulate dagli stessi senatori durante il dibattito generale svoltosi prima della votazione sulla legge:

– La non presa in conto dei nuovi maggiorenni nel calcolo del numero degli elettori;

– La non presa in conto delle elezioni urbane in questo disegno di legge;

– L’irrilevanza della teoria sugli “arretrati elettorali”, che non può essere applicata alle elezioni comunali, urbane e locali, finora mai organizzate;

– La problematica della creazione di nuove città e comuni mediante decreti del Primo Ministro;

– L’omissione di diversi raggruppamenti negli allegati del progetto di legge;

– L’assegnazione disuguale dei seggi ai raggruppamenti selezionati;

– Gli errori di trascrizione dei nomi di alcune entità territoriali.

Tutte queste legittime preoccupazioni sono state inoltrate dal Comitato centrale del Senato al Governo e alla Commissione elettorale che vi apporteranno le correzioni necessarie».

Egli ha infine assicurato che, «con l’adozione del disegno di legge, la sessione straordinaria si concluderà automaticamente».[8]

Al termine di una seduta plenaria durata solo dieci minuti e boicottata dai senatori dell’opposizione,

il Senato ha approvato il disegno di legge sulla ripartizione dei seggi per le elezioni comunali, urbane e locali. «Sui 108 membri che compongono il Senato, 77 hanno preso parte al voto e hanno votato sì. Nessuno ha votato no e nessuno si è astenuto. Pertanto, il Senato approva la legge sulla ripartizione dei seggi per circoscrizioni elettorali in vista delle elezioni comunali e locali. Con questa votazione, abbiamo esaurito l’ordine del giorno di questa sessione speciale», ha dichiarato il presidente del Senato, Leon Kengo wa Dondo. Il testo adottato sarà inviato al Presidente della Repubblica per promulgazione.

«Si tratta di uno strumento giuridico che permette di risolvere uno dei problemi presentati dalla Commissione elettorale nazionale indipendente (CENI) per l’organizzazione delle elezioni», ha dichiarato Ramazani Shadari, deputato e portavoce del Partito Popolare per la Ricostruzione e la Democrazia (PPRD).

«Quelli che hanno votato all’unanimità sono i membri della maggioranza o i loro alleati. Si è imposto al Senato di votare questa legge. Il che dimostra che non c’è separazione dei poteri tra esecutivo e legislativo. È inaccettabile», ha affermato il senatore Mokonda Florentin Bonza, presidente della Convenzione dei Democratici Cristiani (opposizione).[9]

È strano constatare che dei senatori che si erano distinti per la loro assenza durante la seduta di chiusura della prima sessione straordinaria, il 31 luglio 2015 e che avevano denunciato le incongruenze e le quote dei seggi che non corrispondevano alle realtà demografiche delle entità politiche e amministrative, abbiano poi approvato un testo che avevano fortemente criticato nel corso del dibattito generale della sessione precedente.

La rapidità del voto in Senato ha deluso soprattutto quelli che credevano che questa legge, inizialmente respinta dalla Camera dei deputati e rinviata al Governo per le sue intrinseche contraddizioni, fosse sottoposta a una profonda revisione capace di ristabilire una certa equità nella ripartizione dei seggi, in base alle realtà demografiche delle varie circoscrizioni elettorali.

Infatti, i deputati avevano criticato i decreti sulla creazione di nuove città e comuni, l’incorporazione di alcuni raggruppamenti e il riconoscimento giuridico di alcuni altri raggruppamenti di fatto, l’attribuzione di un minimo di un seggio a certi raggruppamenti senza elettori, la disuguale ripartizione dei seggi tra raggruppamenti ad alto numero di elettori, la significativa diminuzione del numero degli elettori nella maggior parte dei territori, il distacco di alcune località dai loro territori originali, la non presa in considerazione dei nuovi maggiorenni nelle prossime elezioni considerate come degli “arretrati elettorali”, etc.

Dopo ciò che è successo in Senato, l’opinione nazionale si interroga sulle conseguenze di una legge che attribuisce a talune circoscrizioni elettorali delle dimensioni demografiche immaginarie che permettono loro di ottenere più seggi di quelli cui avrebbero diritto. Invece, altri raggruppamenti, settori, comuni e territori maggiormente popolati si ritrovano con pochi seggi e, quindi, poco rappresentati. Queste irregolarità causeranno un forte disequilibrio di rappresentazione tra le entità scarsamente popolate e quelle ad alta densità demografica.

La conseguenza è che ci si dovrà aspettare un vasto movimento di proteste popolari in occasione delle prossime elezioni locali e comunali, quando molti elettori e candidati si renderanno conto che il loro raggruppamento, settore o territorio apparirà come un “nano” amministrativo, benché abbia un peso demografico maggiore rispetto ad altri aventi un tasso demografico meno elevato. In quel momento, gli abitanti del profondo Congo non accetteranno facilmente la scomparsa delle loro entità di base da una mappatura elettorale nazionale che favorisce certi raggruppamenti, settori e territori finti e immaginari. Inoltre, i politici, deputati e senatori, che hanno approvato questa legge sulla ripartizione dei seggi per circoscrizioni elettorali, incontreranno molte difficoltà nel gestire gli umori e le frustrazioni popolari che potrebbero derivare da un testo legislativo mal concepito.[10]

La legge è stata approvata a soli due mesi dalla data delle elezioni previste per il 25 ottobre. Questo fatto comporta delle conseguenze. La Commissione elettorale non sarà in grado di potere rispettare la data fissata, considerata ormai già superata. Le elezioni del 25 ottobre saranno necessariamente rinviate a causa dell’impossibilità di realizzare, in soli due mesi, le numerose operazioni pre-elettorali. La precipitazione con cui la MP ha voluto ottenere, ad ogni costo, l’approvazione del disegno di legge sulla ripartizione dei seggi per circoscrizione elettorale in vista delle elezioni municipali e locali dimostra che il PPRD e gli altri partiti della maggioranza vogliono organizzare dapprima le elezioni locali abbinate alle provinciali, per prendere tempo e fare slittare a data indeterminata le elezioni presidenziali e legislative previste per il mese di novembre 2016.[11]

3. L’OPERAZIONE DI PRESENTAZIONE DELLE CANDIDATURE ALLE ELEZIONI DEI GOVERNATORI DELLE 21 NUOVE PROVINCE

Fino all’11 agosto, la Commissione elettorale ha ricevuto 67 richieste di candidature per le elezioni dei governatori delle nuove province, tra cui 45 si sono presentati come indipendenti e 22 come delegati di partiti politici. Iniziata il 24 luglio, l’operazione di presentazione delle candidature proseguirà fino al 21 agosto. Questi governatori saranno eletti per un periodo provvisorio che si concluderà al termine dell’attuale legislatura. Tuttavia, il periodo delle elezioni dei governatori delle nuove province nel mese di ottobre coincide con quello delle elezioni provinciali nell’insieme delle 26 province del territorio nazionale, tra cui quelle nuove, per eleggere i deputati provinciali che, a loro volta, dovranno eleggere, a suffragio indiretto, i nuovi governatori provinciali e i nuovi senatori nazionali. Questa sovrapposizione di elezioni giustifica il dibattito sulla revisione del famoso calendario elettorale globale della Commissione elettorale.[12]

Fino al 18 agosto, la Commissione elettorale ha ricevuto sessantanove (69) dossier di candidature per le elezioni dei governatori delle nuove province su un totale di 153 formulari ritirati. 23 candidature sono state presentate da partiti politici e 46 da candidati indipendenti. 63 candidati sono di sesso maschile (91%) e 6 sono di sesso femminile (9%). Il termine del periodo di iscrizione delle candidature è fissato per il 21 agosto.[13]

Il 19 agosto, a Kinshasa, sono stati pubblicati i risultati parziali dell’operazione di controllo esterno del database elettorale della Commissione elettorale. Questo controllo ha evidenziato 450.000 doppioni, elettori i cui nomi compaiono più di una volta nelle liste elettorali.

Secondo la Commissione Africana per la supervisione delle elezioni (Case) che ha partecipato a questo audit condotto dall’Organizzazione Internazionale della Francofonia (OIF), la Commissione elettorale dovrà correggere gli errori materiali constatati nel database elettorale. «La missione della OIF ha chiesto, nelle sue raccomandazioni, di eliminare questi casi di doppioni dall’attuale database», ha dichiarato Kiomba Dibwe, Vice Presidente della Case.[14]

Il 21 agosto, il Questore della Commissione elettorale, Chantal Ngoyi, ha annunciato che «fino ad oggi, data di chiusura del periodo di presentazione delle candidature, la Commissione elettorale constata che l’installazione delle nuove province sta incontrando varie difficoltà, tra cui il fatto che, nella maggior parte dei casi, le nuove Assemblee provinciali hanno concluso la loro sessione speciale senza aver esaurito l’ordine del giorno, come stabilito dall’articolo 9 comma 1 della legge di pianificazione». «Di conseguenza», ha aggiunto senza fornire alcun dettaglio, «la Commissione elettorale annuncia all’opinione nazionale che sta studiando il modo e i mezzi per armonizzare il proprio calendario elettorale, per renderlo compatibile con il processo di installazione delle nuove province, soprattutto per quanto riguarda l’installazione dei comitati definitivi delle Assemblee provinciali». Il Questore della Commissione elettorale ha inoltre dichiarato che, nel corso di questo periodo di studio, la Commissione elettorale lascia ancora aperta la possibilità a potenziali candidati di inoltrare i loro dossier di candidatura nei diversi centri di accettazione e di trattamento delle richieste di candidature. Da ricordare che le elezioni dei 21 nuovi governatori provinciali erano dapprima state annunciate per il 31 luglio, poi rinviate al 6 ottobre.[15]

Dopo il rinvio sine die delle elezioni dei governatori delle nuove province da parte della Commissione elettorale, molte persone, giustamente, hanno cominciato a credere che queste elezioni non potranno più essere organizzate a breve termine. Già appaiono diversi scenari per evitare il vuoto giuridico in cui si trovano le nuove province che già esistono legalmente ma senza alcun esecutivo che le governi. Due le tesi che si oppongono diametralmente.

Secondo la prima tesi, il Capo dello Stato dovrebbe prendere la responsabilità di procedere alla nomina, mediante ordinanza presidenziale, dei governatori delle nuove province. I sostenitori di questa tesi, che si trovano all’interno della Maggioranza Presidenziale, ritengono che tale procedura non sia affatto contraria alla Costituzione. Secondo loro, essa conferisce al Capo dello Stato pieni poteri per procedere legalmente ad un certo numero di atti, fra cui la nomina dei governatori. Per giustificare il loro punto di vista, essi si basano sull’articolo 198, ultimo comma, secondo cui “quando una crisi politica grave e persistente minaccia di interrompere il funzionamento regolare delle istituzioni provinciali, il Presidente della Repubblica, con decreto deliberato in Consiglio dei ministri e previa consultazione con i Comitati di presidenza dell’Assemblea nazionale e del Senato, rimuovere dal suo incarico il governatore di una provincia“. Secondo la prima tesi, se il Presidente della Repubblica può rimuovere dal loro incarico i governatori delle province, può anche nominarli. Tuttavia, i sostenitori di questa tesi dimenticano che, nella sua parte finale, l’articolo citato stabilisce che, “in questo caso, la Commissione elettorale nazionale indipendente organizza le elezioni del nuovo governatore entro trenta giorni“.

Secondo la seconda tesi, promossa dall’opposizione ma anche da alcuni partiti politici della Maggioranza Presidenziale, è assolutamente necessario rispettare i termini della Costituzione in cui, secondo loro, non vi è alcuna disposizione che autorizzi il presidente della Repubblica a nominare i governatori delle province, poiché tale competenza spetta sempre alle Assemblee dei Deputati Provinciali. In effetti, l’articolo 198 della Costituzione stipula che “il Governatore e il Vice Governatore sono eletti per un mandato di cinque anni, rinnovabile una sola volta, dai deputati provinciali, all’interno o all’esterno dell’assemblea provinciale. Essi sono insediati ufficialmente mediante ordinanza del presidente della Repubblica“. Anche l’articolo 80 della Costituzione stipula che “il Presidente della Repubblica, mediante ordinanza e entro quindici giorni, rende ufficiale il mandato dei Governatori e dei vice governatori delle province eletti secondo l’articolo 198“.

Cosa fare allora?

I problemi sono sorti con l’applicazione della legge di programmazione della creazione delle nuove province applicata dal governo alla velocità del suono. Oggi è incontestabile affermare che è difficile applicare questa legge a breve termine. Occorre quindi rivedere tale legge. L’opzione migliore sarebbe che il Parlamento sospendesse, almeno temporaneamente, questa legge di programmazione per la creazione delle nuove province e che si ritornasse alla situazione precedente (statu quo) delle undici province anteriori. Dovrebbe essere abbastanza facile mettere questa legge tra parentesi e ritornare al punto di partenza con i vecchi capoluoghi delle undici province precedenti. Sarebbe questa la soluzione più pratica, perché la nomina dei governatori provinciali da parte del Capo dello Stato non è prevista dalla Costituzione.[16]

L’organizzazione delle elezioni sta accumulando numerosi ritardi. L’ultimo esempio è quello delle elezioni dei governatori delle 21 nuove province. Originariamente previste per il 31 agosto e poco dopo rinviate al 6 ottobre, queste elezioni potrebbero essere rinviate di nuovo, a causa di una serie di problemi riscontrati nell’installazione di queste nuove province.

Secondo la Commissione elettorale, non si tratta di un rinvio delle elezioni dei governatori, ma di problemi che impediscono l’organizzazione di tali elezioni a breve termine.

In primo luogo, la Commissione elettorale afferma che è necessario che le nuove assemblee provinciali siano riconvocate e che eleggano il loro comitato centrale definitivo, cui compete, tra l’altro, anche la responsabilità dell’organizzazione di queste elezioni. In realtà, le Assemblee provinciali dei deputati hanno concluso la loro sessione speciale senza aver eletto il comitato centrale definitivo e non è chiaro quando saranno di nuovo convocate. Ci si può quindi chiedere per quando sarà possibile organizzare le elezioni governatoriali delle 21 nuove province, per le quali si sono presentati 86 candidati.

Ma questo esempio non è l’unico nella lunga serie di ritardi che si accumulano. La legge sulla ripartizione dei seggi per l’organizzazione delle elezioni locali è un altro esempio. Attesa in marzo, essa è stata adottata solo nel mese di agosto e a stenti. La stessa cosa vale per il piano di finanziamento richiesto dalla Commissione elettorale. Il governo non ha ancora annunciato alcun programma di finanziamento per ogni elezione. Conseguentemente, quasi tutti gli osservatori concordano sul fatto che è diventato ormai impossibile organizzare anche le altre due elezioni previste nel 2015: quelle dei deputati provinciali e dei consiglieri comunali.

La Commissione elettorale si esime da ogni responsabilità, affermando che le condizioni per organizzare queste elezioni sono chiaramente elencate nel calendario elettorale globale pubblicato già nel mese di febbraio.

Questi ritardi potranno avere un effetto domino sulle altre elezioni successive? In ogni caso il timore di un loro slittamento è condiviso da tutta l’opposizione. E per molti osservatori indipendenti, il rinvio anche delle elezioni presidenziali in programma per novembre 2016 è già in corso.[17]

[1] Cf Le Potentiel – Kinshasa, 04.08.’15

[2] Cf Radio Okapi, 01.08.’15; Marcel Tshishiku – La Tempête des Tropiques – Kinshasa, 03.08.’15

[3] Cf Kimp – Le Phare – Kinshasa, 04.08.’15

[4] Cf Kimp – Le Phare – Kinshasa, 03.08.’15

[5] Cf 7sur7.cd – Kinshasa, 04.08.’15

[6] Cf Kimp – Le Phare – Kinshasa, 04.08.’15; La Prospérité – Kinshasa, 06.08.’15

[7] Cf Radio Okapi, 05.08.’15

[8] Cf http://www.senat.cd/images/discours_ouverture_se_aout_2015.pdf

[9] Cf Radio Okapi, 11.08.15; RFI, 11.08.’15; AFP – Jeune Afrique, 11.08.’15

[10] Cf Dom – Le Phare – Kinshasa, 12.08.’15

[11] Cf Kandolo M. – Forum des As – Kinshasa, 13.08.’15

[12] Cf Lucien Kazadi T. – La Tempête des Tropiques – Kinshasa, 13.08.’15

[13] Cf ACP – Kinshasa, 19.08.’15

[14] Cf Radio Okapi, 19.08.’15

[15] Cf Radio Okapi, 22.08.’15

[16] Cf Kandolo M. – Forum des As – Kinshasa, 25.08.’15

[17] Cf RFI, 26.08.’15