Congo attualità n.239

INDICE

EDITORIALE: Non possiamo arrenderci. Continueremo a mobilitarci

  1. ATTIVITÀ PARLAMENTARE

  2. La Commissione Nazionale per i Diritti Umani

  3. Il progetto di legge sulla libertà di manifestazione pubblica

  4. ARRESTI ARBITRARI DE ATTIVISTI PER LA DEMOCRAZIA

  5. A Kinshasa

  6. Le tuonanti dichiarazioni del portavoce del governo

  7. A Goma

  8. Le reazioni delle Ong per la difesa dei diritti umani

  9. La liberazione e l’espulsione degli attivisti del Senegal e del Burkina Faso

  10. Altri attivisti congolesi rimangono ancora detenuti

  11. La creazione d’una missione parlamentare d’inchiesta

  12. Nuovi arresti a Goma

  13. La Società Civile continua a far pressione

  14. SCOPERTA DI UNA FOSSA COMUNE PRESSO IL CIMITERO DI MALUKU

  15. Le dichiarazioni del Governo

  16. Le dichiarazioni della Società Civile

  17. Per un’inchiesta indipendente e internazionale

1. ATTIVITÀ PARLAMENTARE

a. La Commissione Nazionale per i Diritti Umani

Il 1° aprile, l’Assemblea Nazionale dei deputati ha comunicato e approvato i nomi dei membri della Commissione Nazionale dei Diritti Umani (CNDH). Sono nove, tra cui quattro donne. Si tratta di: Fernandez Murhola, Chantal Nembuzu, Guilain Embusa, Kenge Tshilombay, Amuri Lumumba, Muamba Mushikonke, Astrid Bilonda, Belinda Luntandila e Olivier Wala Wala. Queste persone sono state designate da organizzazioni della società civile sotto l’arbitrio del comitato centrale dell’Assemblea Nazionale. La loro designazione è il risultato di una serie di sessioni di lavoro iniziate nel dicembre 2013. La legge che istituisce la Commissione per i diritti umani era stata approvata dal Parlamento nel dicembre 2012, ma i membri di questo organo per la promozione e la protezione dei diritti umani non erano ancora stati nominati.[1]

Alcune ONG del settore dei diritti umani, tra cui la Lega degli elettori, le Toghe Nere, l’ASADHO e il comitato di sorveglianza della CNDH, hanno qualificato di arbitraria la designazione dei nove membri di questa commissione e hanno denunciato il vizio procedurale, la politicizzazione e la non rappresentatività di questa struttura composta, secondo loro, «più di politici che di difensori dei diritti umani». Il segretario esecutivo della Lega degli elettori e segretario permanente del comitato di sorveglianza, Symphorien Mpoyi, ha affermato che le ONG continueranno il loro lavoro di monitoraggio sulla situazione dei diritti umani in parallelo con la CNDH.

Invece, il RENADHOC ha accolto con favore l’istituzione della CNDH e la designazione del suo Segretario esecutivo Nazionale, Fernandez Murhola, in questa commissione. «Le organizzazioni per i diritti umani continueranno a fare il loro lavoro, come in passato. Ma il vantaggio è che ora abbiamo un interlocutore istituzionale», ha dichiarato il responsabile dei programmi presso il segretariato esecutivo nazionale del RENADHOC, Franck Citende. Egli ha fatto osservare che i nove membri che compongono la CNDH non sono tutti della componente diritti umani: «Si tratta di una commissione che comprende rappresentanti degli insegnanti, delle persone disabili e delle organizzazioni femminili».[2]

Il 4 aprile, il Capo dello Stato ha confermato i nove membri della Commissione Nazionale dei Diritti Umani (CNDH).[3]

Il presidente della ONG “Avvocati senza frontiere” nella RDC, Richard Bondo, ha fatto ricorso alla Corte costituzionale in merito alla designazione dei membri della Commissione Nazionale per i Diritti Umani (CNDH). Egli ritiene che la procedura di designazione dei membri di questa commissione, recentemente nominati dal Capo dello Stato, abbia violato una disposizione della Costituzione. Egli ha fatto riferimento all’ultimo comma dell’articolo 121 della Costituzione sulle regole di voto in entrambe le Camere del Parlamento, secondo cui “in caso di deliberazione relativa a delle persone, il voto si svolge a scrutinio segreto”. Richard Bondo ritiene quindi che la designazione dei nove membri della CNDH tra i diciotto candidati avrebbe dovuto essere a scrutinio segreto. Egli si attende che la Corte Costituzionale dichiari questa designazione “nulla e senza effetto”.[4]

c. Il progetto di legge sulla libertà di manifestazione pubblica

Il 6 aprile, l’Assemblea Nazionale dei deputati ha discusso il rapporto della commissione politica, amministrativa e giuridica relativo al progetto di legge sulla libertà di manifestazione pubblica.
Nel suo rapporto, il presidente della Commissione ha sottolineato le innovazioni di questa legge.
Ha affermato che l’articolo 13 di questa legge prevede che l’autorità competente abilitata a ricevere la notifica preventiva della manifestazione è ormai quella del distretto amministrativo comprendente il percorso della manifestazione.

Per una manifestazione in programma nella municipalità di Kasavubu (città di Kinshasa), per esempio, gli organizzatori dovranno “informare” il borgomastro di questa municipalità e non il governatore di Kinshasa, come si è fatto finora.

Si dovrà ricorrere al governatore solo quando una manifestazione si svolgerà concomitantemente in diverse città di una stessa provincia o in diverse municipalità della città di Kinshasa. Un’altra innovazione è che l’autorità competente che riceve la dichiarazione informativa dovrà rilasciare immediatamente una ricevuta. In assenza di una risposta entro le 48 ore dalla presentazione della dichiarazione, la ricevuta sarà sufficiente per supplire al silenzio dell’amministrazione e confermare la dichiarazione informativa.

Nonostante tutte queste innovazioni, i deputati hanno presentato alcune proposte per migliorare il testo fornito dalla Commissione politica, amministrativa e giudiziaria.

L’autore del progetto di legge, il deputato Delly Sessanga, sostenuto dal suo collega Mayo, non ha digerito il disaccoppiamento della legge sulla libertà di manifestazione pubblica da quella sulla libertà di riunione. Pur rilevando che la legge in esame non è una legge organica, ma ordinaria, il deputato di Luiza ha affermato che l’accoppiamento di queste due leggi non avrebbe violato la Costituzione, come sostenuto dalla Commissione. Inoltre, egli ha richiamato l’attenzione della Commissione sulla differenza tra un raggruppamento di persone che può essere disperso e una manifestazione pubblica che deve essere necessariamente inquadrata, salvo in casi estremi di disordine pubblico.

Da parte sua, Frank Diongo ha chiesto il ritiro della legge e del rapporto della Commissione politica, amministrativa e giudiziaria. Il Presidente del MLP ritiene che questo progetto di legge è fatto su misura per impedire le manifestazioni dell’opposizione durante il periodo elettorale.

Boris Mbuku ha chiesto alla commissione dei chiarimenti sul caso di impedimento di una manifestazione pubblica. Altri deputati hanno chiesto alla Commissione di chiarire le ragioni per le quali l’autorità competente potrà vietare una manifestazione. Infatti, in molti casi, diverse autorità politiche e amministrative interferiscono tra loro nell’organizzazione di pubbliche manifestazioni, sotto istigazione di certe personalità al potere insoddisfatte dei discorsi tenuti di leader politici che non condividono la loro visione politica.

Infine, l’Assemblea Nazionale ha concesso 10 giorni alla Commissione politica, amministrativa e giudiziaria per includere gli emendamenti suggeriti nel suo rapporto sul progetto di legge relativo alle misure di attuazione della libertà di manifestazione presentato in assemblea plenaria.[5]

2. ARRESTI ARBITRARI DE ATTIVISTI PER LA DEMOCRAZIA

a. A Kinshasa

Il 15 marzo, tre leader dei movimenti “Y’en a marre” (Siamo ormai stufi) del Senegal e “Balai citoyen” (Scopa cittadina) del Burkina Faso sono stati arrestati dalla polizia e poi condotti al quartier generale dell’Agenzia Nazionale di Intelligence (ANR), in seguito ad una conferenza stampa organizzata a Kinshasa. Si tratta dei senegalesi Fadel Barro, Aliou Sane, Malal Talla detto “malato pazzo”, membri di “Y’en a marre” e del Burkinabe Oscibi Johann, membro di Balai citoyen”.
Gli attivisti del Senegal e del Burkina Faso erano stati invitati da “Filimbi” (fischietto), un movimento di azione politica e sociale di giovani congolesi, per un seminario di sensibilizzazione dei giovani. Secondo un comunicato di Filimbi, sono state arrestate trenta persone circa, tra cui anche tre giornalisti – un fotografo francese dell’AFP, un corrispondente della radio televisione belga RTBF e un cameraman della BBC – convocati per la conferenza stampa, un cittadino francese che aveva partecipato all’organizzazione del seminario e un diplomatico statunitense. In serata, dopo diverse ore presso la sede dell’ANR, questi ultimi sono stati rilasciati.

Questi arresti seguono a ruota quelli del mese di gennaio, effettuati in seguito una rivolta popolare contro il tentativo, da parte del Parlamento congolese, di modificare la legge elettorale, il che avrebbe consentito al presidente Kabila di ripresentarsi per un terzo mandato presidenziale, vietato dalla Costituzione.

Secondo il segretario esecutivo della Lega degli elettori, Sylvain Lumu, i membri di Y’en a marre e di  Balai citoyen erano arrivati nella RDC nel quadro di uno scambio di esperienze con i giovani congolesi. Invitati dal collettivo congolese “Filimbi”, gli attivisti senegalesi e Burkinabe erano arrivati ​​a Kinshasa per partecipare a una serie di conferenze sulla democrazia, il rispetto dei principi costituzionali, il buon governo e la partecipazione attiva al processo elettorale.

“Filimbi” comprende tre associazioni congolesi: Giovani per una Nuova Società (JNS), Lotta per il Cambiamento (LUCHA) e Forum Nazionale dei Giovani per l’Eccellenza (FNJE) e si definisce come un “movimento di azione civica”. “Y’en a marre” ha contribuito a porre fine alle ambizioni di Abdoulaye Wade che voleva candidarsi per un terzo mandato presidenziale in Senegal. “Balai citoyen” è stato al centro degli eventi che hanno portato alla caduta di Blaise Compaoré nel Burkina Faso.[6]

b. Le tuonanti dichiarazioni del portavoce del governo

Il portavoce del governo, Lambert Mende, ha affermato che gli attivisti di Y’en a marre e di Balai citoyen  sono stati arrestati perché stavano incitando i giovani congolesi alla violenza, attraverso una formazione al ricorso a mezzi e metodi violenti. «Un Burkinabe che ha fatto la rivoluzione in Burkina Faso è un rivoluzionario. Un Burkinabe che viene a fare la rivoluzione in Congo è un aggressore. E noi non ci lasceremo fare», ha dichiarato il portavoce del governo congolese.

«La RDCongo non è né il Burkina Faso, né il Senegal», ha ricordato Lambert Mende. «Non permetteremo che dei fratelli africani vengano ad incitare i giovani congolesi alla rivolta», ha assicurato. «I Burkinabe possono organizzare manifestazioni in Burkina Faso. I Senegalesi in Senegal. Ma venire a fare politica nella RDCongo, questo è interdetto dalle nostre leggi. Non possiamo accettare che vengano ad intossicare i nostri giovani», ha detto Lambert Mende, aggiungendo che, «se ufficialmente sono venuti per uno scambio di esperienze, in realtà, questi giovani burkinabe e senegalesi sono venuti a Kinshasa per insegnare ai giovani di questa città le tecniche per affrontare le forze di sicurezza e come mettere fine ad un regime senza attendere le elezioni».

Ha inoltre annunciato che un diplomatico statunitense arrestato con il gruppo è stato rilasciato la stessa sera. Sulla sua pagina Facebook, l’Ambasciata degli Stati Uniti nella RDC ha affermato che si tratta di un membro di USAID, un’organizzazione statunitense che aveva parzialmente sponsorizzato l’evento.

Il portavoce del governo ha aggiunto che la polizia è in possesso di prove secondo cui gli attivisti burkinabe e senegalesi arrestati avevano previsto di organizzare un altro seminario per insegnare ai giovani congolesi come fabbricare delle bombe Molotov.

«Gli attivisti di “Y’en a marre” e di “Balai citoyen” devono chiarire alcune questioni, tra cui quella relativa al loro domicilio nella RDC. Per ottenere il visto, avevano dichiarato che avrebbero alloggiato presso l’Hotel Venus, ma non vi hanno mai messo piede», ha sostenuto Lambert Mende, sospettando un “tentativo di rimanere nella RDCongo come clandestini“.

«Nulla di vero!», ha ribadito Yangu Kiakwama. Secondo lui, nel corso dell’intero seminario di “Filimbi” e nella conferenza stampa di chiusura, si è ripetuto più volte che “la violenza non è la soluzione”. «Ci rivolgiamo ai giovani per chiedere loro di impegnarsi, di essere dei cittadini responsabili», insiste respingendo ogni tentativo di etichettare il loro movimento come un gruppo sovversivo o contro il presidente Joseph Kabila.

Tra i Congolesi arrestati, c’è anche Fred Bauma, uno dei membri più importanti della Lucha, con sede a Goma. Secondo Serge Sivya, membro della stessa organizzazione, il Congo si sta facendo ridere dietro: «Questi fatti ridicolizzano il nostro paese, che vuole presentarsi come democratico, ma chiude la bocca ai difensori dei diritti dei cittadini e impedisce la libertà di espressione». Ha quindi aggiunto: «Non accetteremo mai che il treno della libertà e della democrazia, già in marcia nel nostro paese, sia bloccato da qualcuno. Ci siamo impegnati, come giovani cittadini, per l’avvento della democrazia nel nostro paese e nulla potrà fermarci, nemmeno gli arresti arbitrari».[7]

c. A Goma

Il 16 marzo, a Goma, nell’est della RDCongo, i toni si sono alzati. «Diamo 24 ore di tempo, affinché le autorità rilascino in libertà il nostro amico Fred Bauma e i nostri amici di Y’en a marre e di Balais citoyen. Altrimenti, organizzeremo grandi manifestazioni», ha affermato Simon Mukenge, membro del Movimento “Lotta per il Cambiamento” (Lucha).[8]

Il 17 marzo, a Goma, Lucha ha annunciato che nove dei suoi membri sono stati arrestati in mattinata e rilasciati in serata. I nove attivisti si erano recati davanti ai locali dell’Agenzia nazionale di intelligence per chiedere l’immediato rilascio degli attivisti detenuti a Kinshasa, tra cui Fred Bauma, uno dei loro membri.[9]

Il 18 marzo, sin dal mattino, una ventina di giovani di Lucha hanno organizzato un sit-in davanti la sede del governatore del Nord Kivu a Goma, per chiedere il rilascio degli attivisti arrestati a Kinshasa. Questi giovani hanno affermato di voler continuare a manifestare pacificamente fino a quando i loro colleghi arrestati a Kinshasa non siano rilasciati e si sono detti pronti a lasciarsi arrestare fino a quando il governo abbia saturato le sue carceri, pur di raggiungere il loro obiettivo.[10]

d. Le reazioni delle Ong per la difesa dei diritti umani

Secondo il responsabile per l’Africa della Federazione Internazionale per i Diritti Umani (FIDH), Florent Geell, quest’ondata di arresti è un cattivo segnale, per due motivi: «Come tutti i poteri dittatoriali, Kinshasa utilizza le accuse di terrorismo e di attentato alla sicurezza dello Stato, come mezzi per reprimere un movimento cittadino pacifico. Si tratta, purtroppo, di un segnale molto chiaro della volontà delle autorità congolesi di non volere elezioni trasparenti, democratiche e credibili … Questi attivisti hanno tentato di mobilitare la popolazione, soprattutto i giovani, affinché si rechino a votare, ma sono stati arrestati: ovviamente il governo congolese ritiene che più persone andranno a votare, meno bene sarà per lui. Si tratta di una vera e propria battuta d’arresto per la democrazia congolese, se davvero esiste oggi una democrazia congolese».
Il portavoce della diplomazia belga, Henrik Van de Velde, si è detto «preoccupato per l’inasprimento della libertà di espressione che questi arresti esprimono, per l’uso sproporzionato della forza e per il rischio di probabili arresti arbitrari».[11]

In una dichiarazione, Human Rights Watch (HRW) ha deplorato gli arresti effettuati e ha denunciato una repressione della libertà di espressione. «Pensiamo che sia un segnale molto preoccupante di una repressione della libertà di espressione e di riunione», ha dichiarato Ida Sawyer, ricercatrice senior presso HRW. Ella ritiene che questi arresti possano essere relazionati con il processo elettorale. «Gli attivisti sono stati arrestati dopo un seminario in cui si era discusso sull’importanza dell’impegno dei giovani nel processo politico ed elettorale. Si pensa che forse sia per questo che le autorità congolesi siano diventate irrequiete», ha detto Ida Sawyer. HRW ha chiesto la liberazione degli attivisti detenuti.

Da parte sua, la MONUSCO ha deplorato l’arresto dei militanti per la democrazia, sia a Kinshasa che a Goma. Il portavoce della missione Onu, Antoine Charles Bambara, ha ricordato che la Costituzione congolese riconosce la libertà di espressione, di manifestazione e di riunione e che, quindi, è necessario rispettarla.[12]

e. La liberazione e l’espulsione degli attivisti del Senegal e del Burkina Faso

Il 18 marzo, i quattro attivisti del Senegal e del Burkina Faso sono stati rilasciati, dichiarati persona non grata e espulsi dalla RDCongo. Il portavoce del governo, Lambert Mende, ha affermato che «l’obiettivo di questi quattro attivisti e dei loro colleghi congolesi era quello di perturbare il processo democratico ed elettorale nel nostro Paese. È per questo che abbiamo deciso di espellerli dalla nostra terra: essi non hanno il diritto di venire qui per fare politica. Essi sono venuti con l’obiettivo di cambiare il regime di un paese che non è il loro e ciò non è tollerabile».[13]

f. Altri attivisti congolesi rimangono ancora detenuti

Per quanto riguarda i Congolesi ancora detenuti in isolamento da parte dei servizi di sicurezza, il Ministro Mende ha affermato che saranno presentati dinanzi alla giustizia per attentato alla sicurezza nazionale. Egli ha aggiunto che «sono circolati molti soldi, sono stati aperti dei conti bancari sotto falsa identità … è stata creata anche una società falsa per invitare i tre Senegalesi e il Burkinabe. Si sono trovate delle uniformi militari. È quindi necessario che le persone che sono alla base di questa iniziativa siano presentate al Procuratore della Repubblica».[14]

Il 19 marzo, sei attivisti congolesi pro-democrazia sono stati rilasciati, mentre altri (circa dieci) sono rimasti ancora detenuti.[15]

Il 23 marzo, l’avvocato di sette attivisti congolesi per la democrazia ancora detenuti ha presentato una denuncia per “arresti arbitrari” dei suoi clienti.

Secondo una copia della lettera di Sylvain Lumu indirizzata al Procuratore Generale della Repubblica, si tratta di una “denuncia contro ignoti per sequestro, arresto arbitrario, detenzione, perquisizione illegale e violazione dei diritti garantiti alle singole persone”.

Sylvain Lumu ha precisato che questa denuncia riguarda la difesa di solo “sette” attivisti pro-democrazia arrestati. Ma, secondo lui, ci sono altri che sono stati arrestati, anche se non ha potuto specificarne il numero e l’identità.

Tra gli attivisti che egli difende, ci sono Fred Bauma, membro del movimento Lotta per il Cambiamento (Lucha), con sede a Goma, e Mi-yangu Kiakwama kia Kiziki, membro del movimento “Filimbi” e figlio di Gilbert Kiakwama, un deputato della Convenzione dei Democratici Cristiani (CDC), un partito di opposizione.[16]

Il 31 marzo, in una conferenza stampa organizzata a Goma, gli attivisti di Lotta per il cambiamento (Lucha), hanno chiesto il rilascio immediato e incondizionato del loro collega Fred Bauma, ancora detenuto a Kinshasa. Luc Nkulula wa-Mwamba ha accusato le autorità congolesi di non rispettare le leggi del Paese. «Fred Bauma e gli altri attivisti sono già in una situazione di arresto arbitrario. Sono stati arrestati senza un mandato di cattura. Rimangono detenuti già da due settimane, senza alcuna accusa ufficiale a loro carico e senza essere presentati alla giustizia», ha affermato Luc Nkulula.

L’articolo 18 della Costituzione congolese dispone che “la custodia cautelare non deve superare le 48 ore” e che “alla scadenza di tale termine, la persona detenuta deve essere rilasciata o messa a disposizione dell’autorità giudiziaria competente”.

Lucha chiede al popolo congolese di «non cedere né alla paura, né alle intimidazioni, né alla propaganda e alla disinformazione, ma di difendere la sua libertà di opinione, di espressione, di associazione e di manifestazione pacifica, ora gravemente minacciata», ha detto Luc Nkulula wa-Mwamba, precisando: «Noi non siamo un partito politico, ma un movimento cittadino per il cambiamento. Noi siamo qui a parlare in nome di chi non ha voce, come quelle donne commercianti ambulanti del carbone e dei fagioli che non hanno alcun spazio per parlare».[17]

g. La creazione d’una missione parlamentare d’inchiesta

Il 23 marzo, il deputato Gilbert Kiakwama ha presentato all’Assemblea Nazionale una mozione per chiedere l’immediato rilascio degli attivisti arrestati. Da parte sua, il Presidente dell’Assemblea Nazionale, Aubin Minaku, ha promesso l’istituzione di una missione di inchiesta per fare luce sull’accaduto: verificare dove e perché questi militanti siano detenuti.[18]

Il 27 marzo, il Presidente dell’Assemblea Nazionale, Aubin Minaku, ha firmato un ordine di missione di 10 giorni per 15 deputati, della maggioranza e dell’opposizione, in vista di una missione parlamentare d’inchiesta su questo caso.[19]

Il 2 aprile, i quindici deputati membri della missione parlamentare d’inchiesta, istituita in seno all’Assemblea Nazionale, hanno finalmente incontrato tre detenuti, Sylvain Saluseke, Fred Bauma e Yves Makwambala, gli ultimi tre che le autorità affermano di detenere. Secondo un membro della missione d’inchiesta, «per ora, nulla nei documenti messi a disposizione dalle autorità ha fatto menzione di una preparazione di atti terroristici o di bottiglie molotov». Faceva riferimento alle dichiarazioni del portavoce del governo, Lambert Mende.[20]

h. Nuovi arresti a Goma

Il 7 aprile, quattro membri di Lucha sono stati arrestati a Goma quando, in serata, stavano partecipando all’azione “fischietto” per la liberazione degli attivisti arrestati a Kinshasa e per il rispetto delle libertà civili. «Li abbiamo arrestato mentre stavano distribuendo dei volantini per strada», ha confermato una fonte della polizia che ha aggiunto, «li manteniamo in prigione perché disturbavano l’ordine pubblico. Sono quattro. Quando sarà il momento, saranno trasferirli davanti alle autorità competenti».

Su Twitter, Lucha ha dato i nomi delle quattro persone arrestate: Trésor Akili, Vincent Kasereka, Gentil Mulume e Sylvain Mumbere.

Il 1° aprile, Lucha aveva chiesto alla popolazione congolese di usare fischietti o fare rumore con qualsiasi altro oggetto ogni sera, per cinque minuti, alle 17:00 GMT, come segno di manifestazione per reclamare “la liberazione di Fred Bauma e dei suoi compagni” (almeno due), ancora detenuti a Kinshasa dall’Agenzia Nazionale dell’Intelligence sin dal 15 marzo.[21]

Il 10 aprile, i quattro membri di Lucha sono stati presentati alla giustizia e interrogati dal procuratore della Repubblica di Goma.[22]

Il 13 aprile, i quattro giovani attivisti di Lucha sono stati trasferiti alla prigione centrale di Munzenze, su ordine della Procura della Repubblica di Goma. I quattro attivisti di Lucha sono accusati di disturbo dell’ordine pubblico, attentato alla sicurezza dello Stato, distribuzione di volantini, incitamento alla rivolta e partecipazione a manifestazione non autorizzata.

Justin Kikandi, uno dei membri della Lucha, è furioso: «Non si può più parlare. È ciò che vogliono i servizi di sicurezza di questo paese e ci si chiede perché. Ma il tempo dell’opinione unica, del pensiero è già passato! Il nostro paese si chiama Repubblica Democratica del Congo e non Repubblica autocratica del Congo. (…) Non possiamo arrenderci. Continueremo a mobilitarci, perché crediamo nei valori della democrazia, della giustizia e del cambiamento, valori che vogliamo difendere ad ogni costo».

Lucha teme che i suoi membri imprigionati vivano “l’inferno”. La pratica, conosciuta come “l’inferno”, consiste nel fatto che i detenuti più anziani impongono certi lavori pesanti ai nuovi detenuti che non pagano una somma pari a 35 dollari USA. Il prigioniero insolvente viene costretto a svuotare, a mani nude, le fosse settiche della prigione e a rimanere a piedi nudi, senza le scarpe. I membri di Lucha e i loro avvocati hanno già presentato una richiesta di libertà provvisoria.[23]

i. La Società Civile continua a far pressione

Il 15 aprile, l’Associazione Congolese per l’Accesso alla Giustizia (ACAJ) ha chiesto, in un comunicato stampa, “l’immediato e incondizionato rilascio” dei tre membri della piattaforma Filimbi e di un numero imprecisato di altri attivisti arrestati il 15 marzo a Kinshasa, mentre partecipavano ad una conferenza internazionale sul buon governo e la democrazia in Africa. L’ACAJ ha chiesto anche la liberazione dei quattro attivisti di Lucha arrestati il 7 maggio a Goma, quando stavano partecipando ad una manifestazione indetta per esigere la liberazione dei loro colleghi detenuti a Kinshasa.

In particolare, il presidente dell’ACAJ, George Kapiamba, ha criticato il ruolo svolto dall’Agenzia Nazionale d’Intelligence (ANR): «Crediamo che la Repubblica Democratica del Congo sia uno Stato di diritto. Quindi non accettiamo che gli agenti dei servizi segreti si attribuiscano maggiori poteri rispetto a quelli che sono loro riconosciuti dalla legge, fino ad arrivare ad arrestare dei cittadini, tenendoli in isolamento, senza alcuna possibilità di ricevere visite da parte di familiari o di ottenere l’assistenza dei loro avvocati e senza presentarli dinanzi alle autorità giudiziarie competenti. Condanniamo e rimaniamo profondamente preoccupati per questa situazione».[24]

Il 16 aprile, in un comunicato, l’organizzazione per i diritti umani Human Rights Watch (HRW) ha qualificato l’incarcerazione dei quattro giovani di Lucha nel carcere di Munzenze, a Goma, nel Nord Kivu, di “repressione della libertà di espressione“. HRW ha anche condannato i maltrattamenti cui sono sottoposti questi giovani. «Secondo i miei colleghi, le condizioni del carcere sono molto dure. C’è un sistema di corruzione, secondo cui si deve pagare per non essere picchiati o maltrattati», ha affermato la ricercatrice di HRW, Ida Sawyer.

Human Rights Watch ha anche chiesto alle autorità congolesi di “liberare immediatamente” i tre attivisti congolesi arrestati a Kinshasa. Secondo HRW, si tratta di una detenzione “arbitraria”, perché nessuno di questi tre attivisti è stato formalmente accusato o “presentato alle autorità giudiziarie competenti”. Qualora non fossero rilasciati, le autorità dovrebbero metterli a disposizione delle autorità giudiziarie nel più breve tempo possibile.

In questo senso, Ida Sawyer ha affermato che: «Si auspica che siano assistiti da buoni avvocati e che ci sia un processo giusto, equo e credibile, in modo che siano rilasciati presto. Ci si augura che le autorità non continuino più con questo sistema di arrestare le persone, per il solo fatto di partecipare ad una manifestazione pacifica».

HRW ha parlato di «un movimento di repressione della libertà di espressione e di riunione che si sta intensificando» in vista delle elezioni presidenziali del 2016. HRW ha pertanto chiesto l’immediata liberazione dei sette attivisti “pacifisti” e l’apertura di “un’inchiesta su presunti maltrattamenti”.[25]

Il 12 aprile, tre dei fondatori del movimento cittadino congolese “Filimbi”, Floribert Anzuluni, Yangu Kiakwama e Franck Otete, hanno preso la via dell’esilio e sono arrivati in Belgio, dopo essersi nascosti per diverse settimane a Kinshasa, per sfuggire alla repressione organizzata dal regime di Joseph Kabila.[26]

Il 17 aprile, il governo degli Stati Uniti si è detto preoccupato per il protrarsi della detenzione degli attivisti per la democrazia congolesi a Kinshasa e a Goma. In una dichiarazione, il portavoce del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, Marie Harf, ha deplorato il fatto che questi giovani siano ancora detenuti senza alcuna accusa ufficiale e non possano usufruire dell’assistenza di un avvocato e ha affermato che, «pertanto, essi dovrebbero essere rilasciati». Gli Stati Uniti chiedono al governo della RDC di garantire che questi detenuti e molti altri possano usufruire di un giusto processo o siano rilasciati immediatamente, se alcuna accusa contro di loro è giustificata.[27]

Il 21 aprile, a Kinshasa, Sylvain Saluseke, uno dei tre attivisti congolesi appartenenti al movimento “Filimbi” è stato rilasciato durante la notte. Gli altri due attivisti, Fred Bauma e Yves Makwambala, arrestati a Kinshasa, sono rimasti in detenzione, senza che alcun motivo sia stato loro comunicato.[28]

Il 22 aprile, i quindici deputati della Commissione parlamentare d’inchiesta hanno finalmente terminato il loro rapporto. Dopo una settimana di incontri con tutti i servizi competenti, i deputati non hanno trovato alcuna prova incriminante contro gli attivisti detenuti da oltre un mese. Il rapporto dovrà essere sottoposto al Presidente dell’Assemblea nazionale, poi presentato a tutti i deputati per essere discusso in seduta plenaria.[29]

Il 24 aprile, dopo 40 giorni di detenzione da parte dei servizi segreti congolesi, Yves Makwambala è stato presentato al Pubblico Ministero, ma non gli è stata comunicata alcuna accusa, dovendo l’istruzione del suo dossier aver luogo la mattina del giorno successivo, quando egli potrà sapere se sarà accusato o rilasciato. Un altro attivista, Fred Bauma, del movimento “Lotta per il Cambiamento”, anche lui arrestato il 15 marzo, rimane ancora detenuto presso i servizi segreti: l’ultimo non ancora presentato davanti a un giudice.[30]

3. SCOPERTA DI UNA FOSSA COMUNE PRESSO IL CIMITERO DI MALUKU

Il 19 marzo, circa 425 corpi sono stati sepolti, di notte,  in una fossa comune, nel cimitero di Fula Fula, nel comune urbano-rurale di Maluku, a oltre 120 chilometri a est di Kinshasa. La scoperta è stata fatta dalla popolazione di quella zona, in seguito all’emanazione di cattivi odori. Essa ha subito informato la Monusco che, a sua volta, ha informato il procuratore della Repubblica, chiedendogli di aprire un’inchiesta su questo problema.

Alcune fonti attendibili hanno affermato che vi si potrebbero trovare anche dei corpi di persone uccise a Kinshasa durante gli avvenimenti del 19, 20 e 21 gennaio. Durante questi tre giorni, l’opposizione politica aveva organizzato delle manifestazioni per denunciare la revisione della legge elettorale, allora in discussione in Parlamento. La manifestazione era stata violentemente repressa dalla polizia e dalla Guardia Repubblicana.[31]

a. Le dichiarazioni del Governo

Il 3 aprile, il vice Primo Ministro e Ministro degli Interni, Evariste Boshab, ha invitato la Commissione dei Diritti Umani della Monusco, la rappresentante di Human Rights Watch e le ONG locali per i diritti umani, con l’obiettivo dichiarato di far luce su questo affare. Secondo Evariste Boshab, un’inchiesta amministrativa, che è stata condotta dal governatore della capitale e il cui rapporto è stato pubblicato il 3 aprile, ha dimostrato che i cadaveri sepolti nella fossa comune sono quelli dei poveri i cui corpi sono stati abbandonati, dalle loro, nelle varie strutture sanitarie della città e portati all’obitorio centrale.

Evariste Boshab Mabudj, ha respinto la versione secondo cui tra i corpi sepolti nella fossa comune ci siano anche quelli delle vittime delle manifestazioni di gennaio organizzate a Kinshasa.
Secondo lui, si tratta piuttosto di cadaveri di indigenti conservati da tempo presso l’obitorio centrale dell’ospedale generale di riferimento di Kinshasa, ex Mama Yemo e sepolti a carico del municipio di Kinshasa, su richiesta della direzione della camera mortuaria.

Secondo il rapporto del governo della città di Kinshasa, tra questi poveri ci sono corpi di persone che non avevano più alcuna relazione con le loro famiglie, corpi abbandonati, corpi non identificati e corpi di bambini nati morti registrati presso l’obitorio centrale.

Il Ministro dell’interno ha affermato che il governo sarebbe disposto a riesumare i corpi per scopi d’inchiesta, se gliene fosse presentata richiesta o se il dubbio persistesse.[32]

Il 7 aprile, in una conferenza stampa, il ministro provinciale del bilancio, pianificazione, lavori pubblici e infrastrutture, Robert Luzolano, ha dichiarato che «la sepoltura collettiva di persone indigenti è una pratica comune e un’operazione di routine». Egli ha sottolineato che nei soli ultimi 12 mesi, il Municipio ha proceduto a quattro sepolture collettive, le prime tre nel cimitero di Mikongo, a est di Kinshasa: «Il 2 aprile 2014, abbiamo sepolto 83 persone, l’8 giugno 2014, 343 persone, il 21 dicembre 2014, 98 persone e il 19 marzo 2015, 421 persone».

Tuttavia, due incaricati delle onoranze funebri smentiscono: nessuna traccia di fosse comuni nel cimitero di Mikongo chiuso, secondo loro, da aprile 2014, prima della creazione della prima fossa comune, secondo le date avanzate dalle autorità provinciali.

Robert Luzolano ha riferito che le 421 persone sepolte il 19 marzo a Maluku sono degli indigenti, fra cui 300 bambini nati morti e feti abbandonati in torrenti, fiumi e ospedali, 23 corpi abbandonati, 64 persone non identificate per mancanza di carte d’identità e 34 persone le cui famiglie non hanno potuto seppellirle, perché incapaci di sostenere le spese funerarie. Ha aggiunto che, tra i cadaveri, ci sono anche quelli provenienti da altri obitori e che sono stati portati all’obitorio centrale e che un numero imprecisato di questi corpi sono stati consegnati dalla Croce Rossa.

«Di solito, quando l’obitorio centrale è al completo, si chiede al Ministro della Popolazione di fornire uno spazio per la sepoltura di queste persone», ha spiegato. «Poiché l’obitorio centrale ha una capacità limitata, abbiamo sepolto le 421 persone nel cimitero di Fula Fula, a Maluku, e l’abbiamo fatto come al solito», ha dichiarato il ministro Luzolano. E se l’operazione del 19 marzo è stata condotta durante la notte, lo si è fatto «per motivi di igiene e di convenienza», ha assicurato il ministro provinciale, aggiungendo che i corpi erano già in stato di decomposizione. Per quanto riguarda la scelta del cimitero di Maluku, a più di 100 chilometri dal centro della città, si spiega per il fatto che il cimitero in cui hanno avuto luogo altre sepolture collettive era chiuso per lavori in corso, ha affermato il ministro provinciale.[33]

Il 9 aprile, a Kinshasa, il portavoce del governo Lambert Mende ha affermato che i vari rapporti pervenuti al Governo segnalano effettivamente l’inumazione, da parte dei servizi della Direzione dell’obitorio centrale di Kinshasa, di 421 corpi identificati come segue: 57 persone non identificate, 30 persone indigenti identificate, 300 bambini nati morti, 26 corpi abbandonati presso l’ospedale di San Giuseppe e 12 persone abbandonate presso l’ospedale generale di riferimento di Kinshasa.
Il totale è di 425 persone, ma a causa di un errore, quattro nomi sono stati ripresi due volte. Quindi, in realtà, si tratta piuttosto di 421 persone.

Secondo Lambert Mende, il regolamento dei servizi incaricati dei funerali e delle sepolture intende per “persone indigenti”, i resti trovati dai servizi sociali e dalla polizia, ma di cui non si conoscono né l’identità, né il legame di parentela. È il caso dei 57 corpi non identificati. Presso il municipio è disponibile una loro lista con il numero di riconoscimento, il sesso, l’età, la provenienza e la data di ammissione all’obitorio centrale di Kinshasa.

La normativa citata include nella categoria degli indigenti i corpi di persone conosciute dalla popolazione (identificate), ma abbandonate dopo la loro morte in obitori di strutture sanitarie. Un elenco di 30 persone appartenenti a questa classe è disponibile presso il municipio. Esso contiene i dettagli già menzionati nella lista dei non identificati, compresa la struttura sanitaria di provenienza.
Anche i 300 corpi appartenenti alla categoria dei bambini nati morti sono iscritti nel registro generale di deposito delle salme. Il rapporto del municipio precisa che, di solito, provengono dall’ospedale generale di riferimento di Kinshasa e dall’ospedale pediatrico di Kalembe-Iembe. A questo gruppo appartengono anche i corpi di bambini abbandonati in diversi altri posti.

Per quanto riguarda i 26 corpi abbandonati presso l’ospedale di San Giuseppe, essi sono stati trasferiti all’obitorio centrale di Kinshasa dall’ospedale di San Giuseppe, come documentato dalla lettera n. 1600 / HSJ / DA / MK / 122014 del 9 febbraio 2015.

Per quanto riguarda i 12 corpi abbandonati presso l’ospedale generale di riferimento di Kinshasa, essi sono stati trasferiti dallo stesso ospedale centrale all’obitorio il 3 marzo 2015. Presso il municipio, è disponibile l’elenco di queste  persone con le informazioni già citate per le altre liste.

La sepoltura di indigenti era già stata effettuata diverse volte anche prima degli avvenimenti di gennaio. Il 2 aprile 2014, gli stessi servizi municipali avevano proceduto alla sepoltura di 83 persone, tra cui 8 adulti abbandonati, 12 indigenti, 27 non identificati e 36 bambini nati morti e abbandonati. L’8 giugno 2014, nelle stesse condizioni erano state sepolte 343 persone: 13 adulti abbandonati, 23 indigenti, 40 corpi non identificati e 267 bambini nati morti. Il 21 dicembre 2014, erano stati sepolti 98 corpi, tra cui: 17 corpi abbandonati, 26 indigenti e 55 non identificati.

Secondo il portavoce del Governo, si tratta di un’operazione di routine che si effettua regolarmente per decongestionare l’obitorio centrale dell’ospedale generale di riferimento di Kinshasa che ha una capacità massima di 400 posti. Secondo lui, quindi, non c’è nulla che possa permettere un collegamento tra questo caso di sepoltura collettiva e gli eventi del 19-21 gennaio 2015.

Egli ha affermato che, per chiarire il caso della fossa comune di Maluku, è già in corso un’inchiesta. Per quanto riguarda l’esumazione dei corpi o meno, Lambert Mende ha sottolineato che solo gli investigatori potranno decidere su questo provvedimento, «se ciò potesse condurre alla verità dei fatti. L’esumazione è un dovere qualora il magistrato la ritenesse necessaria».[34]

b. Le dichiarazioni della Società Civile

L’Associazione Africana per la Difesa dei Diritti Umani (ASADHO) ha chiesto al governo di affidare l’inchiesta sui corpi sepolti nella fossa comune di Maluku ad una commissione indipendente. In una dichiarazione, l’ONG ha richiesto anche «la riesumazione dei corpi, per stabilire le circostanze in cui queste persone sono morte». L’ASADHO ritiene importante che le indagini sulla fossa comune di Maluku siano condotte da personalità indipendenti, al fine di «evitare una pura e semplice conferma della versione avanzata dal governo congolese». L’ASADHO ha raccomandato alla comunità internazionale di fornire agli investigatori tutti i mezzi logistici adeguati, affinché siano delucidate tutte le circostanze in cui queste persone sono morte. L’ASADHO ha espresso le sue riserve circa la versione del governo, in quanto «non stabilisce né determina le circostanze in cui queste persone sono morte». L’ONG si chiede: «i corpi portano segni di proiettili o di altre violenze esterne? Queste persone possono essere morte a causa di torture o trattamenti inumani o degradanti o no? Sono morte per cause naturali o no?».[35]

Secondo Human Rights Watch (HRW), molti elementi lasciano dubitare dell’identità delle persone sepolte a Maluku. «Riteniamo che, circa la fossa comune di Maluku, ci siano molte questioni senza risposta», ha affermato Ida Sawyer, ricercatrice presso la Divisione Africa di HRW, sospettando che i servizi di sicurezza congolesi abbiano sepolto nella fossa comune di Maluku delle vittime di due ondate di repressione. Secondo HRW, si potrebbe trattare delle vittime della “operazione Likofi”, condotta dalla polizia tra novembre 2013 e febbraio 2014, nel quadro della lotta contro le bande Kuluna di Kinshasa, e della repressione delle manifestazioni che si sono svolte nel mese di gennaio, per protestare contro un progetto di riforma elettorale. L’ONG aveva identificato rispettivamente 51 e 36 morti nelle due ondate di repressione. Sul suo account Twitter, Ida Sawyer, ha chiesto una «inchiesta rigorosa, indipendente e credibile per chiarire l’identità delle persone sepolte a Maluku e determinare se la fossa comune possa contenere i corpi di persone uccise durante le proteste di gennaio. E se, per saperlo, bisogna riesumare i corpi, che lo si faccia».[36]

Secondo il segretario generale per l’Africa della Federazione Internazionale per i Diritti Umani (FIDH), Paul Nsapu, «sono molti i dubbi sulle spiegazioni fornite dal governo». Ricordando la feroce repressione e le decine di morti (103 decessi) in occasione degli “attacchi” dei seguaci del pastore Mukungubila in dicembre 2013 a Kinshasa, Paul Nsapu ha confermato che «i corpi dei sostenitori di Mukungubila non sono mai stati trovati, esattamente come i corpi di molti manifestanti uccisi in gennaio 2015, prelevati dalla Guardia repubblicana negli ospedali Kinshasa per fare sparire gli elementi di prova».[37]

c. Per un’inchiesta indipendente e internazionale

Il 9 aprile, di fronte alle richieste di un’inchiesta indipendente e credibile, il portavoce del Governo, Lambert Mende, ha risposto che è già in corso un’inchiesta, che un primo rapporto è già stato presentato al pubblico ministero e che spetta alla giustizia di prendere la decisione di riesumare le salme o no: «Nessuno può rifiutare l’esumazione dei corpi se essa può permettere di arrivare alla verità. Non vi è alcuna condizione. L’unica condizione è che gli investigatori ritengano di averne bisogno». Secondo il portavoce del governo, è il Procuratore Generale della Repubblica che deve decidere di ordinare le riesumazioni. Tuttavia, secondo uno dei magistrati incaricati delle indagini, la riesumazione verrà decisa solo se ritenuta “interessante” o “necessaria” ai fini dell’indagine. Le autorità hanno confermato di volere condurre un’inchiesta “del tutto trasparente”. Tuttavia, rimane ancora una serie di interrogativi. Per esempio, non è ancora stata resa pubblica alcuna lista dettagliata contenente i nomi delle persone sepolte in quella fossa comune e la data del loro decesso. Da parte sua, l’opposizione ha richiesto un’indagine nazionale e internazionale.[38]

Una sessantina di deputati dell’opposizione hanno presentato una mozione di sfiducia nei confronti del Vice Primo Ministro e Ministro dell’interno e della sicurezza, Evariste Boshab.

Secondo Sami Badibanga, presidente del gruppo parlamentare dell’UDPS e alleati, le spiegazioni del vice primo ministro degli Interni e della sicurezza non hanno convinto l’opposizione. I sessanta deputati hanno firmato la mozione di sfiducia hanno accusato il Governo di non avere rispettato la legge che prevede che “le inumazioni siano effettuate in tombe separate”. Inoltre, la legge richiede la redazione di un certificato medico. Per questo, Sami Badibanga si è chiesto: «Si è proceduto all’identificazione delle salme? Si è chiesto il permesso di sepoltura? Perché prima del permesso di sepoltura, occorre un certificato medico che attesti il decesso e le sue cause». I firmatari della mozione di sfiducia hanno di nuovo richiesto «un’inchiesta indipendente e internazionale, con la riesumazione delle salme e il prelievo del DNA».

La legislazione in materia funeraria risale ancora all’epoca coloniale. Il testo di riferimento sulle dichiarazioni di morte, sui permessi di sepoltura, sui tempi limite per i funerali, su eventuali autorizzazioni per autopsia e sulle modalità delle esequie è  ancora un’ordinanza dell’autorità coloniale belga approvata il 15 marzo 1950 e consiste in un solo articolo. Si tratta dunque di una legislazione obsoleta che, essa stessa, si riferisce a delle normative firmate tra il 1907 e il 1915.[39]

Il 21 aprile, nel corso di una conferenza stampa, il Presidente dell’Associazione Africana per la difesa dei Diritti Umani (ASADHO), Jean Claude Katende, ha espresso il suo disaccordo sulla decisione del Governo di affidare l’inchiesta a un’istanza nazionale, il Tribunale di Kinkole, che ha rifiutato la possibilità di riesumare dei corpi, per conoscere le cause della loro morte. Per questo, l’ASADHO ha chiesto delle «indagini indipendenti e la riesumazione dei corpi». Inoltre, l’ASADHO ha proposto la creazione di una commissione internazionale indipendente per condurre tale indagine, con l’obiettivo di stabilire le vere cause e le circostanze di queste morti, perché la giustizia nazionale non potrà, secondo lui, che confermare la posizione già difesa dal Governo.[40]

[1] Cf Radio Okapi, 02.04.’15

[2] Cf Radio Okapi, 03.04.’15

[3] Cf Radio Okapi, 05.04.’15

[4] Cf Radio Okapi, 08.04.’15

[5] Cf Eric Wemba – Le Phare – Kinshasa, 07.04.’15

[6] Cf Cf Radio Okapi, 16.03.’15; RFI, 15.03.’15; AFP – Africatime, 16.03.’15 ; Trésor Kibangula et Benjamin Roger – Jeune Afrique, 16.03.’15

[7] Cf Radio Okapi, 16.03.’15; RFI, 15.03.’15; AFP – Africatime, 16.03.’15 ; Trésor Kibangula et Benjamin Roger – Jeune Afrique, 16.03.’15

[8] Cf Trésor Kibangula et Benjamin Roger – Jeune Afrique, 16.03.’15

[9] Cf RFI, 17.03.’15

[10] Cf Radio Okapi, 18.03.’15

[11] Cf RFI, 18.03.’15

[12] Cf Radio Okapi, 18.03.’15

[13] Cf Radio Okapi, 18.03.’15; RFI, 18.03.’15

[14] Cf Radio Okapi, 18.03.’15; RFI, 18.03.’15

[15] Cf AFP – Africatime, 19.03.’15

[16] Cf AFP – Africatime, 23.03.’15; RFI, 24.03.’15

[17] Cf Radio Okapi, 31.03.’15; AFP – Africatime, 31.03.’15

[18] Cf AFP – Africatime, 23.03.’15; RFI, 24.03.’15

[19] Cf RFI, 28.03.’15

[20] Cf RFI, 03.04.’15

[21] Cf AFP – Africatime, 08.04.’15

[22] Cf AFP – Africatime, 11.04.’15

[23] Cf Radio Okapi, 15.04.’15; RFI, 15.04.’15

[24] Cf AFP – Africatime, 15.04.’15; RFI, 16.04.’15

[25] Cf Radio Okapi, 16.04.’15; AFP – Africatime, 16.04.’15

[26] Cf Pierre Boisselet – Jeune Afrique, 17.04.’15

[27] Cf Radio Okapi, 17.04.’15

[28] Cf Radio Okapi, 22.04.’15

[29] Cf RFI, 25.04.’15

[30] Cf RFI, 25.04.’15

[31] Cf Radio Okapi, 04.04.’15

[32] Cf Radio Okapi, 04.04.’15; RFI, 06.04.’15

[33] Cf Radio Okapi, 07.04.’15; RFI, 08.04.’15; AFP – Africatime, 08.04.’15

[34] Cf Angelo Mobateli – Le Potentiel – Kinshasa, 09.04.’15; Radio Okapi, 09.04.’15

[35] Cf Radio Okapi, 08.04.’15

[36] Cf RFI, 08.04.’15; Pierre Boisselet – Jeune Afrique, 07.04.’15

[37] Cf Christophe Rigaud – Afrikarabia, 07.04.’15

[38] Cf RFI, 10.04.’15

[39] Cf RFI, 19.04.’15; Trésor Kibangula – Jeune Afrique, 22.04.’15

[40] Cf Dorcas Nsomue – Le Phare – Kinshasa. 22.04.’15