Congo Attualità n.230

INDICE

EDITORIALE: OPERAZIONI MILITARI E AZIONI NON MILITARI

  1. LE FORZE DEMOCRATICHE PER LA LIBERAZIONE DEL RUANDA (FDLR)
  2. Disarmo volontario
  3. Dopo l’ultimatum del 2 gennaio
  4. Difficoltà e rischi dell’operazione militare
  5. LE FORZE DEMOCRATICHE ALLEATE (ADF)
  6. IL MOVIMENTO DEL 23 MARZO (M23)
  7. IMMINENTE PUBBLICAZIONE DEL RAPPORTO ONU SULLA RDCONGO

1. LE FORZE DEMOCRATICHE PER LA LIBERAZIONE DEL RUANDA (FDLR)

 

a. Disarmo volontario

 

Il 28 dicembre, nell’est della RDCongo, pochi giorni prima della fine dell’ultimatum del 2 gennaio, dato dalla comunità internazionale alle Forze Democratiche di Liberazione del Ruanda (FDLR) per portare a termine l’operazione di disarmo volontario, 155 ribelli di questo gruppo armato si sono consegnati alle autorità militari della RDCongo e della Monusco.

Ottantatre combattenti hutu ruandesi delle FDLR hanno volontariamente deposto le armi nella località di Buleusa, a più di 200 km a ovest di Goma, nel territorio Walikale, nel Nord Kivu. Con loro, c’erano anche 38 familiari (donne e bambini). Altri diciassette combattenti erano ancora in viaggio, perché dovevano accompagnare altri familiari. I combattenti FDLR hanno consegnato 34 armi AK 47, un cannone 60 mm, un lanciarazzi, una mitragliatrice, 162 munizioni AK 47, 50 caricatori e 56 cartucce per la mitragliatrice.

Altri settantadue ribelli e 168 loro familiari (donne e bambini) si sono consegnati a Burhinyi, una località del territorio di Mwenga, situata a circa 80 chilometri da Bukavu, capoluogo del Sud Kivu.
Alla cerimonia di disarmo di Buleusa (Nord Kiu) hanno partecipato il vice governatore del Nord Kivu, alcuni membri del governo congolese, dei rappresentanti della SADC, della CIRGL e della MONUSCO. Il vice governatore del Nord Kivu, Feller Lutahichirwa, ha ringraziato le FDLR per la loro volontà di deporre le armi, ma ha avvertito che l’ultimatum del 2 gennaio 2015 stabilito dalla CIRGL e dalla SADC rimane in vigore. Il rappresentante della SADC, Conrandie Marius, ha aggiunto che questo è un ulteriore passo in avanti, necessario nel processo di pace nella regione, ma ancora insufficiente, perché non è che parziale e piuttosto tardivo. Subito dopo la cerimonia di disarmo, gli 83 combattenti e i 39 familiari sono stati trasportati, a bordo di veicoli della Monusco, al campo di Kanyabayonga, per una permanenza temporanea.

Secondo una fonte delle Nazioni Unite, i conti non tornano. Ci sono solo dei “piccoli pesci”, ha detto questa persona. Non ci sono comandanti, né ufficiali. Il numero dei combattenti che si sono arresi e la quantità delle armi consegnate non hanno nulla di significativo. L’ultimatum del 2 gennaio, dunque, è ancora necessario, ha aggiunto la fonte.

Il capo dei ribelli ruandesi, il generale Victor Byiringiro, ha affermato che la cerimonia di Buleusa non è una resa, ma un disarmo volontario e ha chiesto alla comunità internazionale di far pressione per ottenere un dialogo politico inclusivo in Ruanda che, ha detto, dovrebbe consentire il ritorno pacifico delle FDLR nel loro paese. Per questo, egli ha chiesto alla stessa comunità internazionale di non privilegiare la data del 2 gennaio 2015, come data limite per il loro disarmo volontario.[1]

Il 29 dicembre, all’indomani della resa volontaria delle FDLR alla Monusco a Mwenga, il presidente della la società civile del Sud Kivu, Descartes Mponge, si è detto preoccupato per la questione del disarmo dei ribelli ruandesi delle FDLR perché, secondo lui, non hanno alcuna volontà di aderire al programma di disarmo volontario. Secondo lui, l’unico modo per neutralizzarle definitivamente rimane la pressione militare.[2]

Il presidente dell’associazione dei cittadini di Lubero nel Nord Kivu, Donatien Mangane Kibulutwa, si è detto rammaricato per il fatto che, per quanto riguarda l’ultimatum dato alle FDLR per deporre le armi entro il 2 gennaio 2015, «solo un piccolo gruppo si è consegnato, mentre “i loro capi rimangono ancora nascosti nella foresta, il che non tranquillizza affatto la popolazione locale. Sarebbe stato rassicurante se, tra quelli che si sono consegnati, ci fosse stato anche qualche loro capo militare come, ad esempio, il colonnello Kizito, che è rimasto a Buleusa, o il colonnello Mushale, che abita non lontano da Buleusa». Donatien Mangane conferma che i ribelli delle FDLR sono ancora una grande minaccia per la sicurezza della popolazione: «solo nel mese di dicembre, abbiamo constatato 10 [casi di abusi nei confronti della popolazione], ma nel complesso, da quando sono arrivati, abbiamo calcolato più di 2.731 persone uccise».[3]

Secondo il Vice Presidente della Società civile del Nord Kivu, Omar Kavota, «anche se il disarmo volontario è una buona cosa, sarebbe però stato necessario adottare misure supplementari, per potere essere sicuri che le FDLR non potessero riorganizzarsi. C’è stato solo un ultimatum e,  durante questo periodo, si è lasciato fare alle FDLR, senza alcun controllo reale».[4]

b. L’ultimatum del 2 gennaio

Il 24 dicembre, il Ministro degli Esteri ruandese, Louise Mushikiwabo, nel corso di una conferenza stampa a Kigali, si è detta certa che l’ultimatum del 2 gennaio, dato alle FDLR per deporre volontariamente le armi, non sarà rispettato e che nessuna azione militare sarà intrapresa. «Vedendo il tipo di manipolazione su questo argomento e la mancanza di buona volontà, ora sappiamo che non possiamo che contare solo su noi stessi», ha affermato. «Il 2 gennaio non è una data magica. Ciò che sarebbe magico sarebbe un cambiamento di atteggiamento da parte di alcuni paesi e leader, in particolare sul nostro continente, nei confronti di questo gruppo di genocidari», ha continuato la ministro Mushikiwabo, assicurando che «da quando è stato dato l’ultimatum, Kigali già sapeva che non sarebbe successo nulla».[5]

Il 29 dicembre, una Ong americana per la prevenzione dei conflitti, Enough Project, ha dichiarato che se, dopo il 2 gennaio, data limite per il disarmo volontario delle FDLR, l’esercito congolese e le forze della Monusco inizieranno le operazioni militari contro di esse, una delle priorità dovrà essere  la protezione dei civili. «In caso di attacco, il pericolo è quello di rappresaglie contro i civili da parte delle FDLR. Nessun sforzo deve essere risparmiato per evitare che le comunità locali siano prese tra due fuochi», ha affermato Fidel Bafilemba, analista della ONG. Anche John Prendergast, direttore di Enough Project, ha invitato le Nazioni Unite, nel caso di un attacco, a «dare priorità alla protezione dei civili». Secondo Enough Project, le FDLR hanno approfittato del periodo che precede la fine dell’ultimatum per riorganizzarsi, intensificando il commercio dell’oro e del carbone per «comprare armi e munizioni da ufficiali dell’esercito congolese, con il quale continuano a collaborare e condividere  informazioni militari».[6]

Il 30 dicembre, il portavoce delle FDLR, La Forge Fils Bazeye, ha affermato che l’ultimatum della comunità internazionale, intimato loro per deporre le armi prima del 2 gennaio, “non ha alcun senso”. «Per noi, la data del 2 gennaio non ha alcun significato. (…) Il 2 gennaio dovrebbe essere significativo per Kigali, perché è Kigali che sta bloccando il nostro rientro in patria! Se aprisse uno spazio politico, si è pronti a rientrare immediatamente», ha detto La Forge Fils Bazeye, aggiungendo che, anche dopo la scadenza del 2 gennaio, «il processo di disarmo continuerà fino al suo completamento». Egli ha insistito sul fatto che, «se l’esercito congolese e la Monusco attaccheranno delle persone che hanno deposto le armi, dovranno solo contare i morti, perché non faremo alcuna resistenza».[7]

Il 2 gennaio, è scaduto ufficialmente l’ultimatum dato ai ribelli hutu ruandesi delle FDLR  per il loro disarmo volontario. Trascorso questo tempo, si dovrà ricorrere a delle operazioni militari per disarmarli con la forza, ma secondo il loro portavoce, La Forge Fils Bazeye, «normalmente si passa alle operazioni militari quando il dialogo e tutti i mezzi pacifici non hanno condotto ad alcun risultato». Da parte loro, le FDLR continuano a chiedere, invano, l’apertura dello spazio politico nel loro paese e un dialogo tra il governo ruandese e le varie componenti politiche e sociali del Ruanda.
In un’intervista a Radio Kivu1, il portavoce dei combattenti hutu ruandesi afferma di non capire perché la comunità internazionale chiede tutto alle FDLR e quasi nulla al regime Kigali. La Forge Fils Bazeye ha aggiunto che le FDLR non fanno altro che chiedere che si organizzi un dialogo inter-ruandese e che il presidente Paul Kagame apra uno spazio politico democratico in Ruanda, per consentire loro di tornare in patria e creare un partito politico. Ma il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, gli Stati Uniti in testa, il Ruanda e l’Angola non vogliono sentirne parlare. Secondo loro, le FDLR sono un gruppo armato con cui non si può negoziare perché alcuni suoi capi sono accusati di genocidio e, quindi, devono semplicemente consegnare le armi, ritornare in patria senza alcuna contropartita in termini di diritti politici o scegliere la via dell’esilio.[8]

Da parte del Ruanda, non è più possibile insistere su un disarmo volontario. A Kigali, il portavoce dell’esercito ruandese, Joseph Nzabamwita, ha confermato di sperare in un attacco imminente contro le FDLR, senza alcuna negoziazione supplementare.[9]

Il 2 gennaio, in una dichiarazione letta alla televisione nazionale (RTNC), il Ministro della Giustizia e Guardasigilli, Alexis Tambwe Mwamba, si è rammaricato del fatto che, nonostante tutte le esortazioni e i vari incentivi, il processo di disarmo volontario delle FDLR non abbia prodotto i risultati sperati. Ne ha dunque dedotto che, di fronte ai ribelli hutu ruandesi che non si sono ancora disarmati volontariamente, l’opzione militare è ormai diventata inevitabile.

Poco prima, il gruppo degli inviati speciali della Comunità internazionale aveva espresso preoccupazione per il fatto che le FDLR non avessero proceduto al disarmo volontario entro la scadenza del 2 gennaio 2015. In un comunicato stampa, i sei inviati internazionali avevano quindi sollecitato un’azione militare decisiva contro di loro e avevano esortato il governo congolese, la Monusco e la Brigata d’intervento a neutralizzare questi combattenti, conformemente alle risoluzioni 2098 e 2147 del Consiglio di Sicurezza. Nel loro comunicato ufficiale, gli inviati speciali internazionali avevano già dichiarato che «ormai, nulla impedisce il disarmo forzato delle FDLR», aggiungendo che la responsabilità di porre fine alla minaccia delle FDLR non è solo della RDCongo, ma anche della Comunità regionale e internazionale.[10]

c. Difficoltà, rischi e contraddizioni di un’operazione militare

Presto inizierà forse una nuova operazione militare nell’est della RDCongo, ufficialmente per sconfiggere definitivamente i ribelli hutu ruandesi delle FDLR. L’operazione, ovviamente, genererà nuovi drammi individuali e collettivi di cui la RDCongo avrebbe ben voluto farne a meno. Poche sono le voci che osano dire che oggi qualsiasi azione militare contro le FDLR non è né necessaria né portatrice di soluzioni durevoli al problema della loro presenza nella RDCongo. In realtà, le autorità di Kinshasa e della Monusco inizieranno questa operazione per “conformarsi” alle pressioni del presidente ruandese Paul Kagame, che ha minacciato di mandare di nuovo le sue truppe nell’est della RDCongo.

Sarà di nuovo una guerra con le stesse popolazioni prese di mira. Eppure è ancora possibile avere un po’ di lucidità e far notare che, di fronte ai drammi provocati da azioni militari, la minaccia del nemico da combattere deve essere sufficientemente grande. Attualmente, nessuna minaccia immediata contro la sicurezza del Ruanda, da parte delle FDLR, giustifica la volontà di fare ricorso alla forza. Inoltre, per quanto riguarda la RDCongo, dopo la sconfitta del loro avversario, il M23, in novembre 2013, le FDLR hanno assunto un profilo piuttosto basso. Nello stesso tempo, le FDLR continuano a chiedere un dialogo con Kigali, per facilitare il loro ritorno in Ruanda, unica soluzione possibile alla crisi. Questa è anche l’idea che il presidente della Tanzania, Jakaya Kikwete, aveva proposto in maggio 2013 e che i sostenitori di una opzione militare fanno di tutto per nascondere. D’altronde, non è ancora chiaro quale soluzione miracolosa potrebbe produrre l’operazione militare in corso di preparazione, sapendo che, in passato, i vari tentativi di neutralizzare militarmente le FDLR sono tutti falliti, originando drammi umanitari che hanno minato, per lungo tempo, le possibilità di una pace duratura nella regione. Sarà quindi necessario che chi sta per provocare un ulteriore spargimento di sangue nel Kivu sia pronto ad assumersene, domani, la responsabilità, sapendo che questa opzione militare non è affatto necessaria.

Inoltre, non si deve perdere di vista una serie di questioni relative alla problematica delle FDLR che possono articolarsi intorno ai seguenti quattro punti:

  1. Le FDLR non sono un esercito classico. In realtà, si parla di gruppi di famiglie hutu. Al primo sparo, si è quasi certi di uccidere o di ferire una donna, un bambino o un malato, … (obiettivi non militari). I pochi combattenti che cercano di proteggere le loro famiglie si spostano, ovviamente, circondati da queste famiglie. Lanciare un’operazione militare contro le FDLR significa, quindi, decidere di commettere dei massacri di popolazioni civili. Non potrebbe essere diversamente.
  2. Sapendo che non si dovrebbe ricorrere all’opzione militare se non quando tutte le altre opzioni sono esaurite, occorrerebbe che chi chiede un’azione militare contro le FDLR prometta di assumersi personalmente e individualmente la responsabilità dei massacri e, inevitabilmente, degli stupri e dei saccheggi che saranno commessi a margine dell’operazione che si sta preparando.
  3. Le FDLR sono una forza composta al massimo di 1.300 combattenti mal equipaggiati che non rappresentano più una seria minaccia per il regime di Kigali, il cui esercito è descritto come il più grande della regione in termini di effettivi. Avviare un’operazione militare contro le FDLR inciterebbe quelli che non hanno ancora deposto le armi a radicalizzarsi ancora di più, mentre quelli che l’hanno già fatto potrebbero riprendere le armi per andare in soccorso dei loro compagni. In tal modo, le possibilità di una soluzione pacifica alla crisi si ridurrebbero di molto.
  4. L’esercito congolese (FARDC), anche se appoggiato dai contingenti della MONUSCO, non è in grado di sconfiggere le FDLR. L’ultima volta che ha tentato di neutralizzare la FDLR è stato un fiasco monumentale. Le operazioni Umoja Wetu, Kimia II e Amani Leo si sono tutte concluse con un fallimento.

L’operazione Umoja Wetu è stata condotta da una coalizione delle RDF (esercito ruandese) e delle FARDC (esercito congolese), nel periodo gennaio-marzo 2009. Non solo non ha permesso di neutralizzare le FDLR, ma ha permesso al Ruanda di fare entrare nella RDCongo migliaia di suoi militari. Alla fine dell’operazione, più di 12.000 soldati ruandesi sono scomparsi nella foresta.

L’operazione Kimia II è stata lanciata sulla scia dell’operazione Umoja Wetu. Era condotta, di fatto, sotto il comando del generale tutsi Bosco Ntaganda. È stata l’occasione per massacrare, su vasta scala, le popolazioni hutu (ruandesi e congolesi), senza tuttavia riuscire a smantellare le strutture delle FDLR, rimaste intatte, secondo il rapporto di dicembre 2009 pubblicato da Human Rights Watch.
L’operazione Amani Leo è stata lanciata nel gennaio 2010 per un periodo iniziale di tre mesi. Si è prolungata nel tempo, perché gli ufficiali dell’esercito si sono piuttosto dedicati al commercio illegale dei minerali. L’operazione si è definitivamente impantanata con lo scoppio della guerra del M23, in aprile 2012.

Le tre operazioni sono state l’occasione per il Ruanda e l’Uganda, con la complicità di Kinshasa, di rilanciare le filiere del contrabbando di minerali che avevano creato durante la lunga occupazione dell’est della RDCongo (1998-2003). Gli obiettivi militari, branditi nei discorsi ufficiali, non erano che falsi pretesti.

Queste operazioni hanno dimostrato le difficoltà che ci sono per sconfiggere dei combattenti che conoscono perfettamente il terreno ed evitano gli scontri diretti, spostandosi avanti e indietro. Davanti all’avanzata dell’esercito, le FDLR e i loro familiari fuggivano verso le zone dell’interno, difficili da raggiungere per le truppe impegnate nelle operazioni. Quando poi queste truppe si ritiravano dalle zone operative, le FDLR le rioccupavano subito dopo. Dopo il ritiro delle truppe governative, le FDLR attaccavano la popolazione per “punirla” per aver collaborato con le forze che le avevano inseguite.

  1. Nella Repubblica Democratica del Congo, qualsiasi siano le motivazioni ufficiali avanzate, la guerra è sempre un’opportunità per un accaparramento delle risorse minerarie. Il Ruanda, che fa pressione sulle Nazioni Unite, per condurre l’operazione militare contro le FDLR, evita accuratamente di menzionare la questione del coltan e dei benefici che nuovi disordini nell’est della RDCongo potrebbero apportargli. Sin dal rapporto Kassem sul saccheggio del Congo, si sa che le FDLR (vere e false) sono un pretesto di cui il regime di Kigali e i suoi alleati si servono per legittimare il controllo ruandese sull’est della RDCongo. Da ricordate che il Ruanda è diventato il più grande esportatore di tantalio / coltan del mondo, con il 28% della produzione totale mondiale, un minerale che importa illegalmente dall’est della RDCongo mantenendovi costantemente la guerra. Se la pace ritornasse nell’est della RDCongo, in conformità con la legge Dodd-Frank, la RDCongo potrebbe essa stessa esportare la maggior parte dei suoi minerali etichettati “senza conflitto”, il che potrebbe rovinare l’economia ruandese dal giorno alla notte.

La legge Dodd-Frank è stata approvata dal Congresso degli Stati Uniti il 12 luglio 2010. In particolare, si propone di impedire l’immissione sul mercato internazionale di quattro minerali (tantalio / coltan, oro, stagno e tungsteno) provenienti dalla RDCongo, per il fatto che questi minerali stanno alimentando dei conflitti armati in corso. In pratica, questa legge priva la RDCongo della possibilità di vendere direttamente i propri minerali finché dureranno i disordini nelle regioni minerarie dell’Est, una disposizione di cui approfittano sia il Ruanda che l’Uganda. Provocando continui disordini nell’est della RDCongo, questi due Paesi esportano i minerali saccheggiati nell’est della RDCongo, facendoli passare come loro produzioni nazionali.

Il presidente ruandese sa bene che le operazioni contro le FDLR falliranno, ma sa anche che esse provocheranno ulteriori disordini nel Kivu. In questa situazione di disordini, dei gruppi armati prossimi al governo di Kigali, e anche alcune unità delle FARDC legate al governo del Ruanda, rilanceranno il contrabbando dei minerali attraverso la frontiera.

Infine, Kagame sa che Joseph Kabila, suo alleato a Kinshasa, non sa come legittimare il suo mantenersi al potere oltre il limite costituzionale del 2016, avendo i Congolesi rifiutato qualsiasi idea di modificare la Costituzione. Rilanciare la guerra nell’est della RDCongo offrirebbe a Kabila un’occasione d’oro per legittimare il suo rimanere al potere.[11]

Varie sono le difficoltà che esistono a proposito di un disarmo forzato dei membri delle FDLR da parte delle truppe delle FARDC e della Brigata Speciale della MONUSCO.

Nei campi dei combattenti delle FDLR si è constatata la presenza anche dei loro familiari e di altri rifugiati ruandesi che sono usati come scudi umani da alcuni capi delle FDLR direttamente implicati nel genocidio del 1994. Essi sono anche utilizzati per lavorare nelle miniere o per lavori domestici, commerciali o agropastorali. Gli esperti fanno dunque notare che, in caso di un’operazione di disarmo forzato, ci saranno molte vittime innocenti tra i rifugiati ruandesi e, soprattutto, una fuga generalizzata delle popolazioni congolesi locali.

Inoltre, nei vari campi delle FDLR, sono presenti anche agenti dei servizi di sicurezza del Ruanda. Si tratta di quelli che sono passati per il centro di smobilitazione, rieducazione e reinserimento di Mutobo, in Ruanda. Dopo sei mesi di riqualificazione nel centro, sono stati inseriti ufficialmente nella vita civile ma, in realtà, vari di loro sono poi stati inviati nei campi delle FDLR della RDCongo per conto dei servizi di sicurezza ruandesi. Anch’essi sono implicati in quel traffico mafioso che gli strateghi del FPR usano per mantenere un clima di né pace, né guerra nell’est della RDCongo.

Un’altra difficoltà per il disarmo forzato è il fatto che i capi politici e militari delle FDLR non vivono nei campi. Essi si trovano nelle capitali occidentali come rifugiati politici o per negoziare la vendita dei minerali estratti nella RDCongo. Sono loro che si oppongono ferocemente al programma di disarmo volontario finché non ci siano negoziati diretti con Kigali. Sono loro che, maliziosamente, giocano al ping-pong con i loro complici del FPR, per continuare il lavoro sporco di saccheggio delle risorse minerarie della RDCongo, di cui condividono gli utili con uomini d’affari e alti ufficiali ruandesi.

Da una parte, la presenza delle FDLR nel grande Kivu è sempre servita come falso pretesto per l’attuale regime ruandese, per creare, secondo le varie circostanze, movimenti ribelli congolesi e camuffare, in tal modo, le sue operazioni mafiose di saccheggio delle risorse naturali della RDCongo. Molti ufficiali militari, esponenti politici e uomini d’affari ruandesi sono stati infatti citati nei vari rapporti delle Nazioni Unite, perché implicati nel traffico di materie preziose.

D’altra parte, il governo congolese si è servito delle FDLR per combattere contro le varie pseudo ribellioni filo ruandesi. In cambio, le FDLR hanno usufruito di un forte sostegno da parte di alcuni gruppi delle FARDC. Infatti, implicate in atti di saccheggio delle risorse naturali, tra cui l’oro, il coltan e il legname, per conto di alcuni alti ufficiali dell’esercito e di autorità amministrative e politiche residenti a Kinshasa, ricevevano in cambio armi e munizioni.

Più particolarmente, nei territori di Walikale, Masisi, Rutshuru e Lubero, ci sono dei siti minerari gestiti congiuntamente da membri delle FDLR, delle FARDC e dei MAI MAI a nome di gruppi mafiosi complici con i più alti livelli del comando militare e delle istituzioni politiche. Aerei Antonov atterrano e decollano giorno e notte per consegnare prodotti finiti, comprese bevande alcoliche, viveri inscatolati o freschi importati dall’Asia e dall’Europa, cosmetici, pezzi di ricambio per autoveicoli e motocicli, medicine, armi e munizioni in cambio di minerali. Si assiste a scene incredibili di baratto tra i membri delle FDLR, FARDC, MAI MAI e i membri degli equipaggi di questi aerei atterrati su piste improvvisate in terra battuta e, di notte, illuminate dai fari di veicoli 4X4 per orientare i piloti. Si sa che i radar installati nelle varie torri di controllo dei principali aeroporti del Paese, tra cui Kinshasa, Kisangani, Mbujimayi, Kananga, Lubumbashi, Goma, Bukavu e Kindu monitorano continuamente tutti i movimenti di qualsiasi aereo che sorvola lo spazio aereo della Repubblica. I servizi di sicurezza militari e civili che operano in questi aeroporti sono ben informati sul tipo dell’aeronave, sulla composizione dell’equipaggio e sul carico contenuto sia all’atterraggio che al decollo.[12]

 

2. LE FORZE DEMOCRATICHE ALLEATE (ADF)

 

Il 14 dicembre, l’amministratore del territorio di Mambasa, nell’Ituri (Provincia Orientale), si è detto preoccupato per la presenza, nel suo territorio, situato a 200 km a sud-ovest di Bunia, di un gruppo di uomini armati sospettati di essere dei ribelli ugandesi delle ADF. Ha affermato che questi uomini armati sono stati visti tre giorni prima dagli abitanti del raggruppamento di Samboko, al confine con il territorio di Beni. Secondo fonti locali, una colonna di uomini in uniformi militari, armati di fucili e machete, il 12 dicembre hanno attraversati il raggruppamento di Samboko e sono entrati nella foresta di Mambasa. Questa presenza ha creato il panico tra la popolazione che è fuggita verso Oicha. Secondo il comandante della 32ª Regione Militare delle Forze Armate della RDCongo (FARDC), Jean-Pierre Bongwangele, è ancora presto per identificare gli uomini armati come ADF Nalu. Tuttavia, ha detto di avere istruito i suoi uomini ad essere vigili, per evitare che la tragedia di Beni si ripeta nell’Ituri.[13]

Il 18 dicembre, durante la notte, sei persone sono state uccise all’arma bianca nella collettività di Welesse Vonkutu, nel territorio d’Irumu (Provincia Orientale). Secondo i sopravvissuti, gli aggressori parlavano in swahili. Anche questo massacro è attribuito ai ribelli ugandesi delle ADF.[14]

Il 25 dicembre, nel corso della notte, sei persone sono state uccise e altre cinque gravemente ferite, tra cui un bambino di un mese, da presunti ribelli ugandesi delle ADF, in località Ndalya, situata a circa 150 km a sud ovest di Bunia (Provincia Orientale) e a 15 km a nord di Eringeti, appartenente al territorio di Beni (Nord Kivu). Il capo della collettività di Walese Vonkutu ha affermato che questo è il secondo attacco registrato nella sua entità nel giro di una settimana e chiede il dispiegamento delle FARDC nella zona, per impedire l’incursione di questi ribelli nel territorio d’Irumu, nell’Ituri. Secondo il comandante del settore operativo delle FARDC in Ituri, il generale David Rugay, gli aggressori si sarebbero infiltrati tra gli sfollati arrivati dal Nord Kivu.[15]

Il 26 dicembre, al mattino presto, undici persone sono state uccise, tra cui tre donne e otto uomini, nel villaggio di Ndume, in piena foresta della collettività di Walese Vonkutu, in Ituri (Provincia Orientale). Sono stati registrati anche cinque feriti gravi. Il capo della collettività, Andibo Okaume, ha affermato che l’attacco è stato condotto da presunti ribelli ugandesi delle ADF.[16]

Il 1° gennaio, le FARDC e le truppe della Monusco hanno iniziato la seconda fase delle operazioni militari congiunte condotte contro i ribelli ugandesi delle ADF nel territorio di Beni. L’obiettivo è quello di neutralizzare completamente questi ribelli. Le operazioni sono cominciate dalle località di Kayinama, Medina e Mama na Hema, situate a 70 chilometri dalla città di Beni.

Le truppe della Brigata d’intervento della Monusco sono impegnate a fianco dell’esercito congolese. Le operazioni congiunte comprendono un’operazione di rastrellamento dei villaggi in cui le ADF sono ancora presenti. Le FARDC e la MONUSCO prevedrebbero un periodo di sette giorni per portare a termine l’operazione. Questa seconda fase delle operazioni congiunte FARDC-MONUSCO contro le ADF e iniziata dieci giorni dopo la fine della prima fase, avviata il 13 dicembre 2014 che consisteva nella ricerca e nell’inseguimento delle ADF nella zona di Beni.[17]

Il 3 gennaio, appoggiate dalla Brigata d’intervento della Monusco e dopo intensi scontri con i ribelli ugandesi delle ADF, le FARDC hanno ripreso il controllo del villaggio di Abya, a circa 70 km a nord-est della città di Beni. Secondo il comandante dell’operazione “Sokola II”, il generale Muhindo Akili Mundosi, cinque ribelli sono stati uccisi e altri quattro feriti. Le fonti di sicurezza nella regione considerano la località di Abya come una posizione strategica, in cui le ADF avevano iniziato, negli ultimi mesi, a riorganizzarsi. Secondo le fonti, le FARDC e le truppe della Brigata di intervento delle Nazioni Unite stanno avanzando verso Kahamba, un villaggio vicino alla località di Medina.[18]

Il 4 gennaio, nel tardo pomeriggio e, dopo pesanti combattimenti contro i ribelli ugandesi delle ADF, le FARDC e la Brigata d’intervento della MONUSCO hanno preso il controllo di Mavume, situata a 90 chilometri da Beni. Il comandante dell’operazione “Sokola1”, il generale Muhindo Akili Mundosi, ha affermato che è stato ucciso un ribelle e che è stata recuperata una grande quantità di  documenti utilizzati per l’istruzione dei ribelli, di farmaci e di teloni nuovi utilizzati come tende per i ribelli. Secondo il generale Muhindo, le cose recuperate indicano la riorganizzazione del gruppo e l’esistenza di una filiera di approvvigionamento.[19]

Il 10 gennaio, le FARDC, appoggiate dalla Brigata d’Intervento della Monusco, hanno ripreso, senza alcun combattimento, il controllo dei campi Pilote e Issa, due importanti campi dei ribelli ugandesi ribelli delle ADF. Entrambi i campi si trovano nel Parco Nazionale dei Virunga, a sud est della città di Beni. Secondo il comandante dell’operazione militare Sokola1, il generale Muhindo Akili Mundosi, nella loro fuga, le ADF hanno abbandonato diverse cose, tra cui una grande quantità di farmaci, utensili da cucina e un sacco pieno di machete nuovi. Inoltre, precisa che la coalizione Fardc – Monusco continua a inseguire il nemico nel Parco Nazionale dei Virunga. Altre fonti militari affermano che le ADF sembrano avere rinunciato a combattere e che si sospetta delle infiltrazioni dei ribelli tra la popolazione civile.[20]

3. IL MOVIMENTO DEL 23 MARZO (M23)

 

Il 28 dicembre, sessanta ex ribelli del M23 sono arrivati a Bunia (Provincia Orientale) provenienti dall’Uganda. Erano arrivati il 27 dicembre in serata a Goli, un villaggio al confine tra Uganda e RDCongo, nel territorio di Mahagi. Accolti da un gruppo di ufficiali delle FARDC, hanno continuato il loro viaggio su strada verso Bunia. Questi ex combattenti sono stati inviati alla base militare di Kamina, in Katanga, dove hanno raggiunto gli altri 120 ex M23  rimpatriati dall’Uganda dieci giorni prima. Il generale Jean Pierre Bongwangela, comandante della 32ª Regione Militare delle FARDC, ha rivelato che gli ex ribelli hanno chiesto di essere integrati nell’esercito congolese.[21]

Il 10 gennaio, il coordinatore per l’attuazione delle dichiarazioni di Nairobi per conto del M23, René Abandi, in una sua lettera indirizzata al Presidente degli ex ribelli, Bertrand Bisimwa, ha annunciato le dimissioni dal suo incarico. Nella sua lettera, René Abandi accusa Kinshasa di non volere attuare le dichiarazioni di Nairobi e di organizzare un rimpatrio degli ex ribelli che ignora e viola queste dichiarazioni.
Da parte sua, il responsabile dell’attuazione delle dichiarazioni Nairobi per conto del governo congolese e coordinatore del meccanismo nazionale di monitoraggio (MNS) della messa in atto dell’accordo quadro di Addis Abeba, Francois Mwamba, respinge queste accuse, affermando che «il rimpatrio degli ex-miliziani del M23 viene effettuato in virtù di un accordo siglato tra Kinshasa e Kampala, in dicembre, sotto l’egida della CIRGL e della SADC e viene realizzato volontariamente e in modo trasparente». Per quanto riguarda l’attuazione delle dichiarazioni di Nairobi, Mwamba ha detto: «Lascio giudicare ai garanti che sono la CIRGL e la SADC».[22]

Questi ex ribelli del M23 non chiedono il reinserimento nella vita civile, ma l’integrazione pura e semplice nelle FARDC. Secondo loro, il governo congolese si era impegnato a integrarli nell’esercito nazionale dopo il loro rimpatrio dall’esilio. È noto che durante i colloqui tra il M23 e il governo a Kampala, lo stesso M23 aveva chiesto l’integrazione dei suoi membri nelle FARDC, ma la delegazione congolese aveva fissato una linea rossa da non superare, perché si sa che il modo migliore per minare le FARDC è quello di integrarvi degli ex ribelli. Una volta integrati, questi faranno di tutto per destabilizzarle dal di dentro, come è successo con il RCD-Goma e il CNDP. Sono gli stessi che ora sono nel M23. È per questo che il governo congolese ha escluso qualsiasi integrazione degli ex ribelli, soprattutto perché la maggior parte di loro sono dei recidivi e dei disertori. Erano già stati integrati nelle FARDC almeno una volta. Le dichiarazioni di Nairobi non prevedono alcun sistema di integrazione degli ex-M23. Nairobi ha invece messo la croce sullo principio stesso della reintegrazione di questi ex ribelli filo-ruandesi che, all’epoca del CNDP, chiedevano addirittura di essere dispiegati solo nel Nord Kivu.[23]

4. IMMINENTE PUBBLICAZIONE DEL RAPPORTO ONU SULLA RDCONGO

 

Nei prossimi giorni, il gruppo degli esperti delle Nazioni Unite per la RDCongo dovrebbe rendere pubblico il suo rapporto annuale del 2014. Dieci pagine sono dedicate alle Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR).

La constatazione finale degli esperti delle Nazioni Unite è chiara: le FDLR non hanno dimostrato alcuna chiara volontà di deporre le armi. I membri delle FDLR che si sono consegnati non sono graduati, per lo più sono anziani e con armi in cattivo stato. I capi delle FDLR hanno inviato nei campi di transito dei combattenti a loro non necessari. Anche se i capi militari hanno il controllo effettivo sulle loro truppe, sono però divisi tra una vecchia guardia, alcuni dei quali sono accusati di genocidio, e una generazione più giovane, favorevole ad una negoziazione.

Inoltre, dice il rapporto, le FDLR hanno anche collegamenti politici, ma non con la RNC del generale Kayumba Nyamwasa, come Kigali afferma. Non ci sono le prove di un appoggio finanziario o materiale, dichiarano gli esperti. Eppure, gli ultimi processi, come quello del terrore o quello del cantante Kizito Mihigo, partono dal postulato che questi due gruppi collaborano insieme.

Tuttavia, il gruppo di esperti ha potuto verificare alcune delle affermazioni del governo ruandese su alcuni viaggi dei capi delle FDLR in Tanzania o di trasferimenti di denaro dalla stessa Tanzania.
A proposito di eventuali operazioni militari contro le FDLR, gli esperti sottolineano due tipi di problemi: le complicità locali tra l’esercito congolese e le FDLR, ma anche la presenza di rifugiati ruandesi a lato dei combattenti.

Secondo il rapporto, vi è una collaborazione delle FDLR con degli ufficiali locali dell’esercito congolese per il commercio di carbone, legname e oro, fonti di reddito per i ribelli hutu ruandesi. Tale reddito può  ammontare a centinaia di migliaia di dollari. Merci in cambio delle quali le FDLR otterrebbero munizioni dalle FARDC.

Infine, il gruppo di esperti afferma che, data la vicinanza geografica tra rifugiati ruandesi e combattenti delle FDLR, eventuali operazioni militari potrebbero causare numerose vittime civili e ingenti spostamenti di popolazioni.[24]

Un altro gruppo armato su cui gli esperti dell’Onu si sono concentrati, è quello dei ribelli ugandesi delle Forze Democratiche Alleate (ADF), accusate in questi mesi di aver compiuto numerosi massacri in territorio Beni, nell’est della RDCongo. Tuttavia, il gruppo di esperti dubita che tutti questi atti di violenza siano stati commessi solo dalle ADF.

Gli esperti delle Nazioni Unite sottolineano soprattutto la mancanza di analisi critica e indipendente sulle ADF e sull’origine della violenza in territorio Beni.

Il gruppo di esperti ha intervistato separatamente alcuni sopravvissuti ai massacri e nessuno di loro è stato in grado di identificare gli assalitori. Tuttavia, ciò che sembra fare dubitare il gruppo di esperti è il modus operandi di alcuni di questi attacchi.

Il gruppo di esperti ha dapprima indagato sulle lingue parlate dagli autori di queste atrocità. In alcuni siti, il Luganda – una lingua ugandese – e il Swahili possono infatti far pensare alle ADF, ma in altri siti, secondo i testimoni, gli aggressori parlavano il lingala o addirittura il kinyarwanda. Ma secondo degli ex ADF, queste ultime due lingue non sono utilizzate dai ribelli ugandesi.

Un altro dubbio sull’implicazione della ribellione ugandese in alcune atrocità riguarda le uccisioni dei bambini. Il gruppo di esperti ritiene che questo modo di procedere non fa parte delle pratiche dei ribelli ugandesi che rapiscono i bambini ma non li uccidono.

Dove sono le ADF oggi? Prima che l’esercito prendesse il loro campo principale nel mese di aprile 2014, il loro capo, Jamil Muluku, e la sua famiglia sarebbero fuggiti ma, secondo gli esperti delle Nazioni Unite, si troverebbero ancora nel Nord Kivu. Un secondo gruppo, composto da più di mille uomini guidata dal comandante Seka Baluku, si sarebbe ritirato nella foresta. Inoltre, perseguiti e attaccati dall’esercito congolese, duecento di loro sarebbero morti di fame tra la fine di giugno e il mese di agosto 2014, sempre secondo il gruppo degli esperti. Le ADF sarebbero pertanto indebolite, ma il loro comando sembra sia rimasto intatto. Nonostante le operazioni condotte dall’esercito congolese nel 2014, il comando e le reti di appoggio alle ADF sono state poco colpite, il che potrebbe consentire loro di ricostituirsi.

Il rapporto del gruppo di esperti delle Nazioni Unite permette, per la prima volta, attraverso la testimonianza di una quarantina di membri delle ADF e il ritrovamento di documenti e armi nei loro campi, di capire meglio l’identità di questo gruppo armato.

Le ADF sono infatti un gruppo armato, essenzialmente ugandese, con un nucleo centrale formato dal suo capo, Jamil Muluku, la sua famiglia – tra cui i suoi figli – e i membri storici di questa ribellione. Nei vari campi in cui si trovavano fino a prima delle operazioni militari dell’esercito congolese (FARDC) contro di loro, si addestravano, coltivavano, pregavano. Essi sono stati in grado di reclutare nuove leve in Uganda e nella RDCongo fino al 2014.

Alcune reclute hanno aderito volontariamente alla ribellione, a volte con le loro famiglie; altri sono stati ingannati con promesse di opportunità economiche; altri ancora sono stati sequestrati e costretti a subire l’addestramento militare. Quelli che rifiutavano venivano arrestati e minacciati finché non cedevano. Si è scoperto che i Bazana, i civili sequestrati, divenivano gli schiavi personali del Capo delle ADF ed erano costretti a convertirsi all’Islam.

Si è scoperto anche l’esistenza di due tribunali, uno dei quali era presieduto da Jamil Muluku stesso. Rifiutare di convertirsi, tentare di fuggire o commettere adulterio erano reati punibili con la pena di morte.
Secondo gli esperti, questo gruppo islamico non ha, tuttavia, nessun legame apparente con organizzazioni terroristiche straniere come al-Shabaab o al-Qaeda.

Tuttavia, gli esperti delle Nazioni Unite dimostrano, con documenti alla mano, che le ADF usufruiscono di una rete di appoggio nella RDCongo, in Uganda e in Ruanda, che sembra muoversi liberamente. Dispongono di una rete di appoggio anche in Gran Bretagna, che invia loro denaro e armi, alcune delle quali provenienti dalle scorte dell’esercito congolese. Si tratta di armi cinesi che Pechino destinava a Kinshasa, ma che dimenticava, nonostante l’embargo, di riferirlo al gruppo degli esperti.[25]

[1] Cf Radio Okapi, 28.12.’14; RFI, 28.12.’14; AFP – Jeune Afrique, 28 et 29.12.’14

[2] Cf Radio Okapi, 29.12.’14

[3] Cf Radio Okapi, 02.01.’15

[4] Cf France 24, 02.01.’15

[5] Cf La Voix de l’Amérique – Radio Okapi, 25.12.’14

[6] Cf AFP – Africatime, 29.12.’14

[7] Cf AFP – Kinshasa, 30.12.’14 (via mediacongo.net)

[8] Cf RFI, 02.01.’15

[9] Cf France 24, 02.01.’15

[10] Cf Radio Okapi, 03.01.’15

[11] Cf Musavuli – AgoraVox – Africatime, 05.01.’15

http://fr.africatime.com/republique_democratique_du_congo/articles/rd-congo-fdlr-une-guerre-pour-relancer-le-chaos

[12] Cf 7sur7.cd – Africatime, 06.01.’15 http://fr.africatime.com/republique_democratique_du_congo/articles/fdlr-la-traque-plombee

[13] Cf Radio Okapi, 15.12.’14

[14] Cf Radio Okapi, 19.12.’14

[15] Cf Radio Okapi, 26.12.’14

[16] Cf Radio Okapi, 27.12.’14

[17] Cf Radio Okapi, 02.01.’15

[18] Cf Radio Okapi, 04.01.’15

[19] Cf Radio Okapi, 05.01.’15

[20] Cf Radio Okapi, 10.01.’15

[21] Cf Radio Okapi, 30.12.’14; AFP – Africatime, 30.12.’14

[22] Cf AFP – Kinshasa, 11.01.’15 (via mediacongo.net); Radio Okapi, 11.01.’15

[23] Cf Kandolo M. – Forum des As – Kinshasa, 31.12.’14

[24] Cf RFI, 05.01.’15

[25] Cf RFI, 06.01.’15