Congo Attualità n. 163

INDICE

EDITORIALE: Dopo il vertice della francofonia

1. IL XIV° VERTICE DELLA FRANCOFONIA A KINHASA

a. Prima del vertice

b. Durante il vertice

c. Le conclusioni del vertice

d. Prime valutazioni

e. L’UDPS e il vertice

2. UN PROGETTO DI LEGGE SULLA RIFORMA DELLA COMMISSIONE ELETTORALE

EDITORIALE: Dopo il vertice della francofonia

 

1. IL XIV° VERTICE DELLA FRANCOFONIA A KINHASA

a. Prima del vertice

Il 9 ottobre, nel corso di una conferenza stampa tenuta a Parigi con il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, il presidente francese François Hollande ha affermato che, «per quanto riguarda il rispetto diritti umani, la democrazia e il riconoscimento dell’opposizione, la situazione nella Repubblica Democratica del Congo è totalmente inaccettabile». François Hollande ha condannato l’aggressione di cui è vittima l’Est del paese. «Uno dei grandi problemi del Paese è l’aggressione esterna subita da questo Paese, in violazione delle sue frontiere, particolarmente nel Kivu». Una tale presa di posizione interviene quando, negli ultimi mesi, gran parte dell’opposizione congolese e varie associazioni avevano chiesto a François Hollande di non andare a Kinshasa, per non approvare un «regime illegittimo in materia di democrazia e di rispetto dei diritti umani». Il presidente francese aveva finalmente deciso di andare, ma aveva promesso di «incontrare l’opposizione politica, le Ong per la difesa dei diritti umani e la società civile» e di «dire tutto e a tutti». François Hollande ha affermato di vedere nel vertice della Francofonia a Kinshasa l’opportunità di dire agli Africani che la lingua francese è loro, ma che essa implica anche dei valori, dei principi, fra cui la democrazia, (…) il buon governo e la lotta contro ogni forma di corruzione.[1]

L’11 ottobre, nel corso di un’intervista esclusiva con FRANCE 24, RFI e TV5, il presidente François Hollande ha dichiarato: «Vado a Kinshasa in primo luogo perché è in Africa. Vado a Kinshasa, perché la RDCongo è un grande paese e perché è un paese vittima di un’aggressione alle sue frontiere. Vado come presidente della Repubblica per dire ciò che ho già detto all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite: non accetto che le frontiere di questo grande paese siano violate per un’aggressione proveniente dall’esterno. Vado a Kinshasa per parlare chiaramente, nella trasparenza e nel rispetto». A proposito delle elezioni presidenziali e legislative tenutesi nel novembre 2011 nella RDCongo, François Hollande ha riconosciuto che «non sono state ritenute del tutto soddisfacenti. Ma ci sono stati anche dei progressi. In Parlamento si sta discutendo sulla commissione elettorale e sulla commissione per i diritti umani. Vado a Kinshasa, perché voglio che si avanzi nel cammino verso la democrazia».

Il presidente francese ha confermato un suo incontro con Etienne Tshisekedi, il presidente del principale partito di opposizione congolese: «Ho voluto avere un incontro con l’opposizione, il principale partito, direi il principale oppositore storico. Lo vedrò, vedrò gli altri, le organizzazioni non governative, non per interferire nei loro problemi, non vado per essere un arbitro, un giudice. Non è quello che hanno chiesto alla Francia e non è ciò che la Francia vuole fare. Questo è un messaggio a tutti i Capi di Stato africani. So che, quando sono stati eletti attraverso un processo democratico, essi rappresentano il loro paese. Quando non sono stati eletti democraticamente, cerco di avere un buon rapporto da Stato a Stato, ma riconosco anche gli avversari quando questi si inseriscono nella dinamica della democrazia e accettano, nella non violenza, che siano le urne a decidere, in Africa come altrove». François Hollande ha anche promesso di parlare con il presidente congolese Joseph Kabila a proposito del processo per l’omicidio del difensore dei diritti umani Floribert Chebeya: «So che questo processo è in corso e che la sua famiglia, i suoi collaboratori e i suoi amici chiedono giustizia».[2]

b. Durante il vertice

Il 13 ottobre il presidente francese François Hollande è arrivato a Kinshasa per partecipare al 14° vertice della Francofonia. È stato accolto all’aeroporto dal Primo ministro congolese, Augustin Matata Mponyo.

Il presidente francese François Hollande ha avuto dapprima un colloquio “franco e diretto” di una trentina di minuti, come riportato da fonti francesi, con il presidente congolese Joseph Kabila che gli ha fornito «degli argomenti secondo cui si può dire che la situazione congolese sta cambiando». In previsione delle future elezioni provinciali e locali, François Hollande ha ritenuto che l’attesa riforma della Commissione Elettorale (CENI) e la creazione di una commissione per i diritti umani dovrebbero essere due “segnali positivi” nei confronti del popolo congolese e della comunità internazionale. Rivolgendosi ai giornalisti dopo l’incontro, egli ha affermato di essere al corrente «dell’aggressione che oggi colpisce la RDCongo e che non può essere accettata dalla comunità internazionale». Egli ha infine sottolineato che «in termini di democrazia, la Francia porta dei valori e dei principi. Se in questi ultimi giorni ci sono stati dei progressi, ancora troppo timidi, si tratta di un processo e desidero che sia portato a termine».[3]

Prima di partecipare alla cerimonia di apertura del Vertice della Francofonia, il presidente francese, François Hollande ha ricevuto una delegazione degli attivisti per i diritti umani, fra cui:

• Fernandez Murhola, della Rete Nazionale dei Diritti Umani in Congo (RENADHOC)

• Tshivis Tshivuadi, di Giornalisti in pericolo (JED)

• Doly Ibefo, della Voce dei Senza Voce (VSV)

• Liévin Ngonji, di  un’Ong contro la pena di morte

• Jérôme Bonso, della Lega Nazionale per elezioni libere e trasparenti (LINELIT)

Gli attivisti dei diritti umani hanno evocato la detenzione illegale di giornalisti, l’insicurezza nella parte orientale del paese, la necessità di una riforma della commissione elettorale nazionale indipendente (CENI) e la mancanza di trasparenza nel processo Chebeya.

«Abbiamo parlato dell’aggressione contro il nostro paese soffre da parte del Ruanda. Abbiamo chiesto al presidente francese di condannare in modo inequivocabile questa aggressione che è diventata cronica e inaccettabile. Abbiamo parlato della violenza contro le donne, delle violazioni della libertà di stampa e del deficit democratico», ha dichiarato il segretario esecutivo della RENADHOC, Fernandez Murhola. Alla fine di questa intervista, François Hollande ha ribadito che «la Francofonia non è solo la lingua francese. Parlare il francese vuol dire parlare i diritti umani, perché i diritti umani sono stati scritti in francese». Egli ha inoltre chiesto la liberazione dei giornalisti incarcerati e che tutto sia fatto per trovare i responsabili della morte di Floribert Chebeya.[4]

François Hollande ha poi parlato con una delegazione di membri dell’opposizione, tra cui:

• Vital Kamerhe, dell’Unione per la Nazione Congolese (UNC)

• Jean-Lucien Busa, del Movimento per la Liberazione del Congo (MLC)

• Anatole Matusila, dell’Alleanza dei Costruttori del Congo (Abaco)

• Eve Bazaiba, del Movimento per la Liberazione del Congo (MLC)

• Samy Badibanga, dell’Unione per la Democrazia e il Progresso Sociale (UDPS)

• Martin Fayulu, dell’Impegno Cittadino per lo Sviluppo (ecide).

La delegazione ha chiesto l’intervento di François Hollande, al fine di fermare la guerra nell’Est della RDCongo.

«Gli abbiamo riferito del decadimento dello stato nel nostro paese. Alla guida dello Stato ci sono degli irresponsabili. L’Est della RDCongo è sprofondato in una guerra che ha causato 8.000.000 di morti, 2,2 milioni di sfollati interni ed esterni e 45.000 donne violentate. Come membro permanente del Consiglio di Sicurezza, la Francia deve fare tutto il possibile per fermare la guerra», ha detto Vital Kamerhe. Gli oppositori hanno anche insistito sulla crisi di legittimità che caratterizza l’attuale potere e hanno particolarmente sottolineato la mancanza di dialogo tra il governo e l’opposizione, con conseguenti arresti illegali di alcuni dei loro colleghi. «C’è una crisi di legittimità sorta da elezioni mal organizzate e che hanno dato origine a danni collaterali che dobbiamo risolvere, incontrandoci intorno a un tavolo, per poter continuare il processo elettorale, perché non siamo disposti a lasciarci imbrogliare una seconda volta», ha affermato Vital Kamerhe.

Da parte sua, François Hollande ha ripetuto che «la democrazia non è una lezione. La democrazia è un diritto del popolo e un dovere per coloro che sono alla guida dello Stato».[5]

Tra le preoccupazioni presentate al presidente francese, l’opposizione congolese ha ricordato ciò che essa definisce come “fallimento dello Stato e deficit di democrazia” e “la crisi di legittimità in seguito alle elezioni presidenziali e legislative del 28 novembre 2011”. L’opposizione congolese chiede l’aiuto del Presidente francese per ottenere un dialogo schietto e inclusivo, in vista di risolvere le principali questioni che riguardano la vita della nazione. In secondo luogo, chiede l’appoggio della Francia, come membro permanente del Consiglio di Sicurezza, affinché tutte le soluzioni proposte a livello delle Nazioni Unite e di altri organismi internazionali siano rapidamente applicate, per riportare la pace nell’Est della RDCongo.[6]

Nel discorso di apertura del vertice, il presidente della RDCongo, Joseph Kabila, ha presentato il conflitto nell’Est del paese come “una guerra ingiusta”, “imposta” da “forze negative al soldo di interessi esterni”. «Mentre il nostro popolo si sta impegnando per migliorare le sue condizioni di vita, alcune forze negative al soldo di interessi esterni hanno ricominciato, negli ultimi mesi, a destabilizzare il nostro paese, soprattutto la provincia del Nord Kivu (est)», ha affermato il presidente Kabila, senza tuttavia citare esplicitamente il Rwanda, accusato dalle Nazioni Unite e da Kinshasa, di appoggiare vari gruppi armati nell’Est del Paese, tra cui il Movimento del 23 Marzo (M23). «Migliaia di uomini, donne e bambini hanno perso la vita o sono costretti a rifugiarsi sulle montagne del Kivu. Molti altri sono costretti a vivere in condizioni che non possono che interpellare la coscienza umana», ha detto Joseph Kabila, assicurando che varie iniziative e azioni sono in corso per porre fine alla guerra nella parte orientale della RDCongo e che, per questo scopo, si stanno prendendo in considerazione varie possibilità di tipo politico, diplomatico e militare.[7]

Nel suo discorso ai partecipanti al vertice, il presidente francese François Hollande ha fatto della democrazia e dei diritti umani due “priorità” della francofonia.

Sin dall’inizio del suo discorso, il presidente francese ha fatto notare che il suo desiderio di venire personalmente a Kinshasa è stato motivato dal suo volere manifestare «l’appoggio della Francia al popolo congolese che aspira, come ogni altra nazione, alla pace, alla sicurezza e alla democrazia». Ha poi proposto che «gli stati francofoni contribuiscano alla risoluzione delle varie crisi in cui sono implicati, qui in Africa e anche qui, a Kinshasa». A questo proposito, si è espresso in questi termini: «Penso alle popolazioni del Kivu, vittime di conflitti ripetitivi. Penso a quelle popolazioni civili massacrate. A quelle donne violentate. Ai bambini soldato. Sì, dobbiamo riaffermare che le frontiere della RDCongo sono inviolabili e devono essere rispettate. Mi auguro che i Paesi francofoni appoggino tutti gli sforzi dell’ONU, affinché esso sia maggiormente presente qui, nelle RDCongo, per la sicurezza delle popolazioni dell’Est del Paese. Sono favorevole a che il mandato della MONUSCO possa essere precisato e ampliato, se possibile».

Secondo il presidente François Hollande, altre due priorità sono l’instaurazione della democrazia e il rispetto dei diritti umani: «La francofonia deve portare la democrazia, i diritti umani, il pluralismo, il rispetto della libertà di espressione. In democrazia, tutti gli esseri umani devono poter scegliere i propri rappresentanti. Questo è il principio che i francofoni devono assolutamente difendere».

Come altra priorità, il presidente francese propone di aumentare, nell’area francofona, gli scambi tra i giovani, gli studenti, gli artisti e i ricercatori. «Ci sono troppi ostacoli per coloro che vogliono condividere i loro talenti, dare il loro contributo, studiare, fare ricerca. La Francia ha fatto degli sforzi per migliorare questa situazione, attraverso la concessione di visti validi per diversi anni. Ma ci sono ancora troppi freni», ha ammesso. Secondo lui, gli studenti, gli artisti e i ricercatori francofoni dovrebbero potere andare ovunque.

Un’altra priorità per François Hollande: fare della francofonia uno strumento per lo sviluppo e per la salvaguardia del pianeta. In questo senso, egli ha affermato: «Lo sviluppo è anche la lotta contro il riscaldamento climatico di cui voi non siete responsabili, ma che vi tocca da vicino per mezzo di catastrofi che colpiscono il vostro continente». Egli ha promesso di appoggiare la creazione di una organizzazione mondiale per l’ambiente con sede in Africa. François Hollande ha, infine, incoraggiato la promozione delle donne che, secondo lui, sono le prime vittime della violenza e della guerra. Ha quindi annunciato che «la Francia è pronta ad ospitare un primo convegno delle donne francofone, per poter portare al mondo il messaggio dell’insostituibilità del ruolo delle donne nello sviluppo».[8]

Nel pomeriggio, presso l’Istituto francese di Kinshasa, inaugurando una mediateca in ricordo di Floribert Chebeya, assassinato nel 2010, il presidente François Hollande si è manifestato molto critico circa la situazione dei diritti umani nella RDCongo, qualificandola di “realtà inaccettabile” e ha assicurato: «In questo Paese siamo in una democrazia in cui il processo non è ancora stato completato, è il minimo che si possa dire. La battaglia per i diritti umani rimane ancora aperta».[9]

Nel corso di una conferenza stampa, il presidente François Hollande ha chiesto che la commissione elettorale nazionale indipendente (CENI) sia composta in modo “equilibrato”. Si è impegnato a rimanere vigile ed esigente sulla situazione dei diritti umani nella RDCongo e sulla riforma della CENI, anche dopo il vertice della Francofonia. «Per quanto riguarda la Ceni, abbiamo chiesto alle autorità che sia composta in modo equilibrato e che permetta un sistema di voto accettato da tutti. Abbiamo inoltre chiesto che la Commissione per i diritti umani sia convocata al più presto», ha dichiarato Francois Hollande.

Il presidente francese si è detto, infine, preoccupato per le numerose violenze perpetrate nell’Est della RDCongo, i gravi attacchi all’integrità territoriale e le violenze contro le donne e ha affermato:«Tutti dobbiamo sostenere il popolo congolese. Perciò, in nome della Francia, farò di tutto, affinché la missione delle Nazioni Unite nella RDC sia rafforzata e mobilitata. Ci sono oggi diciassette mila uomini sul posto, ma il mandato della missione deve essere precisato e ampliato, se necessario, per garantire la sicurezza della popolazione civile».[10]

Nella serata, François Hollande ha incontrato Etienne Tshisekedi, il principale oppositore al regime di Joseph Kabila. Al termine dell’incontro, Etienne Tshisekedi si è detto “molto soddisfatto”, aggiungendo: «Entrambi abbiamo messo la croce sul passato e abbiamo guardato verso il futuro». Ancora una volta, egli ha affermato di considerarsi presidente eletto della RDCongo e di non essere andato a cercare legittimazione presso il presidente francese. Tuttavia, Tshisekedi non ha discusso di questa questione con Hollande: «Solo i Congolesi hanno eletto Tshisekedi e solo loro sanno che hanno eletto Tshisekedi. Gli altri non ne hanno prove. Pertanto, non occorre importunarli su questo». Il leader dell’UDPS spera ancora che il presidente Joseph Kabila sia cacciato dal potere. Ma «non posso dare una data, dico solo che avverrà al più presto», ha insistito. Su un altro capitolo, il leader dell’UDPS ha parlato della necessità di “creare” un esercito che, secondo lui, non è mai esistito sin dai tempi dell’indipendenza della RDCongo.[11]

c. Le conclusioni del vertice

Il 14 ottobre, il XIV° Vertice della Francofonia si è concluso. In una risoluzione – non vincolante – sulla situazione della RDCongo, i capi di Stato e di governo dei paesi francofoni hanno condannato «le massicce violazioni dei diritti umani e del diritto umanitario commesse nella parte orientale della RDCongo: massacri di civili, popolazioni costrette a fuggire, reclutamento di bambini soldato e violenze sessuali». Hanno ritenuto responsabili di queste violazioni dei diritti umani i leader delle Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR), del movimento del 23 marzo (M23) e di tutti gli altri gruppi armati e hanno chiesto a questi stessi movimenti di «deporre le armi e mettere immediatamente fine ad ogni forme di violenza».

L’organizzazione ha chiesto al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite di adottare «sanzioni mirate contro i responsabili delle violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale», sottolineando la responsabilità sia delle Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR) che del Movimento del 23 Marzo (M23). Questa risoluzione è stata adottata all’unanimità, nonostante la “riserva” espressa su questo punto dal Ruanda, rappresentato al vertice dalla ministro degli Esteri Louise Mushikiwabo, che si è opposta anche all’appello a «procedure giudiziarie nei confronti dei responsabili di crimini di guerra e crimini contro l’umanità commessi all’Est della RDCongo». Molti osservatori hanno interpretato le riserve espresse dal Ruanda come un’implicita ammissione di colpa.

Nella loro risoluzione, i capi di Stato e di governo hanno affermato anche il loro «sostegno alla sovranità, integrità territoriale e indipendenza politica della RDCongo e di tutti gli Stati della regione».

Infine, i Capi di Stato e di governo appartenenti alla francofonia affermano di «appoggiare le azioni condotte dai Paesi della Regione dei Grandi Laghi nel quadro delle riunioni della Conferenza Internazionale sulla Regione dei Grandi Laghi (CIRGL), nel tentativo di trovare una soluzione alla situazione di insicurezza nella regione».

Il governo ruandese ha sempre negato il suo appoggio all’M23, sostenendo che l’attuale crisi del Kivu è una questione interna della RDCongo, ma un rapporto delle Nazioni Unite ha recentemente confermato l’appoggio dato da autorità militari ruandesi ai ribelli dell’M23.[12]

d. Prime valutazioni

Il vertice della Francofonia tenutosi a Kinshasa nella RD Congo, il 13 e il 14 ottobre, appartiene già al passato. È però giunto il momento di fare un primo bilancio. Secondo Isidore Kwandja Ngembo, analista di politica pubblica ed ex consulente presso la direzione Africa Centrale del Ministero degli Affari Esteri e del Commercio Internazionale del Canada, ci sono state conseguenze, positive e negative, sia sul governo che sull’opposizione politica e sulla società civile congolese. Nonostante tutte le critiche che hanno preceduto la tenuta dell’evento, il XIV° vertice della Francofonia a Kinshasa ha permesso al popolo congolese, ai popoli francofoni e al mondo intero di conoscere qualcosa in più sullo stato di salute della democrazia nella RDCongo, in particolare sulle questioni relative ai diritti umani, al buon governo, allo stato di diritto e al conflitto all’Est del paese.

Il governo congolese può ora permettersi un sospiro di sollievo, perché non si sono registrati incidenti gravi che avrebbero potuto perturbare il vertice stesso.

Il governo congolese può anche dirsi soddisfatto perché, nonostante le aspre critiche di cui è stato oggetto per il suo deficit democratico e per il mancato rispetto dei diritti umani e nonostante le pressioni da parte della diaspora congolese contro la tenuta del vertice in Congo a causa dei brogli elettorali commessi nel novembre 2011, il vertice si è effettivamente tenuto a Kinshasa.

Se l’obiettivo del governo per mantenere il vertice della francofonia a Kinshasa era quello di ottenere il sostegno della comunità francofona contro gli aggressori che seminano violenza e morte nel Paese da oltre un decennio, allora ha raggiunto il suo scopo. In effetti, i Capi di Stato e di Governo francofoni hanno approvato una risoluzione che chiede al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite di adottare sanzioni precise nei confronti dei responsabili dei crimini commessi all’Est del Paese.

Se, attraverso il vertice, il governo voleva cercare una legittimazione politica dall’esterno e migliorare davanti al mondo la sua immagine negativa consecutiva alle elezioni fraudolente e caotiche del novembre 2011, allora non solo non ha raggiunto il suo obiettivo, ma è stato ulteriormente criticato, anche da diversi partecipanti al vertice, per il suo triste bilancio in materia di diritti umani, di libertà di espressione e di manifestazione, di democrazia, di buon governo e di brogli elettorali.

L’opposizione politica congolese, che si era dimostrata reticente alla tenuta di questo vertice a Kinshasa, perché avrebbe potuto legittimare l’attuale potere di cui contesta la legittimità, in seguito ad elezioni mal organizzate dalla Commissione elettorale nazionale indipendente (CENI), guidata dal Pastore Ngoyi Mulunda, nonostante non sia riuscita a convincere l’Organizzazione Internazionale della Francofonia di trasferire il vertice in un altro Paese, ha tuttavia ottenuto grandi risultati politici. Il fatto che alcuni capi di Stato e di governo che hanno partecipato al vertice abbiano apertamente criticato il governo per il suo triste bilancio a proposito di rispetto dei diritti umani e della libertà di espressione e per il deficit democratico e che i media di tutto il mondo ne abbiano parlato, questo va a vantaggio dell’opposizione politica.

Anche le organizzazioni della Società Civile congolese hanno avuto l’opportunità di incontrare alte autorità e grandi personalità dell’area francofona e di far loro conoscere le sofferenze subite per anni dal loro popolo. Questa società civile che lavora in condizioni molto difficili, con mezzi limitati, a rischio della propria vita per proteggere quella degli altri, potrà sicuramente ottenere dei benefici, almeno un sostegno morale, materiale o anche finanziario dopo questo vertice e la sua voce sarà ascoltata ogni volta che sarà oppressa dal governo.[13]

Secondo Thierry Vircoulon, responsabile del dipartimento per l’Africa Centrale presso l’International Crisis Group (ICG), oltre all’improvvisa liberazione di Diomi Ndongala, un oppositore sequestrato e mantenuto in isolamento per quattro mesi e “misteriosamente” rilasciato 24 ore prima del vertice, la visita di François Hollande ha portato tre buone notizie. La prima è che il presidente francese “ha rotto il silenzio del consenso occidentale nei confronti del regime congolese“. Secondo questo ricercatore, Francois Hollande è stato “chiaro e non ambiguo, a differenza di altri diplomatici europei che, fino ad ora, si sono accontentati di dire a voce bassa ciò che i Congolesi della strada dicono già ad alta voce“. La seconda buona notizia detta dal presidente francese: l’enfasi sulla “necessità del sostegno alla società civile, fondamentale per la democratizzazione della RDCongo“. E infine, sempre secondo Thierry Vircoulon, François Hollande è stato il “motore per l’approvazione della raccomandazione dell’OIF (Organizzazione Internazionale della Francofonia) relativa all’adozione di sanzioni da parte delle Nazioni Unite contro tutti coloro che sostengono i gruppi armati nell’Est della RDCongo“.[14]

Secondo Thierry Vircoulon, il vertice “non ha rafforzato” il governo congolese, come temuto dall’opposizione. Il presidente francese ha dato il tono facendo quello che aveva detto che avrebbe fatto: mettere l’accento sulla mancanza di democrazia e di rispetto dei diritti umani. Infatti, «la questione della democrazia e dei diritti umani è stata al centro del vertice».

Per Jean-Claude Katende, presidente dell’Associazione Africana dei Diritti dell’uomo (ASADHO), «il presidente Joseph Kabila non è uscito rafforzato da questo vertice. Al contrario, chi ne è uscito rafforzato è il popolo congolese, perché i suoi problemi sono stati al centro del dibattito. Tutti coloro che sono intervenuti hanno, infatti, evocato il conflitto in corso all’Est del Paese e hanno condannato l’aggressione esterna della RDCongo da parte del Ruanda, anche se questo paese non è stato nominato espressamente».

All’interno della Voce dei Senza Voce, l’ONG fondata da Floribert Chebeya, il difensore dei diritti umani assassinato nel 2010, Rostin Manketa ha adottato un tono moderato: «È vero che c’è stata una buona organizzazione del vertice. Tuttavia, dal governo congolese ci aspettiamo risposte concrete sul rispetto dei diritti umani, compresa la verità sull’assassinio di Floribert», essendo il processo in appello stato rinviato al 23 ottobre. Secondo Manketa, «il governo congolese è riuscito a trarre profitto dal vertice, in quanto gli Stati partecipanti hanno promesso il loro appoggio alla RDCongo a proposito del conflitto in corso all’Est del Paese e il presidente francese si è dichiarato favorevole ad un ampliamento del mandato della MONUSCO che, finora, non ha potuto agire efficacemente per neutralizzare i vari gruppi armati».[15]

Secondo alcuni osservatori, la presenza di autorità e personalità dell’area francofona nella capitale congolese aveva suscitato grandi speranze circa una chiarificazione di certe questioni, come la guerra nell’Est del Paese, la ricerca della verità delle urne, il processo contro gli assassini di Floribert Chebeya e del suo autista Bazana, la coabitazione potere-opposizione, rispetto dei diritti umani, ecc. Tuttavia, i problemi dell’insicurezza, della politica, dell’economia e di ogni altro tipo che preoccupano il popolo congolese, rimangono ancora irrisolti.

 

La guerra all’Est: aggressione esterna o contenzioso interno?.

Per quanto riguarda la guerra nell’Est del Paese, a proposito della quale il popolo congolese si aspettava un segnale forte da parte dei francofoni di tutto il mondo, è stata “risolta”, come ad Addis Abeba, Kampala e New York, con una nuova litania di buone intenzioni.

La risoluzione di condanna dei gruppi armati è stata rimaneggiata in seguito al veto imposto dal Ruanda. In breve, il regime di Kigali se l’è ancora cavata senza alcuna condanna o messa in guardia. Eppure, i discorsi ufficiali sentiti a Palazzo del Popolo a proposito del ritorno della pace e del rispetto per la sovranità nazionale e l’integrità territoriale della RDCongo facevano credere che la Francofonia avrebbe varcato la barriera delle risoluzioni e raccomandazioni per affrontare la radice del problema, cioè l’aggressore ruandese nascosto dietro la maschera dell’M23.

Come sottolineato da molti politici e osservatori, la Francofonia sembra aver seguito il copione delle Nazioni Unite e dell’Unione Africana, che stanno facendo credere ai Congolesi che si sta preparando un’adeguata azione contro i perturbatori della pace nel Nord Kivu, mentre in realtà è la tesi ruandese del conflitto interno congolese che si sta seguendo. La Ministro ruandese degli Affari Esteri, Louise Mushikwabo, presente a Kinshasa, non ha avuto peli sulla lingua: il Ruanda non è per nulla implicato in una crisi tra Congolesi e la cui soluzione si trova nel dialogo tra l’M23 e il governo di Kinshasa. Ella ha ribadito, secondo la convinzione del suo paese, che l’opzione militare (Forza Internazionale di Neutra, MONUSCO, FARDC) non risolverebbe nulla. Nessun capo di stato o di governo ha reagito a tale presa di posizione della ministro ruandese. Nessuno si è impegnato a porre fine alla guerra nell’Est del Paese. Spetta ora ai politici congolesi trarre le conclusioni sulla “Dichiarazione” e “risoluzioni” dell’OIF, rimasta completamente silenziosa sull’appoggio del Ruanda all’M23, alle FDLR e agli altri gruppi armati nel Nord e Sud Kivu, come indicato nel rapporto del gruppo degli esperti delle Nazioni Unite lo scorso giugno.

La verità delle urne, il caso Chebeya: una pagina già girata?.

Una delle principali rivendicazioni rivolte dall’opposizione congolese a François Hollande ruotava intorno al ritorno alla verità delle urne. Pur sottolineando la mancanza di democrazia nella RDCongo, il presidente francese ha dato l’impressione di non voler rimettere in causa l’ordine istituzionale esistente.

Nel suo modo di ragionare, gli Africani devono poter scegliere i  proprio dirigenti in modo libero. Il suo più caro desiderio è che ciò avvenga secondo le regole democratiche. In ogni caso, egli manterrà le relazioni tra stato e stato.

Per quanto riguarda il processo per l’assassinio di Chebeya, la trasparenza tanto richiesta sembra difficile da ottenere, dal momento che chi è ritenuto come il principale sospettato viene mantenuto fuori causa dal Tribunale militare. Un comico ha avuto ragione nell’affermare che, nonostante le frecce avvelenate lanciate da François Hollande contro il potere di Kinshasa alla vigilia del 14° vertice della Francofonia, il temporale temuto non è piombato addosso ai dirigenti della RDCongo. Così, la pagina sulla verità delle urne e sul caso Chebeya potrà essere facilmente girata.[16]

e. L’UDPS e il vertice

Il 29 settembre, nel corso di una conferenza stampa tenuta al quartier generale del partito, a Limete (Kinshasa), il Segretario Generale dell’UDPS, Bruno Mavungu Puati, ha comunicato il programma di una mobilitazione generale del popolo congolese, convocata in occasione del XIV° vertice dell’Organizzazione internazionale della Francofonia (OIF), previsto a Kinshasa dal 12 al 14 ottobre 2012. L’Unione per la Democrazia e il Progresso Sociale (UDPS) invita tutti i Congolesi in generale e gli abitanti di Kinshasa in particolare, ad aderire alla giornata “città morta” prevista per il martedì 9 Ottobre. L’obiettivo è di manifestare il proprio rifiuto di lasciarsi governare da autorità che non sono state elette dal popolo e che vogliono “rimanere al potere cercando di governare il Paese in forma illegittima, per soddisfare i loro egoistici interessi». Secondo il calendario fornito dall’UDPS, il venerdì 12 Ottobre è prevista l’operazione “occupazione delle strade” della capitale: Viali Lumumba, 30 juin, Trionphal, Sendwe, Huileries e Victoire. Il 13 ottobre, il “popolo congolese” accompagnerà il presidente Etienne Tshisekedi wa Mulumba all’incontro con il presidente francese François Hollande.[17]

Il 7 ottobre, il segretario generale del partito, Bruno Mavungu Puati, in un comunicato ha annunciato che «in comunione con le forze vive della nazione e su loro richiesta, al fine di riformulare le azioni annunciate dal partito il 29 settembre, il programma inizialmente comunicato viene modificato e presentato come segue:

1. La giornata “città morta” prevista il martedì 9 ottobre è rinviata ad una data ulteriore e sarà organizzata al più presto.

2. È mantenuto e rafforzato il programma del 12 e 13 ottobre, relativo all’occupazione delle strade e all’accompagnamento del Presidente della Repubblica eletto, Sua Eccellenza Etienne Tshisekedi Wa Mulumba, in occasione del suo incontro con il Presidente della Repubblica francese, Sua Eccellenza François Hollande».[18]

In un messaggio indirizzato alla direzione dell’UDPS (Unione per la Democrazia e il Progresso Sociale), l’Ambasciata di Francia comunica che l’incontro di François Hollande con Etienne Tshisekedi non sarebbe possibile nel caso in cui l’organizzazione di manifestazioni comportasse il rischio di violenze, di cui il presidente francese potrebbe essere ritenuto indirettamente responsabile. Il messaggio è passato, ma non del tutto.

L’11 ottobre, in un comunicato stampa firmato da Bruno Mavungu Puati, l’UDPS non chiede più di accompagnare Tshisekedi dalla sua residenza all’Ambasciata della Francia. Chiede ai “combattenti” di recarsi in viale 30 Juin, al centro della capitale, e di non oltrepassare il viale, il che li avrebbe mantenuti abbastanza lontano dal luogo dell’incontro.[19]

Il 12 ottobre, nel pomeriggio, 200 militanti circa dell’UDPS sono usciti dalla sede del partito per iniziare una marcia. Impediti da un posto di blocco della polizia, hanno organizzato un breve sit-in in pieno viale Lumumba. Alcuni cartelli indicavano: “Tshisekedi, la scelta del popolo”. Altri chiedevano le dimissioni del presidente, accusato di essere stato rieletto a causa di brogli elettorali.[20]

Il 13 ottobre, nel corso della mattinata e poco prima dell’apertura del vertice, la polizia congolese ha disperso alcune decine di manifestanti che si erano radunati nel quartiere di Limete (Kinshasa), sede del quartier generale dell’UDPS. La polizia ha vietato ogni forma di manifestazioni e ha lanciato gas lacrimogeni quando è stata oggetto di alcuni lanci di pietre contro di essa. In tarda mattinata, i manifestanti hanno ripreso a lanciare pietre e la polizia li ha di nuovo dispersi. In questa occasione, un uomo è stato ferito agli occhi. I manifestanti, circa 200, sono quindi partiti verso un altro luogo, il quartiere Mombele.[21]

A causa degli ingenti dispositivi di sicurezza messi in atto dalla polizia, l’UDPS ha finalmente rinunciato ad accompagnare Etienne Tshisekedi, come era stato previsto, per il suo appuntamento con il presidente francese, François Hollande. Accompagnato dal capo del suo ufficio, Albert Moleka, Etienne Tshisekedi è uscito dalla sua residenza poco dopo le 18:00 locali, per recarsi da solo all’incontro.[22]

2. UN PROGETTO DI LEGGE SULLA RISTRUTTURAZIONE DELLA COMMISSIONE ELETTORALE

Il 5 giugno, un deputato dell’opposizione del Kasai Orientale, Emery Okundji, aveva presentato all’Assemblea Nazionale una proposta di riforma dell’attuale legge sulla Commissione Elettorale Nazionale Indipendente (CENI). Emery Okundji propone una CENI “più rappresentativa” e “più trasparente“. La nuova commissione elettorale passerebbe da 7 a 22 membri (e non a 11, come proposto dal governo), secondo un criterio di parità tra maggioranza e opposizione (che non è il caso attualmente) e con la partecipazione della società civile, esclusa dal 2010. Secondo Emery Okundji, la riforma della legge organica sulla CENI dovrebbe basarsi sui «due pilastri fondamentali che rendono possibili vere elezioni democratiche: il consenso nazionale e la trasparenza». A proposito della composizione, Emery Okundji propone due organi principali: un’assemblea plenaria e un comitato centrale. L’assemblea plenaria sarebbe composta di 10 membri della società civile, 6 membri di ogni schieramento politico (maggioranza e opposizione). Il comitato centrale sarebbe, invece costituito di 5 membri della società civile e 2 membri di ciascun schieramento politico, con un totale di 9 membri. Il comitato centrale dovrà seguire e coordinare il lavoro delle varie commissioni tecniche. Infine, i partiti politici, la società civile e i finanziatori dovranno potere controllare l’insieme del lavoro della CENI stessa.[23]

Il 21 settembre, il Consiglio dei ministri presieduto dal Capo dello Stato, Joseph Kabila, ha preso una serie di decisioni per quanto riguarda la ristrutturazione della CENI. Per garantire la serenità e la trasparenza del processo elettorale, il governo propone la revisione di quindici articoli della vecchia legge organica sulla CENI, compresi quelli relativi alla composizione del consiglio di amministrazione che, nella sua forma riveduta, passerebbe da 7 a 11 membri: cinque della maggioranza, quattro dell’opposizione e due della società civile. Finora, la CENI è composta da sette personalità politiche, quattro della maggioranza e tre dell’opposizione. Secondo gli orientamenti del Governo, il consiglio di amministrazione sarebbe composto secondo la proporzionalità delle forze politiche presenti in seno all’Assemblea Nazionale, tenendo conto anche della dimensione genere.[24]

Due testi di legge sono stati, dunque, presentati all’Assemblea Nazionale in vista della riforma della CENI: la proposta del deputato nazionale Emery Ukundji e il progetto del Ministro degli Interni, Richard Muyej.

Il 26 settembre, dopo dibattito, i deputati hanno dichiarato ricevibile il disegno di legge presentato dal governo e respinto la proposta di legge presentata dal deputato Ukundji.  Alle obiezioni di quest’ultimo, che ha parlato di un “colpo di forza”, ha risposto il presidente della Camera, Aubin Minaku, per il quale solo il testo del governo era già pronto per essere discusso in Parlamento, ai sensi dell’articolo 125 della Costituzione che stipula: “Se un progetto o un disegno di legge è dichiarato urgente da parte del governo, esso è preso in considerazione con priorità in ogni Camera e dalla commissione competente, secondo la procedura prevista dal regolamento interno di ciascuna di esse“. Aubin Minaku ha spiegato che il governo ha presentato il suo progetto qualificandolo come urgente. In questo caso, ha detto, la Costituzione consente al Parlamento di prenderlo in considerazione senza inviarlo alla commissione di studio dell’Assemblea. È per questo che si è ritenuto il testo presentato dal governo, mentre quello del deputato Okundji è ancora presso la commissione di studio.[25]

Il progetto del governo solleva molte critiche, sia dalla maggioranza che dall’opposizione. Secondo alcuni deputati, la ripartizione dei membri deve essere egualitaria, per cui hanno proposto che il consiglio di amministrazione dia costituito da 12 membri, di cui 4 per ogni componente: la maggioranza, l’opposizione e la società civile. A proposito della creazione o meno di un organo deliberativo, cioè di un’assemblea plenaria, se da un lato vi si riconosce il vantaggio di limitare il pieno potere concesso al consiglio di amministrazione della CENI, d’altro lato vi si vede il rischio di un’eccessiva lentezza del processo elettorale.[26]

Il 30 settembre, a causa di divergenze circa gli organi che dovrebbero animare la nuova CENI, l’opposizione ha abbandonato la sala in cui si riuniva la commissione dell’Assemblea Nazionale che lavora sulla riforma della CENI e ha sospeso la sua partecipazione ai lavori fino a nuovo avviso. Secondo l’opposizione, la CENI dovrebbe avere due organi: il consiglio di amministrazione e un’assemblea plenaria che garantisca la trasparenza e il dibattito democratico all’interno della CENI stessa. Ma la maggioranza non è d’accordo e rifiuta la proposta. Fino ad ora, la CENI è retta solo dal consiglio di amministrazione che collabora con il segretariato esecutivo nazionale e i segretariati esecutivi provinciali.[27]

La piattaforma ”Agire per Elezioni Trasparenti e Pacifiche” (AETA), in sinergia con il comitato di sorveglianza del simposio nazionale della Società Civile, fa osservare che gli obiettivi delle innovazioni introdotte nel nuovo disegno di legge organica richiedono modifiche circa:

– gli organi della CENI, che passerebbe da uno (Comitato di presidenza) a due (Assemblea plenaria e Comitato di presidenza), con alcune commissioni;

– L’introduzione della società civile a tutti i livelli (Assemblea  plenaria, Comitato di presidenza e Commissioni), come terza componente distinta dalle altre due: la maggioranza e l’opposizione politica;

– La restituzione alla CENI del suo carattere di istituzione cittadina in appoggio alla democrazia, secondo lo spirito e la lettera della Costituzione;

– Il controllo sul potere del Presidente della CENI che non potrà più impegnare l’istituzione se non entro i limiti stabiliti nelle decisioni prese nell’Assemblea plenaria;

– La composizione e la designazione dei membri della CENI, seguendo il principio di parità tra le tre componenti.

Secondo AETA, l’articolo 10 del disegno di legge organica presentato dal governo non risponde in nessun modo all’esigenza di un maggiore coinvolgimento della società civile nella gestione delle elezioni e di una più ampia collegialità decisionale. L’articolo, infatti, prevede solo due rappresentanti della società civile su un totale di undici membri, ciò che favorisce una bipolariz- zazione incostituzionale di questa istituzione. La società civile propone, quindi, che l’articolo 10 sia modificato come segue: «La commissione elettorale nazionale indipendente è composta da 22 membri, cioè due membri per ogni provincia e tenendo conto della rappresentanza delle donne. I membri della CENI sono nominati dalle diverse forze politiche e sociali, in maniera autonoma le une dalle altre, tenendo conto della rappresentatività delle donne e nel modo seguente:  sei membri per la maggioranza, sei per l’opposizione e dieci per società civile». Questa formulazione potrà garantire il carattere cittadino della Ceni.

L’articolo 10 del progetto di legge del governo conferma l’esistenza di un solo organo. Tuttavia, sempre secondo AETA, per una migliore coesione e collegialità nel processo decisionale della CENI, per una più chiara ripartizione dei compiti e delle responsabilità amministrative e operative all’interno della CENI, per un maggiore rigore e trasparenza nella gestione delle risorse umane, materiali e finanziarie all’interno della CENI, è necessario decentralizzare la CENI, dotandola di due organi, tra cui un’assemblea plenaria e un comitato di presidenza, quest’ultimo con il compito di coordinare le varie Commissioni Tecniche. Secondo quanto precede, l’articolo 10 dovrebbe essere modificato come segue: «Gli organi della CENI sono: l’Assemblea plenaria e il comitato di presidenza che coordina le commissioni tecniche». Questa disposizione dovrebbe essere integrata con altre, cioè con l’Articolo 11: «L’Assemblea Plenaria è l’organo di concezione, di orientamento, di decisione, di valutazione e di controllo della CENI. Essa include tutti i membri della CENI. Le sue deliberazioni sono prese per consenso o, in caso contrario, con voto a maggioranza assoluta».[28]

Il 7 ottobre, i deputati dell’opposizione hanno sospeso la loro partecipazione alla plenaria dell’Assemblea Nazionale che doveva prendere in esame il progetto di legge sulla ristrutturazione della Ceni. Essi chiedono che siano dapprima risolte presso la Commissione politica, amministrativa e giuridica (PAJ) le differenze apparse sul progetto definitivo da presentare in plenaria. Le divergenze riguardano: gli organi della Ceni, la composizione del consiglio di amministrazione, il numero dei membri del consiglio di amministrazione, la rappresentazione delle tre componenti (maggioranza, opposizione e società civile) e le modalità di reclutamento dei dirigenti e agenti della Ceni. L’assemblea plenaria ha quindi deciso di istituire una commissione speciale formata da un membro di ciascun gruppo parlamentare per risolvere le divergenze tra opposizione e maggioranza.[29]


[1] Cf Ursula Soares – RFI, 09.10.’12; Radio Okapi, 09.10.’12

[3] Cf Elizabeth Pineau – Reuters – Kinshasa, 13.10.’12; Radio Okapi, 13.10.’12

[4] Idem.

[5] Idem.

[6] Cf Le Potentiel – Kinshasa, 14.10.’12

[7] Cf AFP – Kinshasa, 13.10.’12

[9] Cf AFP – Kinshasa, 13.10.’12

[10] Cf Radio Okapi, 14.10.’12

[11] Cf AFP – Kinshasa, 13.10.’12; Radio Okapi, 14.10.’12

[12] Cf AFP – Kinshasa, 14.10.’12

[13] Cf Isidore Kwandja Ngembo -Congo Indépendant, 15.10.’12

http://www.congoindependant.com/article.php?articleid=7597

[14] Cf Christophe Rigaud – Afrikarabia, 16.10.’12

[15] Cf AFP –Kinshasa, 15.10.’12

[17] Cf Le Phare –Kinshasa, 01.10.’12

[18] Cf Kongo Times, 09.10.’12

[19] Cf RFI, 11.10.’12; Le Phare – Kinshasa, 11.10.’12

[20] Cf AFP – Kinshasa, 12.10.’12

[21] Cf AFP – Kinshasa, 13.10.’12

[22] Cf AFP – Kinshasa, 13.10.’12

[23] Cf Christophe Rigaud – Afrikarabia, 24.09.’12; Angelo Mobateli – Le Potentiel – Kinshasa, 24.09.’12

[24] Cf Alain Diasso – Les Dépêches de Brazzaville – Kinshasa, 24.09.’12 ; RFI, 24.09.’12

[25] Cf Radio Okapi, 27.09.’12

[26] Cf Le Potentiel – Kinshasa, 27.09.’12

[27] Cf RFI, 01.10.’12

[29] Cf Radio Okapi, 07.10.’12