Congo Attualità n. 413

GRUPPI ARMATI NEL SUD KIVU E IN ITURI

INDICE

1. L’ATTACCO A KIPUPU (SUD KIVU) DA PARTE DEI GUMINO E TWIRWANEHO
2. UNA DELEGAZIONE PRESIDENZIALE IN ITURI PER DEI NEGOZIATI DI PACE CON LA CODECO

1. L’ATTACCO A KIPUPU (SUD KIVU) DA PARTE DEI GUMINO E TWIRWANEHO

La situazione sugli altopiani di Uvira, Fizi e Mwenga (Sud Kivu) è più complessa di quanto sembri. Ci sono conflitti molto localizzati e ci sono dinamiche più regionali. A livello locale, la gestione del potere, l’accesso alle terre, i movimenti di bestiame e molte altre ragioni hanno aggravato la crisi. A livello regionale, si nota la presenza di gruppi armati stranieri provenienti dal Burundi e dal Ruanda.
L’insicurezza constatata a Minembwe e dintorni merita dunque un’attenzione speciale da parte delle autorità congolesi e della comunità internazionale. Vari osservatori sottolineano due cause soggiacenti a tale insicurezza.
È nel 2017 che dei capi tradizionali Nyindu, Fuliru e Bembe furono assassinati da persone non ancora identificate. Tuttavia, i Banyamulenge furono ben presto sospettati di essere gli autori di questi vili assassinii.
Inoltre, in quel periodo, l’ex primo ministro Bruno Tshibala aveva firmato un’ordinanza relativa alla trasformazione di diverse entità del Sud Kivu in città e comuni rurali o urbani. È in questo contesto che la cittadina di Minembwe, abitata prevalentemente da Banyamulenge, ottenne lo statuto di comune rurale. Tale provvedimento  ha suscitato una crescente opposizione da parte di molte autorità tradizionali di Itombwe / Mwenga e di Fizi, intensificando un conflitto etnico già preesistente.
Secondo alcune fonti, tra il 2017 e luglio 2020, più di 100 persone sono state uccise, oltre 300 villaggi sono stati incendiati, molte donne sono state violentate, i centri di accoglienza degli sfollati sono stati attaccati e oltre 130.000 capi di bestiame sono stati rubati.
La zona è ricca di terreni agricoli e di pascoli e è abitata da varie etnie: da un lato i Bavira, i Bafuliru, i Banyindu e i Babembe (di origine autoctona) e dall’altro, i Banyamulenge (di origine ruandese e burundese).
I primi mettono in discussione la nazionalità congolese dei Banyamulenge (quelli di Mulenge, una località del territorio dei Bafuliru) che, secondo loro, sono dei “pastori ruandesi immigrati” che non dovrebbero essere chiamati Banyamulenge, ma piuttosto Banyarwanda (quelli del Ruanda).
Molti sono i gruppi armati attivi sul territorio. Ci sono quelli locali a connotazione etnica: da un lato ci sono i Mai-Mai Yacutumba, Mtetezi, Biloze-Bishambuke e Ebwela, che fanno rispettivamente riferimento ai Babembe, Banyindu, Bafuliru e Bavira e, dall’altro ci sono i Gumino e i Twirwaneho, che fanno riferimento ai Banyamulenge.
Ci sono poi dei gruppi armati stranieri, principalmente hutu burundesi: l’FNL (accusato di aver massacrato, nel 2004, più di 150 persone, principalmente Banyamulenge, in un campo profughi congolese in Burundi), il Red-Tabara e il FOREBU.
I gruppi armati Mai-Mai congolesi sono alleati con l’FNL, il Red-Tabara e il FOREBU.
In tutti questi gruppi, soprattutto ta i Gumino e i Twirwaneho, ci sono dei militari delle ex ribellioni, come l’AFDL, l’RCD, l’M23, il CNDP o il CNPSC. Quest’ultimo è un gruppo che aveva tentato di occupare la città di Uvira nel mese di settembre 2017 e che era stato respinto dalle truppe della Monusco e delle FARDC. Le motivazioni di questo gruppo non sono molto conosciute.[1]

Il 15 giugno, nel campo sfollati di Mikenge situato sugli altipiani di Itombwe, nel territorio di Mwenga (Sud Kivu), si era notata una forte tensione dovuta al fatto che il sabato 13 e la domenica 14 giugno le loro mandrie erano state oggetto di due attacchi perpetrati da elementi armati identificati come miliziani Mai-Mai provenienti da Kipupu.
Secondo il presidente del campo sfollati, Yoshua Basanda, l’attacco di domenica ha avuto luogo verso le ore 13:00, a Matata / Mikenge centro. Secondo fonti locali, dopo aver sparato alcuni colpi e ferito un pastore, gli aggressori sono riusciti a portar via 80 mucche. Allertati dai colpi, i militari dell’esercito nazionale sono intervenuti, riuscendo a recuperare 60 delle 80 mucche rubate prima.
Un altro attacco aveva avuto luogo il giorno precedente, non lontano dall’ospedale di Mikenge e in pieno giorno. Identificati come probabili combattenti Mayi-Mayi,  gli assalitori avevano preso in ostaggio un pastore e portato via cinquanta mucche. Secondo il presidente del campo sfollati di Mikenge, il pastore è riuscito a fuggire, ma le mucche rubate non sono ancora state recuperate, nonostante l’intervento delle FARDC.
Secondo il portavoce dell’esercito, il capitano Dieudonné Kasereka, questi casi ricorrenti di furto di bestiame sono commessi da alcuni abitanti del posto, in complicità con dei gruppi armati.[2]

Il 3 luglio, alcune fonti locali a Bijombo, un villaggio del territorio di Uvira, hanno comunicato a una delegazione della Monusco che dei giovani erano partiti da Minembwe per dirigersi verso la foresta di Bijabo, per venire in aiuto del colonnello Michel Rukunda, disertore delle FARDC. Il loro obiettivo sarebbe di attaccare il villaggio di Kipupu, roccaforte dei combattenti Mayi Mayi del settore Itombwe, nel territorio di Mwenga. Da parte loro, i rappresentanti degli sfollati di Mikenge denunciano la concentrazione dei combattenti Mai Mai a Kipupu e nei villaggi circostanti. Secondo loro, qesti miliziani Mai Mai potrebbero lanciare un attacco contro Bijabo e Ngoma, dove viene segnalata la presenza di Michel Rukunda e dei suoi uomini.[3]

Il 20 luglio, in una dichiarazione rilasciata a Bukavu, trenta deputati provinciali hanno affermato che, nella notte tra il 16 e il 17 luglio, a Kipupu, nel settore Itombwe, nel territorio di Mwenga (Sud Kivu), più di 220 persone erano state massacrate, molte donne violentate, diverse case incendiate e parecchi capi di bestiame rubati durante un attacco attribuito a miliziani della coalizione di tre gruppi armati: Ngumino, Twirwaneho e Red Tabara.[4]

Il 23 luglio, in un suo comunicato stampa, il movimento civico “Filimbi” ha condannato il massacro di oltre 200 civili a Kipupu, capoluogo del settore Itombwe, nel territorio di Mwenga, nel sud Kivu. Il territorio è controllato da milizie agli ordini di un colonnello che ha disertato le FARDC quando era vice comandante delle operazioni e dell’intelligence, Michel Rukunda, noto come “Makanika”.
In questo comunicato stampa si può leggere: «È con grande sgomento che abbiamo appreso che, nella notte tra il 16 e il 17 luglio 2020, dei connazionali civili, tra cui donne e bambini, completamente disarmati, sono stati massacrati a Kipupu, capoluogo del settore Itombwe, nel territorio di Mwenga, nella provincia del Sud Kivu. Fino ad oggi, sono stati trovati circa 20 corpi e più di 200 persone sono dichiarate scomparse. Secondo quanto riferito, alcune vittime sono state decapitate con machete e varie donne violentate prima di essere a loro volta uccise. I responsabili di questi atroci crimini sarebbero membri della coalizione di tre milizie: Ngumino, Twiguaneho e Red Ntabara, che avrebbero agito sotto il coordinamento del colonnello disertore delle Forze Armate della Repubblica Democratica del Congo (FARDC) ed ex vice comandante responsabile delle operazioni militari a Walikale, nella provincia del Nord Kivu, Michel Rukunda detto Makanika». Filimbi aggiunge che questi gruppi armati (Ngumino e Twiguaneho) avrebbero agito in rappresaglia per gli attacchi perpetrati dalle milizie Maï-Maï contro il villaggio di Kalingi, durante i quali diversi loro combattenti avrebbero perso la vita.
Secondo Filimbi, l’ufficializzazione dello statuto di Minembwe come comune rurale, soprattutto attraverso la recente designazione di certi quadri amministrativi, sarebbe la causa dell’impennata delle violenze commesse dall’inizio del 2019 nel territorio di Fizi, più precisamente a Minembwe e dintorni, dalle milizie “Banyamulenge” (Ngumino, Twiguaneho, ecc.) e da quelle “Babembe” (Yakutumba, Ebwela , eccetera).
Secondo il comunicato, «le altre comunità del territorio di Fizi considerano illegittima la creazione del comune rurale di Minembwe, tramite il decreto legge n. 013/29 del 13 giugno 2013, perché non rispetta la procedura legale e anarchica, perché comprende alcune parti appartenenti a tre territori limitrofi: Fizi, Uvira e Mwenga».
Filimbi ricorda che, lo scorso marzo, in collaborazione con la ONG svizzera Interpeace, il governo congolese aveva organizzato, a Uvira, un dialogo intracomunitario dei Babembe. Alla fine di questo incontro di 3 giorni, la principale raccomandazione fatta al governo per porre fine alle violenze, era stata quella dell’annullamento della creazione del comune rurale di Minembwe, che era stata fortemente richiesta dalla comunità “Banyamulenge” sospettata dalle altre comunità, spiega Filimbi,  di far parte di un piano di balcanizzazione dell’est della RDCongo, in complicità con il Ruanda e con vari interessi economici internazionali.[5]

Il 26 luglio, in un Tweet, il vincitore del Premio Nobel per la pace, il Dott. Denis Mukwege, ha scritto: «Sono sempre gli stessi che continuano a ucciderci. I macabri resoconti di Kipupu sono in linea con i massacri che hanno colpito la RD Congo dal 1996». Secondo lui, «fintanto che si continua con l’impunità e le raccomandazioni del rapporto Mappatura delle Nazioni Unite vengono ignorate, continueranno anche i massacri dei Congolesi».
Pubblicato il 1° ottobre 2010, il rapporto Mapping fa il punto sulle più gravi violazioni dei diritti umani e del diritto umanitario internazionale commesse sul territorio della RDC tra marzo 1993 e giugno 2003. Secondo questo rapporto, la stragrande maggioranza dei 617 casi registrati potrebbero essere considerati come crimini internazionali, cioè crimini di guerra e crimini contro l’umanità.
Il rapporto propone l’istituzione di una politica olistica di giustizia adattata a situazioni di transizione. Si tratta di un sistema che si baserebbe sulla creazione di meccanismi diversi e complementari, giudiziari e non giudiziari. Tuttavia, il rapporto non dà alcuna raccomandazione o direttiva in quanto tale, ma esamina i vantaggi e gli svantaggi delle varie opzioni di giustizia adattata a situazioni di transizione in termini di verità, giustizia, riparazione, riabilitazione delle vittime, riforma della giustizia e delle istituzioni di sicurezza, comprese le misure di sanatoria (controllo) nell’attuale contesto congolese. Il governo della RD Congo e la società civile dovrebbero prendere in considerazione queste opzioni che includono: la creazione di una giurisdizione mista; la creazione di una nuova Commissione per la verità e la riconciliazione; programmi di riparazione, riforme del settore della giustizia e delle forze di sicurezza.[6]

Il 29 luglio, una delegazione mista Governo Provinciale, FARDC, MONUSCO e Società Civile si è recata a Kipupu, per ottenere un’informazione diretta su ciò che vi era accaduto nella notte del 16 luglio. In un incontro con la delegazione, il presidente della società civile dell’Itombwe, Jean Abakwa, ha fatto il seguente rapporto: quindici persone uccise, molte altre ferite, centinaia di persone scomparse e ingenti danni materiali.
Egli ha spiegato alla delegazione ciò che è successo: «Erano circa le 5:00 del mattino. Abbiamo sentito degli spari e abbiamo visto delle case incendiate. La popolazione è fuggita nella foresta. Quando, verso le 15:00 siamo usciti, abbiamo trovato 15 cadaveri. 8 persone erano state uccise con dei machete o con armi da fuoco e sette sono state trovate carbonizzate nelle loro case incendiate. Undici le persone ferite. Oltre 200 persone risultano ancora scomparse. Diverse donne sono state violentate e il centro sanitario è stato completamente saccheggiato. Tra i beni rubati: 350 mucche, 120 capre, 115 pecore, galline, denaro e molte altre cose». Oltre a Kipupu, sono stati attaccati anche altri 3 villaggi: Kalinga, Kiseke e Kalulu.  Gli abitanti di 16 villaggi sono fuggiti in foresta. Va notato che i soldati della MONUSCO e delle FARDC si erano ritirati da questi villaggi rispettivamente 6 mesi e tre settimane prima, poiché ritenevano che quella zona non fosse più a rischio.[7]

Il 1° agosto, in una dichiarazione, il vescovo di Uvira (Sud Kivu), Mons. Sébastien Muyengo Mulombe, ha «condannato i massacri di Kipupu e ha fatto appello alla responsabilità di tutti: le diverse comunità che vivono insieme sugli Altipiani dei territori di Fizi, Mwenga e Uvira, i leader politici della zona, alcuni dei quali sono sospettati di essere implicati in tali atti mediante il loro appoggio a determinati gruppi armati, e le autorità civili e militari, sia a livello nazionale che provinciale». Egli ha affermato che «il massacro di Kipupu fa parte di un circolo vizioso di vendette alimentato da una serie di conflitti circa la proprietà delle terre, la gestione del potere e l’accesso alla ricchezza (mucche), vendette che rischiano di causare ulteriori massacri e violenze, nel caso in cui non si faccia nulla per evitarlo. Oggi sono alcuni (le milizie di Banyamulenge) che hanno ucciso gli altri (le comunità di Bembe, Fuliro e Nyindu). Domani, sarà il turno dei Mayi-Mayi (le milizie di questi ultimi) a massacrare i primi. Quando finirà tutto questo? Nel frattempo, ci si può chiedere: dove erano la MONUSCO, le FARDC e la PNC? Si suppone che, quando si commettono tali atti, esse debbano intervenire. In caso contrario, si tratta di incapacità o di complicità?».
Egli ha deplorato «la guerra delle cifre (oltre 200 morti, secondo la popolazione; una decina di morti e più di 200 dispersi secondo le autorità) dietro le quali ci si è rifugiati per presentare la gravità della situazione … È solo nella Repubblica Democratica del Congo che il bilancio delle vittime non conta e che i responsabili di tali atti rimangono impuniti. Mentre altrove, in tutti i casi simili a quelli di Kipupu, si grida al genocidio, si erigono delle lapidi con i nomi delle vittime incisi su di esse e si aprono inchieste per trovare gli autori del crimine, nel nostro paese si parla piuttosto di “alcuni morti”, i cui corpi sono sepolti in fosse comuni, senza alcun processo, e di “diversi dispersi”, i cui nomi restano sconosciuti e per i quali si promette un’inchiesta che non avrà mai luogo. Per quanto riguarda gli assassini, spesso conosciuti da tutti, compresi i servizi di intelligence, essi continuano a vivere senza essere minimamente disturbati e, peggio ancora, a volte vengono promossi a posti di responsabilità o elevati a gradi superiori nell’esercito, nella polizia, eccetera».
Mons. Sébastien Muyengo ha chiesto al Presidente della Repubblica di «impegnarsi sul serio per la pace e la sicurezza del paese, liberandolo da tutti i gruppi armati, a cominciare da quelli provenienti da paesi stranieri. Ce ne sono molti sugli altopiani di Fizi, Mwenga e Uvira. Per quanto riguarda i gruppi armati locali che giustificano la loro esistenza per proteggere le nostre terre e le nostre popolazioni, siano integrati nelle nostre forze armate o semplicemente smobilitati. Ma occorre dapprima procedere alla riforma del nostro esercito, purificandolo di tutti i suoi membri stranieri. Ciò di cui il Paese ha oggi bisogno è un esercito repubblicano, non un miscuglio di ex ribelli».
Secondo il vescovo di Uvira, «per porre fine a ciò che rende gli altopiani di Mwenga, Fizi e Uvira una caverna di banditi, questo è il vero nome di tutte quelle milizie locali e straniere che vi si formano, vi si addestrano e vi si combattono, è assolutamente necessario facilitare l’accesso, in breve tempo, delle nostre forze armate, collegando tra loro le due strade nazionali, la n. 2 e la n. 5, da Fizi (nel territorio di Fizi) a Bilalo Mbili (nel territorio di Mwenga) e / o da Kidoti (nel territorio di Uvira) a Kasika (nel territorio di Mwenga). Oltre a ciò, oggi è urgente istituire un quartier generale dello Stato maggiore dell’esercito a Minembwe o in un altro posto degli altopiani».
Infine, Mons. Sébastien Muyengo ha lanciato «un vibrante appello alle autorità del Paese, affinché facciano tutto il possibile per porre fine a questa situazione, per non dar ragione a tutti quelli che vogliono dividere – balcanizzare il nostro Paese perché, secondo loro, non siamo capaci di gestirlo bene a causa della sua vastità. Spetta al popolo congolese approfondire il suo senso di patriottismo che passa, tra l’altro, attraverso il saper vivere insieme, convivendo pacificamente fianco a fianco, oltre le differenze di tribù, etnie, lingue, ecc.».[8]

2. UNA DELEGAZIONE PRESIDENZIALE IN ITURI PER DEI NEGOZIATI DI PACE CON LA CODECO

La Cooperativa per lo Sviluppo del Congo (CODECO) è generalmente presentata come una coalizione di milizie Lendu, una comunità etnica prevalentemente di agricoltori, le cui rivendicazioni ruotano attorno a due principali questioni: da un lato, l’accesso alle terre di cui si sarebbero impossessati gli Hema, una comunità etnica di allevatori e, dall’altro, la volontà di cacciare dal territorio i non autoctoni che sfruttano le risorse naturali locali.
Accusata da diversi strati sociali e politici congolesi di essere responsabile dei massacri commessi nel territorio di Djugu, la milizia CODECO afferma che, a partire da luglio 2017, ha combattuto contro la balcanizzazione della RDC, le angherie commesse da militari e agenti di polizia contro la popolazione e le provocazioni attizzate da certe comunità etniche. La CODECO smentisce l’accusa di essere un gruppo armato a connotazione etnica e / o tribale e afferma di essere piuttosto un gruppo armato per la difesa della provincia. Tuttavia, nonostante queste dichiarazioni, dal mese di dicembre 2017 in poi, gli attacchi perpetrati da questa milizia hanno causato quasi 1.000 morti e mezzo milione di sfollati.

Il 3 luglio, il Presidente della Repubblica, Félix Tshisekedi, ha inviato in Ituri una delegazione formata da ex signori della guerra, tra cui Floribert Ndjabu, il Generale Germain Katanga e il Colonnello Mathieu Ngudjolo, per prendere contatto con i principali capi della Cooperativa per lo Sviluppo del Congo (CODECO), in vista di un accordo di pace.

Il 13 luglio, in un incontro organizzato a Kambutso, nel settore di Walendu Tatsi nel territorio di Djugu della provincia di Ituri, la CODECO ha comunicato alla delegazione le sue condizioni per cessare le ostilità e deporre le armi, in vista di un’integrazione dei suoi membri nell’esercito nazionale o nella vita civile:
– Rimpatriare qualsiasi gruppo armato straniero ancora presente sul suolo congolese;
– Identificare e radiare dall’esercito congolese tutti quei militari infiltratisi a partire dal Ruanda e da altri paesi;
– Riconoscere gli sforzi compiuti dalla CODECO, per evitare la balcanizzazione della RD Congo da parte dei paesi limitrofi e dei loro alleati;
– Creare immediatamente un centro di accoglienza dei combattenti CODECO, in vista della loro assistenza da parte dello Stato;
– Amnistiare tutti i combattenti della CODECO per gli atti da essi commessi nei territori della provincia di Ituri e riconoscere i loro rispettivi gradi militari;
– Riabilitare tutti i capi di raggruppamenti e settori sospesi senza seguire le relative procedure amministrative;
– Sospendere tutti i capi di settore in funzione, perché non hanno fatto nulla per la popolazione, nemmeno per evitarle le angherie subite da militari e agenti di polizia;
– Cessare di demonizzare la comunità Lendu, presentando tutti i suoi membri come miliziani  membri della CODECO.[9]

Il 21 luglio, la società civile locale ha fatto sapere che i miliziani Codeco hanno rioccupato diversi raggruppamenti (Masongwa, Are, Ruvinga e Muswa) della zona di Mukambo, in territorio di Mahagi. Secondo la stessa fonte, questa occupazione risale a diversi mesi prima e ha permesso ai miliziani di intraprendere varie attività commerciali. I miliziani, ha affermato la società civile, hanno istituito una catena di produzione e vendita di olio di palma e di legname, per assicurarsi il proprio sostenimento. La vendita di questi prodotti avverrebbe in alcuni centri commerciali del territorio di Djugu, in particolarea Kpandroma, ma anche in Uganda, attraverso la frontiera di Nyamonda, sulle rive del lago Albert. Lo scorso gennaio, il deputato nazionale Daniel Uma, eletto per il territorio di Mahagi, aveva affermato che  dei miliziani CODECO erano presenti nel villaggio di Therali (territorio di Mahagi) e che avevano inviato delle lettere ai capi di vari raggruppamenti, tra cui Ruvinga, Musongwa e Are, per chiedere loro di contribuire al loro sostentamento, mediante una fornitura settimanale di viveri e altri beni di prima necessità.[10]

Il 28 luglio, durante una conferenza stampa tenutasi a Rethy, una località del settore Walendu-Pitsi a Djugu, la delegazione proveniente da Kinshasa ha dichiarato che, dal 24 al 26 luglio, diversi miliziani della CODECO hanno deciso di uscire dalla foresta, per iniziare un percorso di pace. Si tratta dei miliziani di Allah e di Katanga, due roccaforti situate  nel territorio di Djugu.
«Il 24 luglio abbiamo ricevuto alcuni combattenti del gruppo di Allah, guidato da Ngabu Songambele. Muniti di alcune armi leggere, hanno dichiarato di essere pronti a recarsi nel sito di accantonamento per la pace. Il 26 luglio, 88 combattenti del gruppo Katanga hanno espresso la loro volontà di iniziare un percorso di disarmo. Erano muniti di 15 AK47 e di armi bianche. In realtà, ogni giorno registriamo casi simili», ha dichiarato Pitsou Iribi, portavoce della delegazione di Kinshasa. «Tuttavia, stiamo incontrando delle difficoltà che potrebbero avere un impatto negativo sulla nostra missione. Non ci sono strutture di accoglienza. I miliziani desiderano deporre le armi, ma non sappiamo dove sistemarli e come mantenerli», ha aggiunto il portavoce Iribi, sottolineando che, per evitare un ulteriore fallimento, «questi problemi sono già stati trasmessi ai più alti livelli, nella speranza che si trovi una soluzione il prima possibile». Infine, egli ha fatto notare che «la delegazione ha lanciato un grido di allarme alle autorità nazionali e provinciali, ai responsabili del programma STAREC (stabilizzazione e ricostruzione del Congo), alle organizzazioni nazionali e internazionali e alla MONUSCO, al fine di trovare una soluzione a questi problemi».
Occorre ricordare che, il 15 luglio, in seguito alle negoziazioni intraprese, altri miliziani membri di Liberazione per il Congo / CODECO avevano deciso di firmare un atto di impegno per la pace che prevedeva un cessate il fuoco. Anch’essi avevano presentato le loro condizioni e rivendicazioni.
La violenza nei territori di Djugu, Mahagi e Irumu hanno precipitato l’Ituri in una crisi umanitaria senza precedenti. Secondo le Nazioni Unite, gli sfollati in questa provincia sono oltre 1,6 milioni, la maggior parte dei quali sono donne e bambini.[11]

Il 28 luglio, il portavoce delle operazioni militari delle Forze Armate della Repubblica Democratica del Congo (FARDC) in Ituri, il tenente Jules Ngongo, si è detto indignato del fatto che la popolazione abbia accettato delle trattative con dei miliziani della Codeco, affinché restituissero le mucche da essi rubate il 23 luglio a Penyi, nel distretto di Bahema Banywangi (Djugu). Le mucche sono state restituite dopo che i miliziani abbiano imposto alle vittime del loro furto il pagamento di 10 mila dollari e che questa somma sia stata consegnata alla Codeco in presenza delle autorità locali. Il tenente Jules Ngongo, ha deplorato questo modo di fare. Tanto più che, in questi ultimi tempi, i miliziani della Codeco hanno istituito un sistema di saccheggio di bestiame, per chiedere poi un riscatto in cambio di una restituzione. Altri miliziani della Codeco, soprattutto del territorio di Djugu, sono accusati di sfruttamento dell’oro per la loro sopravvivenza.[12]

Il 1° agosto, a Lodjo, settore Walendu Pitsi, territorio di Djugu, alcuni leader del gruppo armato Unione dei Rivoluzionari per la Difesa del Popolo Congolese (URDPC) noto come CODECO, si sono impegnati a deporre le armi e a cessare le ostilità. I leader di questa milizia hanno firmato e consegnato alla delegazione inviata dal Presidente della Repubblica un documento di cinque pagine. In questo documento, l’URDPC ha affermato di aver deciso di porre fine ai ripetuti attacchi contro la popolazione civile e l’esercito, ciò che consentirà la libera circolazione delle persone e dei loro beni su tutto il territorio di Djugu. L’URDPC ha inoltre dichiarato di essere pronta ad aderire al processo di pace, accettando l’acquartieramento dei suoi membri, come primo passo di adesione al programma di Disarmo e Reinserimento (DDRR). Secondo il portavoce della delegazione, Pitshou Iribi, ora il principale problema è quello relativo all’assistenza, da parte del governo, dei combattenti che si stanno arrendendo.[13]

[1] Cf CongoForum.be, 25.07.’20   https://www.congoforum.be/fr/2020/07/sud-kivu-la-situation-securitaire-a-minembwe-merite-une-attention-particuliere-des-autorites-et-de-la-communaute-internationale-congoforum/
[2] Cf Radio Okapi, 15.06.’20
[3] Cf Radio Okapi, 03.07.’20
[4] Cf Radio Okapi, 21.07.’20
[5] Cf Jordan Mayenikini – Actualité.cd, 25.07.’20; Thierry Mfundu – Politico.cd, 25.07.’20
[6] Cf Judith Asina – Matininfo.net, 04.08.’20
[7] Cf Radio Okapi, 29.07.’20; Justin Mwamba – Actualité.cd, 30.07.’20
[8] Cf Radio Okapi, 04.08.’20
[9] Cf Elias Aungama – Actu24.cd, 15.07.’20
[10] Cf Franck Asante – Actualité.cd, 22.07.’20
[11] Cf Franck Asante – Actualité.cd, 29.07.’20
[12] Cf Franck Asante – Actualité.cd, 28.07.’20
[13] Cf Radio Okapi, 03.08.’20