Congo Attualità 412

TRE MESSAGGI IN OCCASIONE DEL 60° ANNIVERSARIO DELLA INDIPENDENZA DELLA RD CONGO

INDICE

1. IL DISCORSO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA, FÉLIX TSHISEKEDI
2. LA DICHIARAZIONE DELLA CONFERENZA EPISCOPALE NAZIONALE DELLA RD CONGO
3. L’OMILIA DEL CARDINALE DI KINSHASA, MONS. FRIDOLIN AMBONGO

1. IL DISCORSO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA, FÉLIX TSHISEKEDI

Rivolgendosi al popolo congolese in occasione del 60° anniversario dell’indipendenza del Paese, il Presidente della Repubblica, Félix Tshisekedi, ha ricordato che «il 30 giugno è l’occasione di celebrare e commemorare l’adesione del nostro paese alla sovranità nazionale e internazionale. È anche un’opportunità per verificare il cammino che abbiamo percorso insieme, per fare il punto sulla situazione politica, economica e sociale, al fine di trovare i modi e i mezzi per offrire un futuro migliore ai nostri figli. I nostri padri hanno scelto la via dell’indipendenza, della dignità e della solidarietà nazionale, pur essendo consapevoli dei rischi che incombevano sul Paese per quanto riguardava il suo futuro politico. economico e sociale, in seguito alla mancanza di un’adeguata preparazione. La sfiducia esistente tra gli attori politici nazionali, notata già i primi giorno dopo l’annuncio della nostra indipendenza, è stata il risultato combinato dell’inesperienza della giovane classe politica e del gioco malintenzionato delle potenze esterne.
Quell’inizio fallimentare ha portato il nostro paese, un paese con eccezionali aspettative, verso un’interminabile discesa agli inferi che non ha risparmiato nessun settore della vita nazionale … In effetti, come un serpente, la minaccia della balcanizzazione del Paese ha marcato la storia degli ultimi 60 anni, rendendola tumultuosa e travagliata, su istigazione di poteri esterni in complicità con dei figli del paese e dei paesi vicini. Lungi dal distruggere la nostra volontà di vivere insieme, le numerose minacce incombenti sul nostro paese hanno rafforzato i legami storici e il sentimento patriottico che ci rendono figlie e figli della nostra grande nazione. In effetti, per sessant’anni, nonostante le nefaste vicissitudini e le conseguenti  dolorose conseguenze, la nostra patria è rimasta unita e indivisibile».
Il Presidente ha osservato che «oggi, 60 anni dopo l’indipendenza, il futuro della Nazione è ancora nelle mani di una classe politica, di qualsiasi tendenza, che non riesce ancora a strappare la Nazione dal circolo vizioso dell’instabilità e della povertà. 60 anni dopo, mentre il reddito medio pro capite era di 1.000 $ nel 1960, oggi è stimato a 400 $; in altre parole, negli ultimi 60 anni il cittadino congolese ha perso il 60% circa della sua ricchezza. Il nostro paese è paradossalmente oggi uno dei paesi più poveri del continente mentre, 60 anni fa, era uno dei più ricchi. La nostra attuale rete stradale non è che il 10% di quella del 1960 e l’attuale rete ferroviaria non rappresenta che il 20% di quella del passato».
Tuttavia, come il Presidente aveva promesso, «la creazione di uno stato di diritto è in corso di attuazione. La giustizia sta gradualmente recuperando la sua indipendenza. I progressi compiuti in questo settore sono stati raggiunti a prezzo di sacrifici immensi. Essi non possono essere annientati da oscure manovre volte ad espropriare il Consiglio Superiore della Magistratura del potere giudiziario che la Costituzione gli conferisce. Non è necessario ricordare che la giustizia nobilita una nazione. La giustizia è per uno stato di diritto ciò che il sangue è per il corpo umano».
Ecco perché, in questo settore, «le riforme devono essere dettate non dalla preoccupazione di garantire la protezione di una singola persona o di un gruppo di persone, ma piuttosto dalla preoccupazione di assicurare una maggiore efficienza del funzionamento della giustizia. Quindi non accetterò mai delle riforme che, per loro natura e contenuto, rischino di minare i principi costituzionali,  tra cui l’indipendenza della magistratura nei confronti dei poteri legislativo ed esecutivo, il potere dell’autorità suprema nella nomina dei magistrati, la gestione del potere giudiziario affidata al Consiglio Superiore della Magistratura».
Il presidente Tshisekedi ha inoltre ricordato che si è impegnato a rendere l’istruzione di base obbligatoria e gratuita per tutti: «Fino all’inizio dell’anno scolastico 2019, il nostro paese era uno degli ultimi stati in cui si doveva ancora pagare per accedere alla scuola primaria. I genitori dovevano pagare i 2/3 dei costi della scuola e, solo nel 2018, 4 milioni di bambini avevano abbandonato la scuola, perché i genitori dovevano scegliere tra nutrirli o farli studiare. Da quando abbiamo intrapreso questa riforma per un’istruzione primaria gratuita, 2,5 milioni di bambini hanno potuto ritornare a scuola. Tuttavia, dobbiamo ora affrontare due grandi sfide: quella delle infrastrutture di accoglienza e quella della qualità dell’istruzione».
Ha inoltre ricordato di essersi impegnato a «porre fine all’impunità, mediante la lotta contro la corruzione, causa principale della maggior parte dei problemi constatati nei diversi settori della vita nazionale. A tale proposito, il 28 marzo scorso, ho emesso un’ordinanza relativa alla creazione di un’agenzia per la prevenzione e la lotta contro la corruzione (APLC), la cui missione è prevenire e combattere la corruzione che affligge il nostro paese. La lotta contro l’impunità e la corruzione costituisce l’elemento centrale della mia strategia, senza il quale ogni vera speranza di cambiamento diventa impossibile».[1]

2. LA DICHIARAZIONE DELLA CONFERENZA EPISCOPALE NAZIONALE DELLA RD CONGO

Il 27 giugno, il Comitato permanente della Conferenza Episcopale Nazionale del Congo (CENCO) ha pubblicato un messaggio dal titolo “Chi semina vento scatena tempesta”. Due sono i temi predominanti: a) le tre proposte di legge presentate in parlamento dai deputati nazionali Aubin Minaku e Garry Sakata sulla riforma del sistema giudiziario e b) la designazione del futuro presidente della Commissione Elettorale Nazionale Indipendente (CENI) da parte dei responsabili delle confessioni religiose.
I vescovi hanno osservato che le tre proposte di legge sulla riforma giudiziaria e la mancanza di consenso tra i membri della piattaforma delle confessioni religiose sulla designazione di un loro candidato comune per la Commissione elettorale hanno suscitato un grande malcontento nei vari strati della popolazione congolese. Perciò, percependo il rischio di eventuali prossime violenze e fedeli alla loro missione profetica, hanno deciso di rivolgere un appello ai loro connazionali implicati in questi problemi, al fine di garantire la pace civile.
Pur condividendo la preoccupazione del Popolo di avere leggi giuste e persone idonee che possano contribuire allo sviluppo integrale del Paese, i vescovi hanno condannato ogni forma di violenza e hanno raccomandato a tutti il ricorso ai mezzi legali e pacifici per esprimere le loro opinioni.
Essi hanno affermato che uno stato di diritto si basa su dei principi democratici ispirati non solo alla regola della maggioranza, ma anche al riconoscimento dei valori morali fondamentali che rispettano la dignità umana, la vita e diritti intangibili e inalienabili di ogni uomo. La legge della maggioranza non è necessariamente sinonimo di verità o di ragione, né garanzia di coesione sociale. Una maggioranza parlamentare, per quanto legale possa essere, perde la sua legittimità quando dimentica gli interessi e il benessere del Popolo.
Inoltre, è inaccettabile che le leggi siano fatte su misura per favorire le ambizioni dei leader politici, dei partiti o delle piattaforme politiche. È altrettanto inaccettabile che alcuni compatrioti inventino delle strategie volte a privare le istituzioni di appoggio alla democrazia della loro indipendenza costituzionale, al fine di soggiogarle ai loro diktat. Queste azioni non fanno altro che contribuire alla distruzione della coesione nazionale e alla destabilizzazione delle istituzioni dello stato.
È chiaro che, se non si sta attenti, le tre proposte di legge presentate alla Camera dei deputati nazionali sulla riforma della giustizia rischiano di intaccare l’indipendenza della magistratura, come sancita nell’articolo 220 della nostra Costituzione del 16 febbraio 2006.
La stessa cosa vale anche per la designazione dei candidati membri del Comitato de presidenza della Commissione elettorale. Occorre denunciare il tentativo, da parte dei politici, di far man bassa di questa istituzione di appoggio alla democrazia.
I Congolesi continuano a ricordare la caotica gestione delle elezioni del 2018. Molti hanno persino perso la fiducia nel nostro sistema elettorale. È quindi necessario rassicurare i futuri elettori del 2023 sul fatto che le cose andranno meglio.
Per raggiungere questo obiettivo, i Vescovi hanno affermato che sarebbe dapprima necessario riformare, per consenso, il sistema elettorale, in particolare la legge elettorale e quella sull’organizzazione e il funzionamento della Commissione elettorale, per evitare di designare, come membri della stessa commissione, delle persone che, benché esperte in questioni elettorali,sono già implicate in atti di manipolazioni elettorali.
I vescovi hanno esortato il Comitato di presidenza dell’Assemblea nazionale ad utilizzare la via della saggezza e ad annullare il dibattito parlamentare sui tre contestati progetti di legge  sulla riforma della Giustizia. Per quanto riguarda la designazione dei candidati membri della Commissione elettorale, essi hanno chiesto di procedere dapprima alla sua riforma. Tentare di imporre risposte predefinite a tali questioni rischierebbe di far precipitare il paese nel caos.
Le attuali proteste contro le manipolazioni politiche inerenti alla procedura di designazione dei candidati membri della Commissione elettorale e alla presentazione, in parlamento,  delle tre proposte di legge sulla riforma giudiziaria, indicano che il popolo congolese ha fame di giustizia e di pace. Il benessere del popolo congolese deve essere la preoccupazione principale di qualsiasi partito o piattaforma politica.[2]

3. L’OMILIA DEL CARDINALE DI KINSHASA, MONS. FRIDOLIN AMBONGO

Il 30 giugno, la Repubblica Democratica del Congo ha celebrato il 60° anniversario della sua indipendenza. In questa occasione, il cardinale Fridolin Ambongo, nella sua omelia, ha fatto il punto di questi 60 anni di indipendenza.
1. Il nostro paese, la Repubblica Democratica del Congo, celebra oggi una giornata eccezionale: il 60° anniversario della sua accessione alla sovranità internazionale. Non possiamo dimenticare questo giorno, culmine di tanti sacrifici e spargimenti di sangue da parte di valorosi nostri compatrioti.
2. Abbiamo il dovere di ricordare e far memoria di questo giorno. Tuttavia, l’evento che stiamo oggi celebrando è anche, in parte, la fonte della nostra attuale infelicità. A differenza dei paesi vicini, l’indipendenza del Congo, ottenuta il 30 giugno 1960, è stata un’indipendenza più sognata che pensata: mentre altrove si rifletteva sul significato dell’indipendenza e si preparavano le persone ad assumerne le conseguenze, noi qui in Congo ci siamo limitati a sognarla semplicemente. Noi Congolesi abbiamo sognato l’indipendenza con emozione, con passione e con irrazionalità, al punto che in quel momento non sapevamo cosa ci stava aspettando il giorno seguente. L’effetto delle conseguenze di tale comportamento continua ancora oggi.
3. Per i Congolesi di quel tempo, sognare l’indipendenza significava accedere all’indipendenza per occupare i posti dei bianchi, sedersi sulle poltrone dei bianchi, usufruire dei vantaggi riservati ai bianchi. Per molti, raggiungere l’indipendenza significava la fine dei lavori forzati; ma al di là dei lavori forzati, l’indipendenza era intesa come la fine di tutti i lavori umilianti. Con l’arrivo dell’indipendenza, non avremmo più lavorato nei campi, ma saremmo diventati tutti dei capi.
Avremmo preso il posto dei bianchi. Il giorno dopo l’indipendenza, più precisamente al tempo della Zairianizzazione (nazionalizzazione), i Congolesi occuparono i posti dei bianchi. E dato che non capivano nulla di ciò che i bianchi facevano quando occupavano tal posto o un altro, l’esercizio dell’autorità o di un’altra responsabilità, sia politica che socio-economica o amministrativa, era intesa come un’opportunità di godere della vita come i bianchi.
4. Pertanto, in Congo, l’esercizio dell’autorità è stato inteso come un’opportunità di godimento: si accede al potere per godere e divertirsi, come facevano i bianchi, non per essere al servizio di quelli che sono sotto la mia responsabilità. Tuttavia, quando erano seduti sulla sedia del potere, i bianchi non si limitavano solo a divertirsi, ma lavoravano. Avevano capito il significato del lavoro. Noi invece abbiamo messo da parte la nozione del servizio da rendere agli altri e abbiamo accentuato quella del godimento.
5. Una rapida occhiata ai sessant’anni appena trascorsi rivela che questo grande sogno dei Congolesi è stato progressivamente infranto da una serie di fatti ed eventi. Abbiamo conosciuto la successione di regimi autocratici arrivati al potere come i coloni, senza alcun rispetto per la volontà del popolo e questo continua fino ad oggi: si arriva al potere con la forza, le guerre, l’astuzia e l’inganno. Nella gestione degli affari pubblici, si sta assistendo all’installazione di un sistema egoistico, invece di promuovere il benessere comune del popolo congolese, a cui si ritiene di non dover rendere alcun conto, perché non è grazie a lui che si arriva al potere. Non ci si sente affatto obbligati a rendere conto al popolo. A ciò si aggiunge la cultura dell’impunità. Si sanzionano i piccoli che rubano una gallina o una capra. Sono spesso arrestati e incarcerati. Per i grandi invece l’impunità è totale. Fortunatamente, qualcosa inizia a cambiare. Si assiste all’accanimento, da parte dell’attuale maggioranza parlamentare, di voler mettere le mani sulla Commissione elettorale e sulla Magistratura. Tutto ciò è intollerabile, perché è precisamente da queste due istituzioni che dipende l’indipendenza del popolo. E i suoi principi sono sanciti dallo stato di diritto. Quando si parla dello stato di diritto, si parla dei due seguenti principi: l’indipendenza dell’organismo che organizza le elezioni (la Commissione elettorale) e l’indipendenza dell’istituzione che assicura la giustizia (la Magistratura). In assenza di questi due tipi di indipendenza, è la dignità del popolo stesso che viene calpestata.
6. È incomprensibile che, 60 anni dopo il sua accesso alla sovranità internazionale, il popolo congolese continui a impoverirsi, al punto da essere classificato oggi tra i popoli più miserabili della terra. L’inviolabilità del suo territorio non è realmente garantita e il progetto di balcanizzazione della nazione è ancora una minaccia. Assistiamo con dolore a tutto ciò che sta succedendo nella parte orientale del paese. C’è la situazione dell’Ituri, dove l’insicurezza è disgraziatamente intrattenuta da alcuni politici nascosti a Kinshasa. Ricordiamo la situazione di Beni-Butembo, dove le Forze Democratiche Alleate (ADF) continuano a seminare morte e distruzione. Come spiegare che un intero esercito di un grande paese come il Congo non sia capace di sconfiggere questo gruppo armato straniero ancora attivo nella foresta di Beni? Eppure, in gennaio scorso, l’esercito aveva solennemente annunciato di averlo praticamente sconfitto e di aver preso il controllo sul territorio. Eppure sono ancora lì e ancora minacciosi. C’è la situazione del Sud Kivu, nella diocesi di Uvira, nei dintorni di Minembwe, dove gruppi armati e truppe di paesi vicini, Ruanda e Burundi, si combattono sul nostro territorio. Da non dimenticare la situazione del Tanganica: persino lo Zambia, finora considerato come paese amico, si permette di occupare il nostro territorio. La verità è che molti dei 9 Paesi limitrofi del Congo stanno invadendo il nostro territorio: o attraverso i loro gruppi armati o le truppe dei loro eserciti, ciò che avviene nella maggior parte dei casi; o mediante i loro immigrati, dietro cui si cela una vera e propria politica di occupazione del nostro paese. È il caso dell’estremo nord, con i rifugiati della Repubblica centrafricana e con i pastori Mbororo. Per quanto riguarda lo sfruttamento illegale delle nostre risorse naturali, esso viene compiuto in pieno giorno, con la complicità di alcuni Congolesi, senza che la popolazione possa trarne alcun minimo vantaggio.
7. Dobbiamo riconoscerlo, cari fratelli e sorelle, dopo 60 anni di indipendenza, la conclusione è chiara: abbiamo vergognosamente fallito. Non siamo stati capaci di rendere il Congo un paese migliore di prima. Non abbiamo aiutato il nostro popolo a raddrizzare il capo. In tutto, abbiamo collettivamente fallito.
8. Cosa dobbiamo fare allora? Il vangelo di oggi ci invita alla responsabilità. Ognuno di noi dovrà rendere conto davanti a Dio per quello che ha fatto con i suoi talenti, con questo bellissimo paese dall’immenso potenziale: che cosa hai fatto per il tuo paese? Questa è la domanda che ci verrà posta quando compariremo dinanzi al Tribunale Supremo. Che cosa hai fatto di tutta questa ricchezza che gratuitamente ho posto tra le tue mani? Per rispondere a questa domanda, dobbiamo uscire da questa mentalità: che debbano essere il Presidente o il Governo a fare questo o quello. Si tratta di un comportamento irresponsabile. Ognuno di noi deve assumersi la propria responsabilità.
9. Sappiamo perfettamente che la coalizione CACH-FCC è al potere da oltre un anno. Questa coalizione sa benissimo che ha calpestato la volontà del popolo per arrivarvi. Nonostante tutto, il popolo ha finito per rassegnarsi e accettare il fatto compiuto. Un po’ come avvenuto nella storia di Giacobbe che aveva rubato la benedizione destinata a suo fratello maggiore Esaù (cfr. Gen. 27), il popolo sperava che dal male originale potesse venire un bene. Ma sfortunatamente non è stato così.
10 Non c’è alcuna coalizione di governo se non di nome. In entrambe le parti, si nota sfiducia e diffidenza. Invece di lavorare insieme attorno a un programma governativo comune, gli Alleati non si fidano più l’uno dell’altro. Hanno instaurato una pericolosa relazione di rivalità che rischia di trascinare l’intero paese in un caos definitivo. Nel frattempo, l’azione del governo è completamente paralizzata e il popolo privato dei servizi più indispensabili. Il popolo è abbandonato a se stesso. Alla fine, la coalizione al potere ha perso la sua ragion d’essere. Normalmente dovrebbe sciogliersi. Spetta a quelli che hanno creato questa coalizione, il Presidente attuale e il Presidente uscente, rompere questa coalizione che condiziona negativamente lo sviluppo del nostro Paese. Fintanto esiste questa coalizione, non c’è nulla da aspettarsi dai nostri governanti e questo è inaccettabile.
11. Denunciamo l’attuale tendenza, soprattutto da parte dell’attuale maggioranza parlamentare, a mettere in questione le speranze della popolazione nei confronti di un sistema giudiziario veramente indipendente, al servizio del paese e non degli individui, e per una Commissione elettorale (CENI) al di sopra di ogni sospetto. Su questi due punti, la posizione della Chiesa cattolica è chiara.
a) Riguardo alla questione della Commissione elettorale, notiamo che la Presidente dell’Assemblea Nazionale ha assunto un atteggiamento di disprezzo verso la Chiesa cattolica, la Chiesa protestante e il popolo congolese. Queste due chiese, che rappresentano oltre l’80% della popolazione congolese, si sono opposte alla designazione di una persona che fa parte di un’equipe che ha già dimostrato di essere implicata nello scandalo dei brogli elettorali. Nonostante il no di queste due Chiese, la Presidente dell’Assemblea Nazionale ha tranquillamente fatto credere al popolo che, nel loro insieme, le Confessioni religiose avevano designato come loro candidato questa persona, considerata come il motore del sistema Naanga. Noi non lo vogliamo.
b) La seconda prova del disprezzo che l’Assemblea Nazionale ha per il popolo riguarda le tre proposte di legge presentate dai deputati Minaku e Sakata e relative alla riforma del sistema giudiziario. Il popolo non le accetta. La Chiesa cattolica, la Chiesa protestante, le Associazioni della società civile si sono chiaramente pronunciate contro queste leggi, il cui obiettivo non è altro che quello di proteggere quelli che si sentono in colpa. Non possiamo accettarlo.
12. Pertanto, in occasione della celebrazione dell’indipendenza del nostro paese, lancio un appello a tutto il nostro popolo, alla società civile, alla chiesa cattolica e alla chiesa protestante, affinché si alzino per bloccare queste velleità che hanno come unico obiettivo quello di proteggere gli interessi partigiani di coloro che non vogliono una giustizia equa. I prossimi giorni saranno difficili. Perciò chiedo al popolo di essere vigilante e pronto. Quando verrà il momento, quando tenteranno di approvare queste leggi e di confermare la candidatura di questa persona alla guida della Commissione elettorale, dovranno trovarci tutti uniti. Dopo 60 anni di indipendenza del paese, non possiamo accettare che si continui a governare per difetto e nel disprezzo del popolo, della Chiesa cattolica e della Chiesa protestante.[3]

[1] Cf https://www.matininfos.net/60-de-lindependance-de-la-rdc-voici-le-discours-du-chef-de-letat/77279/
[2] Cf http://cenco.org/cenco-qui-seme-le-vent-recolte-la-tempete-cf-osee-8-7/
[3] Cf http://cenco.org/cardinal-fridolin-ambongo-nous-navons-pas-le-droit-doublier-le-30-juin-1960/