Congo Attualità n. 389

INDICE

1. IL CONGO DIMENTICATO: LE CIFRE CHE STANNO DIETRO LA PIÙ LUNGA CRISI UMANITARIA IN AFRICA
a. Tendenze generali del conflitto nelle due province del Kivu
b. Violenze e risorse naturali
c. Vari fattori hanno contribuito alla persistenza dei conflitti
d. La necessità di riforme sistemiche
2. I RIBELLI E LA CITTÀ – DIMENSIONI URBANE DELLA MOBILITAZIONE ARMATA NELL’EST DELLA RD CONGO
a. Alcuni punti significativi
b. Introduzione
c. Appoggio politico ed economico
d. Reclutamento
e. Smobilitazione
f. Forme di violenza
g. Attività economiche
h. Considerazioni politiche
3. L’INCONTRO DEI CAPI DI STATO MAGGIORE DEGLI ESERCITI DI RD CONGO, RUANDA, UGANDA E BURUNDI
a. La proposta di uno Stato Maggiore integrato per coordinare operazioni militari congiunte contro i gruppi armati ancora attivi nell’Est della RD Congo
b. Nessun contingente estero nelle operazioni militari contro i gruppi armati

1. IL CONGO DIMENTICATO: LE CIFRE CHE STANNO DIETRO LA PIÙ LUNGA CRISI UMANITARIA IN AFRICA

Gruppo di Studi sul Congo – Centro di Cooperazione Internazionale – Università di New York Agosto 2019

Sono ancora numerosissimi i conflitti che continuano a far soffrire milioni di abitanti dell’Est della Repubblica Democratica del Congo (RDC).
Nel 2018, ci sono stati 1,8 milioni di sfollati. Nel 2019, le persone che hanno bisogno di assistenza umanitaria e di protezione sono circa 12,8 milioni, pari al 10% del numero totale a livello mondiale.
Attualmente, nelle province del Nord Kivu e del Sud Kivu ci sono più di 130 gruppi armati ancora attivi. Questo numero rappresenta un aumento rispetto al 2015 (70 gruppi armati) e al 2017 (120 gruppi armati).

a. Tendenze generali del conflitto nelle due province del Kivu

Tra il 1° giugno 2017 e il 26 giugno 2019, il Kivu Security Tracker (KST) ha documentato 3.015 casi di scontri e gravi violazioni dei diritti umani, con 6.655 vittime suddivise secondo le seguenti categorie:
– Morte violenta: 1.041 casi con 1.897 vittime
– Stupro collettivo: 24 casi con 100 vittime
– Sequestro a scopo di ritorsione e riscatto: 848 casi con 3.316 vittime
– Distruzione di proprietà: 148 casi
– Repressione politica: 106 casi
– Scontri: 1.290 casi.
La media è di circa 120 casi al mese.
Secondo le statistiche, solo nel 2018, nelle due province del Kivu sono state uccise 8,38 persone civili su 100.000 abitanti. Nello stesso periodo, nello stato di Borno in Nigeria, la nazione più colpita da Boko Haram e da Al-Qaeda in Africa occidentale, sono state uccise 6,87 persone su 100.000 abitanti. Sempre nel 2018, nello Yemen sono state uccise 4,13 persone su 100.000 abitanti.
In generale, la violenza armata è concentrata sugli altipiani densamente popolati dell’estremo est delle due province del Kivu, nei pressi delle frontiere con l’Uganda, il Ruanda e il Burundi.
Normalmente, i gruppi armati congolesi hanno le loro basi in zone rurali ma, negli ultimi anni, anche le città sono diventate sempre più pericolose: bande criminali, spesso legate a gruppi armati, vi hanno intensificato i loro attacchi. Per esempio, il 9% degli omicidi si sono verificati nelle sole
città di Goma, Butembo e Bukavu.
Nel Kivu, i casi di violenza non si verificano necessariamente solo in zone remote. Il 45 % degli omicidi ha avuto luogo nel raggio di un chilometro di distanza da una strada principale. Ciò vuol dire che l’esercito regolare congolese non è ancora riuscito a garantire la sicurezza lungo le strade più importanti, il che ostacola il commercio e il traffico stradale.
Nel Kivu, l’epicentro della violenza è il territorio di Beni, dove si constata il 31% di tutti gli omicidi, perpetrati principalmente dalle Forze Democratiche Alleate (ADF). Tra il 2017 e il mese di giugno 2019, questo gruppo armato di origine ugandese ha ucciso almeno 272 persone civili. Secondo molti osservatori, il numero di vittime degli attacchi intrapresi dalle ADF è probabilmente molto più elevato. Tuttavia, le ADF non sono l’unico gruppo armato presente in questa regione. I Mai-Mai Mazembe, un gruppo di miliziani reclutati all’interno della comunità Nande, sono il gruppo armato che, nello stesso periodo, ha avuto il maggior numero di scontri con l’esercito regolare.
Il territorio di Rutshuru, dove ha avuto luogo il 35% dei sequestri, è un altro punto caldo della violenza. Molti di questi casi si sono verificati nella periferia della città di Rutshuru e lungo la strada Rutshuru- Goma. In questa zona ci sono numerosi gruppi armati congolesi e ruandesi, nonché bande di criminali che usano il Parco Nazionale dei Virunga come loro campo base.
Più a nord, nell’area di incrocio tra i territori di Rutshuru, Walikale, Masisi e Lubero, la violenza è aumentata da quando, all’inizio del 2015, l’esercito congolese ha avviato operazioni contro i ribelli ruandesi delle Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR). Le forze armate congolesi si sono alleate con le milizie locali (NDC-R e Mai-Mai Mazembe), che reclutano le loro leve all’interno delle comunità Nande, Nyanga e Kobo, mentre le FDLR sono appoggiate dai vari gruppi Nyatura, composti principalmente da Hutu.
Infine, un’altra zona critica è situata sugli altipiani dei territori di Fizi e Uvira, all’estremità meridionale del Sud Kivu, dove si registra l’11% degli omicidi e il 17% degli scontri. Dall’inizio del 2018, le rivalità etniche tra le comunità dei Banyamulenge e dei Bafuliro si sono intensificate in seguito alla presenza di gruppi armati stranieri. I ribelli burundesi RED-Tabara, FNL e Forebu, a volte appoggiati dal governo ruandese, stanno combattendo contro altri ribelli ruandesi (il Congresso Nazionale Ruandese / RNC) e i gruppi Mai-Mai congolesi, alcuni dei quali sono, a loro volta, appoggiati dai governi congolese e burundese.

b. Violenze e risorse naturali

In apparenza, le risorse naturali sembrano essere una parte importante del problema. Le organizzazioni per la difesa dei diritti umani si sono spesso concentrate sullo sfruttamento illegale di stagno, tantalio, tungsteno e oro come fonte di entrate per i gruppi armati, mediante la tassazione delle miniere e delle rotte commerciali. Tuttavia, i dati del KST dimostrano che non esiste una correlazione sistematica tra le violenze commesse e le zone minerarie. Solo il 20% dei casi di violenza si verifica entro il raggio di 20 chilometri di distanza da una miniera e solo il 3% entro il raggio di 2 chilometri. È vero che alcuni poli di violenza si trovano situati nei pressi di alcune zone minerarie, per esempio vicino ai siti di estrazione d’oro a nord di Shabunda o nei pressi della miniera d’oro di Misisi, a sud di Fizi. Tuttavia, altre zone di violenza si trovano situate in aree sprovviste di miniere come, per esempio, la zona intorno alla città di Beni, l’intero territorio di Rutshuru e la pianura della Ruzizi. Ciò non significa che l’estrazione mineraria non abbia alcun impatto sulla violenza. Infatti, in alcuni casi la violenza è stata direttamente associata alla lotta per il controllo delle zone minerarie e si sono trovate numerose prove del fatto che i gruppi armati focalizzano gran parte della loro attenzione sulla tassazione dei siti minerari e delle rotte commerciali. Tuttavia, i gruppi armati traggono profitti anche da molte altre fonti, tra cui la produzione di carbone, il bracconaggio, i sequestri di persone a scopo di riscatto e la tassazione su merci e  circolazione stradale. Se alcuni gruppi armati sono strettamente collegati a zone minerarie, molti altri occupano territori sprovvisti di siti minerari.

c. Vari fattori hanno contribuito alla persistenza dei conflitti

– La drammatica proliferazione dei gruppi armati che si è verificata negli ultimi anni ha reso più difficile il raggiungimento di eventuali accordi di pace, poiché è aumentato il numero di attori e di potenziali perturbatori. Si tratta di una questione resa maggiormente complicata per la natura stessa dei conflitti, che spesso nascono da problemi relativi alla ripartizione delle terre e al controllo del commercio.
– Più di due decenni di conflitto hanno creato una borghesia militarizzata: persone appartenenti a élite economiche, politiche e militari hanno approfittato del conflitto per avanzare nella loro carriera e a loro interessa che continui.
– I fattori locali della violenza, come le lotte per l’accaparramento delle terre e dell’autorità tradizionale, sono importanti, ma devono essere contestualizzati; con il passare del tempo, la maggior parte dei gruppi armati si è sempre più integrata nel tessuto delle élite locali.
– Il governo congolese è probabilmente l’attore più importante del conflitto, dal momento in cui non si è sufficientemente impegnato a porre fine a quelle guerre periferiche che non minacciano la sua sopravvivenza. Soprattutto, ha favorito il mantenimento delle reti di clientelismo, piuttosto che la sicurezza dei cittadini.
– Numerosi gruppi armati si sono arresi o hanno espresso l’intenzione di farlo, ma per il momento non esiste alcun programma di smobilitazione e di reinserimento sociale per i circa 2.000 o 3.000 combattenti che ne potrebbero usufruire. Nemmeno si sono constatate nuove procedure giudiziarie nei confronti di comandanti dell’esercito regolare che hanno commesso soprusi o appoggiato gruppi armati, nonostante le numerose richieste espresse dalle organizzazioni per la difesa dei diritti umani. Le recenti procedure giudiziarie intraprese nei confronti di alcuni capi di gruppi armati sono ostacolate da molte difficoltà, in particolare per quanto riguarda la protezione dei testimoni e delle vittime, la qualità delle indagini e i diritti dell’imputato.

d. La necessità di riforme sistemiche

Dato che, secondo numerosi rapporti, lo stato congolese è uno dei maggiori responsabili delle violazioni dei diritti umani e constatato che spesso egli stesso rappresenta un certo tipo di appoggio ad alcuni gruppi armati, sarebbe necessaria una profonda riforma, come promessa dal presidente Felix Tshisekedi in occasione della sua prima visita nel Kivu nel mese di aprile 2019: sostituire le truppe stanziate nel Kivu da molto tempo, fare in modo che chiunque appoggi i gruppi armati ne renda conto e rivitalizzare le operazioni militari contro i gruppi armati.
È chiaro che le riforme sistemiche richiederanno molto tempo e una grande dose di volontà politica da parte del governo. Per sconfiggere la piaga della violenza, quest’ultimo dovrà adottare una serie di misure ad ampio respiro, tra cui una riforma delle forze di sicurezza che comprenda un processo di selezione che permetta di escludere dalla catena di comando i responsabili di gravi violazioni dei diritti umani. Il Governo dovrebbe inoltre promuovere un nuovo programma di disarmo e smobilitazione, accompagnato da una strategia a lungo termine a favore del reinserimento sociale degli ex combattenti.
Infine, il Governo dovrebbe trovare adeguate risposte agli appelli che le comunità locali gli rivolgono per favorire la riconciliazione e la giustizia. All’interno del sistema giudiziario congolese, il governo potrebbe istituire una sezione particolare specializzata in crimini di guerra o delle camere miste (con personale nazionale e internazionale) specificamente incaricate di perseguire gli autori di crimini internazionali.[1]

2. I RIBELLI E LA CITTÀ – DIMENSIONI URBANE DELLA MOBILITAZIONE ARMATA NELL’EST DELLA RD CONGO

Judith Verweijen, Christoph Vogel et Josaphat Musamba – Rift Valley Institute – Usalama spr Briefing Paper, settembre 2019

a. Alcuni punti significativi

Benché la maggior parte delle loro operazioni si situi in aree rurali, già da tempo i gruppi armati dell’Est della RD Congo hanno dei legami stretti con i centri urbani.

  • Questi collegamenti sono aumentati in seguito all’apparizione dei progressi tecnologici, tra cui la telefonia mobile, e all’intensificarsi dei mezzi di trasporto, tra cui i taxi-moto.
  • Questi collegamenti si basano su vantaggi reciproci: i collaboratori urbani migliorano la loro influenza politica e le loro attività commerciali, mentre i gruppi rurali beneficiano dei nuovi canali di comunicazione e delle catene di approvvigionamento.
  • Sebbene questi legami tra zone rurali e urbane siano essenziali per la sopravvivenza dei gruppi armati, essi sono generalmente ignorati nel momento in cui si intraprendono delle iniziative per combattere l’attivismo dei gruppi armati. Pertanto l’efficacia di queste iniziative rimane molto limitata.
    • Sarebbe quindi necessario adottare ulteriori misure per documentare i complessi legami esistenti tra le varie reti militarizzate rurali e urbane. Tra queste misure si potrebbero citare il controllo sui flussi di denaro, istituendo un “gruppo misto di esperti” incaricato di approfondire la problematica dei gruppi armati e composta da membri congolesi e internazionali.

b. Introduzione

I gruppi armati dell’Est della Repubblica Democratica del Congo (RDC) sono generalmente
percepiti come un fenomeno rurale, attivi principalmente in contesti forestali e montagnosi dell’interno del Paese. Infatti, sebbene alcuni attacchi colpiscano anche le aree urbane e nonostante che alcune operazioni abbiano luogo alla periferia di alcune città, la maggior parte delle attività dei gruppi armati si svolge in aree rurali. Ciò non significa che i gruppi armati siano un fenomeno esclusivamente rurale. In effetti, molti di essi hanno stretti legami con le aree urbane già da molto tempo.
Prima e durante le guerre del Congo (1996-2003), parte del fenomeno della mobilitazione armata nell’Est della RD Congo era conseguente alle diverse rivendicazioni espresse da alcune popolazioni rurali. Tra queste rivendicazioni si potrebbero citare quelle relative all’emarginazione socio-economica di certe fasce della popolazione locale e altre relative alla ripartizione delle terre e all’esercizio dell’autorità tradizionale. I conflitti assumevano generalmente una forte connotazione identitaria (etnica) ed erano collegati anche ad una protesta politica a livello provinciale, nazionale e regionale. Queste rivendicazioni sorte in ambito rurale continuano ancora oggi a influenzare la mobilitazione armata, anche se le denunce, le proteste e gli interessi dei simpatizzanti urbani dei gruppi armati assumono un ruolo sempre più crescente.
Pertanto, i gruppi armati dovrebbero essere visti come facenti parte di vaste reti militarizzate che inglobano aree rurali e aree urbane, con possibili importanti ramificazioni all’estero. È attraverso queste reti che circolano idee, denaro, persone, armi e attività armate. Queste reti sono essenziali per la mobilitazione, il reclutamento, l’appoggio e l’approvvigionamento dei combattenti. Queste reti superano il divario tra le aree rurali e quelle urbane, dal momento in cui possono usufruire del miglioramento dei mezzi di trasporto e di comunicazione, tra cui il progresso di Internet e della telefonia mobile e la moltiplicazione dei taxi-moto per il trasporto dei passeggeri e delle merci.

c. Appoggio politico ed economico

È attraverso “appoggi”, “sponsor ” e “partner” politici che le reti dei gruppi armati si diffondono nelle città. In effetti, è del tutto frequente che alcuni imprenditori, commercianti e politici appoggino dei gruppi armati, sia materialmente che politicamente e socialmente. Per quanto riguarda l’aspetto economico, a volte essi offrono ai gruppi armati un contributo finanziario occulto o contribuiscono al loro approvvigionamento militare. Per quanto riguarda l’aspetto sociale o politico, a volte li si sente affermare pubblicamente che i gruppi armati difendono gli interessi di comunità particolari o, più in generale, la sovranità del paese. In tal modo, contribuiscono alla loro legittimazione.
A volte, certi politici e funzionari statali possono fungere da copertura o da “ombrello politico” per determinate reti di gruppi armati, facendo in modo che le loro attività non vengano ostacolate e i loro membri non siano arrestati. Un esempio di capo di un gruppo armato dotato di un grande ombrello politico è stato Sheka Ntabo Ntaberi, capo della Nduma Defence of Congo (NDC): sebbene fosse oggetto di un mandato d’arresto per crimini di guerra e crimini contro l’umanità da gennaio 2011, egli era riuscito a candidarsi alle elezioni legislative organizzate in quello stesso anno. È rimasto in libertà per altri sei anni, prima di arrendersi – piuttosto che essere arrestato – in luglio 2017.
I motivi che spingono alcuni politici, imprenditori e funzionari statali ad appoggiare dei gruppi
armati sono vari.
A volte, sono i responsabili dei gruppi armati che fanno pressione su queste persone, al fine di ottenere il loro appoggio. Lo fanno esigendo una certa somma di denaro e assicurando, in cambio, di non recar alcun danno né ad esse, né alla loro famiglie, né ai loro beni. Tuttavia, molti offrono il loro contributo volontariamente. Una delle ragioni è che condividono la causa e l’ideologia di questi gruppi armati. Un’altra ragione è che il loro appoggio a determinati gruppi armati consente loro di usare questi gruppi armati per difendere o promuovere i propri interessi. Può succedere, per esempio, che dei gruppi armati aiutino degli imprenditori a proteggere le loro attività commerciali in zone rurali. Inoltre, quando politici, funzionari statali, commercianti o altre personalità residenti in zone rurali, come le autorità tradizionali locali, si trovano coinvolti  in un determinato conflitto, la protezione fornita loro dai gruppi armati può contribuire a rafforzare la loro stessa  posizione.
Un appoggio a determinati gruppi armati può anche permettere agli attori politici di aumentare il consenso popolare e di ottenere una certa quantità di voti in occasione delle elezioni, specialmente quando questi gruppi sono percepiti dalla popolazione locale come utili o necessari, come nel caso in cui sono visti come difensori di determinate comunità autoctone di fronte alle minacce provenienti da altri gruppi armati di origine straniera.
Può succedere che determinate personalità politiche usino dei gruppi armati per interferire nel processo elettorale. Per esempio, in occasione delle elezioni del 2018, un gruppo dissidente dell’Alleanza dei Patrioti per un Congo Libero e Sovrano (APCLS) agli ordini di Mapenzi, le cui truppe avevano occupato dei seggi elettorali nella regione di Masisi, ha costretto gli elettori a votare per determinati candidati. Alcuni di questi candidati avevano svolto un ruolo importante nell’aiutare Mapenzi, qualche mese prima, a separarsi dall’APCLS e ad avviare una collaborazione con l’NDC – Ristrutturato di Guidon (gruppo dissidente dell’NDC guidato da Sheka).
Più in generale, i processi politico-amministrativi provocano spesso l’apparizione di interessi convergenti tra gruppi armati e élite urbane. A tal proposito, si può citare il caso della località di Minembwe (Sud Kivu) che, recentemente, è stata elevata allo statuto di “comune rurale” (uno statuto amministrativo superiore a quello che aveva in precedenza). La creazione del nuovo comune rurale ha contribuito ad alimentare un vecchio conflitto relativo all’esercizio dell’autorità tradizionale locale e all’amministrazione del territorio. Si tratta di un conflitto tra la comunità Banyamulenge e altre comunità che si considerano autoctone e che sostengono che la nuova entità comunale è stata creata sulle loro terre ancestrali amputandole di vasti territori. La mutazione amministrativa di Minembwe ha provocato una maggiore mobilitazione armata, fomentata da attori politici urbani che si oppongono a tale mutazione o che la sostengono.
Generalmente, l’influenza che i politici esercitano sui gruppi armati permette loro di migliorare il loro status nel contesto politico nazionale, perché dimostra al governo che esso ha bisogno di loro per poter esercitare un certo controllo sulle loro circoscrizioni elettorali. Inoltre, per dimostrare il loro potere sui gruppi armati, varie personalità politiche a volte incoraggiano i gruppi armati a deporre le armi, per poi trarre vantaggio dal loro status di “peacekeeper”.
Diversi politici influiscono anche sulle esigenze e richieste avanzate dai gruppi armati, mediante articoli di giornali e comunicati sempre più diffusi attraverso i social network. Questo tipo di comunicazione permette ai politici delle città di tenersi informati sulle attività sul campo di battaglia in zone rurali e ai gruppi armati attivi in zone rurali di mantenersi aggiornati sugli avvenimenti politici in corso nelle città, come quelli dei periodi elettorali.
I gruppi armati pubblicano spesso delle liste sulle condizioni che pongono per deporre le armi. Generalmente, in queste liste esigono posti politici o militari di alto livello e la realizzazione di progetti di sviluppo, ma contengono anche richieste politiche eclettiche e spesso di natura identitaria ed etnica. Queste richieste dimostrano quanto i gruppi armati rimangano profondamente radicati nel contesto rurale, nonostante le evidenti influenze urbane. Tra le richieste spesso formulate dai gruppi che operano in aree rurali dell’interno figurano il miglioramento della rete stradale, la costruzione di scuole e ospedali e la promozione dello sviluppo delle zone minerarie. Ciò dimostra che gli attori politici urbani continuano a voler migliorare le zone rurali da cui provengono.
Altre due categorie di sostenitori urbani dei gruppi armati sono quella degli intellettuali che spesso fanno parte delle loro ali politiche, a volte gestendole di persona e quella delle associazioni di studenti e di mutua assistenza etnica.

d. Reclutamento

Oltre all’appoggio politico, gli ambienti urbani favoriscono l’apparizione di reti di reclutamento orientate soprattutto verso i giovani che vivono in città e verso gli ex combattenti. Per attirare nuove reclute, la maggior parte dei gruppi armati usa discorsi basati sull’etnia o su ciò che è considerato autoctono. Si tratta a volte di far riferimento alla protezione della loro comunità (anche se spesso i membri dei gruppi armati provengono da diversi gruppi etnici) o, in altre occasioni, di suscitare risentimento verso un’altra comunità (spesso definita “straniera” ).
Di conseguenza, il reclutamento spesso si rivolge a dei giovani membri di gruppi specifici che tendono a concentrarsi in determinati quartieri di città più o meno grandi. Tuttavia, le testimonianze di ex combattenti indicano che la retorica del reclutamento può ispirarsi anche ad altri temi, tra cui il cambiamento politico, il buon governo e le nuove opportunità sociali, presentando speranze e aspirazioni di natura universale.
I giovani residenti in città e che decidono di entrare in un gruppo armato provengono da diverse categorie. La prima è quella dei giovani istruiti, molti dei quali sono nati e poi cresciuti in zone rurali. Quando tornano nella loro regione di origine come combattenti, è probabile che ottengano un posto di responsabilità, come esemplificato nel gruppo Nyatura-John Love, la cui squadra di comando era recentemente costituita da alcuni laureati delle università di Goma.
La seconda categoria è quella di giovani che cercano di sfuggire a dei problemi personali. Ad esempio, potrebbero aver contratto debiti considerevoli, essere essi ricercati dalla polizia, o aver commesso un reato grave, con il rischio di essere oggetti di vendette.
Non è chiaro quale possa essere la percentuale delle reclute provenienti da zone urbane, dato che il loro numero potrebbe variare da un gruppo armato all’altro. Tuttavia, sembra si tratti principalmente di giovani provenienti da aree rurali o di recente urbanizzazione, come siti minerari e città secondarie in piena espansione. La presenza di questi giovani rafforza i legami rurali – urbani all’interno delle reti militarizzate.

e. Smobilitazione

Le relazioni rurali – urbane dei gruppi armati incoraggiano la mobilitazione (reclutamento) ma anche la smobilitazione (disarmo). Può succedere che dei genitori membri di associazioni di solidarietà e delle personalità politiche che vivono in zone urbane incoraggino i combattenti a deporre le armi. Tali intenti possono quindi incoraggiare un movimento nella direzione opposta, dalle aree rurali alle aree urbane.
I combattenti che disertano o che depongono le armi, tra cui i bambini soldato, finiscono spesso per arrivare in città o altri centri urbani, normalmente in prossimità di zone minerarie.
Uno dei motivi è l’inadeguatezza dei programmi di disarmo e di reinserimento sociale, che lasciano gli ex combattenti in città come Goma e Bukavu, senza un solo centesimo per tornare nella loro zona di origine. Un’altra ragione per la quale gli ex combattenti vanno in città è la paura di ritorsioni da parte dei loro ex comandanti, che potrebbero continuare a cercarli dopo la loro diserzione. Altri hanno paura di essere disprezzati o non più accettati nella loro zona di origine, soprattutto se vi hanno commesso delle atrocità, In quest’ultimo caso, essi temono la vendetta delle famiglie delle vittime. Altri ex combattenti preferiscono semplicemente stabilirsi in una grande città, perché sentono che avranno maggiori possibilità di guadagnarsi da vivere.
A volte, questa scelta deriva anche dalla scarsa attuazione della fase di “reinserimento” dei programmi DDR (disarmo, smobilitazione e reinserimento), i cui fondi vengono spesso deviati.
Alcuni ex combattenti smobilitati nell’ambito del terzo programma nazionale DDR (PnDDR3) hanno dichiarato di aver scelto di diventare parrucchieri, ma di aver ricevuto solo dei rasoi rotti e altri strumenti di lavoro inutilizzabili. Altri hanno dichiarato di aver ricevuto delle reti da pesca a maglie larghe utilizzabili per pescare pesci tilapia, ma non adatte alla pesca dei sambaza, pesci molto piccoli, ma gli unici che si trovano nella zona in cui vivono.
A causa di queste difficoltà, molti ex combattenti che sono passati per il programma DDR o che si sono auto-smobilitati – nel senso che non hanno preso parte a nessun programma DDR – preferiscono stabilirsi in ambienti urbani, soprattutto se già vi hanno degli appoggi familiari.
Tuttavia, non si trovano sempre completamente fuori dalle reti dei gruppi armati. In effetti, i rappresentanti e i simpatizzanti urbani dei gruppi armati normalmente sanno che nella loro città sono presenti altri membri della loro comunità e regione di origine e ne conoscono spesso anche i nomi e gli indirizzi. D’altra parte, i cittadini che ricevono un appoggio o un gesto di solidarietà da parte della loro famiglia allargata o come membri di un’associazione di solidarietà, è improbabile che rimangano anonimi per molto tempo.

f. Forme di violenza

Se molti smobilitati trovano nuovi modi per guadagnarsi di che vivere nel contesto di un’economia urbana non violenta, alcuni, tra cui ex bambini soldato, ricorrono al crimine. Le attività violente dei gruppi armati non si limitano agli scontri con l’esercito o con altri gruppi armati. In effetti, questi gruppi intraprendono una vasta gamma di attività generatrici di reddito, tra cui gli agguati, i furti presso case private o centri commerciali, rapine e sequestri a scopo di riscatto. Di conseguenza, quando gli ex combattenti arrivano in città e cominciano a entrare in questo contesto di violenza urbana, vi trasmettono necessariamente anche alcune pratiche proprie dei gruppi armati. Lo stesso vale per quelli che commettono reati urbani e cominciano ad aderire ai gruppi armati attivi nelle zone rurali. La diffusione di tali pratiche può in parte spiegare le crescenti somiglianze tra gli schemi urbani e rurali della violenza.

g. Attività economiche

Le reti dei gruppi armati sono caratterizzate anche da determinati fattori di tipo economico. Ad esempio, i gruppi armati controllano la produzione di determinate merci, la cui catena di approvvigionamento si estende fino all’area urbana. Il makala (carbone) prodotto nel Parco Nazionale dei Virunga e la cannabis sono esempi molto frequenti. In alcuni casi, i gruppi armati controllano non solo la fase della produzione, ma anche le altre fasi della catena commerciale, il che li collega strettamente al contesto urbano.
Un altro modo con cui le attività economiche militarizzate collegano le aree rurali a quelle urbane è il fatto che i soldi guadagnati dai comandanti dei gruppi armati e dagli agenti economici (commercianti, imprenditori) loro alleati sono spesso investiti nella città, principalmente nel settore immobiliare. Come dimostrato dai rapporti del Gruppo di esperti delle Nazioni Unite, molti agenti economici si sono arricchiti facendo affari con dei gruppi armati. Secondo una recente inchiesta, due di questi agenti economici, che hanno acquistato dell’oro dalle FDLR nel Sud del Kivu, hanno costruito molte case a Bukavu. Queste case sono poi state affittate al personale delle Nazioni Unite e alle organizzazioni non governative internazionali che, di solito, pagano un affitto mensile di diverse migliaia di dollari. Nello stesso modo, dei comandanti dell’esercito congolese, che spesso fanno soldi collaborando con gruppi armati (ad esempio mediante il commercio del makala / carbone), hanno costruito o acquistato varie case a Goma che vengono spesso affittate ad operatori umanitari e al personale delle Nazioni Unite.
Inoltre, il denaro guadagnato attraverso attività violente praticate in zone rurali entra spesso nel ciclo dell’economia urbana, in quanto viene utilizzato per acquistare, in città, tutto ciò che è necessario per i gruppi armati. Per mantenere la loro capacità operativa in zone rurali, essi hanno infatti bisogno di armi, munizioni, uniformi, stivali e strumenti di comunicazione. Armi e munizioni sono spesso acquistate presso i depositi di armi situati nelle città, come a Bukavu. Alcuni gruppi armati, come le Forze Repubblicane del Burundi (FOREBU), acquistano i prodotti alimentari loro necessari, non solo in zone rurali, ma anche in città (in questo caso a Uvira).
I commercianti che risiedono in città svolgono un ruolo chiave nella gestione delle filiere di approvvigionamento dei gruppi armati, rendendo possibile il trasporto delle merci dalla città verso le zone rurali.

h. Considerazioni politiche

È quindi importante analizzare la questione dei gruppi armati come un fenomeno interconnesso che si estende su diverse zone geografiche e che comprende settori economici e contesti sociali diversi. Un gran numero di attori implicati in queste reti non sono combattenti rurali in divisa militare, ma politici e imprenditori / commercianti che portano la cravatta e che vivono in città. Si tratta di “ribelli in cravatta”.
I diplomatici e i mediatori di pace («peace-builders») trascurano spesso l’aspetto “rete” della mobilitazione armata. Condannano la brutalità dei gruppi armati che agiscono in foresta ma, nello stesso tempo, collaborano con loro, affittando le loro case e i loro hotel, coinvolgendoli in iniziative di pace e di stabilizzazione o trattando con loro per ottenere il permesso di operare. Uno dei motivi principali per cui continuano a interagire con i gruppi armati è che spesso mancano le prove concrete del ruolo che questi individui svolgono nelle reti dei gruppi armati. Per esempio, ci sono poche informazioni sugli investimenti immobiliari basati su un reddito derivante dalle attività dei gruppi armati, ma quando si cammina per le strade di Goma o di Bukavu, gli abitanti del posto sono spesso in grado di indicare in modo esatto e preciso le case in questione. Questa mancanza di prove evidenzia la necessità di indagare maggiormente sulle reti dei gruppi armati e di documentarle meglio. Sarebbe pertanto utile istituire un Gruppo misto di esperti congolesi e internazionali che, dotato dei fondi necessari, possa colmare la mancanza di conoscenza delle varie reti di gruppi armati.
L’altro tema che dovrebbe essere affrontato è quello dei “ribelli in cravatta”. Si dovrebbe imporre loro delle sanzioni internazionali? Denunciarli in giustizia? Segnalarli a dito? Coinvolgerli in un dialogo costruttivo? Molte di queste opzioni hanno degli svantaggi e il fatto di emarginare certi individui rischia di incitarli a rafforzare i loro legami con le reti dei gruppi armati, per ricavarne reddito e influenza. Inoltre, le soluzioni adatte differiscono da un caso all’altro.
Qualunque sia l’approccio adottato, è importante esaminare le componenti civili e urbane delle reti dei gruppi armati. La violenza nell’Est del Congo continua da oltre due decenni e non sembra diminuire. È quindi tempo di usare una strategia di analisi più globale, al fine di lavorare per una riduzione della mobilitazione armata.[2]

3. L’INCONTRO DEI CAPI DI STATO MAGGIORE DEGLI ESERCITI DI RD CONGO, RUANDA, UGANDA E BURUNDI

a. La proposta di uno Stato Maggiore integrato per coordinare operazioni militari congiunte contro i gruppi armati ancora attivi nell’Est della RD Congo

Il 2 ottobre, il capo di stato maggiore dell’esercito congolese, Celestin Mbala Munsense, ha proposto ai suoi omologhi ruandese, burundese e ugandese di partecipare ad un incontro a Goma (Nord Kivu), al fine di istituire una coalizione regionale per intraprendere operazioni militari contro i gruppi armati ancora attivi nell’Est del paese.
In questo documento, il Capo di Stato Maggiore parla di un’eventuale istituzione di uno Stato Maggiore integrato, per sorvegliare e coordinare le operazioni di neutralizzazione dei gruppi armati. Per eseguire queste operazioni, sarebbe addirittura previsto l’intervento di forze speciali ruandesi e ugandesi. Nel documento si sottolinea che le operazioni dovrebbero iniziare il 15 novembre 2019 con l’eventuale entrata di truppe straniere e che dovrebbero concludersi a metà maggio del prossimo anno (2020), con la sconfitta dei gruppi armati e il ritiro delle truppe estere.
Le operazioni dovrebbero quindi durare sei mesi, tempo ritenuto sufficiente per la neutralizzazione di quasi tutti i gruppi armati stranieri e congolesi presenti nell’Est della RD Congo.
Tuttavia, la presenza di truppe straniere sul suolo congolese fa ricordare altre operazioni simili, ma i cui risultati erano stati piuttosto negativi. Si tratta del caso dell’operazione “Umoja Wetu”, condotta dall’esercito congolese in stretta collaborazione con l’esercito ruandese nel mese di gennaio 2009, con l’obiettivo di sconfiggere le Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR). Se alla fine dell’operazione, il General Numbi presentò un bilancio finale di 153 FDLR uccisi, 13 feriti, 37 catturati e 5.000 ruandesi rimpatriati, alcuni osservatori stimarono comunque che le operazioni non avevano assolutamente raggiunto gli obiettivi previsti e che le FDLR non erano affatto state sconfitte in modo definitivo.
Da parte sua, un membro dell’UNC e eletto a Walikale (Nord Kivu), Juvénal Munubo, si è dichiarato contrario alla proposta avanzata da Celestin Mbala Munsense: «Vista l’esperienza passata, è assolutamente necessario evitare di autorizzare l’ingresso di truppe ruandesi, ugandesi e burundesi sul suolo della RDC. Il contributo degli eserciti dei Paesi a noi limitrofi deve essere limitato allo scambio di informazioni militari, per combattere più efficacemente i ribelli FDLR, ADF e FNL». Anche secondo il presidente di ASADHO, Jean Claude Katende, «Quelli che hanno deciso il ritorno degli eserciti di Ruanda, Burundi e Uganda … nella Repubblica Democratica del Congo hanno decisamente sbagliato, perché tale decisione perpetua la dominazione straniera sul nostro Paese».[3]

Molte associazioni congolesi hanno respinto l’idea di istituire uno stato generale integrato e, soprattutto, di chiedere l’intervento delle truppe ruandesi e ugandesi, quelle stesse che hanno occupato militarmente la RDC e che ne hanno letteralmente saccheggiato le risorse naturali dal 1996 al 2003 e fino ad ora. È per questo che le associazioni congolesi della società civile hanno proposto al governo di dotare l’esercito regolare di tutti i mezzi necessari e adeguati, affinché possa effettuare da solo le operazioni militari previste contro i gruppi armati dell’Est della RDCongo.[4]

b. Nessun contingente estero nelle operazioni militari contro i gruppi armati

Il 25 ottobre, i Capi degli Stati Maggiori generali della RDCongo, Burundi, Uganda, Ruanda e Tanzania si sono incontrati a Goma (Nord Kivu / Repubblica Democratica del Congo), per cercare vie di collaborazione, al fine di ripristinare la pace nell’Est della RDCongo e nell’intera Regione dei Grandi Laghi Africani. All’incontro hanno partecipato anche i comandanti della MONUSCO e delle forze statunitensi in Africa (AFRICOM).
Secondo il portavoce dell’esercito congolese, il generale Léon Kasonga, «i partecipanti all’incontro si sono impegnati a realizzare una serie di azioni, tra cui la messa in comune degli sforzi e della logistica, delle risorse e dei mezzi. Ciò non significa che forze armate straniere entrino o operino sul territorio congolese. Lontano da ciò. Si tratta solamente di un accordo per bloccare i membri dei gruppi armati quando tentino di attraversare le frontiere».
«La messa in comune delle risorse comporta la condivisione delle informazioni sul piano militare, la decisione di agire simultaneamente, ogni esercito sul proprio territorio, affinché le operazioni intraprese contro i gruppi armati, soprattutto quelli stranieri, siano più efficaci. Non è affatto necessario che truppe di eserciti stranieri entrino in territorio congolese», ha dichiarato il generale Léon Kasonga, portavoce dell’esercito congolese, secondo il quale nessun esercito straniero entrerà in territorio congolese nell’ambito di una forza militare mista o congiunta. Secondo il generale Léon Kasonga, la popolazione non deve preoccuparsi. Le operazioni militari contro i gruppi armati congolesi e stranieri saranno condotte solo dall’esercito congolese. Tuttavia, egli ha ripetuto che «gli eserciti dei Paesi limitrofi intensificheranno sì la loro presenza presso le zone frontaliere, ma ciascun esercito rimarrà sul proprio territorio, combattendo la comune minaccia di gruppi armati che continuamente si spostano da un paese all’altro. Per sradicare questa minaccia, non è necessario che delle competenze militari straniere intervengano direttamente sul territorio congolese».[5]

Secondo alcune fonti militari e diplomatiche, la parte ugandese ha rifiutato di firmare la dichiarazione finale dell’incontro di Goma. Si tratterrebbe di un contro-ordine proveniente da Kampala che, già da vari mesi, ha rapporti alquanto tesi con il Ruanda.
Secondo una fonte militare congolese presente all’incontro e altre fonti prossime all’esercito ugandese, per quanto riguarda la proposta di un’operazione militare contro le Forze Democratiche Alleate (ADF), una ribellione islamista di origine ugandese presente in territorio congolese, Kampala auspicherebbe parteciparvi nell’ambito di un accordo bilaterale e non regionale. In particolare, l’Uganda ha voluto evitare un accordo di tipo ragionale che avrebbe consentito all’esercito ruandese di entrare legalmente nella Repubblica Democratica del Congo, ampliando in tal modo la sua area di influenza.
Secondo un’altra fonte, l’Uganda sarebbe estremamente irritato per una recente presenza occulta di truppe ruandesi nell’est della RD Congo. Questa presenza è stata segnalata al “Barometro della Sicurezza nel Kivu” (KST) da diverse fonti della società civile, dell’esercito e delle autorità locali congolesi e non è finora stata smentita da alcuna fonte militare ruandese o congolese. Tuttavia,
Secondo fonti militari congolesi e ruandesi, i Capi degli Stati Maggiori degli eserciti della regione hanno deciso di incontrarsi di nuovo entro un mese, in una data ancora da stabilire.[6]

Il 26 ottobre, in un suo comizio a Goma, Moïse Katumbi ha affermato che l’efficacia della lotta contro l’insicurezza richiede il miglioramento dei salari dei militari che combattono sul fronte. Secondo lui, «la sicurezza dipende dagli stipendi dei militari che non possono rischiare la loro vita combattendo sul fronte per uno stipendio di 60 $».
Secondo il rapporto di settembre emanato dal Ministero del Bilancio, un ufficiale militare di alto rango riceve uno stipendio medio compreso tra i 90 e i 128 $. Tuttavia, il comitato addetto alle buste paga ha annunciato una rimodulazione per il mese di ottobre 2019.
Il budget annuale del Ministero della Difesa per il 2019 indica una disponibilità di circa 27 milioni di $ da spendere da ottobre a dicembre 2019. Ne consegue che, per le operazioni militari intraprese all’inizio di novembre contro i gruppi armati attivi all’est del Paese, il governo è costretto a cercare risorse aggiuntive. Per il Ministero della Difesa, la legge finanziaria del 2019 prevede un budget di 330 milioni di dollari, di cui 328 destinati alle operazioni militari. In nove mesi, cioè fino alla fine di settembre 2019, il Ministero della Difesa ha ricevuto 303 milioni di $, di cui 302 milioni sono stati assegnati alla difesa militare, cioè il 91,81%. Tuttavia, l’80% di questo budget è utilizzato per la remunerazione del personale e il funzionamento dei servizi militari.[7]

[1] Cf testo completo: https://reliefweb.int/report/democratic-republic-congo/congo-l-oubli-les-chiffres-derri-re-la-plus-longue-crise
[2] Cf testo completo: http://riftvalley.net/publication/les-rebelles-et-la-ville#.XdLSvunsZdg
[3] Cf Thomas Uzima – Laprunellerdc.info, 22.10.’19
[4] Cf Kandolo M. – Forum des As – Kinshasa, 18.10.’19
[5] Cf Radio Okapi, 26 e 27.10.’19
[6] Cf blog.kivusecurity.org/fr, 08.11.’19
[7] Cf Yvonne Kapinga – Actualité.cd, 26.10.’19