Attività mineraria industriale e artigianale nel Sud Kivu

L’ATTIVITÀ MINERARIA INDUSTRIALE E ARTIGIANALE NEL SUD KIVU
Possibilità di una convivenza pacifica?

Autore: Gabriel Kamundala Byemba, ricercatore presso il Centro di Studi in Gestione Mineraria (CEGEMI) dell’Università Cattolica di Bukavu.[1]

 INDICE

INTRODUZIONE
I. LA GESTIONE DEL SETTORE MINERARIO NELLA RDCONGO

1. Settore industriale

2. Settore artigianale

3. Governo, settore minerario industriale e settore minerario artigianale

II. LA DINAMICA DEL SETTORE MINERARIO NEL SUD KIVU

1. L’estrazione mineraria di tipo artigianale nel Sud Kivu

2. L’estrazione mineraria di tipo industriale nel Sud Kivu

3. Una coabitazione difficile: il caso BANRO

III. POSSIBILITÀ D’UNA COABITAZIONE PACIFICA TRA IL SETTORE ARTIGIANALE E QUELLO INDUSTRIALE?

IV. RACCOMANDAZIONI

 

 INTRODUZIONE

Il settore minerario del Sud Kivu è stato di tipo industriale (inizi del XX° secolo, con le società coloniali belghe, fino al loro declino nel periodo della guerra del 1996-1997), poi di tipo artigianale (primi anni 1980, con la liberalizzazione dell’estrazione artigianale da parte di Mobutu, ex presidente dello Zaire, attualmente Repubblica Democratica del Congo) e oggi è di tipo industriale e artigianale contemporaneamente. Le due modalità dell’attività mineraria nel Sud Kivu, artigianale e industriale, sembrano essere in competizione. In effetti, queste due modalità stanno già sperimentando alcune difficoltà di convivenza.

Questo articolo si propone, in primo luogo, di individuare gli elementi che impedirebbero o renderebbero difficile questa convivenza e, in secondo luogo, di evidenziare i fattori che potrebbero facilitarla. L’analisi si articola su due piani paralleli. In primo luogo, si prende  in considerazione il livello nazionale, cioè la politica di gestione del settore minerario. In secondo luogo, si prende in esame il livello locale, sulla base di una recente ricerca in alcuni siti selezionati del Sud Kivu, soprattutto quelli di Mwenga e di Fizi, dove le due modalità di attività sono già operative.
Le conclusioni verteranno sulle possibilità concrete di coesistenza pacifica tra le operazioni di estrazione industriale e di estrazione artigianale, nel contesto delle disposizioni definite dal codice minerario (2002) e dal regolamento minerario (2003) e delle realtà proprie del Sud Kivu.

I. LA GESTIONE DEL SETTORE MINERARIO NELLA RDCONGO

1. Settore industriale

Per far fronte alle molte difficoltà economiche e per poter usufruire delle rendite minerarie, i vari governi che si sono succeduti alla guida del Paese hanno fatto ricorso, e lo fanno ancora, al settore minerario, al fine di finanziare la loro politica neo-patrimoniale. Nel 1988, per esempio, la Gecamines ha apportato il 42,9% del bilancio dello Stato zairese. Tuttavia, minato da certe politiche nazionali (la nazionalizzazione delle imprese, nella seconda metà degli anni 1970), il settore minerario industriale congolese ha conosciuto un declino generale e le industrie minerarie hanno subito un calo di produttività.

Studi statistici hanno dimostrato che il volume degli investimenti e della produzione mineraria erano più elevati nel periodo compreso dal 1937 al 1966 rispetto a quello del 1967-1996. Dai dati emerge che, nel periodo 1937-1966, le società minerarie attive erano 48, tra il 1967 e il 1996 erano 38 e nel periodo dopo il 1997 erano solo 7. Tale situazione ha provocato, verso la fine degli anni 1980, il crollo dello Stato zairese. La crisi ha causato effetti negativi sulle risorse dello Stato, il cui reddito ordinario è passato da 2 miliardi di dollari nel 1980 a 200 milioni negli anni 1990.

Lo stato Zairese va in bancarotta, incapace di rispettare qualsiasi suo obbligo nei confronti sia dei funzionari e agenti dello Stato, sia dei suoi creditori e perde la fiducia degli operatori economici internazionali che, in massa, cessano ogni loro investimento.

Nel frattempo, le regole della globalizzazione in materia di  investimenti nel settore minerario si impongono ovunque, in Africa e altrove. Non è più il tempo del monopolio del settore minerario da parte delle società minerarie pubbliche, che hanno dimostrato tutti i loro limiti, ma della liberalizzazione del settore, in quanto la privatizzazione e la libera concorrenza fanno parte delle strategie per attirare gli investitori. Indebolito dalla situazione fallimentare e dalle pressioni dei Paesi donatori, il governo Kengo ricorre alla privatizzazione delle società pubbliche e al rilascio di concessioni minerarie, nella speranza di rilanciare l’economia.

Ma nel 1996, le speranze del governo Kengo in questo settore sono state soffocate con l’inizio della guerra dell’AFDL (Alleanza delle Forze Democratiche per la Liberazione del Congo). La vittoria della ribellione guidata da Laurent-Désiré Kabila ha rimesso in discussione la politica mineraria. Volendo riorganizzare il settore minerario a suo modo, anche Laurent-Désiré Kabila ha però dovuto affrontare le stesse problematiche del governo che l’aveva preceduto. Anche in questo caso, la ripresa economica è stata impedita dalla comparsa di nuove ribellioni, il RCD (Raggruppamento Congolese per la Democrazia) e il MLC (Movimento per la Liberazione del Congo). Durante la guerra (1998-2003) del RCD e del MLC, le diverse parti belligeranti e i loro alleati hanno cercato di controllare a tutti i costi il settore minerario, come mezzo di finanziamento della guerra e come canale di arricchimento personale. In questo contesto di saccheggio, era molto difficile per lo Stato congolese di usufruire effettivamente delle rendite del settore minerario. La logica dell’economia di guerra, cui si ispiravano sia le autorità governative che i capi ribelli, li ha condotti a firmare oscuri contratti minerari e per i propri interessi. Da allora, la trasparenza nel settore minerario industriale è diventata sempre più difficile.

La riunificazione del Paese nel 2003, dopo la Seconda guerra e in seguito al dialogo inter-congolese, ha permesso la creazione delle istituzioni della transizione cui partecipavano gli ex belligeranti (il governo presieduto da Joseph Kabila, le ribellioni del MLC, del  RCD-Goma, del RCD-N, del RCD-KML). Tra queste istituzioni, l’Assemblea Nazionale ha voluto far luce su tutti gli accordi economici e finanziari conclusi durante le guerre del 1996-1997 e del 1998-2003. La commissione speciale incaricata di esaminare la validità di tutte quelle convenzioni presentò diverse raccomandazioni. È stato necessario attendere la decisione del 20 aprile 2007, da parte del governo eletto della terza Repubblica, per formare una commissione parlamentare incaricata di rivedere tutti i contratti minerari. Sette mesi dopo la sua creazione, la commissione aveva esaminato 61 contratti, tra cui 39 hanno dovuto essere rinegoziati (Classe B) e 22 annullati (categoria C). Nessuno poteva essere mantenuto come tale (classe A).

Attualmente, con  molte società minerarie industriali attive, in particolare nel Katanga (esportazioni di rame e cobalto), il contributo del settore minerario è diventato un po’ più significativo, con alcuni effetti positivi (stabilità del tasso di cambio e controllo dell’inflazione). Ma senza effetti positivi sul quotidiano della popolazione congolese, ciò che fa sorgere la domanda: a chi va veramente la rendita mineraria?

2. Settore artigianale

Il settore minerario artigianale appare negli anni 1970 e si espande durante gli anni 1980,
periodo durante il quale la legge n 82/039 del 5 novembre 1982 autorizza l’estrazione artigianale di materie pregiate. L’estrazione artigianale dovrebbe avvenire al di fuori delle concessioni oggetto di diritti minerari esclusivi, ciò che pone un sacco di problemi e che ha spesso portato a scontri tra i detentori di concessioni e i minatori artigianali. Per far fronte alle interferenze dei minatori e per proteggere le loro concessioni, le società minerarie hanno fatto ricorso all’intervento di unità speciali di polizia.

Anche se il settore artigianale è spesso descritto come informale, la legislazione congolese riconosce ufficialmente la sua esistenza. In effetti, il titolo IV del codice minerario, completato dal titolo IX del Regolamento Minerario, precisa il quadro legale di organizzazione del settore artigianale. Il capitolo I del titolo IV del Codice Minerario afferma: “Quando i fattori tecnici ed economici che caratterizzano certi giacimenti d’oro, di diamanti o di altre sostanze minerali, non consentono un’attività industriale o semi-industriale, il ministro delle miniere può qualificare tali giacimenti, nei limiti di una determinata area geografica, come “Zone di Estrazione Artigianale” (ZEA). La legislazione mineraria precisa, pertanto, che l’attività artigianale deve essere effettuata nelle ZEA ad essa riservate. Le ZEA sono determinate dai servizi del CAMI (Catasto Minerario) sulla base dei criteri geologici ed economici che caratterizzano i giacimenti stessi. L’obiettivo dell’organizzazione delle attività mineraria artigianale è duplice: organizzare i minatori in cooperative e garantire il controllo del governo sull’insieme del settore, al fine di ricavarne maggiori entrate. La sua amministrazione è affidata alle Divisioni Provinciali delle Miniere, mentre la sua organizzazione e la sua supervisione sono affidate a un servizio pubblico, il Servizio di Assistenza e di Supervisione dello Small-Scale Mining (SAESSCAM) che, istituito con Decreto n. 047-C/2003 del 28 marzo 2003, ha il compito, tra l’altro, di fornire assistenza materiale e tecnica e di assicurare la rigorosa applicazione delle norme di sicurezza sui siti operativi.

Localmente, tuttavia, il governo congolese si trova ad affrontare enormi sfide, non solo per l’incapacità dell’amministrazione mineraria a controllare il settore artigianale, ma anche per la stessa esistenza del settore. Infatti, da oltre trenta anni, questo settore si è evoluto nella più completa indipendenza. Si caratterizza per un proprio quadro istituzionale ed è ben radicato nell’economia locale e nei dintorni dei siti minerari, ciò che spinge, a volte, il governo a optare per il settore industriale, che è più facile da controllare.

Tuttavia, nel contesto attuale della RDCongo, diversi fattori possono controbilanciare la scelta di
favorire il settore industriale a scapito del settore artigianale.

In primo luogo, il settore minerario artigianale occupa direttamente e aiuta indirettamente un gran numero di persone, circa dieci milioni di abitanti sparsi in tutto il paese. Secondo le stime della Banca Mondiale, ci sarebbero quasi 2.000.000 di minatori, attivamente e direttamente coinvolti nel settore minerario artigianale. Considerando una media di 4-5 persone a carico di ogni minatore, il totale delle persone che dipendono da questo tipo di attività mineraria raggiunge gli 8 – 10 milioni, cioè il 14 – 16% del totale della popolazione congolese.

In secondo luogo, anche se minimo, il reddito ottenuto dai minatori permette loro di rispondere, in un modo o nell’altro, alle necessità delle loro famiglie e di contribuire all’andamento dell’economia locale. Infatti, in alcune zone minerarie, le infrastrutture di base si sviluppano grazie all’attività mineraria artigianale.

Sebbene il contributo del settore artigianale sia ancora marginale, è chiaro che, finché non vi sia un’altra possibilità alternativa, sarà difficile o impossibile optare solo per il settore industriale e di abbandonare il settore artigianale. Il caso della sospensione dell’attività mineraria artigianale nel Nord Kivu, Sud Kivu e Maniema, dall’11 settembre 2010 al 10 marzo 2011, può esserne un esempio. In effetti, tale decisione del Presidente Kabila paralizzò l’intera economia di queste tre province. La domanda quindi rimane: come procedere per organizzare e formalizzare il settore minerario artigianale?

3. Governo, settore minerario industriale e settore minerario artigianale

Per qualificare un sito minerario come zona di estrazione artigianale (ZEA), le disposizioni legislative tengono conto di fattori tecnici ed economici. Tuttavia, risulta difficile identificare le zone che sono redditizie o meno redditizie. Infatti, la variazione dei prezzi delle materie prime e l’alta tecnologia di cui dispongono le società che hanno ottenuto permessi di esplorazione rimetterebbero in discussione le modalità di valutazione di fattori economici basati su antichi studi geologici. Alcuni siti che, nel passato, potevano essere oggetto di estrazione artigianale possono, oggi, interessare agli operatori industriali, a causa dell’aumento dei prezzi delle materie prime sul mercato mondiale. Gli stessi siti che prima non attiravano l’attenzione del settore industriale, possono ora, con la stessa caratteristica geologica, diventare  redditizi con l’aumento dei prezzi delle materie prime sul mercato mondiale. In questo contesto, nella procedura di valutazione dei fattori tecnici ed economici per decidere tra i due settori, artigianale o industriale, si rivela importante il ruolo dello Stato attraverso i suoi servizi di studi geologici.

II. DINAMICHE DEL SETTORE MINERARIO NEL SUD KIVU

La storia mineraria del Sud Kivu è essenzialmente legata alle compagnie minerarie coloniali
(Cobelmin, Symetain) che si sono fuse nel 1976 per formare il gigante SOMINKI (Società Mineraria del Kivu). Già nel 1973-1974, tutte le miniere di Cobelmin (Miluba, Minerga, Kinorétain, Kundamines), di MGL, di KIVUMINES e di PHIBRAKI si erano fuse in un’unica entità: Cobelmin.
La partenza della SOMINKI nel 1996 ha aperto la porta, già semi aperta, ad un’estrazione artigianale di grandi dimensioni. È sulle macerie della SOMINKI che si è sviluppata l’estrazione artigianale nel Sud Kivu, per poi diffondersi lentamente su tutto il territorio della provincia.
La partenza della SOMINKI, che già stava pensando alla vendita della sua società, è stata precipitata dalla guerra condotta dall’AFDL nel 1996. Questa guerra ha permesso ai gruppi armati di fare il loro ingresso nel settore minerario. Tale entrata è diventata un mezzo per finanziare le loro attività militari e, quindi, il settore minerario è entrato nel ciclo di un’economia di guerra.

Diversi rapporti hanno dimostrato l’implicazione del settore minerario dell’est della RDCongo nella dinamica del conflitto, attraverso il finanziamento dei gruppi armati attivi nei centri minerari. Si tratta dei vari rapporti di diversi gruppi di esperti delle Nazioni Unite sulla RDC (2003-2011), di Global Witness (Davanti a un fucile, che si può fare? Luglio 2009), di INICA (Economia mineraria del Kivu e sue implicazioni regionali, luglio 2004), di IPIS (mappatura delle motivazioni che stanno dietro il conflitto: il caso dell’est della RDCongo, marzo 2008; Nota acclusa alla mappa interattiva delle zone minerarie militarizzate del Kivu, agosto 2009; i diversi rapporti del gruppo degli esperti dell’Onu sulla RDCongo, 2003-2011).

Si è dovuto attendere la fine della guerra per vedere risorgere un ritorno, già iniziato prima e durante la guerra, di imprese e società minerarie pronte ad acquisizione concessioni minerarie nel Sud Kivu. Le risorse minerarie di cui dispone la provincia del Sud Kivu la predispongono ad essere vista come un’opportunità, sia dagli investitori che dall’artigianato. Il sottosuolo del Sud Kivu è ricco di minerali, soprattutto stagno, cassiterite, wolframite, columbite-tantalite o coltan e oro, con tracce di rame, nel territorio di Fizi, e di diamanti, nel territorio di Shabunda.

1. L’attività mineraria artigianale nel Sud Kivu

Fino a novembre 2011 (periodo corrispondente alla produzione industriale del primo lingotto d’oro
da parte della società Twangiza Mining, una filiale di Banro), la quasi totalità della produzione mineraria del Sud Kivu era di tipo artigianale. Tale attività rimane ancora importante per migliaia di minatori, commercianti, intermediari e piccoli commercianti che vivono di essa. Nonostante la sua bassa produttività, questo settore rimane però uno dei pilastri dell’economia della provincia. Le stime della produzione effettiva dell’oro in tre siti (Lugushwa, Kamituga e Mukungwe) riflettono, in qualche misura, l’apporto di denaro che il solo settore dell’oro inietta nel circuito economico della provincia del Sud Kivu.

Esportazioni ufficiali d’oro degli ultimi tre anni nel Sud-Kivu
Esportazioni

produzione

artigianale

2010 2011 2012 (gennaio-ottobre) TOTALE
TOTALE 33,6 kg 22,9173 kg 30,5 kg 87,0273 kg
Fonte: Rapporti annuali (2010, 2011) e statistiche 2012 della Divisione delle miniere del Sud-Kivu

Produzione artigianale d’oro nei siti di Kamituga, Lugushwa e Mukungwe, nel Sud-Kivu
Siti Numero di

minatori

Produzione

mensile per pozzo

Totale produzione stimata (numero di pozzi stimati x produzione mensile media)
Lugushwa +/- 15 000 0,57 kg 400 x 0,57 = 228 kg
Kamituga +/- 12 000 0,213 kg 330 x 0,213 = 70 kg
Luhwindja-Burhinyi +/- 1000 ?  
Mukungwe +/- 3200 0,5 kg 80 x 0,5 kg = 40 kg
TOTALE +/- 31.200   338 kg/mese, cioè +/- 4000 kg/anno
Fonte: stime dell’autore

Basandosi su queste produzioni e considerando l’attuale valore dell’oro sul mercato locale di Bukavu, si nota che questi tre siti iniettano, da soli, più o meno 14 milioni di dollari al mese nell’economia della provincia del Sud Kivu. È un dato importante che permette  alle popolazioni di questi siti e dei villaggi circostanti l’approvvigionamento dei beni di prima necessità, nonostante le deplorevoli condizioni di lavoro dei minatori artigianali stessi. La precarietà di queste condizioni li espone a frequenti incidenti e a gravi malattie di ogni genere.

Le prime sfide sono la formalizzazione del settore, il controllo e la lotta contro la frode. Infatti, la produzione estratta è spesso esportata attraverso vie illegali, in particolare nel settore dell’oro, ciò che causa enormi perdite in termini di entrate per lo Stato. Negli ultimi tre anni, i dati ufficiali rivelano che, nel Sud Kivu, sono stati esportati, in media, circa 29 kg d’oro all’anno, quando dei paesi limitrofi, che non hanno grandi giacimenti, ne esportano oltre 2 tonnellate. In Burundi, per esempio, la produzione media annuale d’oro è stimata tra i 250 kg e i 300 kg / anno, ma le esportazioni superano le 2 tonnellate. Se ci si limita alla produzione ufficiale dichiarata, è difficile confermare che il settore artigianale dell’oro rappresenti, nel Sud Kivu, un contributo significativo per le entrate delle Stato. Quel che è certo è che la differenza tra la produzione reale e ciò che è dichiarato è enorme. Considerando semplicemente i tre siti citati, si osserva una differenza di circa 4 tonnellate che entrano nel ciclo dell’esportazione per vie illegali. Ne consegue, quindi, che il flusso monetario che ne deriva non entra nel circuito finanziario formale. Si tratta di una grande sfida per il governo congolese, che registra un enorme deficit in questo settore.

Un’altro problema è la creazione di Zone di Estrazione Artigianale (ZEA) qualificate (sul piano delle riserve geologiche) e accessibili. In effetti, se ci si basa unicamente sui regolamenti e sulle disposizioni del codice minerario, quasi tutte le miniere artigianali del Sud Kivu sono illegali. In primo luogo, perché la maggior parte dei minatori lavorano su siti il cui status è oggetto di controversia tra il settore industriale e quello artigianale (il caso di Mukungwe, a Walungu) o su siti già concessi alle società industriali (il caso di Lugushwa, Kamituga, Luhwindja e Misisi). In questi siti, le operazioni di ricerca da parte delle compagnie minerarie si effettuano contemporaneamente all’attività di estrazione da parte dei minatori artigianali, anche se, in linea di principio, i permessi di ricerca e di estrazione sono esclusivi.

Nonostante questa coabitazione temporanea, i minatori artigianali si trovano in una posizione di vulnerabilità e di insicurezza. Hanno enormi problemi organizzativi e sono meno competitivi nell’ottenere i permessi di esplorazione e di estrazione, in quanto gli operatori del settore industriale dispongono di capacità manageriali e finanziarie che facilitano loro l’acquisizione di questi permessi presso il Ministero delle Miniere, attraverso il Catasto Minerario.

Il tentativo di organizzare i minatori artigianali in cooperative minerarie sembra essere la formula adeguata per consentire loro di essere più competitivi, orientarsi verso l’estrazione semi-industriale e vincere, così, la sfida della formalizzazione. Ma questa iniziativa di creare cooperative minerarie nel Sud Kivu si scontra con l’opportunismo dei suoi iniziatori.

Inoltre, queste cooperative dovrebbero svolgere la loro attività in zone riservate all’estrazione mineraria artigianale (ZEA), ma è difficile, per il momento, averne di più. Non solo perché il Catasto Minerario non le ha ancora individuate, ma anche perché la maggior parte dei siti cui i minatori artigianali accedono fanno già parte di concessioni rilasciate alle società industriali.Nel 2009, nel Sud Kivu, le ZEA erano 7, ma difficilmente accessibili.

2. L’attività mineraria industriale nel Sud Kivu

In passato, nel Sud Kivu non c’era che una società, la SOMINKI.

Oggi, per quanto riguarda le licenze minerarie concesse nel Sud Kivu, il Catasto minerario ha rilasciato 124 permessi di ricerca, per 19.808 lottizzazioni, ovvero una superficie di 16.828 km², e 25 permessi di estrazione, per 6.002 lottizzazioni. Sono oltre 40 società private che hanno ottenuto i 124 permessi di ricerca e sono, quindi, potenziali candidati per l’estrazione a livello industriale. Solo Banro Corporation, una multinazionale con sede in Canada, ha già iniziato le operazioni di estrazione.

Società che hanno ottenuto permessi di ricerca mineraria nel Sud-Kivu
  Titolari n. di lottizzazioni Percentuale
       
1 Adele Ndala 10 0,05
2 Afrimines Resources 2.654 13,40
3 Anders Ilunga Kalimwanda 370 1,87
4 Bale Mining 590 2,98
5 Banro Congo Mining 3.632 18,34
6 Baobab Minerals 490 2,47
7 Broadtec Congo Mining 69 0,35
8 Byaboshi Muyeye 268 1,35
9 Claudine Tabele 83 0,42
10 Congo Eco-Project 112 0,57
11 Congo World Investment 50 0,25
12 Corner Stones Resources Rdc 1.097 5,54
13 Cyprien Kyamusoke Bamusalanga Nta’Bote 182 0,92
14 Déo Katulanya Isu 20 0,10
15 Dieudonné Bakulikira Nguma 9 0,05
16 Efasto Logistics 36 0,18
17 Elite Earth Products 410 2,07
18 Emon Chalwe Ngwashi 134 0,68
19 Entreprise Miniere Du Kivu 338 1,71
20 Ernest Mundyo Munzenze 53 0,27
21 First Mining Congo 15 0,08
22 Gisor 650 3,28
23 Groupe N’Doba 36 0,18
24 Ha & Ga-Holding-Congo Democratique 400 2,02
25 Heatmelto Smelters 402 2,03
26 Jhb Ressources 15 0,08
27 Jmt Mining 492 2,48
28 Kashama Muteba 400 2,02
29 La Generale Des Mines , D’agriculture 14 0,07
30 La Terre Company 78 0,39
31 Liu Zhi Gang 34 0,17
32 Mining And Processing Congo 460 2,32
33 Mining Mineral Resources 410 2,07
34 Mushengezi Shalukoma 25 0,13
35 N.T.N Consult 440 2,22
36 Platona Mining & Trading 94 0,47
37 Proxmin 150 0,76
38 Robert Kaumb Kashal 3 0,02
39 Shamika Congo Kalehe 572 2,89
40 Societe D’exploitation Minieres 133 0,67
41 Societe Olive 588 2,97
42 Stéphie Mushiya Malengu 220 1,11
43 Techno Build 24 0,12
44 Transafrika Drc 1.458 7,36
45 Tsm Entreprise 1.092 5,51
46 Wb Kasai Investments 90 5.00
47 Yvette Mbangu – Mukumbi 6 0,03
  TOTALE GENERALE 19.808 100%
Fonte: Consolidation faite sur base des données tirées de www.flexicadastre.com

Sono, quindi, cinque imprese che detengono il 49,61% delle lottizzazioni coperte da permessi di ricerca: Banro Congo Mining (18.34%) Afrimines Resources (13,4%), Transafrika DRC (7,36%), TSM Entreprise (5,51%) e Wb Kasai Investments (5%).

È difficile, per il momento, valutare l’apporto di queste società in termini di entrate per lo Stato, in quanto esse sono ancora nella fase di esplorazione. Tuttavia, secondo le disposizioni del codice minerario, sia nella fase di esplorazione che di estrazione, devono versare allo Stato  una tassa di superficie: 0,03 $ / ettaro, per i primi due anni di esplorazione e di 0,31 $ / ettaro per il resto del periodo, nonché 5 $ / ettaro nel periodi di produzione. Considerando che una lottizzazione corrisponde a quasi 85 ettari, queste lottizzazioni, varie delle quali sono già nel secondo periodo di esplorazione, fruttificano, nel Sud Kivu, oltre 500.000 $ (19.808 lottizzazioni x 85 ettari x 0,31 $ = 521.940,8 $) all’anno. È ancora molto presto per fare un’analisi dell’apporto di Banro, società che è già in fase di produzione. Tuttavia, si può notare che la produzione di Twangiza Mining, società controllata da Banro, in fase di produzione, da novembre 2011 ad agosto 2012, ha già superato i 1.000 chilogrammi d’oro.

Permane ancora la stessa domanda e cioè: che ci guadagna la provincia del Sud Kivu in questa attività di estrazione? Questo è il motivo per cui c’è necessità di trasparenza nel settore minerario.

3. Una coabitazione difficile: il caso Banro

Fra tutte le società che hanno ottenuto de i permessi di ricerca e / o di produzione, le attività delle filiali di Banro (Twangiza Mining, Kamituga Mining, Namoya Mining e Lugushwa Mining) e  di Casa Mining (a Misisi, nel territorio di Fizi) sembrano più avanzate rispetto alle altre. Le attività di  ricerca sono iniziate nel 2005 a Twangiza e a Lugushwa, nel Sud Kivu, e a Namoya, nel Maniema, mentre a Kamituga sono cominciate all’inizio del 2011.

A Twangiza (zona di Luhwindja e di Burhinyi), dove le attività si sono sviluppate rapidamente, sembrava che, in un primo momento, la società tollerasse la presenza dei minatori artigianali. Ma questa tolleranza è stata di breve durata. Quando è entrata nella fase di produzione, Banro ha cacciato i minatori che occupavano il sito. Si stima che i minatori che vivevano di questa attività artigianale fossero più di 12.000 e che varie migliaia di altre persone ne dipendessero indirettamente. Essendo questa attività mineraria la spina dorsale dell’economia locale (Luhwindja e dintorni), la sua chiusura e l’evacuazione dei minatori hanno creato disperazione nella maggior parte della popolazione locale.

Per allontanare i minatori dal loro luogo di lavoro, Banro aveva loro promesso dei posti di lavoro e il miglioramento delle loro condizioni di vita, attraverso progetti di integrazione sociale, ciò che ha creato, tra i minatori e l’intera popolazione di Luhwindja e Burhinyi, un’enorme aspettativa.

La popolazione di queste località si ricorda del modo con cui, nel passato, la SOMINKI offriva una serie di servizi sociali, come l’istruzione e la salute, ai suoi dipendenti e alla comunità locale. Secondo la popolazione, i problemi della comunità locale, compresi quelli che sono di prerogativa della pubblica amministrazione, avrebbero dovuto essere risolti da Banro che, a causa della inefficienza dello Stato, si è trovata a far fronte ad esigenze e ad aspettative locali che superano le sue competenze e risorse.

In realtà, molti minatori che erano stati assunti come giornalieri da società di appalto dipendenti da  Banro sono stati licenziati, perché durante la fase di estrazione e produzione, c’è più bisogno di specialisti che di manovalanza. Questa situazione ha creato un sentimento di frustrazione e un senso di vittimizzazione. Alcuni ex-minatori sono tornati al lavoro di estrazione artigianale in luoghi situati nei pressi del capannone di produzione della Banro (Kaduma, Lukungurhi e Mwana). A Luntukulu (Shasha), in territorio di Walungu, i geologi di Banro sono stati cacciati dai minatori artigianali e impediti di effettuare lavori di esplorazione nei siti dove hanno ripreso la loro attività artigianale. Twangiza non è, e non sarà, l’unico caso. Sia a Kamituga, a Misisi o a Lugushwa, Banro utilizza la stessa strategia: tollerare inizialmente i minatori artigianali, per salvaguardare la pace sociale e impedire, successivamente, ai minatori artigianali di accedere a determinate miniere. Già a Lugushwa certe miniere precedentemente gestite dai minatori artigianali sono ora controllate e sorvegliate dalla polizia. Altre, come D18, G20, G21 e Kakangala, sono oggetto di un divieto d’accesso progressivo.

III. POSSIBILITÀ DI UNA COABITAZIONE PACIFICA TRA IL SETTORE ARTIGIANALE E QUELLO INDUSTRIALE?

Nel Sud Kivu, il fenomeno della disoccupazione è molto diffuso e colpisce l’80,2% della popolazione attiva. Il settore artigianale deve dunque continuare ad esistere, soprattutto per la sua capacità di assorbire mano d’opera e come opportunità di lavoro. Va inquadrato tecnicamente, per aumentare il livello di produzione e di reddito degli operatori artigianali.

La viabilità del settore artigianale dipenderà dalla attuazione di quelle disposizioni della legislazione mineraria che incoraggiano i minatori artigianali ad organizzarsi in cooperative, al fine di passare ad un livello operativo superiore, quello della piccola miniera o semi-industriale.

Data l’importanza del settore artigianale, si possono ipotizzare piste di soluzioni a due livelli: a livello dello spazio di lavoro e a livello un quadro di concertazione.

A livello dello spazio di lavoro.

Dato il numero impressionante dei permessi di esplorazione e di produzione concessi, nel Sud Kivu, alle società industriali e semi-industriali, quando le Zone di Estrazione Artigianale (ZEA) sono solo sette, è difficile immaginare una coabitazione facile e pacifica.

Il Catasto minerario dovrebbe creare altre ZEA più accessibili e utilizzabili, compito non certo facile per il CAMI, data l’attenzione data alle imprese industriali.

Ma il Regolamento minerario lascia aperte alcune porte quando, all’articolo 129, stipula che i titolari di permessi di esplorazione, al momento del loro rinnovo, devono rinunciare ad alcuni appezzamenti che fanno parte del suo perimetro. Tale disposizione lascia un margine di manovra
al Catasto minerario che può disporre di questi appezzamenti minerari, sia concedendoli ad altre società, sia definendoli come ZEA o zone geologiche per studi scientifici.

Inoltre, quando dei detentori di permessi falliscono e, per vari motivi, non riescono più a utilizzare i loro permessi o a pagare le tasse, il Catasto minerario potrebbe utilizzare questi permessi per creare nuove ZEA o per concederli ad altri, in grado di valorizzarli. Per esempio, all’inizio del 2012, il Ministero delle Miniere ha ritirato, nel Sud Kivu, 10 permessi equivalenti a 1.375 appezzamenti.

A livello di un quadro di concertazione e di collaborazione reciproca.

La situazione attuale richiede che entrambi i settori mantengano uno spazio di dialogo, in cui si possano dibattere certe problematiche locali. È possibile solo se entrambi le parti si accettano reciprocamente e se riescono a rispettare i diritti della controparte.

Un’altra possibilità sarebbe quella di una collaborazione commerciale tra i due settori. Questa collaborazione potrebbe essere basata sull’acquisto di prodotti artigianali e sulla supervisione tecnica da parte del settore industriale. In tal caso, le società industriali dovrebbero aprire centri di commercializzazione di prodotti artigianali. L’acquisto della produzione artigianale da parte delle società industriali potrebbe avere un doppio vantaggio: costruire la fiducia tra i due settori e ridurre la frode. Diversi minatori artigianali sarebbero disponibili a vendere la loro produzione a Banro, a condizione che il prezzo sia competitivo sul mercato locale.

 IV. RACCOMANDAZIONI

A proposito delle condizioni economiche e giuridiche che permetterebbero ai due settori minerari, artigianale e industriale, di coesistere e collaborare, si possono evidenziare le seguenti raccomandazioni.

– AL GOVERNO CONGOLESE attraverso il Ministero delle Miniere e i suoi servizi tecnici e amministrativi:
• Il CAMI dovrebbe investire di più nella creazione di ZEA accessibili, assicurare una gestione trasparente dei registri dei permessi minerari e continuare il processo di annullamento di permessi non utilizzati;

• Il SAESSCAM dovrebbe essere dotato dei mezzi necessari affinché sia realmente un servizio di supervisione tecnica e di assistenza;

• IL GOVERNO dovrebbe conformarsi alle esigenze dell’ITIE (Iniziativa per la Trasparenza dell’Industria Estrattiva), pubblicando ciò che realmente riceve dalle compagnie minerarie, in modo da rafforzare la trasparenza e la lotta contro la corruzione nel settore minerario industriale.
– ALLE SOCIETÀ MINERARIE INDUSTRIALI:

• conformarsi alle esigenze dell’ITIE, pubblicando ciò che pagano allo Stato congolese;
• rispettare rigorosamente le norme sulla responsabilità delle imprese e altri principi internazionali;
• rimanere in contatto con i minatori artigianali e le comunità locali, evitando la corruzione di certi membri della comunità locale.

– AGLI OPERATORI ARTIGIANALI:

• organizzarsi in cooperative per lavorare insieme e evolvere verso un’attività semi-industriale;
• conformarsi alle leggi e normative che regolano il settore artigianale e rispettare i diritti degli altri operatori, compresi quelli del settore industriale.

[1] Testo integrale: https://docs.google.com/viewer?url=http://ipisresearch.eu/download.php?id%3D402