Congo Attualità n. 189

INDICE

EDITORIALE: Rispondere all’attesa di un popolo

1. LA PERSISTENTE MINACCIA DELL’M23

2. UNA ZONA DI SICUREZZA INTORNO A GOMA

a. Il comunicato stampa della Monusco

b. Le dichiarazioni della Società Civile e le manifestazioni di Goma

c. Le autorità locali, civili e militari, e della Monusco si spiegano

d. La Società Civile cambia bersaglio e strategia

3. UNA LETTERA DEI GIOVANI DI GOMA ALLA RAPPRESENTANTE DEGLI STATI UNITI PRESSO LE NAZIONI UNITE

4. NEWS REGIONALI

 

 

EDITORIALE: Rispondere all’attesa di un popolo

 

1. LA PERSISTENTE MINACCIA DELL’M23

 

Quattro Ruandesi hanno dichiarato alla BBC, dietro anonimato, che l’esercito ruandese li aveva reclutati con la forza per inviarli a combattere nelle file dell’M23, nell’est della RDCongo. I quattro hanno affermato che, dopo essere riusciti a fuggire, avevano chiesto asilo in Uganda. Uno di loro, che si presenta come capitano dell’esercito ruandese, afferma di aver disertato dopo aver assistito alla morte di tante persone innocenti. Ha aggiunto che il presidente ruandese Paul Kagame è il comandante capo dell’M23: «Tutto ciò che dice deve essere eseguito», ha precisato. Un altro disertore, che si presenta come uno studente di medicina, ha dichiarato alla BBC di essere stato “sequestrato” dai militari nel mese di agosto 2012 a Gisenyi, città di confine e di essere stato portato nella RDCongo, dove ha curato più di 300 altre reclute ferite nei combattimenti. «Li hanno portati al fronte ancor prima di completare la loro formazione», ha dichiarato.

Il portavoce dell’esercito ruandese Joseph Nzabamwita ha respinto le accuse e ha dichiarato di non poter rilasciare alcun commento se la BBC non rende noti i nomi delle sue fonti, aggiungendo che i quattro disertori in questione hanno probabilmente inventato queste storie, per poter ottenere asilo.[1]

 

Il 31 luglio, 2 minibus e 3 camion Fuso, che provenivano da Butembo per Goma, sono stati attaccati dall’M23 a Kahunga, a 4 km a nord di Kiwanja. Più di un centinaio di passeggeri sono stati derubati di soldi, computer portatili, gioielli e altri oggetti di valore. Gli assalitori si sono impossessati anche di viveri e di altri beni, dicendo che il bottino saccheggiato è un contributo allo sforzo bellico. Condannando con veemenza questi nuovi abusi da parte dell’M23, la Società civile del Nord Kivu chiede alla Corte penale internazionale di aprire delle inchieste sui crimini commessi dall’M23 nel Nord Kivu.[2]

 

Il 2 agosto, attraverso un comunicato pubblicato da Bunagana, l’M23 ha minacciato di riprendere la città di Goma, capitale del Nord Kivu, qualora il governo non rispettasse la dichiarazione (del 24 novembre 2012) dei Capi di Stato della Conferenza Internazionale sulla Regione dei Grandi Laghi (CIRGL). «Se il governo non rispetterà tale dichiarazione, allora dovremo rivedere le nostre posizioni e riportare le nostre truppe a Goma», ha affermato Bertrand Bisimwa, presidente dell’M23, aggiungendo che l’M23 ha adempiuto la sua parte del contratto, ritirandosi dalla città di Goma che aveva occupato, per dieci giorni, nel novembre 2012. «L’M23 ha rispettato le posizioni che gli erano state assegnate dalla CIRGL. Il suo ritiro dalla città di Goma è effettivo. Ma il dispiegamento militare della compagnia dell’M23 presso l’aeroporto di Goma non è mai stato permesso e la smilitarizzazione della città di Goma non è mai stata effettiva», ha dichiarato Bertrand Bisimwa.[3]

 

In realtà, in occasione del vertice straordinario del 24 novembre 2012 a Kampala (Uganda), i Capi di Stato della Regione dei Grandi Laghi avevano chiesto all’M23 di abbandonare le posizioni conquistate dopo la sua ultima offensiva, di arrestare la sua avanzata verso altri territori e di cessare di mettere in questione l’attuale governo della RDCongo. Più specificatamente, i Capi di Stato della sub-regione avevano chiesto ai ribelli dell’M23 di ritirarsi dalla città di Goma entro due giorni (48 ore) e di posizionarsi a circa 20 km a nord della città (vicino a Kibumba).

Inoltre, avevano deciso di dispiegare all’aeroporto di Goma, fino allora tenuto dalla MONUSCO, una forza mista composta da una compagnia delle FARDC, una compagnia dell’M23 e una compagnia di una forza internazionale neutra che non era ancora stata ben definita.

A proposito della città di Goma, avevano deciso di dispiegarvi un battaglione dell’esercito congolese e un altro della polizia nazionale. La Monusco avrebbe garantito la sicurezza della zona ormai considerata come neutra, cioè quella compresa tra Goma e le nuove zone occupate dall’M23.

In cambio, il governo congolese si era detto disposto ad “ascoltare, valutare e tener conto delle legittime richieste” dell’M23 circa l’attuazione dell’accordo firmato nel marzo 2009 dal Consiglio Nazionale per la Difesa del Popolo (CNDP) e il governo di Kinshasa. I capi di stato non avevano, tuttavia, evocato l’eventualità di un “dialogo”, come richiesto dall’M23.[4]

 

Come si può ben constatare, Bertrand Bisimwa distorce e manipola a favore dell’M23 le informazioni relative alla dichiarazione dei Capi di Stato della CIRGL del 24 novembre 2012, in cui non si fa alcun riferimento alla demilitarizzazione della città di Goma. Si tratta, in realtà, di una richiesta che l’M23 aveva avanzato per ritirarsi dalla città di Goma, ma che non fu accolta dai Capi di Stato. Inoltre, l’M23 non ha mai rispettato l’ingiunzione di ritirare le sue truppe a 20 km. dalla città di Goma, come previsto dai Capi di Stato. Infatti, l’M23 ha sempre mantenuto le sue truppe a una decina di km. da Goma, continuato ad occupare la zona di Kanyarucinya, Mutaho e Kibati, da cui è stato allontanato dalle FARDC a metà luglio 2013.

Per quanto riguarda il dispiegamento di una compagnia dell’M23 all’aeroporto di Goma è una tattica che ricorda quella del Fronte Patriottico Ruandese che, nel 1993, riuscì ad introdurre all’interno di Kigali un battaglione di 600 militari, il che gli permise di infiltrare la città e di riprendere la guerra. Analogamente, con il dispiegamento di una sua compagnia all’aeroporto di Goma, diventerebbe facile per l’M23 riprendere la città di Goma qualora fosse demilitarizzata.

Facendo riferimento alla dichiarazione dei Capi di Stato della CIRGL, l’M23 sembra ignorare l’accordo posteriore di Addis Abeba, firmato il 24 febbraio 2013 dagli stessi Capi di Stato della CIRGL e la risoluzione 2098 emessa dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU alla fine di aprile 2013, la quale crea una nuova brigata d’intervento della Monusco con il mandato di disarmare, ricorrendo alla forza se necessario, tutti i gruppi armati attivi nel Kivu, incluso l’M23. La minaccia dell’M23 di riprendere la città di Goma qualora il Governo congolese non rispettasse “i suoi impegni” sembra, in realtà, rivolta proprio alla brigata d’intervento della Monusco che ha ultimamente delimitato una “zona di sicurezza” attorno alla città di Goma.[5]

 

Il 3 agosto, durante la notte sono state uccise tre persone a Kiwanja, a 70 chilometri a nord di Goma, nel territorio di Rutshuru. Intorno alle ore 23,00, gli abitanti hanno sentito degli spari e, quando al mattino si sono alzati, hanno trovato tre cadaveri nel quartiere Buturande. Mentre l’M23 presenta le vittime come banditi, membri delle FDLR e dei Mai-mai, che avevano saccheggiato delle botteghe, la popolazione locale afferma che si tratta di civili arrestati dall’M23 in villaggi un po’ distanti da Kiwanja e uccisi dall’M23 per discolparsi dei saccheggi che è accusato di aver commesso a Kiwanja la settimana precedente. L’M23 avrebbe orchestrato tale scenario per pulire la sua immagine presso la popolazione che più volte ha identificato membri dell’M23 come gli autori degli ultimi saccheggi a Kiwanja.[6]

 

 

2. UNA ZONA DI SICUREZZA INTORNO A GOMA

 

a. Il comunicato stampa della Monusco

 

Il 30 luglio, la Monusco ha pubblicato un comunicato stampa sul “Dispiegamento della Monusco per sostenere la zona di sicurezza nella regione di Goma-Sake“. Con questo comunicato, «nel Nord Kivu, la Monusco considera ogni persona che non fa parte delle forze di sicurezza nazionali e che possiede un’arma, a Goma e nelle località situate a nord della città, come una minaccia imminente per la popolazione civile. La Missione disarmerà questi individui, al fine di imporre una zona di sicurezza per proteggere la regione densamente popolata di Goma e di Sake».
Secondo il comunicato, «più di un milione di civili vivono nella zona relativamente ristretta di Goma e di Sake e lungo la strada che collega queste due località dove sono installati, tra l’altro, i campi di sfollati di Mugunga che accolgono provvisoriamente circa 70.000 persone, sfollate a causa del conflitto. Da metà maggio, la zona ha sperimentato ripetuti attacchi da parte dell’M23 contro le posizioni delle FARDC, in un apparente tentativo di avanzare verso Goma e Sake. Durante questi attacchi, l’ultimo dei quali ha avuto inizio il 14 luglio, l’M23 ha sparato indiscriminatamente, utilizzando anche armi pesanti, causando vittime civili. Tenuto conto dell’elevato rischio che questi attacchi comportano per la popolazione civile della zona di Goma e di Sake, la Monusco appoggerà le FARDC nei loro sforzi per creare una zona di sicurezza a Goma e nelle località situate a nord della città. Questa zona di sicurezza potrà essere ampliata e riprodotta altrove».

Il comunicato rileva che «a partire da martedì 30 luglio alle ore 16 (ora di Goma) sarà dato un tempo di 48 ore ad ogni persona della zona, che non fa parte delle forze di sicurezza nazionali, per consegnare la sua arma in una base della Monusco e aderire al programma di disarmo e reinserzione (DDR / RR). A partire dalle ore 16 di giovedì 1° agosto, tali persone saranno considerate una minaccia imminente di violenza fisica per la popolazione civile e la Monusco prenderà tutte le misure necessarie, incluso l’uso della forza, per disarmarle, in conformità con il mandato e le regole di ingaggio della missione. Questa operazione, che ha come scopo di imporre una zona di sicurezza, sarà costituita, per la prima volta, da membri della brigata d’intervento della Monusco che lavoreranno congiuntamente con la brigata Nord Kivu della Missione».
La nuova zona di sicurezza si estenderà dalla grande barriera tra Goma e Gisenyi fino alla parte meridionale del raggruppamento di Kibati in territorio di Nyiragongo, per una lunghezza di una quindicina di chilometri sulla strada verso nord. Verso ovest, partirà dalla Grande Barriera di Goma fino a Sake, a circa 30 km di distanza. Essa comprenderà la città di Goma, i raggruppamenti di Muja, Munigi, Rusayo, una parte di Buvira e una parte di Kibati in territorio di Nyiragongo, la città di Sake e buona parte del raggruppamento di Kamuronza nel territorio di Masisi.

Il portavoce militare della Monusco, il tenente colonnello Felix Basse, ha precisato che, a partire dalla scadenza dell’ultimatum di 48 ore, si comincerà ad attuare «una serie di azioni come, per esempio, retate, perquisizioni e pattugliamenti intensivi». Tra i siti di raccolta delle armi, egli ha annoverato le basi della Monusco, della polizia nazionale e dell’esercito nazionale.[7]

 

Il 1° agosto, in una conferenza stampa tenutasi a Goma, il comandante della forza della Monusco, il generale Alberto Dos Santos Cruz, ha affermato che il provvedimento preso per garantire la sicurezza nella zona di Goma-Sake e quella circostante ha lo scopo di proteggere più di un milione di civili, tra cui degli sfollati. «Questa è solo la prima tappa. Ogni zona ha le proprie caratteristiche. Ci adatteremo alla situazione locale», ha spiegato il generale Alberto Dos Santos Cruz, per il quale la creazione di questo perimetro di sicurezza è solo il primo passo nel quadro di una zona strategica di riconquista, zona per zona, del Nord Kivu.[8]

 

Nello stesso giorno, il portavoce ad interim della Monusco, Carlos Araujo, ha dichiarato che «la zona di sicurezza non è una operazione militare offensiva e non è indirizzata contro gruppi armati specifici. Il suo obiettivo principale è quello di garantire la protezione dei civili, in conformità con il mandato della Monusco» e ha aggiunto che «la zona di sicurezza ha anche lo scopo di stabilizzare la situazione intorno a Goma, per dare la possibilità di cercare una soluzione politica al conflitto».[9]

 

Da parte sua, l’M23 ha dichiarato di non sentirsi implicato nell’ultimatum lanciato dalla Monusco.  «Questa misura non ci riguarda, perché non siamo presenti né a Goma, né lungo la strada Goma-Sake», ha dichiarato Bertrand Bisimwa, presidente dell’M23, aggiungendo che «l’M23 si difenderà se si attaccheranno le sue attuali posizioni».[10]

 

Secondo l’agenzia Reuters, il Ministro degli Esteri ruandese, Louise Mushikiwabo, ha affermato che l’ultimatum lanciato dalla Monusco ha sorpreso i leader africani e potrebbe facilmente far deragliare i colloqui di pace in corso a Kampala. Da notare che il Ruanda è ampiamente sospettato di appoggiare l’M23, ciò che Kigali nega.[11]

 

b. Le dichiarazioni della Società Civile e le manifestazioni di Goma

 

Il 1° agosto, la Società Civile del Nord Kivu ha affermato, in una sua dichiarazione, che «la decisione della Monusco è ancora ben lontana dall’essere una risposta alle aspettative della popolazione del Nord Kivu, vittima dell’attivismo dell’M23, delle FDLR,dell’ADF-NALU/AL-SHABAAB e di altre milizie locali. La Società civile considera che la brigata d’intervento della Monusco anziché mettersi a perseguire le Forze Negative nella Provincia, cerca di farci dormire in piedi e continua a far passare il suo tempo, dimenticando che ha il mandato di un anno. Critica la posizione del governo congolese per aver accolto con favore questa decisione della Monusco, quando sa bene che la zona scelta dalla Missione è già stata conquistata dalle FARDC.

Il Coordinamento della società civile del Nord Kivu qualifica quest’azione della Monusco come tattica dilatoria e pertanto invita tutta la popolazione ad essere vigilante. Denuncia pure ogni possibile tentativo delle tregue imposte alle FARDC, a favore dei “cosiddetti” colloqui con l’M23, che pure è considerato come una forza negativa.

A partire da oggi, la società civile del Nord Kivu dà una settimana di tempo alla Brigata d’intervento (FIB) per iniziare la sua azione offensiva. In caso contrario, chiederà alla popolazione di dissociarsi da essa e di intraprendere delle azioni di massa per costringerla ad agire, oppure a partire.

Le Forze Vive della Provincia, ribadendo il loro appoggio alle FARDC, chiedono ai Congolesi residenti in patria e a quelli della diaspora di apportare il loro appoggio morale, materiale e finanziario ai militari che, impegnate sul fronte, stanno in questi giorni dando prova del loro coraggio, rendendo onore alla nazione congolese.

Infine, la coordinazione della Società Civile chiede al Governo centrale di accelerare la formazione delle nuove leve, in modo che possano il più presto raggiungere il fronte e combattere per la liberazione del territorio nazionale contro l’aggressione ruando-ugandese”.[12]

 

Il 2 agosto, vari giovani della città di Goma, tra cui i moto tassisti, sono scesi in strada per chiedere che la zona di sicurezza imposta dalla Monusco sia estesa al di là di Goma e Sake, soprattutto verso Rutshuru. «È là dove ci sono i ribelli [dell’M23] da disarmare», affermavano. Al mattino, nel quartiere Birere, vicino all’aeroporto, un convoglio della Monusco è stato preso a sassate dai manifestanti e la polizia è intervenuta per disperderli con gas lacrimogeni. Secondo i manifestanti, decidendo di stabilire la famosa “zona di sicurezza” in zone già controllate dalle FARDC, la Monusco ha rivelato di accordare implicitamente all’M23 il diritto di amministrare i territori passati sotto suo controllo. Il che potrebbe essere un ulteriore passo in avanti nella realizzazione del piano di balcanizzazione della RDCongo. Secondo la popolazione, una zona di sicurezza di soli 20 chilometri attorno a Goma è inutile, perché lasciare ai ribelli il “diritto” di occupare o amministrare certe zone, anche solo temporaneamente, equivale a delineare artificialmente nuove “frontiere” che permetteranno la balcanizzazione del paese. Quindi, sempre secondo la popolazione, le operazioni militari contro i vari gruppi armati dovrebbero estendersi da subito sull’intera provincia.[13]

Il 3 agosto, la  Società Civile del territorio di Rutshuru e Nyiragongo, ha pubblicato una dichiarazione intitolata “di fronte all’ultimatum lanciato dalla Monusco ai gruppi armati e alla creazione di un perimetro di sicurezza in data 31 luglio 2013” e in cui ricorda che “la popolazione dei territori di Rutshuru e di Nyirangongo ha passato un anno e quattro mesi sotto il giogo dell’M23, con conseguenze incommensurabili, come: massacri d’uomini, violenze sessuali contro donne e ragazze, tortura, arruolamento forzato di bambini e giovani in seno a questo gruppo terrorista,, rapimenti, arresti arbitrari, saccheggi, impoverimento deliberato con l’instaurazione di riscatti e tasse illegali, ecc.”.

La Società civile fa notare che “la popolazione di Rutshuru e Nyiragongo viene ancora oggi massacrata sotto gli occhi della Monusco che sa e vede, come successe all’epoca del CNDP, il 5 novembre 2008, al tempo di Laurent Nkunda, quando più di 150 persone sono state massacrate a Kiwanja e 15 a Nyiragongo/Kibumba l’8 dicembre 2008, sotto gli occhi dei contingenti indiani basati in questi Territori”. E continua, precisando: “Oggi, di fronte a tutte le sofferenze che l’M23 impone alla popolazione di Rutshuru e Nyiragongo, sofferenze d’altronde descritte nel rapporto degli esperti delle Nazioni unite, assistiamo alle molteplici tergiversazioni circa l’applicazione del mandato della Brigata che si concludono con molti rinvii dell’inizio del lavoro conferitole dalla risoluzione 2098. Come se ciò non bastasse, la Brigata, invece di cominciare a perseguire le forze negative fra cui l’M23 come chiestole dalla risoluzione 2098, si sta sostituendo alla polizia nazionale creando un perimetro di sicurezza in una zona sotto controllo delle forze dell’ordine della RDCongo, invece di crearlo a Rutshuru e a Nyiragongo, dove la gente sta morendo come mosche senza alcuna assistenza”.

A conclusione di quest’analisi-denuncia, la Società civile di Rutshuru e Nyiragongo  prende atto che la Brigata Internazionale non dà peso ai morti e alle sofferenze della popolazione del territorio; constata “che il mandato della Brigata internazionale non è più offensivo, per liberare le popolazioni”, dichiara che “le Nazioni unite si contraddicono imponendo al governo un dialogo con un gruppo che esse stessa qualificano come gruppo negativo” e che “il governo congolese ha abbandonato la popolazione di Rutshuru e Nyiragongo”, anzi lo legittima.

La Società civile di Rutshuru e di Nyiragongo dichiara di prende atto della mancanza di volontà sia nazionale che internazionale di mettere fine all’M23 e conclude: “Di fronte alle sue sofferenze durate troppo a lungo, la popolazione di Rutshuru e Nyiragongo trova che è imperativo che si faccia carico di se stessa, se entro un breve lasso di tempo non comincerà l’attacco all’M23. Aggiunge che la popolazione non accetterà “un qualsiasi tentativo di tregua imposto alle Forze Armate della RDC (FARDC) a favore dei cosiddetti colloqui di pace con l’M23” e chiede la partenza da tutti i territori e la sostituzione dei contingenti indiani, che non hanno saputo proteggere la popolazione. In conclusione, «l’intera popolazione di Rutshuru et di Nyiragongo informa l’opinione nazionale e internazionale che, nei prossimi giorni, intraprenderà una vasta azione per liberarsi, perché l’atteggiamento del Governo congolese e della Monusco fanno capire che non si libera un popolo, ma che è il popolo stesso che si libera».[14]

 

c. Le autorità locali, civili e militari, e della Monusco si spiegano

 

Il 2 agosto, di fronte a questa agitazione, il governatore del Nord Kivu, Julien Paluku, ha invitato la popolazione alla calma: «Il perimetro della zona di sicurezza è flessibile. La Monusco ha preparato un piano a tre tappe. La prima fase è stata rivelata al pubblico. Le altre due fasi appartengono ancora al segreto militare. Oggi che le unità della brigata d’intervento della Monusco sono arrivate a Goma, è normale che la zona in cui si sono stabilite sia decretata come zona di non-accesso a qualsiasi gruppo ribelle, perché costituisce la base per le prossime operazioni. […] Quando le operazioni inizieranno, la Monusco dovrà essere sicura che all’interno della piattaforma di base non ci siano elementi di disturbo. Questa è la tattica e la strategia della Monusco». Il governatore ha aggiunto: «La linea rossa tracciata dalla Monusco è flessibile. Ogni volta che due o tre posizioni saranno conquistate dalla coalizione FARDC – MONUSCO, la linea rossa sarà spostata».

Anche il Colonnello Mamadou N’Dala, comandante delle forze congolesi sul fronte, ha spiegato che «la Monusco procede per tappe e che occorre lasciarla agire». Egli ha anche insistito sul fatto che non ci devono essere tensioni etniche: allusione all’ostilità di alcune persone verso la comunità ruandofona, cui appartiene la maggior parte dei ribelli dell’M23. In seguito a queste dichiarazioni, la folla si è dispersa e la calma è tornata a Goma.

Dalla sera del 1° agosto, nella zona di sicurezza delimitata dalla Monusco si è notato una relativa calma. A Goma non si è sentito alcuno sparo, a differenza di due o tre giorni prima. Anche a Sake, un’autorità locale ha parlato di una relativa calma, aggiungendo che la popolazione locale  sta aspettando di vedere gli effetti concreti dell’ultimatum lanciato dalla Monusco ai gruppi armati.[15]

 

Il 4 agosto, reagendo all’ultimatum di una settimana lanciato dalla società civile del Nord Kivu, affinché la Monusco cominci ad attuare il suo mandato di disarmare i ribelli ed estenda la zona di sicurezza anche oltre a Goma, il capo  provinciale della Monusco a Goma, Axel Queval, ha ribadito che il mandato della Monusco è di disarmare i gruppi armati e che la zona di sicurezza sarà estesa ad altre zone ma che, se se si vuole raggiungere un risultato positivo, tutto ciò dovrà essere fatto quando tutto è pronto e gradualmente, tappa dopo tappa. Egli ha aggiunto che «la brigata d’intervento non è ancora completa, ma si è comunque deciso di iniziare certe operazioni. Si continuerà secondo una pianificazione militare in piena collaborazione con il governo congolese e le FARDC. Tuttavia, si deve ammettere che non si possono svelare in anticipo le operazioni militari che si sta per intraprendere». Inoltre, egli ha chiesto alla popolazione di non ricorrere a forme di violenza per protestare contro la Monusco, perché le si impedirebbe di fare il suo lavoro e ha concluso che «se si vuole che la Monusco funzioni meglio, non serve a nulla danneggiare le sue strutture, distruggere il suo materiale o bruciare i suoi veicoli, perché ciò andrebbe a vantaggio dei gruppi armati». Infine, egli ha sottolineato che «la Monusco non obbedisce agli ordini della società civile, ma è pronta a discutere con lei. Per definizione, gli interlocutori della Monusco sono le Autorità congolesi, le FARDC e la PNC». A questo proposito, se è necessario scoraggiare atti di vandalismo contro la Monusco, alcuni osservatori fanno notare che la popolazione ha il diritto di protestare, quando il comportamento o l’ambiguità della Monusco non la convincono.[16]

 

La federazione dell’Unione per la Democrazia e il Progresso Sociale (UDPS) di Goma invita gli residenti del Nord-Kivu a non ricorrere alla violenza per protestare contro la Monusco. Tale appello arriva alla vigilia della fine dell’ultimatum di una settimana emesso dalla società civile del Nord Kivu nei confronti della missione delle Nazioni Unite. Il presidente federale dell’UDPS, Rubens Mikindo, afferma che la società civile ha sbagliato bersaglio, in quanto la Monusco non è solo che “invitata” dal governo. Deplorando «l’inattività del governo congolese sulla questione della sicurezza nell’est del Paese», Rubens Mikindo ha invitato la società civile a «condurre azioni concertate con la missione delle Nazioni Unite». Inoltre, Rubens Mikindo chiede alla popolazione di “non cadere nella trappola di facinorosi” e di non usare la violenza per far valere i propri diritti. Infine, il Presidente federale dell’UDPS stima che la Monusco dovrebbe comunicare meglio la sua strategia, per prevenire le eventuali proteste della popolazione.[17]

 

Dopo le manifestazioni anti-Monusco del 2 agosto e l’ultimatum della società civile, il comandante della brigata d’intervento, il generale James Aloisi Mwakibolwa, ha voluto incontrare i rappresentanti della società civile del Nord Kivu per tentare di dissipare le incomprensioni tra le due parti. Le discussioni hanno ruotato intorno ai punti contenuti nella dichiarazione della società civile del 1° agosto. In questo comunicato, la società civile non solo denunciava i limiti della zona di sicurezza intorno a Goma e Sake, ma chiedeva anche che la brigata d’intervento iniziasse immediatamente le operazioni contro i gruppi armati, tra cui l’M23. La delegazione della società civile era composta da sei persone e guidata dal suo presidente, Thomas d’Aquin Mwiti. Il Generale Mwakibolwa ha fatto sapere ai suoi interlocutori che “impedire alla Monusco di fare il suo lavoro sarebbe come rendere un servizio ai nemici del paese“. Questo messaggio è stato recepito dalla società civile e ci si è dato appuntamento per altri incontri per scambiare informazioni, idee e proposte. La delegazione della società civile farà rapporto alla base ed eventualmente farà una nuova dichiarazione.[18]

 

d. La Società Civile cambia bersaglio e strategia

 

L’8 agosto, dopo aver minacciato, i giorni precedenti, di organizzare una “azione su larga scala” contro la Monusco, affinché estendesse la zona di sicurezza di Goma-Sake fino ai territori occupati dai gruppi armati, tra cui l’M23, la società civile del Nord Kivu è ritornata sui suoi passi e ha, invece, insistito sulla “posizione di debolezza” della strategia del governo congolese, indicandolo come responsabile della continua insicurezza nel Nord Kivu. In mattinata, su Radio KIVU1, il Presidente della Società Civile del Nord Kivu, Thomas d’Aquin Mwiti, ha dichiarato che «la Monusco sta facendo il suo lavoro, è in buona fede e vorrebbe fare qualcosa se, e solo se, le autorità congolesi le dessero il permesso», aggiungendo che l’ultimatum della scorsa settimana contro la Monusco non ha più ragion d’essere. Egli ha precisato: «Dall’inizio del  nostro ultimatum, abbiamo avuto cinque incontri con le autorità civili e militari della MONUSCO. C’era una mancanza di comunicazione tra noi. Ma ora non c’è più alcuna parola d’ordine della società civile per protestare contro la Monusco». Secondo lui, «è il governo che ormai deve fare la sua parte ed è a lui che dobbiamo rivolgerci. Ora dobbiamo poter avviare dei colloqui con il nostro governo ha molte cose da fare».[19]

 

In un comunicato stampa firmato dallo stesso Presidente Thomas d’Aquin Mwiti e pubblicato nel pomeriggio, la Società Civile del Nord Kivu ha decretato per il martedì 13 Agosto una giornata denominata “città morta”, in memoria delle vittime della guerra e per chiedere al Presidente della Repubblica di riavviare, entro 72 ore, le operazioni militari per recuperare i territori sotto il controllo dei ribelli, Rutshuru e Nyiragongo in particolare, con l’appoggio della brigata delle Nazioni Unite. Dopo la dichiarazione dell’M23 di voler riprendere la città di Goma, la Società Civile chiede al governo di chiudere ufficialmente i negoziati di Kampala.

Altre organizzazioni della Società Civile propongono tre di lutto, a partire dal 9 agosto, in memoria delle persone “uccise o rapite” dai gruppi armati attivi nella regione. «Venerdì sarà una giornata “città morta” in tutta la provincia del Nord Kivu. Sabato sarà una giornata in cui tutti vestiranno di nero, in segno di lutto. Domenica sarà una giornata di meditazione per le celebrazioni religiose», ha rivelato un portavoce della SCNK, Omar Kavota. «Altre azioni – in crescendo – potranno continuare la prossima settimana, se non ci sarà alcun cambiamento in positivo da parte della Monusco, cui è integrata la brigata d’intervento», ha aggiunto Kavota, senza specificare la natura delle azioni che potrebbero essere organizzate.[20]

 

Il 10 agosto, il coordinamento urbano della società civile di Goma si è riunito in forma straordinaria. La popolazione della città di Goma continua, infatti, a chiedere alla società civile di condurre azioni più forti, in vista di ristabilire la sicurezza nel Nord Kivu. In occasione di questa riunione, un gruppo di giovani moto-taxi ha organizzato un sit-in davanti all’edificio, in attesa di ricevere una sua parola d’ordine per il lancio di tali azioni. Da parte sua, la Società civile afferma di voler orientare la popolazione verso manifestazioni pacifiche e non violente. Una parte della popolazione minaccia ancora di organizzare manifestazioni per far pressione sulla Monusco, per costringerla a iniziare operazioni offensive contro l’M23. Cosciente di questa tensione, la società civile urbana di Goma ha programmato un’azione di sensibilizzazione per evitare eccessi violenti.[21]

 

 

3. UNA LETTERA DEI GIOVANI DI GOMA ALLA RAPPRESENTANTE DEGLI STATI UNITI PRESSO LE NAZIONI UNITE

 

Il 25 luglio, un gruppo di giovani congolesi del Nord Kivu (studenti universitari e giovani professionisti), membri di un movimento denominato “Lotta per il cambiamento” (Lucha), ha inviato una lettera alla rappresentante degli Stati Uniti presso le Nazioni Unite, l’ambasciatrice Rosemary DiCarlo, in cui esprimono “l’impazienza del popolo del Nord Kivu per la lentezza della Monusco e la procrastinazione della comunità internazionale”.

Chiedono al Consiglio di Sicurezza e all’insieme della comunità internazionale:

– L’abbandono della pressione e di qualsiasi tipo di appoggio in favore delle “negoziazioni di Kampala” tra il governo congolese e l’M23;

– Una pressione diplomatica sull’M23 e il Ruanda, affinché l’M23 deponga le armi;

– L’inizio delle operazioni della nuova brigata d’intervento della Monusco e la fine della sua missione di disarmo dei gruppi armati in marzo 2014 al più tardi;

– La riduzione degli effettivi della Monusco, per destinare le risorse risparmiate alla riforma del settore della sicurezza nella RDCongo, attraverso un meccanismo ben coordinato e un piano ben definito;

– La fissazione di un calendario per un ritiro completo e a breve termine della Monusco (quattordici anni già trascorsi in RDCongo senza riuscire a riportare la pace sono già troppi);

– La fine dell’impunità per i crimini commessi nella RDCongo da oltre 20 anni, attraverso l’arresto e il processo dei principali autori, fra cui alcune alte autorità civili e militari, ruandesi e congolesi;

– L’approvazione di rigorose sanzioni contro il Rwanda e i suoi dirigenti civili e militari per la loro dimostrata implicazione nella destabilizzazione dell’est della RDCongo;

– La subordinazione della cooperazione internazionale e degli aiuti esteri destinati alla RDCongo, al Rwanda, all’Uganda e al Burundi a dei progressi concreti nell’attuazione delle riforme necessarie e al rispetto degli impegni assunti a livello regionale e internazionale.

1 – Secondo questi giovani, l’accordo quadro di Addis Abeba per la pace, la sicurezza e la cooperazione in RDCongo e nella regione dei Grandi Laghi e la risoluzione S/RES/2098 adottata dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite hanno suscitato la speranza di poter finalmente ristabilire in modo duraturo la sicurezza, la stabilità e la pace di cui l’est della RDCongo è stato privato da oltre venti anni.

2 – Tuttavia, è necessario constatare che fino ad ora non ci sono stati progressi concreti: né l’inizio delle operazioni militari per “neutralizzare i gruppi armati” da parte della nuova brigata d’intervento della Monusco, già al quinto mese del suo mandato di dodici mesi, né l’attuazione delle riforme per le quali le autorità congolesi si erano per l’ennesima volta impegnate (la riforma del settore della sicurezza, il decentramento, la democratizzazione, le riforme nella gestione economica, …), per non parlare delle elezioni locali ancora attese dal 2006. Oltre a questo, le recenti promozioni di generali nelle Forze Armate della RDCongo non hanno tenuto in alcun conto la necessità di allontanare da questa istituzione i presunti responsabili di crimini internazionali, di appropriazione indebita dei beni dello Stato e di ogni tipo di attività illegali, e di metterli a disposizione della giustizia. Le pertinenti disposizioni dell’accordo quadro di Addis Abeba sono costantemente violate dagli Stati firmatari. È il caso del Ruanda che continua ad appoggiare in maniera sostanziale l’M23 e che ospita centinaia di membri dell’M23, tra cui l’ex presidente Runiga Lugerero e degli ufficiali militari, come Ngaruye Baudouin, oggetto di sanzioni delle Nazioni Unite.

3 – Inoltre, le dichiarazioni di Ban Ki-Moon, Segretario Generale delle Nazioni Unite e di Mary Robinson, Inviata Speciale per la Regione dei Grandi Laghi, volte a privilegiare i negoziati di Kampala non ricevono il nostro consenso, né quello della maggioranza dei Congolesi. In primo luogo, perché nel passato ci sono già stati dei negoziati e degli accordi che hanno condotto alla proliferazione di gruppi armati e all’impunità di criminali piuttosto che la fine della violenza. In secondo luogo, perché è chiaro che il Ruanda è, fin dall’inizio, il principale istigatore della ribellione dell’M23 (anche gli Stati Uniti l’hanno recentemente riconosciuto in modo molto esplicito). A cosa serve allora negoziare con l’M23 che, in questa guerra, è solo un emissario? E, infine, perché si devono riprendere le negoziazioni con un movimento che non vuole deporre le armi, che ha preso in ostaggio milioni di persone civili e che ogni giorno commette innumerevoli atrocità? Questo tipo di presa di posizione da parte dei responsabili delle Nazioni Unite aumenta il dubbio sulla reale volontà della comunità internazionale di voler contribuire efficacemente al ripristino di una pace duratura nel nostro Paese.

4 – Gli avvenimenti che si sono verificati nella città di Goma, il 18 e il 19 luglio, quando la popolazione ha apertamente attaccato un convoglio della Monusco possono essere diversamente valutati e giudicati. Da parte nostra, noi non approviamo qualsiasi atto di violenza, da qualunque parte provenga e qualsiasi siano le motivazioni. Ma questi atti riflettono l’impazienza della popolazione, secondo cui la presenza della Monusco si è protratta per troppo tempo, senza alcun risultato concreto, anche dopo il suo rinforzamento. Se la comunità internazionale non rimane attenta, l’impazienza della popolazione potrebbe assumere degli atteggiamenti inimmaginabili di fronte alla passività di una Monusco che dispone di immense risorse umane e materiali che possono offendere la sensibilità di un popolo che manca di tutto, anche dell’essenziale.

5 – L’appello lanciato il 23 luglio dagli Stati Uniti d’America al Ruanda affinché metta termine al suo appoggio all’M23 e ritiri i suoi soldati dall’est della RDCongo è un segnale forte, anche se tardivo. Ma la comunità internazionale deve andare oltre e prendere severe sanzioni contro i regimi e le persone che contribuiscono a perpetuare il conflitto, la violenza e il saccheggio delle risorse naturali nell’est della RDCongo. Tali regimi e persone sono ben noti e le loro azioni ben documentate sia nel rapporto del Progetto Mapping che nei diversi rapporti del gruppo degli esperti delle Nazioni Unite (S/RES/2078) e nei vari rapporti delle ONG internazionali. Non ci sarà pace duratura nella regione fin quando le persone che da vent’anni compiono questi crimini resteranno impunite e tollerate per qualsiasi tipo di interessi.

6 – Alla luce di quanto precede, noi, giovani congolesi membri del movimento denominato Lotta per il cambiamento, chiediamo al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e all’intera comunità internazionale ciò che segue:

– Il Consiglio di Sicurezza deve urgentemente assicurarsi che la brigata d’intervento applichi realmente il suo mandato di disarmo dei gruppi armati e di imposizione della pace, come previsto dalla risoluzione S/RES/2098.

– Il Consiglio di sicurezza dovrebbe fissare un termine oltre il quale la Brigata d’intervento e, successivamente, la Monusco dovrebbero aver completato la loro missione, per poi essere pronte a lasciare la RDCongo. Dovrebbero, quindi, agire di conseguenza. Ci rifiutiamo di essere permanentemente sotto tutela della comunità internazionale;

– La via dei negoziati di Kampala dovrebbe essere assolutamente abbandonata, perché essi non sono affatto una soluzione credibile e sostenibile alla crisi e perché non fanno che conferire un carattere speciale ad un determinato gruppo armato.

– Il ridimensionamento significativo degli effettivi della forza della Monusco dovrebbe consentire il risparmio di risorse che potrebbero essere orientate alla riforma del settore della sicurezza;

– Il Consiglio di sicurezza, nonché altri Stati e istituzioni internazionali dovrebbero approvare adeguate sanzioni contro il Ruanda e i suoi dirigenti civili e militari, per poter porre fine alle avventure di questo paese che crede di potersi permettere qualunque cosa nell’est della RDCongo;

– È necessario porre fine all’impunità dei principali autori, diretti o indiretti, dei crimini commessi nella RDCongo, compresi quelli che attualmente occupano posizioni importanti nei governi e negli eserciti del Ruanda, della RDCongo, dell’Uganda e del Burundi. Essi devono essere arrestati e processati. Il semplice congelamento dei beni e l’interdizione di viaggiare all’estero sono insufficienti. La comunità internazionale dispone di molti rapporti ben dettagliati ed è tempo di farne un buon uso (il rapporto del Progetto Mapping, i vari rapporti del gruppo degli esperti dell’Onu e dei relatori speciali, … non devono rimanere lettera morta);

– La cooperazione e l’aiuto estero da parte della comunità internazionale ai governi congolese, ruandese, ugandese e burundese dovrebbero essere condizionati alla realizzazione di progressi concreti nell’attuazione delle riforme necessarie e al rispetto dei vari impegni assunti a livello regionale e internazionale.[22]

 

 

4. NEWS REGIONALI

 

Il 17 luglio, il segretario esecutivo della CIRGL, Ntumba Lwaba, era a Kampala prima di partecipare ad una “riunione ad Addis Abeba, cui hanno partecipato anche i ministri delle finanze e i delegati della Banca Mondiale e dei donatori di aiuti per lo sviluppo, per vedere come consolidare la pace attraverso progetti di integrazione regionale”. Ntumba Lwaba ha affermato che l’integrazione economica potrebbe contribuire a stabilizzare la regione dei Grandi Laghi. Secondo lui, «il problema della regione ha un fondamento economico molto importante. È necessario rendersi conto che una causa del persistere dei conflitti nella regione dei Grandi Laghi è perché si tratta di una regione ricca in risorse naturali. Si parla spesso della maledizione delle risorse naturali. Si dovrebbe parlare invece di benedizione. Per questo, bisogna vedere come costruire e consolidare insieme la prosperità di tutta la regione, proteggendo ciò che si possono chiamare i beni comuni regionali. Per esempio, la diga sulla Rusizi. Per tutta la durata del conflitto, nessuno ha attaccato questa diga. Altri beni pubblici regionali sono i campi petroliferi vicini al lago Albert e il gas del lago Kivu che si possono sfruttare insieme».[23]

 

Il 25 luglio, il governo congolese ha dichiarato di aver inviato alla Repubblica del Ruanda, attraverso canali diplomatici, tre mandati di arresto internazionali contro quattro dei suoi cittadini  rifugiati in Ruanda. I quattro leader del Movimento del 23 marzo (M23): Jean-Marie Runiga, ex presidente della M23, il colonnello Baudouin Ngaruye, tenente colonnello e colonnello Eric Badege Zimurinda innocente. Mira anche da sanzioni delle Nazioni Unite (divieto di viaggio e congelamento dei beni), questi funzionari sono perseguiti per M23 “costituzione di un movimento insurrezionale, crimini di guerra e crimini contro l’umanità.” Sono accusati di omicidio, imprigionamento, la tortura, lo stupro, la schiavitù sessuale, la persecuzione per motivi etnici, arruolamento e l’impiego di bambini sotto i 15 anni. Il governo congolese ha detto che il Ruanda ha ratificato l’accordo quadro ad Addis Abeba nel mese di febbraio, l’accordo si impegna a non ospitare o fornire protezione alle persone accusate di crimini di guerra o persone sotto il regime sanzioni.[24]

 

Il 31 luglio, riuniti per un vertice straordinario a Nairobi, in Kenya, i Capi di Stato della Conferenza Internazionale sulla Regione dei Grandi Laghi (CIRGL) hanno chiesto una “rapida conclusione” dei colloqui di Kampala tra il governo congolese e l’M23. Iniziati all’inizio di dicembre 2012, tali colloqui sono bloccati da diversi mesi. I Capi di Stato dei Grandi Laghi hanno anche chiesto al comitato dei capi di stato maggiore della regione di incontrare il comando militare della Monusco e della nuova Brigata d’intervento, al fine di stabilire un legame tra questa brigata e il meccanismo di sicurezza della CIRGL. I Capi di Stato della regione hanno esortato i Paesi contribuenti di truppe per la Brigata d’intervento ad accelerare il dispiegamento di questa forza, “in modo che sia pienamente operativa al più presto possibile e, comunque, non oltre il 1° settembre 2013”. Hanno lanciato un appello a tutti gli Stati membri della CIRGL a “rispettare il Protocollo di non-aggressione e di difesa reciproca e, in particolare, a non sostenere i gruppi armati illegali che operano nel territorio di ogni altro Paese membro”. Kigali è accusato di sostenere l’M23 attivo nell’est della RDCongo dal mese di maggio 2012. Tuttavia, i Capi di Stato chiedono ai governi del Ruanda e della Congo di continuare le discussioni bilaterali.[25]



[1] Cf BBC – Kampala, 1/08/2013 (via mediacongo.net)

[2] Cf Omar Kavota – Société Civile du Nord Kivu, 01.08.’13

[3] Cf Radio Okapi, 04.08.’13

[4] Cf Radio Okapi, 24.11.’12; AFP – Kampala, 24.11.’12 in Congo Attualità n. 168 del 05.12.’12

[5] Nota della redazione

[6] Cf Radio Okapi, 04.08.’13

[8] Cf Radio Okapi, 01.08.’13

[9] Cf Radio Okapi, 01.08.’13

[10] Cf Radio Okapi, 31.07.’13

[11] Cf La Voix de l’Amérique – Africatime, 01.08.’13

[13] Cf Radio Okapi, 02.08.’13; RFI, 03.08.’13

[15] Cf Radio Okapi, 02.08.’13; RFI, 03.08.’13

[16] Cf Radio Okapi, 04.08.’13; L’Avenir – Kinshasa, 07.08.’13

[17] Cf Radio Okapi, 07.08.’13

[18] Cf SY Koumbo / Monusco – Goma, 07.08.’13

[19] Cf Daphné Lemelin – Le Potentiel – Kinshasa, 09.08.’13; L’Avenir – Kinshasa, 09.08.’13

[20] Belga – RTBF, 08.08.’13

[21] Cf Radio Okapi, 10.08.’13

[23] Cf L’Avenir – Goma, 18.07.’13

[24] Cf Radio Okapi, 26.07.’13

[25] Cf Radio Okapi, 02.08.’13