Congo attualità n. 179

INDICE

EDITORIALE: È nella giustizia che si costruisce la pace

1. SCONTRI ARMATI TRA LE DUE FAZIONI DELL’M23

2. LA RESA DI BOSCO NTAGANDA

a. Lo svolgimento dei fatti

b. Le reazioni e gli interrogativi

3. LE TRATTATIVE TRA IL GOVERNO E L’M23 A KAMPALA

a. Un progetto di accordo tra il governo e l’M23

b. Dopo la scissione dell’M23

c. Dopo la sconfitta di Bosco Ntaganda

4. DOPO L’ACCORDO DI ADDIS ABEBA

 

 

EDITORIALE: È nella giustizia che si costruisce la pace

 

1. SCONTRI ARMATI TRA LE DUE FAZIONI DELL’M23

 

Il 9 marzo, sin dal mattino, sulle colline di Rugari, una città a oltre 30 chilometri a nord di Goma, sono stati segnalati degli scontri tra le due fazioni dell’M23. Il bilancio provvisorio, secondo i testimoni, è di cinque morti e diversi civili feriti. Le due ali dell’M23 si accusano mutualmente di avere aperto le ostilità. Secondo il colonnello Vianney Kazarama, portavoce militare dell’M23 / ala Makenga, le truppe di Bosco Nanganda hanno attaccato la loro postazione di Rumangabo verso le 5:00 del mattino, ora locale. Ne è seguito, quindi, un contro attacco. Secondo il colonnello Vianney Kazarama, se possibile, i suoi uomini cercheranno di arrestare Bosco Ntaganda per consegnarlo alla giustizia internazionale. Secondo il portavoce militare dell’M23 / ala Bosco Ntaganda, il colonnello Seraphin Mirindi, sono le truppe di Makenga che hanno attaccato le loro posizioni a Rugari e a Ngungu, verso le 4:00 del mattino, ora locale. Gli abitanti di Rugari sono fuggiti verso Rumangabo, Kibumba e le colline circostanti. Altri che non hanno avuto il tempo di scappare, sono rimasti chiusi nelle loro case, a causa dei bombardamenti provenienti dalle due parti.[3]

 

Il 10 marzo, la società civile del Nord Kivu ha chiesto alle due fazioni dell’M23 di porre fine ai combattimenti e alla violenza contro la popolazione civile. Il portavoce, Omar Kavota, ha chiesto all’M23 di «cessare la farsa che consiste nell’ingaggiare scontri inutili che causano solo vittime tra la popolazione». Egli ha chiesto anche al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite di «inviare il più presto possibile la brigata di rapido intervento per combattere e disarmare le forze negative attive nel Nord Kivu, tra cui lo stesso M23». Secondo Omar Kavota, gli ultimi scontri tra le due fazioni dell’M23 hanno causato, tra la popolazione civile, almeno una quindicina di morti e nove feriti.[4]

 

Il 15 marzo, dopo intensi combattimenti tra le due fazioni dell’M23, la calma sembra essere ritornata a Rugari, a 40 km da Goma (Nord Kivu). Fonti locali hanno affermato che la zona è ormai occupata dagli uomini di Sultani Makenga, capo militare dell’M23. Ciò che la fazione pro Ntaganda nega, affermando di mantenere il controllo su una parte della località.[5]

 

Il 16 marzo, dopo intensi combattimenti a Kibumba, a 30 km a nord di Goma, le truppe di Sultani Makenga hanno sconfitto quelle rimaste fedeli a Bosco Ntaganda. Secondo diverse fonti, accompagnato da un centinaio di uomini, Bosco Ntaganda avrebbe preso la direzione del Masisi, attraversando il parco nazionale di Virunga. Le stesse fonti hanno affermato che almeno venti ufficiali, tra cui anche il colonnello Baudouin Ngaruye e il tenente colonnello Séraphin Mirindi e circa 600 soldati hanno attraversato la frontiera con il Ruanda. La sera del giorno precedente, Jean-Marie Runiga e altri responsabili politici del movimento erano già riusciti ad attraversare la frontiera attraverso il posto di Gasizi, ad est di Kibumba. La notizia è confermata anche dal Ministero degli Affari Esteri del Ruanda, secondo cui Jean-Marie Runiga e i suoi uomini, appena arrivati in Ruanda, sono stati disarmati e portati in un luogo sicuro.[6]

 

 

2. LA RESA DI BOSCO NTAGANDA

 

a. Lo svolgimento dei fatti

 

Il 17 marzo, il portavoce del governo congolese, Lambert Mende, ha affermato che anche Bosco Ntaganda, ricercato dalla Corte Penale Internazionale (CPI) per crimini contro l’umanità, ha attraversato il confine ed è entrato in Ruanda. Riferendosi all’accordo di pace firmato il 24 febbraio ad Addis Abeba, Lambert Mende ha chiesto al Ruanda di non accoglierlo e di non proteggerlo. Tale accordo per la pace nella RDCongo vieta a qualsiasi Stato della regione dei Grandi Laghi di ospitare criminali di guerra ricercati dalla giustizia internazionale e nazionale. È secondo questa disposizione dell’accordo di Addis Abeba che la RDCongo attende che il Ruanda rimpatri questi membri dell’M23 che si sono ritirati sul suo territorio. La Ministro degli Affari Esteri ruandese, Louise Mushikiwabo, non ha voluto confermare la presenza di Bosco Ntaganda sul territorio ruandese.[7]

 

Il 18 marzo, Bosco Ntaganda si è rifugiato presso l’ambasciata degli Stati Uniti a Kigali, in Ruanda. L’informazione è stata confermata dal ministro degli Affari Esteri del Ruanda, Louise Mushikiwabo che ha dichiarato di avere appreso che «Bosco Ntaganda è entrato in Ruanda e si è recato presso l’ambasciata degli Stati Uniti a Kigali». Anche il Dipartimento di Stato americano ha confermato la presenza di Bosco Ntaganda nella sua ambasciata in Ruanda. Secondo alcuni osservatori, si tratta di un asilo negoziato con la partecipazione di Paul Kagame, in quanto Bosco Ntaganda non avrebbe potuto attraversare tutto il Ruanda, fino all’ambasciata americana a Kigali, senza la benedizione delle autorità ruandesi.[8]

 

Il 18 marzo, il portavoce del governo congolese, Lambert Mende, ha rivelato che Bosco Ntaganda era stato accompagnato dall’esercito ruandese fino al cancello dell’ambasciata americana.[9]

 

Il 18 marzo, dall’Ambasciata americana, Bosco Ntaganda ha chiesto il suo trasferimento davanti alla Corte Penale Internazionale (CPI). Secondo il portavoce del Dipartimento di Stato americano, Victoria Nuland, Washington ha contattato la Corte e il governo ruandese per facilitare tale richiesta. «Posso confermare che Bosco Ntaganda si è presentato presso l’Ambasciata degli Stati Uniti, a Kigali, questa mattina [Lunedi]. Egli ha espressamente chiesto di essere trasferito alla Corte Penale Internazionale dell’Aia», ha dichiarato Victoria Nuland. L’opinione internazionale è in attesa di sapere quale sarà l’atteggiamento degli Stati Uniti e del Ruanda. Non essendo questi due Paesi firmatari dello Statuto di Roma, il trattato istitutivo della CPI, nessuno di loro ha l’obbligo di trasferire Bosco Ntaganda alla CPI, con sede a L’Aia (Paesi Bassi). Da parte sua, il portavoce della CPI, Fadi El-Abdallah, ha affermato che, «se questa informazione sarà confermata, la Corte prenderà le disposizioni necessarie per il trasferimento di Ntaganda a L’Aia. Nulla impedisce che uno Stato non firmatario dello Statuto di Roma possa cooperare con la Corte su base volontaria». In questo senso, Victoria Nuland ha dichiarato che gli Stati Uniti appoggiano la CPI e la sua inchiesta sulle atrocità commesse nella RDCongo da Bosco Ntaganda.[10]

 

Il 19 marzo, il Ruanda ha indicato che non si sente implicata nella questione di un qualsiasi trasferimento di Bosco Ntaganda alla CPI. «Si tratta di un problema degli Stati Uniti, che lo ospitano nella loro ambasciata, della RDCongo, di cui possiede la nazionalità, e della CPI che lo sta ricercando. Il Ruanda non ha quindi nessuna decisione da prendere», ha affermato la Ministro degli Affari Esteri ruandese, Louise Mushikiwabo.[11]

 

Il 19 marzo, nel corso di una conferenza stampa, il portavoce del Dipartimento di Stato americano, Victoria Nuland, ha dichiarato che «Washington spera che, rispettando gli impegni presi, il governo ruandese collabori e faciliti il trasferimento di Bosco Ntaganda alla CPI. Su Twitter, infatti, il ministro della Giustizia ruandese ha già annunciato che assicurerebbe un passaggio sicuro per Ntaganda». Tuttavia, in un primo momento, il ministro degli Esteri ruandese aveva dichiarato che il Ruanda non si implicherebbe in un possibile trasferimento a Bosco Ntaganda alla CPI.[12]

 

Il 20 marzo, il Vice Segretario di Stato per gli affari africani, Johnnie Carson, ha affermato che «È importante rispondere alla richiesta di Bosco Ntaganda. Per farlo, chiediamo la piena collaborazione del governo ruandese, delle autorità della CPI e del governo olandese, affinché che il trasferimento avvenga il più presto possibile». Egli ha anche affermato che il governo ruandese ha assicurato che non ostacolerebbe il trasferimento dell’ex signore della guerra.[13]

 

Il 21 marzo, il presidente ruandese Paul Kagame ha affermato che il suo paese apporterebbe l’appoggio necessario per il trasferimento di Bosco Ntaganda alla CPI. «Lavoreremo per garantire che tutto ciò di cui l’ambasciata americana ha bisogno per il caso Bosco Ntaganda sia attuato il più rapidamente possibile», ha dichiarato il presidente Kagame in un comunicato.[14]

 

Il 22 marzo, il governo ruandese ha annunciato che Bosco Ntaganda ha lasciato il Ruanda per L’Aia, sede della Corte Penale Internazionale. Oggetto di due mandati di cattura internazionali emessi nel 2006 e nel 2012, Bosco Ntaganda è accusato dalla CPI per crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Nel primo pomeriggio, la Ministro degli Affari Esteri del Ruanda, Louise Mushikiwabo, ha annunciato su Twitter che «Bosco Ntaganda è partito da Kigali verso le ore 14:00, ora locale ed è nelle mani di funzionari della CPI». L’ambasciata degli Stati Uniti a Kigali e la CPI dell’Aia hanno confermato l’informazione. Tuttavia, secondo vari analisti, l’arresto di Ntaganda è ben lontano dall’essere sufficiente per riportare la pace nell’est del Paese, perché i problemi di fondo, soprattutto le ingerenze dei Paesi vicini, rimangono intatti.[15]

 

b. Le reazoni e gli interrogativi

 

Secondo Séverine Autesserre, della Columbia University di New York, specialista della RDCongo e del processo di pace, la resa di Bosco Ntaganda è un grande passo in avanti per il processo della giustizia nella RDCongo. È, invece, un piccolo, piccolissimo passo per il processo di pace. Ogni volta che si è affrontato il problema dei grandi signori della guerra, come Bosco Ntaganda e Laurent Nkunda, non si è mai risolto nulla in realtà. I problemi sono continuati con un nuovo signore della guerra che ha sostituito il precedente. Questi grandi signori della guerra sono solo un epifenomeno tra problemi molto più complessi. I problemi reali non ruotano attorno a una persona o a un piccolo gruppo di élite, ma attorno ai problemi che l’accordo di Addis Abeba ha cercato di affrontare, cioè le interferenze straniere e la governance ai vertici dello stato congolese, ma anche attorno a molti altri conflitti locali, come quelli inerenti alla proprietà delle terre, allo statuto di alcune comunità e alla gestione delle risorse economiche locali. Ma tutti questi conflitti locali non sono assolutamente presi in considerazione nel processo di pace in corso. Quindi non è con la resa di Bosco Ntaganda, né con il proseguimento dei negoziati tra l’M23 e il governo congolese a Kampala che si potrà costruire una pace duratura nell’est della RDCongo.[16]

 

Secondo Aloys Tegera, direttore della sezione di ricerca del Polo Institute, l’Istituto Interculturale nella regione dei Grandi Laghi, la partenza di Bosco Ntaganda apre la via a diverse opportunità per la ribellione dell’M23 nella RDCongo: «Tutto ciò che pesava sul movimento del 23 marzo a causa del passato di Ntaganda non è più qualcosa che giocherà contro di loro. Ora hanno una maggiore possibilità di discutere con il Governo di Kinshasa o di trovare un compromesso con esso». Secondo Fernandez Murhola, segretario nazionale della rete nazionale delle organizzazioni non governative che difendono i diritti umani nella RDCongo, la detenzione di Bosco Ntaganda non cambia in nulla, per il momento, la situazione nell’est del Paese: «Bosco Ntaganda era una pedina. Le cause del conflitto, nell’est, sono il Ruanda e l’Uganda. Sono questi due paesi che devono rispettare i termini del patto sulla pace, la sicurezza e lo sviluppo nella regione dei Grandi Laghi. Devono inoltre rispettare anche l’ultimo accordo di Addis Abeba». Infatti, secondo i rapporti del gruppo degli esperti delle Nazioni Unite, il Ruanda e l’Uganda fomentano e appoggiano continuamente dei movimenti ribelli nell’est della RDCongo, tra cui lo stesso M23, anche se l’hanno sempre negato.[17]

 

Secondo molti osservatori, il modo con cui Bosco Ntaganda abbia raggiunto l’ambasciata americana a Kigali, a circa 150 km dalla frontiera con la RDCongo, non è ancora noto. «Non è potuto arrivare a Kigali senza che nessuno se ne accorga, tanto più che il Ruanda è un paese piccolo e molto controllato dalle autorità», afferma Carina Tertsakian, di Human Rights Watch, anche se non arriva a concludere che siano state le autorità ruandesi a consegnarlo all’ambasciata degli Stati Uniti. Secondo Thierry Vircoulon, di International Crisis Group, Ntaganda è stato preso in consegna dall’esercito ruandese al suo arrivo alla frontiera. Dopo di che, le cose sono meno chiare. Non si sa, infatti, se sia stato l’esercito ruandese a scortarlo fino all’ambasciata americana o se lui stesso sia riuscito a fuggire e ad arrivarci da solo. Secondo Gérard Prunier, uno specialista nei Grandi Laghi, «non si sa ancora se ci sono state delle trattative o meno. Ma è stato consegnato sotto pressione o dietro incitazione del governo ruandese che l’aveva ricuperato dopo la sua sconfitta».[18]

 

Appartenenti all’ala ntagandista dell’M23, il Maggiore Kiroko e il Capitano Sadiki, dopo essersi arresi alla Monusco, sono già arrivati a Kinshasa. Essi riferiscono che Bosco Ntaganda si era reso conto che il Ruanda stava contrapponendo gli ufficiali dell’M23 gli uni contro gli altri. Quando se n’è accorto, Ntaganda ha commesso l’errore di chiamare James Kaberebe, ministro ruandese della Difesa, dicendogli che farà quello che stanno ora facendo contro di lui. In questo, ha sbagliato. Una tale minaccia è stata sufficiente per convincere James Kaberebe del fatto che Ntaganda, finora appoggiato, era diventato incontrollabile e, quindi, pericoloso. Secondo le stesse fonti, Ntaganda aveva già pensato, nel peggiore dei casi, di fare un’alleanza con il generale Ceka, il capo di un gruppo armato formato da Mai Mai e FDLR. Una seria minaccia di fronte alla quale i makenghisti non hanno trovato altra soluzione che combattere un uomo diventato ingombrante per i due mandati di arresto internazionali emessi dalla CPI contro di lui. Da qui, la decisione di Sultani Makenga di arrestare Bosco Ntaganda con dei rinforzi provenienti dall’altra parte della frontiera. È così che gli uomini di Ntaganda si sono ritrovati circondati e con l’unica possibilità di ritirarsi verso il Ruanda. Bosco Ntaganda stesso è fuggito con pochi soldati, tra cui Nzimurinda e Kagabo, per nascondersi nella foresta. È Muhire, dei servizi di sicurezza esteriore del Ruanda, che ha preso contatto con lui. Muhire stesso è venuto a cercarlo per condurlo, con i suoi compagni, a Kanombe, a Kigali.

Un altro ufficiale ruandese, il generale Charles Kayonga, ha fatto salire Bosco Ntaganda a bordo della sua Jeep Lexus, tipo Land-Cruiser, per condurlo da James Kaberebe, che comincia a spiegargli che, con tutto quello che ha fatto, non merita di rassegnarsi ad una vita da eremita nella foresta, in cui rischierebbe una morte senza gloria. Poi lo rassicura. Con l’aiuto degli americani, il governo ruandese ha esaminato il suo dossier presso la CPI e non vi ha trovato nulla per incriminarlo. Bosco Ntaganda era solo la terza persona in ordine di importanza in seni all’UPC, quindi un semplice esecutore agli ordini dei politici. Se il suo capo, Thomas Lubanga, è stato condannato a 14 anni di reclusione, di cui più della metà già scontati, e se Matthieu Ngodjulu è stato semplicemente assolto, si può dunque prevedere che tutto vada per il meglio. James Kabarebe gli avrebbe anche promesso di assistere la moglie e i figli, di mettergli a disposizione i migliori avvocati al fine di evitare qualsiasi condanna, almeno non pesante. Nel frattempo, si è telefonato al consigliere militare dell’ambasciata degli Stati Uniti a Kigali, per concretizzare la procedura. Quindi, Bosco Ntaganda ha effettuato il percorso verso l’ambasciata degli Stati Uniti a bordo della stessa jeep del generale Kayonga. Baudouin Birinda, ex vice di Makenga, Nzimurinda e gli altri che si trovavano al Campo di Kanombe, a Kigali, sono stati trasferiti nel sud del Rwanda, a Gikongoro.[19]

 

Bosco Ntaganda è nato nel 1973 a Kiningi (Ruhengeri) in Ruanda, da genitori ruandesi. Ancora adolescente, fuggì dal Ruanda a causa delle violenze perpetrate contro i Tutsi e si trasferì a Ngungu nel Masisi (Nord Kivu), dove frequentò la scuola superiore, ma senza ottenere alcun diploma.

Nel 1990, all’età di 17 anni, Bosco Ntaganda entrò a far parte del Fronte Patriottico Ruandese (FPR), una ribellione guidata in quel tempo dall’attuale Presidente del Ruanda, Paul Kagame.

Nel 1996, entra a far parte dell’Alleanza delle Forze Democratiche di Liberazione (AFDL).

Nel 2002, entra a far parte dell’Unione dei Patrioti Congolesi (UPC) di Thomas Lubanga, in Ituri. Nel mese di agosto 2006, la CPI ha emesso il suo primo mandato di arresto contro Ntaganda.

Nel 2007, entra a far parte del Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo (CNDP), una ribellione guidata da Laurent Nkunda.

Nel marzo 2009, è stato promosso generale dell’esercito congolese in seguito ad un accordo con il governo congolese.

Nel mese di luglio 2012, la CPI ha emesso un secondo mandato d’arresto contro di lui.[20]

 

 

3. LE TRATTATIVE TRA IL GOVERNO E L’M23 A KAMPALA

 

a. Un progetto di accordo tra il governo e l’M23

 

All’inizio di marzo, nell’ambiente politico di Kinshasa, è circolato un progetto di accordo tra il governo e l’M23. Di 12 articoli, il documento redatto dai delegati del governo ai colloqui di Kampala, deve dapprima essere approvato da Kinshasa, per poi essere sottoposto alla mediazione. Il documento contiene dodici disposizioni che riguardano diversi settori, come la politica, la giustizia, la sicurezza e la territoriale. Negli articoli 3, 7, 9 e 10, per esempio, esso prevede che il governo si impegni a concedere un’amnistia ai membri dell’M23 che non siano oggetto di procedure giudiziarie sia a livello nazionale che internazionale. Il documento propone anche che il governo congolese possa accelerare l’attuazione degli accordi precedenti relativi al ritorno dei rifugiati che vivono nei paesi vicini. Inoltre, i delegati di Kinshasa propongono che il governo crei un segretariato generale per la riconciliazione all’interno del Ministero degli Interni.

Per l’M23, l’articolo 4 del progetto di accordo stipula che i ribelli debbano deporre le armi prima dell’arrivo della brigata di rapido intervento della Monusco. Il secondo articolo prevede che entrambe le parti rilascino tutti i prigionieri di guerra. Fonti della delegazione del governo a Kampala hanno riconosciuto l’autenticità di questo progetto che dicono di aver redatto per trasmetterlo alla mediazione dopo l’approvazione di Kinshasa. Il portavoce del governo congolese, Lambert Mende, ha confermato il 15 marzo come data limite delle discussioni con l’M23 e ha dichiarato che il documento è un “documento di lavoro”. Ma Bertrand Bisimwa, presidente dell’M23 / ala Makenga, si è detto sorpreso dell’esistenza di tale documento, di cui, secondo le sue parole, è venuto a conoscenza attraverso i mezzi di comunicazione. Precisando che le due delegazioni non si sono incontrate da oltre un mese, egli ha affermato che, «se questo documento esiste, dovrebbe essere oggetto di una negoziazione tra il nostro movimento e il governo, alla presenza della mediazione svolta dall’Uganda». Quindi, secondo lui, il progetto di accordo non impegna l’M23. Occorre, infine, ricordare che i delegati delle due fazioni rivali dell’M23 continuano a rimanere a Kampala.[21]

 

Il “progetto dell’accordo” prevede la reintegrazione dei militari dell’M23 nell’esercito nazionale congolese in cambio dello scioglimento del movimento ribelle. Il problema è che l’M23 è attualmente diviso in due rami. Qual è dunque quella legittimata per concludere i negoziati con il governo congolese? È in nome di quest’accordo ancora in gestazione che le due fazioni rivali dell’M23 si stanno scontrando in varie località del Nord Kivu. Ciascuna di esse continua a rivendicare la vittoria sull’altra, proprio per presentarsi come valido interlocutore del governo e potere firmare l’accordo in questione.

Per l’ala dell’M23 pro Makenga, un’eventuale firma dell’accordo dovrebbe essere preceduta dall’approvazione di alcune modifiche da apportare al “progetto” presentato dal governo congolese. «Prima di tutto, occorre definire che cosa significa” integrazione “, cioè chi integrerà chi», ha dichiarato Vianney Kazarama, portavoce dell’M23 / ALA Sultani Makenga.

L’altra ala dell’M23, guidata da Jean-Marie Runiga, ritiene che la situazione sul terreno, caratterizzata da lotte intestine in seno all’M23, obbliga il governo congolese a rivedere i suoi piani che, per porre fine alla crisi, “fare troppo affidamento sull’ala di Sultani Makenga”. In caso contrario, secondo il portavoce dell’M23 pro-Runiga, Seraphin Mirindi, sarà impossibile firmare qualsiasi tipo di accordo di pace. Egli prevede, infatti, che «il 15 marzo sarà un fallimento».[22]

 

Secondo vari osservatori, il nuovo accordo che il governo congolese potrebbe firmare con i ribelli del movimento pro-ruandese dell’M23, integrandoli nuovamente nell’esercito nazionale, contiene elementi che possono riportare la RDCongo al punto di partenza e compromettere la pace nell’est del Paese. Qualsiasi osservatore della situazione dell’est della RDCongo sa che è proprio l’integrazione delle diverse generazioni di ribelli nell’esercito nazionale che è la causa fondamentale delle debolezze e delle sconfitte dell’esercito congolese. Una delle cause principali della disorganizzazione dell’esercito è che è costituito da milizie.

È indiscutibile che nessun esercito al mondo possa essere costruito sulla base di militari ammutinati e di miliziani ribelli che hanno preso le armi contro il potere costituito. Attraverso vari accordi politici, si sono integrati nelle FARDC dei criminali e degli assassini incapaci di sottomettersi alla disciplina e alle normative militari. Mediante questo tipo di integrazione, l’esercito nazionale è diventato un corpo di violentatori e di ladri, proprio il contrario di ciò che dovrebbe essere per adempiere la sua missione di preservare l’integrità territoriale e assicurare la protezione delle persone e dei beni. L’integrazione dei ribelli dell’M23 nelle FARDC è anche in contrasto con l’accordo di Addis Abeba per la pace nell’est della RDCongo. Tale accordo non fa neppure riferimento all’M23, perché lo include tra le forze negative da eliminare per pacificare il Kivu. Su questa base, i negoziati con una forza negativa come l’M23 viola lo spirito dell’accordo di Addis Abeba che apre la via all’uso della forza per disarmare qualsiasi gruppo armato, nazionale e internazionale. Non si può nemmeno perdere di vista il fatto che, attualmente, ci sono effettivamente due fazioni dell’M23, quella di Sultani Makenga e quella di Jean-Marie Runiga fedele a Bosco Ntaganda. Con chi, dunque, il governo firmerà l’eventuale accordo? Se lo firmerà con Makenga, la fazione di Runiga continuerà la guerra e viceversa.[23]

 

b. Dopo la scissione dell’M23

 

Mentre le due fazioni dell’M23 si scontrano nel Nord Kivu, a Kampala, ciascuna delle due fazioni afferma di rappresentare l’M23. “Chi rappresenta ora l’M23 a Kampala?”, questa è la domanda. “Sono ancora io”, afferma François Rucogoza, capo della delegazione dell’M23 fin dall’inizio delle trattative. Il problema è che Rucogoza, rimasto fedele a Jean-Marie Runiga, è stato estromesso dalla carica di presidente del movimento, il mese scorso, dal capo militare Sultani Makenga. Il suo successore, Bertrand Bissimwa, ha nominato un nuovo capo della delegazione, René Abandi che, pertanto, pretende di rappresentare la “vera delegazione”. Le due tendenze dell’M23 stanno litigando a Kampala e si stanno combattendo nel Nord Kivu.[24]

 

Il 17 marzo, i membri della delegazione del governo sono rientrati a Kinshasa su richiesta del Capo dello Stato, per una consultazione in vista di una nuova strategia dei negoziati in corso.[25]

 

Il 18 marzo, il mediatore ugandese, Crispus Kiyonga ha annunciato che i colloqui tra l’M23 e le autorità di Kinshasa dovrebbero riprendere tra una settimana. Secondo lui, la fazione M23 di Sultani Makenga e il governo congolese continueranno le trattative, nonostante le divisioni notate all’interno dell’M23.[26]

 

c. Dopo la sconfitta di Bosco Ntaganda

 

Dopo la sconfitta di Bosco Ntaganda, il nuovo alleato del governo congolese è ormai Sultani Makenga, anche lui cittadino ruandese, radiato dalle FARDC nel luglio del 2012 in seguito ad una decisione del Consiglio supremo della Difesa che l’aveva identificato col nome di colonnello Ruzandiza. Oggi, il governo congolese sta negoziando con Makenga, pur sapendo che ha a che fare con un ufficiale ruandese. Ciò il governo congolese deve evitare a tutti i costi è il riciclaggio dell’ala Sultani Makenga dell’M23 rispetto a quella di Bosco Ntaganda. Sarebbe folle pensare che ci sono ribelli buoni e ribelli cattivi. Sono tutti uguali. Tutti sono al servizio degli stessi sponsor e delle stesse potenze straniere. Tutti hanno lo stesso obiettivo: quello di mantenere l’ingovernabilità dell’est del Paese mediante l’insicurezza generalizzata. Ciò consentirà a una moltitudine di operatori clandestini di sfruttare illegalmente l’ingente ricchezza mineraria del Kivu. Bosco Ntaganda e Sultani Makenga combattono la stessa battaglia. Ufficialmente, è la difesa degli interessi dei Tutsi del Kivu, ma in realtà è la disintegrazione del Kivu in vista della sua occupazione. La loro strategia è ben nota: occupazione territoriale, superiorità militare rispetto all’esercito nazionale, negoziazioni per una integrazione delle loro truppe nelle FARDC, con la condizione di mantenerle nell’est della RDCongo e con la missione di assicurarvi l’egemonia esteriore, ruandese in particolare. Con la sconfitta del gruppo Ntaganda – Runiga è l’ala vincitrice di Sultani Makenga che ora avrà il compito di realizzare questo progetto. A Kinshasa, il governo dovrà evitare di cadere nella trappola di una campagna di riciclaggio che tende a presentare Sultani Makenga come il ribelle buono pronto a firmare l’accordo di pace a Kampala. L’attuale M23 di Sultani Makenga non ha altro compito che di salvaguardare gli interessi del Ruanda nel Nord Kivu. Il boss dei boss è Paul Kagame. È lui che fa e disfa i piccoli reucci che colloca a capo di tutti queste ribellioni pro-ruandesi dell’est della RDCongo. Ad oggi, l’errore del governo congolese sarebbe quello di cadere in quella spirale in cui le stesse cause producono gli stessi effetti: l’integrazione delle truppe di Sultani Makenga nelle FARDC in cui erano già state integrate. Il governo congolese deve a tutti i costi evitare la trappola dello schema “integrazione – disintegrazione – reintegrazione – disintegrazione”. Perché c’è un detto popolare che dice: “chi ha bevuto, berrà ancora”.[27]

 

 

4. DOPO L’ACCORDO DI ADDIS ABEBA

 

Il 12 marzo, il presidente angolano, José Eduardo dos Santos, ha ricevuto il suo omologo sudafricano, Jacob Zuma, e il presidente congolese Joseph Kabila per discutere su come attuare l’accordo di Addis Abeba per il ritorno della pace nel Nord Kivu. Anche se i tre presidenti hanno affermato la loro volontà di cooperazione, l’unità è solo di facciata. Dietro le quinte, le voci dei tre presidenti africani sono ancora discordanti. In realtà, i tre paesi fanno fatica a trovare un accordo sull’invio di truppe africane nel Nord Kivu per rafforzare la missione delle Nazioni Unite. Il presidente sudafricano si è già detto pronto a contribuire alla formazione della futura brigata di rapido intervento. Ma a questa disponibilità del Sud Africa non corrisponde a quella dell’Angola che, invece, chiede una soluzione pacifica al conflitto congolese. Inoltre, si nota una crescente sfiducia tra Luanda e Kinshasa. La RDCongo critica l’atteggiamento dell’Angola che, secondo Kinshasa, cercherebbe di salvaguardare i propri interessi economici nella zona di conflitto. Da parte sua, Luanda condanna il fatto che il governo congolese non riesca a garantire l’integrità delle sue frontiere, permettendo un flusso di immigrati clandestini.[28]

 

Il 18 marzo, il vice portavoce delle Nazioni Unite, Eduardo del Buey, ha annunciato che il Segretario Generale Ban Ki-moon ha nominato l’ex presidente irlandese Mary Robinson inviato speciale delle Nazioni Unite per la regione dei Grandi Laghi. La signora Robinson svolgerà un ruolo chiave nel sostenere l’attuazione dell’accordo per la pace nella RDCongo, firmato da undici Paesi africani, ad Addis Abeba il 24 febbraio. In un comunicato diffuso a New York, la signora Robinson ritiene che gli ultimi avvenimenti dell’est della RDCongo, tra cui gli scontri tra le due fazioni dell’M23 e la fuga in Ruanda di alcuni ribelli dello stesso M23, rilevano l’importanza dell’accordo di Addis Abeba, per affrontare alla radice le cause dell’instabilità nella regione dei Grandi Laghi. Ella ha espresso la sua intenzione di recarsi nella regione nel corso delle prossime settimane, per incontrare i firmatari dell’accordo e collaborare con loro nell’attuare gli impegni assunti. Ha inoltre invitato gli Stati della regione a cooperare con la CPI.[29]

 

Il 22 marzo, la Francia ha presentato al Consiglio di Sicurezza una proposta per rafforzare la missione delle Nazioni Unite nella RDCongo (Monusco), mediante la creazione di una forza di rapido intervento, incaricata di “neutralizzare” i gruppi armati che operano nell’est del Paese, ma l’iniziativa ha sollevato interrogativi e riserve. Il progetto di risoluzione presentato da Parigi e sottomesso al Consiglio di Sicurezza si basa sulle raccomandazioni del Segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon e sulle orientazioni dell’accordo regionale firmato ad Addis Abeba il 24 febbraio. Deve ancora essere discusso dagli esperti dei 15 Paesi membri, per poi essere votato in aprile. Ma vari paesi membri del Consiglio si interrogano se è fattibile e se è ancora necessario creare una “brigata di rapido intervento” – con circa 2.500 uomini – dopo la scissione dell’M23 e la resa di Bosco Ntaganda. «I Paesi che potrebbero fornire le truppe necessarie si chiedono se, dopo la resa di Bosco Ntaganda, tutto ciò sia realmente necessario», ha rivelato un diplomatico.

Il progetto di risoluzione “condanna con forza la presenza dell’M23 nelle immediate vicinanze di Goma” e chiede a tutti i gruppi armati di “deporre le armi”. Rinforzata da una “Brigata di rapido intervento”, indica il testo, la Monusco potrà intraprendere delle “operazioni offensive e mirate”, da sola o insieme alle forze governative congolesi, per “fermare la crescita di tutti i gruppi armati, neutralizzarli e disarmarli”. Dovrà, tuttavia, “tenere pienamente conto della necessità di proteggere i civili e di limitare i rischi”. La Brigata avrebbe un mandato “per un periodo iniziale di un anno” e sarebbe sotto l’autorità del comandante in capo della Monusco. Con sede a Goma, i suoi effettivi sarebbero inclusi nel massimo autorizzato della Missione, 19.815 soldati. Il Sud Africa, la Tanzania e il Mozambico sarebbero pronti a fornire alcune truppe. La Monusco sarebbe dotata anche di droni per controllare la frontiera tra la RDCongo, il Ruanda e l’Uganda. Finora, la principale missione della Monusco era la protezione dei civili, ma è stata ampiamente criticata per non aver impedito l’avanzata dell’M23 verso Goma e le atrocità commesse. Da diversi mesi, Kinshasa chiede il rafforzamento della Monusco. Ma, secondo alcuni diplomatici, i paesi membri del Consiglio che hanno già fornito delle truppe (Guatemala, Pakistan) temono delle rappresaglie contro i loro caschi blu, mentre la Russia e la Cina hanno sollevato obiezioni di principio sulla questione della non ingerenza. Gli Stati Uniti, a loro volta, dubitano che la Monusco, anche se rafforzata, sia in grado di sconfiggere i gruppi armati del Kivu. Kigali, firmatario di Addis Abeba, mantiene stretti rapporti con Washington. In previsione della discussione sulla risoluzione, il 20 marzo, il presidente ruandese Paul Kagame ha effettuato una visita a New York, dove ha incontrato tra Ban Ki-moon. Il Ruanda assumerà la presidenza di turno del Consiglio di Sicurezza il 1° aprile.[30]



[1] Cf Kandolo M. – Forum des As – Kinshasa, 11.03.’13

[2] Cf Kimp – Le Phare – Kinshasa, 21.03.’13 et Kandolo M. – Forum des As – Kinshasa, 21.03.’13

[3] Cf Radio Okapi, 09.03.’13

[4] Cf Radio Okapi, 11.03.’13

[5] Cf Radio Okapi, 15.03.’13

[6] Cf Radio Okapi, 16.03.’13

[7] Cf AFP – Kinshasa, 17.03.’13

[8] Cf France 24, 18.03.’13; 7 sur 7.cd, 18.03.’13

[9] Cf AFP – Kigali, 19.03.’13

[10] Cf Radio Okapi, 18.03.’13; 7 sur 7.cd, 18.03.’13

[11] Cf AFP – Kigali, 19.03.’13

[12] Cf Belga – Washington, 20.03.’13 (via mediacongo.net)

[13] Cf Reuters – Kigali, 20.03.’13

[14] Cf Radio Okapi, 21.03.’13

[15] Cf Radio Okapi, 22.03.’13

[17] Cf Deutche Welle, 20.03.’13

[18] Cf Radio Okapi, 21.03.’13

[19] Cf Paul Muland – CongoNews – Kinshasa – Congoforum, 23.03.’13

[20] Cf Radio Okapi, 19.03.’13

[21] Cf Radio Okapi, 14.03.’13

[22] Cf Trésor KibangulaJeuneafrique.com, 12.03.’13

[23] Cf Kandolo M. – Forum des As – Kinshasa, 11.03.’13

[24] Cf RFI, 15.03.’13

[25] Cf Radio Okapi, 19.03.’12

[26] AFP – Kampala, 18.03.’13

[27] Cf Kimp – Le Phare – Kinshasa, 21.03.’13 et Kandolo M. – Forum des As – Kinshasa, 21.03.’13

[28] Cf RFI, 13.03.’13

[29] Cf AFP – New York (Nations unies), 18.03.’13

[30] Cf AFP – New York (Nations unies), 22.03.’13