La fine della dittatura in Ruanda, una necessità per la pace nella RDCongo

Congo Attualità n. 158 – Editoriale a cura della Rete Pace per il Congo

I Capi di Stato degli undici Paesi membri della Conferenza Internazionale della Regione dei Grandi Laghi (CIRGL) hanno deciso di creare una “forza internazionale neutra”, per combattere il Movimento del 23 marzo (M23), le Forze Democratiche di Liberazione del Ruanda (FDLR) e gli altri gruppi armati attivi nelle due province del nord Kivu e Sud Kivu, all’Est della Repubblica Democratica del Congo (RDCongo) e per sorvegliare la zona di frontiera tra RDCongo e Ruanda. Molti sono gli aspetti ancora non risolti, come la logistica, il comando, il finanziamento e la durata.

Ma è soprattutto la questione della composizione che ritarda la creazione di tale forza militare. Secondo la RDCongo, tale forza potrebbe essere formata da alcuni contingenti della Missione dell’Onu in RDCongo (MONUSCO), una forza internazionale già presente e operante, ai quali si potrebbero aggiungere alcuni contingenti di Paesi africani non implicati nel conflitto. Sarebbero quindi esclusi da questa forza la RDCongo, il Ruanda, l’Uganda e il Burundi.

Il Ruanda, invece, propone una forza composta essenzialmente dai Paesi membri della CIRGL, con la partecipazione, quindi, di Paesi coinvolti nel conflitto: Il Ruanda, l’Uganda e il Burundi.

Secondo alcuni osservatori, con la sua partecipazione, il Ruanda orienterebbe le operazioni militari contro le FDLR, lasciando indisturbato l’M23, da lui creato e appoggiato, come dimostrato dai rapporti del gruppo degli esperti dell’Onu e di Human Rights Watch (HRW).

In questo modo, il Ruanda potrebbe ricuperare i suoi militari infiltrati nelle file dell’M23 e “legalizzare ufficialmente” la loro presenza sul territorio del Kivu.

Come la precedente operazione militare congiunta Ruanda – RDCongo (Umoja Wetu = la Nostra Unione), condotta nel 2009 contro le FDLR, anche questa “forza regionale”, non più “internazionale neutra”, permetterebbe al Ruanda di infiltrare altri suoi militari, al fine di completare la sua occupazione militare dei due Kivu, in vista della creazione di un “nuovo stato” formato da queste due province e sottoposto alla sua sfera di influenza. Ciò gli permetterebbe di continuare ad usufruire delle ingenti risorse minerarie di cui è ricco il sottosuolo di queste due province e, nello stesso tempo, di risolvere il suo problema di alta densità demografica, trasferendo parte della sua popolazione in questo “nuovo stato”.

A pagarne il prezzo, sarà ancora la popolazione congolese locale, vittima di massacri, furti, stupri, soprusi di ogni genere e costretta a fuggire dalle sue case, dai suoi villaggi e dai suoi campi.

Il presidente congolese Joseph Kabila, il ministro della difesa e il ministro degli affari esteri dovranno necessariamente e urgentemente implicare il governo, il parlamento, la società civile e le confessioni religiose, per potere difendere, in posizione di forza e non in situazione di debolezza, la volontà del popolo congolese che dice NO alla balcanizzazione del Paese, NO ad altri accordi segreti con l’M23 e con il Ruanda, NO alla guerra. Ciò che il popolo congolese vuole difendere a tutti i costi è l’unità del Paese, il rispetto della sovranità nazionale, l’integrità territoriale, l’intangibilità delle frontiere, il rispetto dei diritti umani, la giustizia e la pace, per costruire insieme un nuovo Congo libero e democratico.

Lo ha dimostrato in queste settimane con numerose dichiarazioni dei suoi portavoce e scendendo massicciamente in piazza a Kinshasa, Bukavu e in altre città congolesi in seguito all’appello dei Vescovi e della Società civile.

Anche la Comunità Internazionale e, soprattutto, il Consiglio di Sicurezza dell’Onu, hanno un ruolo molto importante. Innanzitutto, dovrebbero cambiare la loro strategia politica, economica e militare nei confronti dell’attuale regime ruandese, cessando di considerarlo come elemento pacificatore nell’ambito della Regione dei Grandi Laghi in generale e della RDCongo, in particolare. Al contrario, l’attuale regime ruandese è la causa maggiore dell’instabilità, dell’insicurezza e delle ripetute guerre nella RDCongo. I vari rapporti dell’Onu, inclusi il Rapporto Mapping sui crimini commessi nella RDCongo dal 1993 al 2003 e gli annessi all’ultimo rapporto degli esperti per la RDCongo pubblicato alla fine di giugno 2012, lo dimostrano abbondantemente.

Menzognero e ricattatore, l’attuale regime ruandese ha saputo sfruttare a suo vantaggio l’innominabile abominio del 1994, instillando un pesante complesso di colpa nell’intera comunità internazionale per non avere saputo o, addirittura, per non avere voluto evitare la tragedia che si annunciava. Approfittando di questo complesso di colpa generalizzato, l’attuale regime ruandese si è sentito al riparo di ogni tipo di sanzione e ha creduto di potersi permettere qualsiasi capriccio. L’ultimo è stato quello di aver creato e appoggiato il gruppo terroristico denominato M23, per destabilizzare ulteriormente la RDCongo.

Purtroppo, le condanne e le raccomandazioni finora fatte e le sospensioni parziali e provvisorie di alcuni aiuti bilaterali finora adottate, risultano ancora insufficienti per arrestare l’aggressione ruandese della RDCongo. Saranno necessarie altre misure supplementari, affinché il regime ruandese cessi di appoggiare l’M23, tra altre, un’intensificazione della sospensione degli aiuti bilaterali e multilaterali, un embargo sulla fornitura delle armi, un’interruzione temporanea dell’importazione di minerali, fra cui ci sono anche quelli provenienti dal Kivu e procedure giudiziarie da parte della Corte Penale Internazionale, fino a sanzioni diplomatiche.

La Comunità Internazionale e il Consiglio di Sicurezza avranno certo preso coscienza che la pace nel Kivu, nella RDCongo e nell’intera Regione dei Grandi Laghi passa necessariamente attraverso la fine dell’attuale regime dittatoriale che il Presidente Paul Kagame ha imposto in Ruanda e la democratizzazione di questo Paese. Per questo, sapranno opporsi con ferma decisione alla candidatura del Ruanda per un seggio non permanente in seno al Consiglio di Sicurezza e alla sua partecipazione alla “forza internazionale neutrale” che dovrà operare nella RDCongo.