Congo Attualità n. 136

SOMMARIO

EDITORIALE: Tra una proclamazione e l’altra, il Congo rischia il caos

1. ELEZIONI PRESIDENZIALI: RISULTATI CONDIZIONATI DA IRREGOLARITÀ E FRODI

2. L’OPPOSIZIONE IN CERCA DI NUOVE STRATEGIE

3. UNA CRISI POLITICA ALL’ORIZZONTE

4. IL VERDETTO DELLA CORTE SUPREMA

5. LE REAZIONI DELLA COMUNITÀ INTERNAZIONALE

6. ANCORA UNA VOLTA, TSHISEKEDI SI DICHIARA PRESIDENTE ELETTO

7. JOSEPH KABILA HA PRESTATO GIURAMENTO COME PRESIDENTE

EDITORIALE: TRA UNA PROCLAMAZIONE E L’ALTRA, IL CONGO RISCHIA IL CAOS

Due pretesi vincitori

Il 20 dicembre 2011, Joseph Kabila ha prestato giuramento come Presidente della Repubblica. Ma Etienne Tshsekedi ha annuncia che farà la stessa cosa, domani, venerdì 23 dicembre, nello Stadio dei Martiri a Kinshasa.

Fra i Paesi esteri, nessuno vuole mettere in dubbio la vittoria di Kabila. La Comunità internazionale, particolarmente gli stati o le istituzioni più vicini alla RD Congo, come USA, Gran Bretagna, Belgio, Unione Europea, hanno mostrato di accogliere a denti stretti il preteso esito delle urne, dichiarando dapprima di sperare in una verifica dei risultati da parte della Corte suprema di Giustizia e infine disertando la cerimonia d’investitura, cui hanno delegato i loro ambasciatori. I governi africani hanno delegato i loro ministri. Solo Mugabe dello Zimbabwe era presente, anche lui rimasto disinvoltamente al potere dopo elezioni discutibili.

Dopo il voto, Tshisekedi non ha fatto discorsi incitanti alla violenza, ma ha rifiutato di ricorrere alla Corte, considerata pro-Kabila, è rimasto sulla sua pretesa di vittoria e dichiara procedere di conseguenza, senza dialogo con l’avversario. L’UDPS, il suo partito, propone manifestazioni pacifiche nel Paese. Lo saranno realmente? Come reagirà l’antagonista, che gestisce forze militari spesso senza scrupoli? Che ne sarà della gente? Non farà forse la fine dell’erba calpestata dai due elefanti che si battono?

 

Scivolando verso una violenza generalizzata

Che oltre a irregolarità dovute a carenze organizzative, ci siano state delle frodi è universalmente dichiarato dagli osservatori. Che queste frodi siano state in maniera importante commesse dai Kabilisti, è pure voce unanime. Che la mano dura l’abbia finora usata il presidente uscente è pure un dato di fatto.

Che succederà ora? Il rischio è l’impedimento con le maniere forti del raduno di domani allo Stadio dei Martiri, il rischio sono altri uccisi, che s’aggiungeranno alle decine di uccisi queste settimane da parte di esercito e polizia. Il rischio è che tutto il Paese s’infiammi. Non esiste nel Paese una figura carismatica come un Martin Luther King, che mobiliti e educhi a una lotta nonviolenta. Esiste piuttosto in molti il senso di essere arrivati al limite della sopportazione, che può portare a scelte radicali.

Al contempo, all’est, un sedicente movimento di resistenza all’occupazione lancia i suoi proclami invitando alla mobilitazione generale e armata, per finirla una buona volta con l’occupazione del Paese da parte di Ruanda e Uganda e dei loro padrini in America e in Europa, e con l’esproprio delle sue ricchezze.

La via violenta ha sufficientemente provato alle popolazioni dell’Est del Paese di portare con sé sofferenza enorme, distruzioni e lutti. Nella lotta armata, gli ideali più puri si sono generalmente corrotti, al punto che alla fine la popolazione si è trovata fra banditi da ogni parte. Ciò che potrebbe però far sorgere una nuova manovalanza per i massacri è la condizione di miseria e di mancanza di lavoro in cui versa la maggior parte dei giovani.

La fragilità della popolazione dell’Ovest nei confronti di una nuova avventura armata è invece il fatto di non aver conosciuto se non di striscio la guerra e di aver spesso sentito come lontane e quasi estranee le sofferenze dell’Est.

 

Cercare alternative

A tutti in questo momento è chiesto di riflettere, di cercare, proporre e mettere in atto strategie alternative.

Non è più il momento di sostenere l’uno o l’altro candidato perché ritenuto migliore. C’è stato un voto. Sostenere l’uno o l’altro, a questo punto ha senso solo in base a prove precise circa l’esito delle votazioni. Inoltre, dopo il pronunciamento della Commissione Elettorale Nazionale Indipendente confermato dalla Corte Suprema di Giustizia, quale spazio resta di manovra?

Anche se non avesse un effetto pratico, per rispetto alla verità e alla giustizia, occorre comunque ritrovare la verità delle urne. Almeno un po’, perché certe irregolarità sono irrimediabili. Un annullamento delle elezioni è una strada ormai impercorribile, anche per il costo economico di un nuovo processo elettorale. Del resto, la frana è cominciata il 15 gennaio 2011 quando passò la modifica costituzionale che abolì il secondo turno delle elezioni presidenziali.

Tenuto conto delle proposte avanzate da Paesi, associazioni e reti e singole persone, come Pace per il Congo facciamo le seguenti proposte:

A immediata scadenza:

1. Si deve esigere con tutta energia al Presidente Joseph Kabila e al suo Governo di non ricorrere a misure di violenza indiscriminata e sproporzionata per reprimere l’espressione della popolazione civile, cui l’esercito e la polizia dello Stato sono al servizio.

2. Sia chiesto ai due contendenti e alle forze politiche ad essi alleate un dialogo nello sforzo di chiarezza e per il bene del Paese.

3. Si potrebbe rivedere il conteggio dei risultati degli uffici di voto, grazie anche alla presenza di migliaia di osservatori nazionali al momento del voto e del conteggio. In questo momento di polarizzazione, sembrerebbe utile l’aiuto di una commissione internazionale di verifica, accettata dalle due parti, con una scadenza ben precisa.

4. Dovrebbe subito essere messa in atto una vigilanza accurata nei riguardi del conteggio dei voti delle elezioni legislative, dato che già si denunciano consistenti brogli.

5. Tenendo conto del numero comunque importante di consensi riconosciuti a Tshisekedi, una pressione internazionale dovrebbe essere fatta su Joseph Kabila perché si trovi una forma di condivisione del potere, se non con Tshisekedi stesso, dato il suo linguaggio aut-aut, almeno con qualcuno del suo partito.

6. La democrazia agisca nel controllo degli eletti, attraverso l’impegno formativo di tutti: società civile, istituzioni educative e confessioni religiose.

In prospettiva:

7. Tutte le istituzioni educative, religiose e laiche, si mettano all’opera per far avanzare la democrazia attraverso una formazione ed esperienze di base.

8. Si faccia del resto del processo elettorale una scuola per i futuri appuntamenti che riguarderanno l’intero Paese.

Che la stampa e i responsabili politici internazionali non lascino sola la RD Congo in questo momento cruciale. Sul parziale fallimento di questo processo elettorale pesa anche una lunga storia di sfruttamento internazionale delle ricchezze del Paese e un’ambiguità della politica internazionale che si piega ai dettami dell’interesse. Si avvitano allora processi malati che rendono più arduo per un popolo il cammino verso la libertà.

 

1. ELEZIONI PRESIDENZIALI: RISULTATI CONDIZIONATI DA IRREGOLARITÀ E FRODI

Il 14 dicembre, Victoria Nuland, portavoce del Dipartimento di Stato Americano, ha dichiarato che “la gestione e la realizzazione tecnica delle elezioni presidenziali sono state marcate da gravi irregolarità e dalla mancanza di trasparenza e non sono state all’altezza delle conquiste democratiche constatate in recenti elezioni africane“. Victoria Nuland ha tuttavia ammesso di non poter sapere se tali irregolarità e la mancanza di trasparenza “sono state sufficienti per cambiare il risultato“. Gli Stati Uniti chiedono alle “autorità congolesi in questione” di prendere in esame le denunce d’irregolarità” nel modo più aperto e trasparente possibile”. “Un rapido esame tecnico del processo elettorale“, scrive Nuland, “permetterebbe di arrivare a dei risultati più credibili” e di dimostrare “se le irregolarità sono state causate da una mancanza di organizzazione o dalla frode”. Infine, ella ha dichiarato che “gli Stati Uniti sono pronti a fornire un’assistenza tecnica”.

Aumenta il consenso sull’esistenza di un’ingente frode durante le elezioni presidenziali che si sono svolte il 28 novembre nella Repubblica Democratica del Congo (RDCongo). Resta da valutare la proporzione del disastro. Secondo il settimanale “Jeune Afrique”, il livello della frode potrebbe essere considerevole, quando si pensa all’arrivo tardivo di una notevole quantità di schede elettorali. Secondo il giornale, dopo la chiusura ufficiale dei seggi elettorali, il 28 novembre e quando, per la scarsità di schede elettorali in vari seggi, la Commissione elettorale Nazionale Indipendente (Ceni) aveva deciso di prolungare di due giorni le operazioni di voto, due aerei provenienti da Johannesburg sono atterrati a Lubumbashi, carichi di milioni di schede elettorali. Dopo di che, gli eventi sono stati così confusi che ci si è chiesto cosa sia successo con quelle schede elettorali. Sono state distribuite ai seggi elettorali in cui mancavano o sono state dirottate e marcate a favore del Presidente Kabila?

Per quanto riguarda la compilazione dei risultati delle elezioni presidenziali, si nota generalmente un forte aumento di elettori iscritti e del tasso di partecipazione in zone favorevoli a Kabila e un livello più basso di iscrizione e di partecipazione nelle regioni favorevoli all’opposizione … Appare chiaro che se ci sono stati dei tentativi di frode, lo si è fatto “gonfiando” artificialmente il voto pro-Kabila e il “riducendo” il voto pro Tshisekedi. Soprattutto nei famosi centri compilazione, dove, nel caos più assoluto, “i sacchi delle schede elettorali e le buste dei verbali erano impilati uno sull’altro, rovesciati per terra e calpestati, spesso sotto la pioggia”. In tal modo, una parte delle prove fornite dalle schede e dai verbali elettorali è stata persa e la frode facilitata.

Gli osservatori elettorali hanno steso una lunga lista di irregolarità e frodi. Thierry Vircoulon, che ha seguito le operazioni di voto per l’International Crisis Group, ha notato che, per uno strano caso, i risultati sono scomparsi soprattutto dove il presidente Kabila è meno popolare. A Kinshasa, per esempio. Oppure, nella provincia del Kasai. “Si tratta di scomparse geograficamente selettive”. È facile immaginare chi ha progettato tale geografia e per quale scopo.

Il responsabile dell’International Crisis Group (ICG) per l’Africa centrale, Thierry Vircoulon, afferma che ci vorrebbe “un secondo conteggio dei risultati da parte di una terza parte indipendente”. Secondo Thierry Vircoulon, questo secondo conteggio non sarebbe molto complicato tecnicamente. Lo è, invece, politicamente. Non si tratta, ovviamente, di andare a ricontare tutti i voti. L’opposizione ha già costituito un grosso dossier sul tema, con numerosi casi precisi di irregolarità. I partiti di opposizione lo possono fare, ma sarebbe interessante che un ulteriore controllo potesse essere effettuato da una parte terza indipendente, come, per esempio, il Centro Carter, che ha già lavorato molto per queste elezioni, o un’altra organizzazione internazionale specializzata in elezioni. Ma politicamente la cosa è più complessa. Per arrivarci, occorrerebbe fare una grande pressione sul presidente Kabila. Occorrerebbe anche che accettasse un’eventuale vittoria del suo avversario. E occorrerebbe spendere altro denaro. Ma è probabilmente l’unico modo per disinnescare la bomba congolese a orologeria che minaccia di esplodere a più o meno breve scadenza .

 

2. L’OPPOSIZIONE IN CERCA DI NUOVE STRATEGIE

Il 12 dicembre, il leader dell’Unione per il Progresso e la Democrazia Sociale (UDSP), Etienne Tshisekedi, ha lanciato un appello alla comunità internazionale per trovare una soluzione.

Si attende un segnale da parte della comunità internazionale in vista di una mediazione”, ha dichiarato Albert Moleka, responsabile della segreteria di Tshisekedi. Ma “questo non toglie alla popolazione il diritto di ricorrere a marce pacifiche per protestare contro i risultati fraudolenti (delle elezioni presidenziali), che rappresentano una vera e propria provocazione“, ha aggiunto, senza escludere la possibilità di fare proposte in tal senso. “La soluzione è che si rispetti la verità delle urne. Siamo vittime di un colpo di stato elettorale commesso da un uomo che dispone di una forza militare violenta cui l’opposizione non può far fronte“, ha concluso.

Il 13 dicembre, Vital Kamerhe, candidato dell’Unione per la Nazione Congolese (UNC) alle elezioni presidenziali ha rivelato che “l’opposizione ha informato il Segretario Generale e il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e le Commissioni dell’Unione Africana e dell’Unione Europea, la SADC e l’ECAC sulla crisi politica post-elettorale, in vista di sollecitare la loro mediazione”.

Il 14 dicembre, Jacquemin Shabani, Segretario Generale dell’UDPS, ha ricordato che il suo partito ha riaffermato la “vittoria” del suo leader, “nonostante tutte le manovre orchestrate dal potere sconfitto” e ha invitato la popolazione a “proteggere la sua vittoria” attraverso “manifestazioni pacifiche e democratiche”. Ha precisato che “la crisi post-elettorale causata dalla pubblicazione dei risultati provvisori delle elezioni presidenziali da parte della Commissione Elettorale Nazionale Indipendente (CENI) è una crisi eminentemente politica, quindi occorre prendere in considerazione anche soluzioni politiche”. Ha aggiunto che queste soluzioni possono venire da una mediazione, internazionale o meno, ma la cosa importante è che non provengano da un ricorso alla violenza.

Leon Kengo, Antipas Mbusa e Adam Bombole, tutti e tre candidati presidenziali, hanno chiesto l’annullamento delle elezioni del 28 novembre e l’instaurazione di un governo di transizione incaricato di organizzare nuove elezioni. “Non è questa la questione!”, affermano i responsabili dell’UDPS, per i quali Tshisekedi ha ampiamente vinto le elezioni.

Il 15 dicembre, il partito di Vital Kamerhe, l’Unione per la Nazione Congolese, ha chiesto una revisione del conteggio dei voti “sotto la supervisione della MONUSCO” (Missione delle Nazioni Unite per la Stabilizzazione del Congo). Non dice, però, come pervenirvi. Infatti, molti centri di compilazione dei risultati (in cui sono stati raccolti i verbali provenienti dai diversi seggi elettorali) sono in uno stato di vero e proprio caos e molti documenti sono stati abbandonati per terra e calpestati. O si tratta semplicemente di ricuperare solo quei risultati esposti nei seggi elettorali e che non corrispondono a quelli annunciati dalla Ceni?

 

3. UNA CRISI POLITICA ALL’ORIZZONTE

Nel quadro della conferma dei risultati elettorali della CENI da parte della CSJ, ci si può aspettare una reazione da parte dell’opposizione. Tre potrebbero essere le possibilità.
La prima è quella dell’annullamento delle elezioni e la formazione di un governo di transizione incaricato di preparare nuove elezioni. È l’alternativa proposta dai candidati Léon Kengo, Mbusa Nyamwisi e Adam Bombole.
La seconda è quella dell’UDPS che, non rinunciando alla “vittoria di Tshisekedi”, rifiuta ogni annullamento del voto e insiste sul riconoscimento di Etienne Tshisekedi come candidato eletto presidente.
La terza ipotesi è quella del coinvolgimento della comunità internazionale per esercitare una reale pressione sulla Ceni, affinché proceda al riconteggio dei voti, assistita da un ente internazionale competente in materia elettorale, per risolvere i problemi tecnici che potrebbero essere alla base di molte irregolarità.
È un fatto innegabile che queste proposte non soddisfano la Maggioranza Presidenziale (MP). Per essa, se le irregolarità denunciate sono reali, non possono, tuttavia, influenzare l’ordine del punteggio dei voti, come dichiarato dalla CENI. Pertanto, per la MP la rielezione del candidato Kabila è legittima.

Posizioni radicali in entrambi i lati. Punto di non ritorno. In nome della “legittimità”, non vi è ombra di dubbio che il Presidente Kabila userà tutti i suoi poteri per governare. Ma dall’altra parte, in nome della “verità delle urne”, l’opposizione farà di tutto per non arrivare a legittimare un fatto compiuto. Una resa dei conti si profila all’orizzonte. Si è entrati in un vicolo cieco. Si è ritornati ad una crisi politica con tutte le conseguenze imprevedibili. La classe politica e la CENI stanno prendendo in ostaggio il popolo congolese, gettandolo di nuovo nella sofferenza e nella miseria, con le spalle contro il muro. Qualunque siano i motivi invocati dagli uni e dagli altri, essi non avranno affatto accompagnato il popolo congolese nella sua volontà di rialzarsi per costruire un paese più bello di prima, in pace.

Secondo Thierry Vircoulon, di ICG, a questo stadio sono possibili tre scenari: un immediato rifiuto popolare di Joseph Kabila a Kinshasa e nel Kasai, dove è estremamente impopolare. Un incidente spontaneo tra le forze di sicurezza e l’opposizione degenerando in una sommossa. Una mancanza apparente di una reazione immediata, ma con problemi di sicurezza locali e ricorrenti nel 2012, più o meno strumentalizzati da un’opposizione emarginata. I pochi tentativi di manifestazioni nell’Est (a Bukavu, Goma, Lubumbashi) sono stati stroncati sul nascere dalle forze di sicurezza che usano ormai una tecnica consolidata, per evitare qualsiasi raggruppamento di persone. Nel Katanga, si sono registrati degli inizi di rappresaglie contro Congolesi originari del Kasai, come era purtroppo prevedibile.

 

Come uscire dalla crisi politica?

La comunità internazionale deve esigere la trasparenza del processo elettorale, compreso un controllo sui risultati elettorali con la supervisione di una parte terza indipendente. Deve rimanere vigile nei confronti dei risultati delle elezioni legislative che sono un elemento chiave per il futuro panorama politico, deve condannare ogni atto di violenza post-elettorale e richiedere indagini sulle violazioni dei diritti umani connesse alle elezioni.

 

4. IL VERDETTO DELLA CORTE SUPREMA

Il 15 dicembre, la Corte Suprema di Giustizia (CSJ) ha esaminato il ricorso presentato da Vital Kamerhe, presidente dell’Unione per la Nazione Congolese (UNC) per chiedere l’annullamento delle elezioni per frode. Nella sua richiesta, egli ha denunciato la “violazione intenzionale” della legge elettorale da parte della CENI, tra cui il mancato rispetto della data prevista per l’affissione delle liste degli elettori e per la pubblicazione della lista dei seggi elettorali. Le liste degli elettori dovevano essere esposte al pubblico, davanti ai seggi elettorali, 30 giorni prima delle elezioni e invece sono state affisse solo 48 ore prima. Egli ha anche denunciato la “circolazione illegale e irregolare di schede elettorali prima delle elezioni” e il ritrovamento, durante le elezioni, di altre “già compilate a favore del candidato numero 3”, Kabila.

I risultati “non sono sicuri”, ha aggiunto, citando dei seggi elettorali in cui Kabila ha ricevuto il 100% dei voti, i 3,2 milioni di elettori che hanno votato sulle liste di derogazione o degli omessi e le differenze esistenti tra i risultati pubblicati dalla CENI e quelli esposti davanti ai seggi elettorali, dopo lo spoglio dei voti. All’inizio dell’udienza, verso le 13h00 (ore 12.00 GMT), con 4 ore di ritardo rispetto al previsto, il Presidente della CSJ, Theodore Tuka, ha richiesto la presenza di chi aveva presentato il ricorso, Vital Kamerhe, e ha precisato che il ricorso stesso non riguardava solo la CENI ma anche il candidato Kabila.

Il presidente dell’UNC si è, quindi, recato all’udienza, come richiesto dalla corte che esigeva la presenza fisica dei candidati presidenti implicati nel processo. I suoi avvocati hanno chiesto di applicare la legge a tutte le parti, richiedendo, per conseguenza, anche la presenza del candidato Joseph Kabila. I giudici si sono ritrattati e hanno respinto la richiesta. Gli avvocati di Vital Kamerhe si sono ritirati, rifiutandosi di “assistere ad una parodia della giustizia”. L’udienza è continuata in loro assenza. Il Pubblico Ministero (PM) ha chiesto alla Corte di dichiarare ammissibile la richiesta del Presidente dell’UNC, ma di ritenerla infondata, perché “senza prove”. Secondo il PM, la parte che ha fatto ricorso non ha potuto dimostrare che gli elettori non favorevoli al candidato vincente non hanno potuto votare. Ha anche sostenuto che l’assenza di testimoni non è un motivo di invalidazione. Ha aggiunto che il ricorso non ha dimostrato che i testimoni del candidato Vital Kamerhe siano stati allontanati da qualche seggio elettorale. Sempre secondo il PM, non è stato dimostrato che il candidato n. 3 abbia utilizzato le risorse dello Stato per fare campagna elettorale. Il PM ha affermato che, in tal caso, la procedura avrebbe comportato l’eliminazione del candidato dalla lista dei candidati, ma non l’invalidazione delle elezioni. Per quanto riguarda le prove dell’esistenza di due verbali elettorali diversi tra loro a Idiofa, il PM le ha ritenute infondate, perché non sono stati forniti gli originali. Il Pubblico Ministero ha concluso suggerendo alla Corte che: “La richiesta deve essere dichiarata accolta nella forma, ma non fondata”.

Il 16 dicembre, dopo aver esaminato tutti i documenti presentati da Vital Kamerhe, la Corte ha ritenuto valido il ricorso nella forma, ma l’ha respinto nel contenuto. Secondo i giudici, la violazione della legge elettorale da parte della Ceni denunciata dall’UNC non è di natura tale da fare annullare le elezioni presidenziali del 28 novembre. Secondo la Corte, Kamerhe non porta le prove secondo cui una certa quantità di schede elettorali era già in circolazione prima e durante le elezioni. Non prova nemmeno che dei testimoni siano stati ostacolati nel loro lavoro nei seggi elettorali e durante il trasporto delle schede elettorali verso i centri di raccolta. Per quanto riguarda la mancanza di chiarezza dei risultati, la Corte non ha ritenuto legalmente valida la fotocopia del verbale presentato. Infine, confermando i risultati provvisori annunciati il 9 dicembre dalla Commissione elettorale (CENI), la Corte “ha dichiarato eletto, a maggioranza semplice, presidente della Repubblica Democratica del Congo Joseph Kabila”.

Il 17 dicembre, l’Unione per la Democrazia e il Progresso Sociale (UDPS) ha qualificato di “non-evento” la sentenza della Corte Suprema di Giustizia (CSJ). Secondo il Segretario Generale dell’UDPS, Jacquemin Shabani, la “RDC è entrata in una crisi politica”.

 

5. LE REAZIONI DELLA COMUNITÀ INTERNAZIONALE

L’Unione Europea, constatando che la Corte Suprema di Giustizia ha confermato i risultati proclamati dalla CENI, “nonostante gli errori individuati dalle stesse autorità congolesi e dalla CENI“, in un comunicato ha ribadito “la sua preoccupazione per le gravi carenze e la mancanza di trasparenza nella compilazione e pubblicazione dei risultati delle elezioni presidenziali“.

L’Unione Europea ha minacciato di “ripensare” il suo “sostegno” alla RDCongo, se non si noterà alcun miglioramento nel conteggio dei voti delle elezioni legislative. “È ora importante trarre immediatamente lezione da ciò che è successo, per elaborare i risultati delle elezioni legislative in condizioni di trasparenza e credibilità“, ha dichiarato la Sig.ra Ashton, rappresentante dell’UE per gli affari esteri e la politica di sicurezza, agiungendo: “L’UE chiede insistentemente alla CENI e alle autorità congolesi di rispondere alle preoccupazioni manifestate dalle missioni degli osservatori, di attuare le loro raccomandazioni e di aprirsi alla cooperazione con l’opposizione“.

Chiedendo a “tutte le forze politiche di preservare la pace”, l’UE ha sottolineato che “ogni azione di violenza deve essere evitata e, nello stesso tempo, il legittimo diritto di esprimersi deve essere garantito“, precisando che “il dialogo politico è un mezzo necessario per raggiungere questo obiettivo“. L’UE chiede, inoltre, di “far luce sulle presunte violazioni dei diritti umani registrate nel contesto elettorale e, se necessario, condurre i responsabili davanti alla giustizia“, ha concluso la signora Ashton.

Gli Stati Uniti si sono detti “profondamente delusi” dalla convalida dei risultati elettorali da parte della CSJ, “senza aver valutato completamente le molte segnalazioni di irregolarità“, come dichiarato dal Segretario di Stato, Hillary Clinton, in un comunicato. Il capo della diplomazia Usa ha denunciato delle elezioni mal gestite e “prive di trasparenza” e ha suggerito “una revisione del processo elettorale”.

Anche il ministro belga degli Affari Esteri, Didier Reynders, si è rammaricato per la mancanza di un “ulteriore esame, critico e indipendente dei risultati” da parte della Corte Suprema di Giusizia.

Il Senato americano ha vigorosamente protestato contro la decisione della Corte Suprema di Giustizia che ha dichiarato Joseph Kabila Kabange vincitore delle elezioni presidenziali ed esige una revisione trasparente dei risultati elettorali. Sono i senatori Isakson e Coons che sono alla base di questa dichiarazione, rilasciata dopo la decisione presa dalla CSJ, il 16 dicembre. I due senatori non riescono a capire come la CSJ abbia potuto confermare i risultati della CENI, nonostante le molteplici segnalazioni di irregolarità. Se non corretti, tali risultati potrebbero portare la RDCongo verso una scalata della violenza, se non verso la destabilizzazione dell’intero paese. Per far fronte a queste eventualità, i due senatori hanno chiesto alle parti interessate di impegnarsi per un dialogo su alcuni punti e prendere in considerazione un processo di mediazione formale con il sostegno della comunità internazionale. Hanno inoltre ribadito l’appoggio degli Stati Uniti a fianco del popolo congolese per promuovere la democrazia con mezzi pacifici. Infine, hanno chiesto a Kabila di lavorare con Etienne Tshisekedi wa Mulumba, per superare le loro differenze a favore della continuità del processo.

Il 19 dicembre, in un comunicato stampa, Amnesty International (A.I.) ha dichiarato che “le forze di sicurezza devono mettere fine all’ondata di arresti politici e, in particolare, ai recenti arresti arbitrari e illegali commessi in seguito alle elezioni presidenziali, i cui risultati sono molto controversi. Dopo le elezioni del 28 novembre, infatti, in tutto il Paese si sono registrati decine di arresti. Le persone prese di mira sono spesso membri e sostenitori dell’opposizione politica. Le informazioni ricevute da A.I. indicano che tale pratica è utilizzata come metodo di intimidazione e che tra le vittime ci sono civili, giornalisti, avvocati e leader dell’opposizione politica, ma anche agenti delle forze di sicurezza. Amnesty International chiede alle autorità congolesi di fornire informazioni sulla sorte degli arrestati e di liberarli, se non sono accusati di un reato riconosciuto dalla legge. A.I. chiede che sia loro permesso di contestare la legalità della loro detenzione, di consultare un avvocato e di ricevere le visite delle loro famiglie.

 

6. ANCORA UNA VOLTA, TSHISEKEDI SI DICHIARA PRESIDENTE ELETTO

Il 18 dicembre, respingendo i risultati delle presidenziali che, ufficialmente, danno la vittoria a Joseph Kabila, che presterà giuramento come Presidente della Repubblica il 20 dicembre, Etienne Tshisekedi ha ribadito che si considera il “presidente eletto” della Repubblica Democratica del Congo e ha annunciato che avrebbe prestato giuramento il 23 dicembre, davanti al popolo riunito nello Stadio dei Martiri, a Kinshasa.
Etienne Tshisekedi ha chiesto ai responsabili delle istituzioni esistenti di dimettersi. “Il governo di Kabila è da oggi dimesso dalle sue funzioni“, ha affermato il Presidente Nazionale dell’UDPS in una conferenza stampa tenuta nella sua residenza a Kinshasa / Limete. “I dipartimenti ministeriali saranno diretti dai segretari generali fino a nuovo ordine e gli undici governatori provinciali sono destituiti e sostituiti dagli amministratori provinciali“, ha dichiarato Etienne Tshisekedi, aggiungendo: “Gli ufficiali, sottufficiali, caporali e soldati dell’esercito nazionale congolese sono pregati di obbedire solo alla legittima autorità, come pure la Polizia Nazionale“. Qualificando il presidente Kabila di “istigatore in acque torbide”, Tshisekedi ha così proseguito: “Chiedo a tutti voi di cercare quest’uomo ovunque si trovi e di portarlo qui vivo. Chi mi porterà qui Kabila, legato, avrà una ricompensa molto importante“.

Nello stesso tempo, Tshisekedi ha, però, esortato il popolo congolese alla calma: “Dal clima di intesa che regnerà sul paese dipende la fiducia degli investitori esteri nei confronti del nostro paese (…) Vi chiedo di mantenere la calma e la serenità“. Etienne Tshisekedi ha presentato all’opinione pubblica, sia a livello nazionale che internazionale, l’intero rapporto del comitato di compilazione dei risultati elettorali, istituito dall’UDPS e alleati, in cui sono riportate tutte le informazioni sui risultati reali delle elezioni presidenziali, seggio per seggio, in base ai verbali elettorali esposti al pubblico in ogni seggio elettorale il giorno stesso delle elezioni, dopo lo spoglio dei voti. Di oltre 500 pagine, il documento è accompagnato da una sintesi dei risultati che danno il presidente Etienne Tshisekedi vincitore delle elezioni con il 56,2% dei voti, contro il 35,91% per il presidente uscente.

Etienne Tshisekedi ha dichiarato che qualsiasi altra manifestazione di presa di potere è un “non evento” per il popolo congolese che deve essere semplicemente ignorato. Questo conferma l’annuncio, già fatto il 17 dicembre dal SG dell’UDPS, Shabani, dell’iniziativa “città morta”, prevista sia a Kinshasa che in tutto il territorio RDCongo, per il 20 dicembre, data della prestazione di giuramento di Joseph Kabila come presidente della Repubblica. Tshisekedi ha infine concluso: “Non sono pronto a negoziare con (Daniel Ngoy) Mulunda (il presidente della Ceni) o con (Joseph) Kabila”.

Tuttavia, un altro candidato sconfitto alle presidenziali, Vital Kamerhe, aveva manifestato una certa volontà di dialogo con il presidente. Da parte sua, il segretario generale della maggioranza presidenziale (MP), Aubin Minaku, ha qualificato le dichiarazioni del Presidente dell’UDPS di “commedia e incitamento alla ribellione”. Per Thierry Vircoulon, Direttore di International Crisis Group (ICG) per l’Africa Centrale, “è esagerato dire che è un incitamento alla ribellione. Si tratta piuttosto di un ritorno ad una strategia politica che si è infelicemente rivelata inefficace”.

Il 21 dicembre, già autoproclamatosi “presidente eletto” della Repubblica Democratica del Congo per non avere accettato i risultati delle presidenziali, Etienne Tshisekedi ha confermato il suo “giuramento” per venerdì, 23 dicembre, tre giorni dopo la prestazione di giuramento di Joseph Kabila come Presidente della Repubblica. Annunciato da qualche giorno da Tshisekedi stesso, la sua prestazione di giuramento è stata confermata a Kinshasa mediante volantini di invito ad “assistere numerosi alla cerimonia”. L’appuntamento è fissato alle ore 10 (0900 GMT), allo stadio dei Martiri. “Abbiamo programmato d’andare allo stadio. Se (il Capo dello Stato Joseph) Kabila vuole fermare la popolazione con i carri armati, sarà responsabilità sua”, ha confermato Jacquemin Shabani, Segretario Generale dell’Unione per la Democrazia e il Progresso Sociale (UDPS), partito di Tshisekedi. Da alcuni giorni, alcuni blindati della Guardia Repubblicana sono posizionati intorno allo stadio dei Martiri e in alcuni altri luoghi della capitale. Alla domanda se era stata richiesta l’autorizzazione da parte delle autorità locali, Shabani ha risposto: “Le sembra che il Presidente debba chiedere il permesso a qualcuno per organizzare una manifestazione?”.

 

7. JOSEPH KABILA HA PRESTATO GIURAMENTO COME PRESIDENTE

Il 20 dicembre, Joseph Kabila ha prestato giuramento, come Presidente della Repubblica Democratica del Congo, davanti alla Corte Suprema di Giustizia (CSJ) a Kinshasa, sulla spianata della città dell’Unione africana.

Dei Capi di Stato invitati, era presente solo il presidente dello Zimbabwe, Robert Mugabe.

Una dozzina di altri Capi di Stato africani invitati erano rappresentati da Primi Ministri (Gabon, Ruanda, Tanzania), dal presidente dell’Assemblea Nazionale dei Deputati (Africa Centrale) o da ministri (Congo – Brazzaville, Sud Africa, Angola, Burundi, Ciad, …).

Hanno partecipato alla cerimonia anche alcuni ambasciatori di paesi occidentali (Belgio, Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti, …).