Rd Congo: Kabila dichiarato vincitore dalla Corte Suprema

Fonte: Nigrizia – 17 dicembre 2011

La decisione è giunta a sorpresa ieri sera. Il presidente uscente sarebbe stato riconfermato con il 48,95% dei voti. Non accolto il ricorso del candidato Kamerhe. Mentre l’oppositore storico Tshisekedi attende una decisione della comunità internazionale. Nel frattempo molti governi africani si sono già complimentati con il vincitore. La tensione resta alta nel paese.

Fine del dubbio. La Corte Suprema di Giustizia (Csj) della Repubblica democratica del Congo ha confermato i risultati provvisori delle presidenziali, svolte lo scorso 28 novembre, proclamando, ieri sera, il presidente uscente Joseph Kabila vincitore con il 48,95% dei voti espressi.

L’annuncio è avvenuto un giorno prima del previsto, cogliendo tutti di sorpresa. Infatti, secondo il calendario elettorale, i risultati provvisori dovevano essere convalidati oggi. Mentre ieri, l’Alta Corte di Kinshasa doveva solo pronunciarsi sul ricorso, contro l’esito parziale del voto, presentato il 12 dicembre da Vital Kamerhe, candidato dell’opposizione arrivato terzo nella corsa elettorale. L’appello è stato rigettato dalla Csj, per “mancanza di prove”.

Etienne Tshisekedi, vero sfidante di Kabila, arrivato secondo con il 32,33% dei suffragi, aveva, invece, deciso di non ricorrere alle vie legali per contestare le conclusioni della Commissione elettorale nazionale indipendente (Ceni). Lo storico oppositore congolese, dopo l’annuncio dell’esito provvisorio il 9 dicembre, si era dichiarato “presidente eletto con il 54% dei voti”. E fin da subito aveva sostenuto che i giudici, alcuni dei quali nominati da Kabila qualche mese prima delle elezioni, non avrebbero mai deliberato in tutta indipendenza. Tshisekedi ha basato tutta la sua strategia sull’intervento della comunità internazionale che, a quanto pare, ha deciso di rimanere neutra rispetto al conflitto post-elettorale.

La rielezione di Kabila è stata già accolta positivamente dai capi di stato africani dei paesi della regione dei Grandi Laghi. Ieri, al termine di un vertice a Kampala, in Uganda, e prima ancora della convalida dei risultati parziali, questi dirigenti si sono complimentati, in una nota, con il neo presidente, chiedendo all’opposizione di accettare l’esito pronunciato e di “lavorare per la ricostruzione del paese”. La dichiarazione è stata firmata da Uganda, Kenya, Tanzania, Zambia, Burundi e Repubblica Centrafricana. L’Angola aveva riconosciuto Kabila lunedì scorso. Per il Sudafrica, invece, le elezioni in Rd Congo si sono svolte “globalmente” bene.

Giunto al potere nel 2001 dopo l’uccisione di Laurent Désiré Kabila, suo padre ed ex presidente del Congo (1997-2011), ed eletto capo di stato nelle elezioni del 2006, sotto l’egida e il controllo dell’Onu, Kabila figlio dovrebbe prestare giuramento il 20 dicembre. In attesa di questa cerimonia, sembra, tuttavia, doveroso chiedersi se la delibera della Csj ponga davvero un termine all’attuale crisi post-elettorale in Congo. Una crisi, questa, basata sulla contestazione dei risultati parziali da parte dell’opposizione, che punta il dito contro la Ceni, accusandola di aver organizzato delle frodi, in aiuto al candidato vincitore.

Secondo numerosi rapporti di osservatori internazionali (Carter, Ue, Crisis Group, Monusco), l’esito del voto è stato viziato da “gravi irregolarità”, mentre la Chiesa cattolica congolese, che ha mobilitato più di 30 000 osservatori, parla di risultati non conformi “né alla verità né alla giustizia”.

Per i congolesi, le elezioni del 28 novembre (legislative e presidenziali a turno unico) dovevano segnare un passo in avanti nella stabilità e nello sviluppo del paese, uno dei più ricchi al mondo per le sue risorse naturali e umane, ma che, oggi, è ultimo per quanto riguarda l’indice dello sviluppo umano dell’Onu. Le contestazioni e le violenze (secondo cifre ufficiali 18 persone sono morte durante gli scontri con forze dell’ordine) che caratterizzano l’attuale processo elettorale rischiano, però, di portare il paese verso nuove tensioni atte a minare la stabilità e l’urgenza del progresso sociale.