Congo Attualità n. 114

SOMMARIO:

EDITORIALE: Segni convergenti di un’occupazione in atto
1. KIVU
    – Il proseguimento dell’operazione militare “Amani Leo” contro le FDLR
    – L’operazione militare “Amani Leo” vista dalla gente di Nindja e Burinyi (Sud Kivu)
    – L’operazioni militare “Ruwenzori” vista dalla popolazione di Beni (Nord Kivu)
    – Alcune questioni di ordine amministrativo
    – Una lunga “serie nera di omicidi commessi da uomini in uniforme”
    – La questione delle Fardc provenienti dal Cndp
    – Un ritorno non ufficiale dell’esercito rwandese in RDCongo
2. DOPO L’ASSASSINIO DI FLORIBERT CHEBEYA
3. IL RINNOVO DEL MANDATO DELLA MONUC

EDITORIALE: SEGNI CONVERGENTI DI UN’OCCUPAZIONE IN ATTO

La guerra che le Forze Armate della Repubblica Democratica del Congo (Fardc) stanno conducendo contro i ribelli rwandesi delle Forze Democratiche per la Liberazione del Rwanda (FDLR) e ugandesi dell’Esercito di Resistenza del Signore (LRA) e dell’ADF-NALU non convince più nessuno per varie ragioni, fra cui le seguenti:

1. Per quanto riguarda la regione di Beni-Lubero, si nota che gli attacchi contro i ribelli stranieri sono condotti come se questi ultimi vivessero tra la popolazione congolese, sia nelle città che nei villaggi. E’ così che si cercano i ribelli stranieri nelle case e nei campi degli autoctoni, con tutte le conseguenze che tale procedura comporta: estorsioni, stupri, furti e saccheggi. Inoltre, come nel caso delle Operazioni Ruwenzori contro i ribelli ugandesi delle ADF-NALU, i militari congolesi sono inviati sul campo detto di battaglia senza fornirli di un salario sufficiente, provviste alimentari e alloggio. Di conseguenza, queste migliaia dei militari sono costretti a vivere a spese delle popolazioni già stremate da 14 anni di guerra. La domanda che ci si pone è quella di sapere chi è il vero obiettivo delle operazioni Ruwenzori: se le popolazioni congolesi o i ribelli stranieri.

2. Il secondo fatto che fa sorgere il dubbio sulle Operazioni contro i ribelli stranieri all’est del paese, è il loro comando mono-etnico. Una rapida inchiesta rivela che tutti i comandanti delle operazioni militari del Nord-Kivu sono HIMA-TUTSI provenienti dal CNDP o dal RCD-GOMA, eccetto alcuni Katanghesi. Sapendo che questi comandanti sono gli stessi che negli anni scorsi volevano conquistare la regione per farla occupare da membri della loro etnia che vivono nei paesi limitrofi, vari osservatori affermano che le operazioni militari condotte contro i gruppi ribelli stranieri non sono che un modo per continuare la conquista del territorio iniziata dal CNDP di Nkunda.

3. Un’altra questione è quella di sapere perché questo governo lascia impuniti i comandanti e i militari colpevoli di crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Quando il colpevole è un militare o un agente di polizia congolesi di origine, la giustizia è straordinariamente veloce. Ma mai si è visto un militare Hima-Tutsi condotto davanti alla giustizia e processato. In breve, l’egemonia militare HIMA-TUTSI nella regione in cui si svolgono le operazioni contro i ribelli stranieri provenienti dai paesi alleati degli HIMA-TUTSI può spiegare ciò che alcuni chiamano già un’occupazione militare dell’est del paese e perché ogni operazione militare è fonte di insicurezza per i Congolesi invece di assicurarne la protezione.

4. Questi ribelli stranieri si sono ritirati all’interno della foresta, ma, malgrado il loro isolamento, resistono da 15 anni alle truppe della MONUC o MONUSCO e ai vari eserciti ruandese, ugandese, sudanese e congolese. Se, da una parte, finora l’opzione militare non è stata efficace, dall’altra, l’ONU non vuole organizzare una tavola rotonda di pace con i rappresentanti di questi ribelli, per cercare insieme le modalità che possano condurre alla pace. Si può quindi dedurre che non c’è alcuna volontà politica per risolvere la questione dei gruppi armati stranieri. Al contrario, essi sono mantenuti, appoggiati e utilizzati dalle multinazionali e dai governi di alcuni Paesi limitrofi (Rwanda e Uganda) per mantenere quella situazione di insicurezza che permette lo sfruttamento illegale delle risorse minerarie della RDCongo e, in futuro, una eventuale divisione del Paese in vari piccoli Stati.

5. Secondo Théodore Trefon, un ricercatore belga di MRAC Tervuren, “lo smembramento della RDCongo non è temporaneamente abbandonato che a contropartita di una garanzia fatta alle multinazionali di utilizzare il Rwanda e l’Uganda per saccheggiare le ricchezze minerarie congolesi, a condizione cioè che l’est della RDCongo resti, fino alla scadenza dei loro contratti minerari, sotto l’influenza del Rwanda e dell’Uganda”.

La salvaguardia degli interessi di queste multinazionali spiegherebbe perché l’ONU e gli USA mantengano il silenzio sull’occupazione militare dall’est della RDCongo da parte di Rwanda e Uganda, che possono così approfittare di questo tacito permesso, per occupare militarmente il Congo e perseguire la loro conquista delle fertili terre del Kivu e della Provincia Orientale. Alcuni parlano della doppia guerra che si svolge all’est del paese. Da un lato, la guerra delle multinazionali che si battono per avere il monopolio sullo sfruttamento dei minerali strategici congolesi e, d’altro lato, la guerra del Rwanda e dell’Uganda che approfittano dell’appoggio materiale e diplomatico delle grandi potenze per ottenere un territorio all’est della RDCongo. Questa ipotesi inquadra bene col potere militare inspiegabile dei ribelli stranieri di Rwanda e Uganda sul suolo congolese.

1. KIVU

Il proseguimento dell’operazione militare “Amani Leo” contro le Fdlr

Il 14 maggio, in un comunicato stampa, l’organizzazione non governativa “Azione Sociale per lo Sviluppo” afferma che, dall’inizio delle operazioni militari contro le Forze Democratiche di Liberazione del Rwanda (FDLR), la situazione di insicurezza nei territori di Masisi e di Walikale resta molto preoccupante e che la polizia e le FARDC contribuiscono a fomentare tale insicurezza. L’ong denuncia gravi violazioni dei diritti umani contro le popolazioni civili. Rileva, in particolare, dei casi di massacri, torture, sequestri e arresti arbitrari. Il responsabile di Azione Sociale per lo Sviluppo, Olivier Bahemuke Ndoole, chiede che i presunti autori di questi atti siano citati davanti ai tribunali.

Il 9 giugno, per decisione del Capo dello Stato, l’operazione militare Amani Léo, iniziata nel Nord e Sud-Kivu in gennaio per neutralizzare i ribelli rwandesi delle FDLR, è stata prolungata di tre mesi. Secondo fonti militari, l’operazione “Amani Léo” ha come obiettivo quello di respingere le FDLR lontano dalla frontiera con il Ruanda, verso foreste difficilmente accessibili, per privarli dell’accesso a risorse economiche, particolarmente lo sfruttamento illegale delle miniere.

Secondo le stesse fonti, le cattive condizioni di vita in foresta spingono alcuni combattenti a disertare le file delle FDLR per arrendersi, consegnarsi al Programma di Disarmo, smobilitazione, rimpatrio, reintegrazione e reinstallazione (DDRRR) della Monuc e tornare in Rwanda. Secondo la Monuc, dal 1° gennaio 2009 all’8 giugno 2010, più di 2.600 combattenti ruandesi, in maggioranza FDLR, sono ritornati al loro paese con le loro famiglie. Secondo l’ONU, tra il 2009 e il 2010, il numero delle FDLR in RDCongo sarebbe passato da 6.000 a 3.200 combattenti circa.

L’operazione militare “Amani Leo” vista dalla gente di Nindja e Burinyi (Sud Kivu)

Gli abitanti delle chefferie di Nindja e di Burinyi (Sud-Kivu) affermano che, sul loro territorio, non c’é ancora pace, malgrado le dichiarazioni ufficiali.

Nella Chefferia di Burhinyi, i militari di Amani Leo si stabiliscono in accampamenti e vi restano tutta la giornata senza fare operazioni di pattugliamento. Alcuni vivono nell’accampamento con la loro famiglia. Sono abbandonati dai loro capi che vendono, a proprio profitto, il cibo che era destinato a loro e, quindi, non hanno di che mangiare. Ogni domenica passano per le case per chiedere alle famiglie un po’ di cibo. Ogni sabato, è ancora la popolazione che deve andare all’accampamento per costruire le casette dei militari.

Nella Chefferia di Nindja, la popolazione testimonia che, in maggioranza, i militari impegnati nell’operazione “Amani leo” condotta dalle Fardc contro le Fdlr sono, come loro stessi dicono, dei Tutsi e degli Hutu provenienti dalle truppe del CNDP e venuti dal Masisi (Nord-Kivu) o da Bukavu (Sud Kivu). Tra loro, ci sono anche degli Hutu che prima erano nelle FDLR. Poiché abitualmente parlano il kinyarwanda, la popolazione li sospetta di essere di nazionalità rwandese.

Alcuni di loro maltrattano la popolazione civile, violentando le donne e rubando i raccolti dei campi, galline, capre e denaro, al punto che non c’è alcuna differenza tra loro e le Fdlr che dicono di voler combattere. I militari che sono a Kabona, dopo la foresta di Mugaba, impongono una tassa che varia da 20 a 50 $ ad ogni camion che trasporta legname. Altri arrestano delle persone accusandole di essere membri delle FDLR e chiedono una capra, una mucca o del denaro in cambio della loro liberazione.

I militari pongono numerose barriere sulle strade e sentieri che conducono ai mercati, ufficialmente per proteggere la popolazione dagli attacchi delle FDLR ma, in realtà, ciò diventa un’opportunità per taglieggiare le persone che passano. Sulla strada che va verso Shabunda, dal ponte RUBIMBE I fino a Kigulube, hanno posto ben dieci barriere, a ciascuna delle quali bisogna pagare 500 Franchi Congolesi (FC), sia all’andata che al ritorno. Continuando verso Shabunda, ci sono ancora venti barriere.

Le donne portano la loro manioca al mercato, ma a causa delle barriere, si accorgono che lavorano più per i militari che per le loro famiglie. Inoltre, alcune di loro vengono sequestrate e portate nella foresta da questi stessi militari che le violentano. Sulla strada che va da Nindja a Kabare e a Bukavu, molto frequentata dagli abitanti di Nindja, ci sono tra cinque e otto barriere; se non si paga, si resta bloccati alla barriera o si deve ritornare indietro.

Secondo la popolazione, i militari di Amani Léo non dimostrano alcun interesse per neutralizzare le Fdlr e farle ritornare in Rwanda. Se si dice loro dove si trovano le FDLR, rispondono: “Noi non vogliamo attaccarle”. Infatti, nella zona di Nindja, non si è ancora visto un vero scontro tra i militari di Amani Léo e le FDLR, né dei prigionieri FDLR consegnati alla MONUC per il loro rimpatrio. Al contrario, sono le FDLR che finora gestiscono certe miniere di cassiterite, come quella di Lukomo. Le persone che vi scavano la cassiterite, devono dare una percentuale alle FDLR.

Nei piccoli bar e un po’ dovunque, la gente sente i militari Tutsi di Amani Léo dire: “Eccoci di nuovo in Congo per prendere il paese!”. Secondo la testimonianza di una donna congolese sposata ad un militare rwandese di Amani leo, questi militari, se vanno in ferie, vanno in Rwanda. Gli abitanti di Nindja pensano che le operazioni Amani leo siano una specie di distrazione e che il loro reale obiettivo sia quello di occupare il territorio, le miniere in particolare.

Dal mese di maggio, la popolazione di Nindja è di nuovo oggetto dei soprusi da parte delle FDLR, respinte verso l’interno della foresta in seguito alle operazioni militari di Amani leo.

Le FDLR hanno infatti spostato le loro famiglie un po’ più lontano, verso l’interno della foresta, abbandonando i campi che coltivavano e la loro attività di allevamento. E’ così che, privi di mezzi di sussistenza e per rifornirsi di cibo, denaro e prodotti di prima necessità, i membri armati delle FDLR organizzano, a partire dai loro nuovi accampamenti, degli attacchi ai villaggi abitati dai Congolesi per rubare i prodotti dei campi, galline, capre e denaro.

Abitualmente, le FDLR arrivano a Nindja durante la notte, per rifornirsi rubando i beni della popolazione. Spesso, obbligano alcuni abitanti del villaggio a trasportare il loro bottino.

Spesso, le Fdlr accusano la popolazione locale di aver fornito informazioni ai militari. Uno di loro ha dichiarato agli abitanti di Iregabaronyi: “Vedrete che fine farete con questi Rwandesi (Tutsi) che siete andati a cercare per sostituirci!”. Del resto, non si sa più distinguere gli autori dei vari attacchi, soprattutto quando l’attacco avviene di notte, perché le FDLR e i militari di Amani Léo portano la stessa uniforme e parlano le stesse lingue.

Gli abitanti di Nindja e di Burinyi chiedono alle autorità provinciali e nazionali che i militari di Amani Léo siano dispiegati altrove, fuori del Kivu e che siano sostituiti da quelli della Xª Regione militare e che questi siano pagati, formati e attrezzati per occupare i luoghi in cui si trovano attualmente le FDLR. Alla comunità internazionale, chiedono di fare pressione sul regime rwandese per l’apertura di un dialogo tra il potere e l’opposizione, interna ed esterna, affinché le Fdlr possano ritornare in Rwanda sapendosi protetti da accordi sottoscritti da loro stessi e perché la sola opzione militare si rivela insufficiente ed inefficace.

L’operazioni militare “Ruwenzori” vista dalla popolazione di Beni (Nord Kivu)

L’associazione africana per la difesa dei diritti dell’uomo (ASADHO/Beni) ha registrato almeno ventisette casi di omicidi commessi dal 20 giugno al 17 luglio, nella città di Beni. Durante lo stesso periodo, questa organizzazione ha identificato almeno quindici casi di furti a mano armata avvenuti nella stessa città. Secondo il presidente dell’ASADHO/Beni, gli autori degli omicidi sono dei militari incontrollati delle FARDC, degli agenti di polizia e dei ribelli ugandesi dell’ADF/NALU.

Secondo la stessa organizzazione, è necessario che il governo congolese provveda all’acquartieramento e al mantenimento dei militari FARDC, soprattutto in questo periodo delle operazioni “Ruwenzori” lanciate contro i ribelli ugandesi. Kizito Bin Hangi, presidente di Asadho/Beni ha dichiarato: “A Mutwanga, da quando sono cominciate le operazioni Ruwenzori abbiamo registrato otto casi di omicidio: due a Maleki, quattro a Mamundioma, due a Kokola. Altri cinque morti sono stati registrati a Linzo Sisene, non lontano da Eringeti”.

Le operazioni militari “Ruwenzori” in corso contro i ribelli ugandesi ADF-NALU nel Territorio di Beni rischiano di somigliare a quelle condotte contro le FDLR nel Territorio di Lubero, in quanto fanno più male che bene ai civili congolesi. Il difetto di queste operazioni militari è l’assenza di un piano di sicurezza per i civili congolesi e di collaborazione con le forze vive locali. E’ così che gli errori denunciati in occasione delle operazioni contro le FDLR si stanno ripetendo nel Territorio di Beni. Le zone del territorio di Beni in cui non si era mai notato la presenza degli ADF-NALU e che, quindi, erano relativamente pacifiche prima delle Operazioni Ruwenzori, sono oggi nella tormenta e svuotate dei loro abitanti. Il sospetto permanente è quindi che le operazioni militari in corso avrebbero come obiettivo nascosto lo spostamento delle popolazioni locali dalle loro terre che dovrebbero essere assegnate ai “rifugiati” di ritorno dal Rwanda e dall’Uganda.

Secondo le sconcertanti testimonianze degli sfollati, non ci sarebbero mai stati dei combattimenti diretti tra Fardc e ADF-NALU. Le Fardc arrivano in un villaggio o una località in cui non ci sono ribelli ADF-NALU, sparano all’aria, saccheggiano le case, uccidono i civili che tentano di resistere e lasciano il villaggio. Dopo una piccola tregua di alcune ore, gli abitanti del villaggio che si erano rifugiati in foresta, ritornano nelle loro case in rovine. Uno o due giorni dopo, arrivano altri uomini armati che si dicono dell’ADF-NALU per un’operazione di rappresaglia contro gli abitanti del villaggio accusati di avere fornito delle informazioni alle FARDC. A loro volta, gli ADF-NALU saccheggiano il villaggio e uccidono, costringendo gli abitanti de posto alla fuga.

Si constata che è la stessa strategia utilizzata nel Territorio di Lubero: il doppio attacco e il doppio saccheggio di un villaggio, rispettivamente da parte delle FARDC e delle FDLR, due forze che si dicono nemiche, ma che non si sono mai affrontate fino alla vittoria dell’una sull’altra.

Un’altra sconcertante somiglianza è quella dell’assimilazione dei ribelli ADF-NALU ai Congolesi, come era già il caso delle FDLR. Si sente così parlare di alleanze d’affari e di matrimoni tra Congolesi e ADF-NALU. Sostenendo questa tesi di collaborazione col nemico, si arriva ad arrestare gli stessi Congolesi.

Ma si constata che le vittime di questi arresti sono proprio quelli che svolgono un’attività bramata anche dalle forze di occupazione rwando-ugandesi sin dal 1996, cioè un’attività relazionata in modo particolare al commercio dei minerali e del legname.

Se a Lubero (Manguredjipa, Biambwe, ecc.) le vittime della collaborazione con le FDLR sono i detentori dei permessi di sfruttamento dell’oro e del coltan, a Beni i cosiddetti collaboratori arrestati sono i detentori dei permessi di sfruttamento del legname. Attualmente, coloro che sfruttano l’oro di Manguredjipa e dei dintorni e che hanno sostituito quelli accusati di collaborazionismo, sarebbero dei Rwandesi stessi o dei Congolesi che lavorano per loro. Dopo le operazioni contro gli ADF-NALU, è probabile che succeda la stessa cosa nel territorio di Beni per quanto riguarda il commercio del legname.

Inoltre, questa guerra economica di occupazione causa lo spostamento delle popolazioni. Il 21 luglio, nel Territorio di Beni, il totale degli sfollati era di oltre 100 000 persone, abbandonate alla loro triste sorte. Gli sfollati raccontano di sequestri, esecuzioni sommarie, saccheggi dei beni, ecc. perpetrati da ambedue le parti, le Fardc e gli ADF-NALU.

Alcune questioni di ordine amministrativo

Il 30 maggio, la delegazione della Commissione elettorale indipendente (CEI) nel Nord-Kivu ha chiesto all’ufficio nazionale di trovare dei meccanismi che possano facilitare l’operazione di iscrizione elettorale dei rifugiati che ritornano dal Rwanda e dall’Uganda. Da alcuni mesi, essi hanno cominciato a ritornare in Congo, ma senza l’autorizzazione dell’Alto Commissariato dell’Onu per i Rifugiati (HCR), senza documenti di identità e senza nessun documento che li identifichi come cittadini congolesi. Secondo i responsabili provinciali della CEI, questa situazione potrebbe essere fonte di conflitti, se non si trova una soluzione prima dell’inizio delle operazioni di revisione dello schedario elettorale che, nel Nord-Kivu, avrebbero dovuto cominciare in luglio.

In occasione di una recente visita nel territorio di Masisi (Nord Kivu), Camilla Olson, di Refugees International, ha constatato che il CNDP continua ad esercitare un rigoroso controllo sul territorio, cacciando, in certi casi, altri gruppi etnici mediante tattiche di intimidazione.

“Vari capi tradizionali sono fuggiti a Goma, perché non si sentono affatto in sicurezza o si sentono emarginati”, ha dichiarato la Olson. Ancor di più, la questione della nazionalità dei rifugiati di ritorno dal Ruanda solleva alcune preoccupazioni, avendo certi abitanti di Masisi e di altri territori espresso l’ipotesi secondo la quale numerosi cosiddetti rifugiati sarebbero, in realtà, dei Rwandesi. Infatti, numerosi rifugiati che stanno ritornando in Congo non parlano nessuna lingua congolese, né il francese. Altri hanno difficoltà nel precisare il loro villaggio di origine. I ricchi speculatori che hanno acquistato – o si sono accaparrati – delle terre abbandonate dalle persone che erano fuggite all’epoca della guerra, non fanno che aggravare la situazione. Hanno creato grandi piantagioni, non tenendo in conto gli abitanti precedenti. Per cui cominciano ad apparire le prime frustrazioni che potranno sfociare in un conflitto fondiario, con tutte le conseguenze che ci si può immaginare.

Il 14 giugno, Alexandre Gatemba, membro dell’ex-gruppo armato del Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo (CNDP) è stato nominato vice amministratore incaricato dell’economia, Finanze e Sviluppo del territorio di Masisi, nel Nord-Kivu.

Il portavoce del CNDP, Mahamba Kasiwa, ha dichiarato che la nomina di questo nuovo vice amministratore mette termine all’amministrazione parallela nel territorio di Masisi e ha promesso di sopprimere i posti di controllo tenuti dal CNDP e di abolire le tasse prelevate dal CNDP stesso. In effetti, malgrado la firma degli accordi di pace di Goma, l’ex movimento ribelle ha continuato a gestire l’amministrazione e a percepire tasse e imposte.

Certi abitanti di Masisi sperano, da parte loro, che la presenza di questo membro del CNDP nell’amministrazione del territorio, possa mettere definitivamente fine all’amministrazione parallela e alla doppia tassazione tanto deprecata.

Tuttavia, la nomina di Alexandre Gatemba non incontra il consenso di tutti.

Infatti, contrari a questa nomina, altri sostengono che questo modo di procedere è immorale e urta le buone coscienze. Secondo loro, l’affidare, ai diversi livelli dell’apparato dello stato, posti di responsabilità agli ex membri dei movimenti armati, invece di scoraggiare e dissuadere i signori della guerra, crea piuttosto dei precedenti e consacra, di fatto, il principio secondo cui il potere lo si conquista con le armi. In altri paesi, tutte queste persone dalle mani piene di sangue sarebbero state arrestate, processate e condannate, o considerate, almeno, come persone non gradite.

Una lunga “serie nera di omicidi commessi da uomini in uniforme”

La violenza sta diventando come una seconda natura della provincia del Nord-Kivu, dove la sicurezza è oramai una derrata rara. Nel Nord della provincia, non passa una notte o una giornata senza segnalazioni di casi di omicidio .

In un comunicato, l’associazione africana per la difesa dei diritti dell’uomo (Asadho) esprime la sua “più viva preoccupazione di fronte all’insicurezza creata nella provincia del Nord-Kivu da uomini in uniforme militare”, quando dovrebbero essere proprio loro a garantire la sicurezza dei beni e delle persone.

Secondo l’Asadho, questa “serie nera di omicidi commessi da uomini in uniforme” sta colpendo principalmente “i notabili della provincia, i commercianti, i membri della Società civile e i giovani”, cioè le forze vive della provincia. Si tratta dunque di omicidi mirati che, logicamente, devono avere un movente.

Sembra chiaro che, malgrado la resistenza interna che si è radicata nella mentalità dei congolesi per sbarrare la strada al piano di balcanizzazione della RDCongo, coloro che tirano le file di questo progetto non hanno ancora desistito. Al contrario, hanno solamente cambiato strategia. La strategia sembra essere orientata dunque ormai verso l’indebolimento e l’isolamento dei diversi gruppi di resistenza.

È nella logica di questo macabro piano che i diversi gruppi Maï-Maï, che per molto tempo hanno resistito all’occupazione di questa parte della RDCongo, sono stati dapprima indeboliti e poi dispersi, finendo così per perdere la loro unità, vettore di forza. Vinti i Maï-Maï, la comunità Nande, che detiene il potere economico della provincia, è diventata come l’ultimo catenaccio da aprire per arrivare a creare un corridoio tra la Provincia Orientale e il Nord-Kivu. Il motivo è, come sempre, il controllo delle risorse naturali di questa parte della RDCongo, particolarmente il petrolio del Graben, l’oro dell’Ituri, la cassiterite, il coltan e le terre coltivabili del Nord-Kivu.

Per raggiungere questi obiettivi, non c’è una strategia più efficace che quella di creare la psicosi in seno alla comunità Nande, in particolare, per indebolirla ed annientarla.

L’insicurezza nel Nord-Kivu non è dunque frutto del caso; essa procede da un piano ben orchestrato in tre atti: creare l’insicurezza, accelerare lo spostamento delle popolazioni ed accaparrarsi delle loro terre. Il governo dovrebbe aprire gli occhi per poter preservare l’integrità del Paese. Perché, se il Kivu salta, è tutta la RDCongo che rischia di implodere.

Le Fardc provenienti dal CNDP stanno portando avanti una guerra anonima contro la popolazione congolese del Nord Kivu. Dopo gli omicidi, i furti a mano armata, gli abusi sessuali, le mutilazioni dei genitali femminili, gli incendi delle case, le distruzioni dei raccolti dei campi, le Fardc stanziate a Nyaleke, alla periferia della città di Beni, hanno vietato ai contadini della regione di accedere ai loro campi. Diventa dunque difficile seminare o raccogliere qualcosa. Questa pratica, qualificata dalla gente come “arma alimentare”, è già diffusa anche nel Territorio di Rutshuru e al Sud del Territorio di Lubero.

All’inizio, le Fardc di Nyaleke esigevano che ogni agricoltore della regione fosse in possesso di un permesso di sfruttamento del proprio campo o della propria fattoria agricola. Il prezzo di questo permesso variava tra i 3 e i 5 Us $. Dopo una protesta da parte delle popolazioni locali, le autorità competenti della città di Beni l’avevano soppresso. Ma approfittando dell’attacco al Campo Militare di Nyaleke, il 25 aprile scorso, le Fardc hanno incominciato a vietare agli agricoltori l’accesso ai loro campi e fattorie. Il pretesto, non convincente, è che gli assalitori del campo militare si nasconderebbero tra gli agricoltori. Coloro che prendono il rischio di andare nei loro campi a cercare un po’ di cibo per le loro famiglie, si vedono sequestrare tutti i prodotti raccolti, arrestati e condotti alla prigione di Nyaleke, da dove non usciranno se non dopo aver pagato ingenti multe. Esigere da un contadino una multa di 100 Us $ per essersi recato nel proprio campo, equivale ad impoverirlo maggiormente, perché deve indebitarsi per poter pagarla. Sapendo che la sopravvivenza dei contadini dipende dalla terra e dal lavoro delle loro mani, la privazione prolungata del loro unico mezzo di sussistenza provocherà, sicuramente, un dramma umanitario senza precedenti, se non si fa nulla per scoraggiare questa pratica. Invece di morire sotto gli spari delle Fardc, le popolazioni congolesi della regione rischiano ora di morire di fame o di malnutrizione.

La questione delle Fardc provenienti dal Cndp

Dall’inizio del mese di giugno, si osserva un certo movimento di truppe nel Nord-Kivu. Secondo le radio della città di Butembo (Nord-Kivu), il governo di Kinshasa avrebbe finalmente deciso il dispiegamento di truppe provenienti dal CNDP in altre province della R.D.Congo che non hanno frontiera comune con il Rwanda, il Burundi e l’Uganda.

Questa notizia è accolta con grande gioia nella provincia del Nord-Kivu, in cui le Fardc provenienti dal CNDP continuano a comportarsi sempre da ribelli, con l’intenzione di proseguire la conquista territoriale iniziata da Laurent Nkunda. Per la città di Butembo, le nuove Fardc proverrebbero dal Bas-Congo. Alcuni elementi sarebbero già arrivati a Butembo, con grande gioia della popolazione.

Ma la reazione delle Fardc provenienti dal CNDP a questa decisione di Kinshasa non sembra rassicurare la popolazione.

Già le Fardc provenienti dal CNDP comincerebbero a dire che il Governo di Kinshasa non avrebbe rispettato gli Accordi di IHUSSI, secondo cui esse non dovrebbero essere dispiegate altrove che nel Kivu stesso. Inoltre, secondo certe voci, vari militari delle Fardc provenienti dal CNDP si starebbero ritirando dai loro campi militari per ritornare nelle loro postazioni anteriori, lungo la frontiera rwandese, dove si unirebbero a dei militari o mercenari che arrivano di notte dal Rwanda. Per gli abitanti di Beni, se le Fardc provenienti dal CNDP accettassero di essere dispiegate altrove, fuori del Kivu, sarebbe una prova tangibile da parte loro che desiderano far parte dell’esercito nazionale e repubblicano congolese.

Un ritorno non ufficiale dell’esercito rwandese in RDCongo

La pace nel grande Kivu è ancora minacciata. Vari gruppi armati (tra cui i Maï-Maï di Tsheka, i Maï-Maï Kifuafua, il Fronte per la liberazione del Congo, …) stanno riprendono le armi ; vengono regolarmente segnalate delle infiltrazioni di militari dell’esercito rwandese tra le FDLR e, addirittura, tra i rifugiati congolesi candidati al ritorno dal Rwanda; le continue diserzioni di ex-CNDP fanno supporre il fallimento del processo della loro integrazione nell’esercito nazionale regolare.

Malgrado le operazioni militari “Kimia I e II” e “Amani Léo”, le FDLR sembrano mantenere ancora una certa capacità militare. Alcune fonti affermano che esse sarebbero sostenute da Kigali stesso, che non avrebbe alcun interesse per il ritorno della pace in RDCongo.

Secondo certe voci in circolo, il 20 maggio due battaglioni dell’esercito regolare ruandese avrebbero attraversato la frontiera congolese. Provenendo da Kigali via Bujumbura, si sarebbero installati sugli altopiani di Minembwe. A partire da Bujumbura, un battaglione avrebbe raggiunto Minembwe via Kiliba e Katobo. L’altro battaglione sarebbe passato da Rumonge e si sarebbe diretto verso Baraka, nel territorio di Fizi.

Se confermato, il ritorno dell’esercito rwandese in RDCongo dimostrerebbe che il progetto di balcanizzazione di questo paese ha cambiato solo di modalità. L’esercito rwandese preferisce ora installarsi, in modo inosservato e non ufficiale, in varie zone della RDCongo per ragioni facili da spiegarsi: il controllo totale dei due Kivu.

In una sua visita in Rwanda, la senatrice congolese Kikontwe ha rapidamente compreso ciò che certe personalità rwandesi pensano della delocalizzazione dei ribelli rwandesi delle Fdlr in RDCongo : “Più li si delocalizza, più si moltiplicano le possibilità dell’esercito rwandese di essere presente in RDCongo”, ha dichiarato la senatrice in occasione di un’interpellanza parlamentare rivolta al Primo ministro Adolphe Muzito.

2. DOPO L’ASSASSINIO DI FLORIBERT CHEBEYA

Secondo i risultati dell’autopsia realizzata l’11 giugno da medici legali olandesi e congolesi, il militante dei diritti dell’uomo Floribert Chebeya, morto a Kinshasa il 2 giugno, è deceduto per arresto cardiaco in seguito a maltrattamenti. Tuttavia, il rapporto non indica le cause certe del suo decesso.

“Mediante l’autopsia, sono state constatate alcune anomalie preesistenti a livello del muscolo cardiaco. Il gruppo dei medici ha fatto notare che i rischi di complicazioni aumentano in caso di incremento dell’attività cardiaca (sforzo, stress)”, aggiunge l’ambasciata dei Paesi Bassi in un comunicato. I medici hanno peraltro rilevato anche delle “lesioni cutanee superficiali con ispessimento di sangue”, sui polsi, avambracci e le gambe. Tali lesioni sono “la conseguenza dell’applicazione di una costrizione esterna per compressione o shock”, come “legatura, colpi, urti o altre forme di costrizione meccanica”, spiega il rapporto.

“L’autopsia prova che la morte di Floribert è stata causata da azioni esterne. Ciò conferma ciò che già pensavamo. Floribert è stato ucciso, si tratta di un assassinio in seguito a torture commesse da professionisti”, ha dichiarato Fidèle Chebeya, fratello della vittima.

“Vogliamo sapere ciò che è accaduto realmente. Occorre perciò che ci sia un’inchiesta indipendente, imparziale, trasparente, con specialisti esteri, come per l’autopsia”, ha aggiunto Annie Mangbenga, moglie di Floribert Chebeya.

Crimine premeditato o incidente durante una seduta di tortura? Il colonnello Daniel Mukalay, primo sospettato, avrebbe dichiarato che non c’era intenzione di procurare la morte”. Ma per certi criminologi, le ragioni stesse dell’invito rivolto a Chebeya dall’ispezione generale della polizia possono essere rivelatrici di un omicidio premeditato.

Il tentativo di manipolare le prove del crimine e la scomparsa dell’autista, cognato di Chebeya, finora introvabile, possono, sempre secondo gli stessi criminologi, essere degli indizi supplementari.

Infine, l’ong per la difesa dei diritti dell’uomo, la Voce dei senza voce (VsV), esige dalle autorità congolesi l’arresto immediato del generale John Numbi, l’ispettore generale della polizia nazionale attualmente sospeso dal suo incarico per motivi di indagine, poiché lo considera come primo sospettato nell’omicidio di Floribert Chebeya.

3. IL RINNOVO DEL MANDATO DELLA MONUC

Il 28 maggio, nella sua risoluzione 1925 adottata all’unanimità, il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha autorizzato il ritiro di un massimo di 2.000 militari della Missione dell’Onu in RDCongo (Monuc), su un totale attualmente dispiegato di poco più di 20.000. Queste truppe dovranno essere ritirate “dalle zone in cui la situazione in materia di sicurezza lo permetta”. Questa riduzione dovrà effettuarsi entro il 30 giugno, data in cui l’ex-Congo belga festeggerà il cinquantenario della sua indipendenza.

Il Consiglio ha cambiato anche il nome della missione che è diventata, a partire dal 1° luglio, la Missione dell’ONU per la stabilizzazione in RDCongo (Monusco) e ha precisato il suo mandato per centrarlo soprattutto sulla protezione delle popolazioni civili.

Il mandato, scaduto il 31 maggio, è stato riconfermato fino al 30 giugno 2011.

Il Consiglio di Sicurezza ha affermato che eventuali future riconfigurazioni della Monusco “dipenderanno dall’evoluzione della situazione sul campo e dal grado di completamento di certi obiettivi da parte del governo della RDCongo e della missione dell’ONU”.

Obiettivi della Monusco sono: “il completamento delle operazioni militari in corso nei Kivu e nella Provincia Orientale” condotte contro i diversi gruppi armati ancora esistenti, “il miglioramento della capacità del governo per proteggere efficacemente la popolazione” e “il consolidamento dell’autorità dello stato su tutto il territorio”.

Il Consiglio autorizza la Monusco a “concentrare le sue forze militari nell’est del paese e a mantenere, nello stesso tempo, una forza di riserva capace di dispiegarsi rapidamente, in caso di necessità, in altre regioni del paese”.

Si sottolinea che “la responsabilità per assicurare la sicurezza, il consolidamento della pace e lo sviluppo incombe soprattutto al governo congolese”. Ma si afferma anche che la protezione dei civili deve essere “prioritaria nelle decisioni di utilizzazione delle capacità della Monusco” e la si autorizza a “utilizzare tutti i mezzi necessari” per tale scopo.

Il Consiglio di sicurezza indica pure che dal 1° luglio 2010 al 30 giugno 2011, la MONUSCO sarà costituita, oltre alla sua componente civile, “di un effettivo massimo di 19.815 soldati, 760 osservatori militari, 391 funzionari di polizia e 1050 agenti di polizia”.

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Molto si miete in guerra, ma il raccolto è sempre scarsissimo.
(Orazio Flacco)
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