Congo Attualità n. 114 – Supplemento

SOMMARIO:

EDITORIALE: LA MASCHERA STA CADENDO?
1. VERSO LE ELEZIONI PRESIDENZIALI
2. L’ASSASSINIO DI ANDRÉ KAGWA RWISEREKA
3. RIMPATRIO FORZATO DI RIFUGIATI HUTU DALL’UGANDA
4. DOPO L’ATTENTATO CONTRO FAUSTIN KAYUMBA NYAMASWA
5. ZAPATERO RINUNCIA A PARTECIPARE AD UNA RIUNIONE DELL’ONU INSIEME A KAGAME

EDITORIALE: LA MASCHERA STA CADENDO?

Alla vigilia delle elezioni presidenziali del 9 agosto prossimo, omicidi politici e continui soprusi contro gli oppositori sono diventati moneta corrente. In Rwanda, ci sono attualmente troppi morti e tentativi di assassinio perpetrati contro gli oppositori e tutti coloro che osano criticare la gestione del potere a Kigali. Tutto lascia credere che il potere rwandese abbia optato per la liquidazione sistematica di tutti coloro che non condividono il suo progetto di società. Questo tipo di comportamento è proprio dei regimi che si stanno dissolvendo. Si tratta di un’opzione propria delle dittature staliniste. Tali omicidi dimostrano che Paul Kagame non vuole la democrazia.

Il regime rifiuta ogni spazio all’opposizione e soffoca continuamente la libertà di espressione. Giornalisti ed oppositori sono diventati una razza da far sparire. Kagamé non ha nessun limite nella repressione. Nell’esercito, importanti personalità militari sono state messe agli arresti. Altri hanno dovuto fuggire in esilio.

Dopo aver servito, per molto tempo, da fondo di commercio, la versione ufficiale sul genocidio e sul negazionismo comincia a indisporre. Numerosi africani considerano ormai il Capo dello Stato rwandese come un vero dittatore dalle mani macchiate di sangue. Intollerante, Kagamé è deciso a mettere tutti in fila. Dà l’impressione di non volere sentire parlare di alternanza. Nel Rwanda di Kagamé, l’esperienza democratica si riassume in una sola alternativa: la valigia o la bara. A forza di comportarsi in tal modo, Kagamé finirà un giorno per dover rispondere dei suoi atti davanti alla Corte Penale Internazionale.

Preso in ostaggio, il popolo rwandese non cessa di aspirare alla libertà e ad una vera democrazia repubblicana. I paesi occidentali che sostengono il regime del generale presidente dovrebbero riconsiderare la loro posizione. A cominciare dagli Stati Uniti. Sotto pena di essere accusati un giorno di avere contribuito attivamente all’indietreggiamento democratico sul continente africano e a sanguinosissime guerre.

1. VERSO LE ELEZIONI PRESIDENZIALI

Il 25 giugno, Faustin Twagiramungu, candidato indipendente nelle anteriori elezioni presidenziali del 2003, lancia un appello alla mobilitazione di tutti i Rwandesi per il boicottaggio di una farsa elettorale grazie alla quale l’oppressore del popolo vuole rimanere al potere.

Secondo Twagiramungu, il Rwanda sta vivendo attualmente il paradosso della tirannia e della intolleranza incarnate da 16 anni dal generale Paul Kagamé che ha preso il potere grazie ad un genocidio, di cui è stato egli stesso l’istigatore. Il popolo rwandese considera inaccettabile che Paul Kagame, un criminale al potere da 16 anni, si presenti ancora come candidato.

Twagiramungu ritiene che le elezioni presidenziali di agosto 2010 non dovrebbero avere luogo per varie ragioni:

1. Non si possono occultare le inchieste condotte dal giudice francese Jean-Louis Bruguière e dal giudice spagnolo Fernando Andreu Merelles che hanno messo in causa il generale Kagame e i suoi più stretti collaboratori.

2. Paul Kagame è responsabile dell’assassinio di vari politici importanti del Paese, fra cui Emmanuel Gapyisi, Félicien Gatabazi, Seth Sendashonga, il deputato Léonard Hitimana e il colonnello Augustin Cyiza, presidente della corte di cassazione. È anche il mandatario di molti massacri di contadini innocenti.

3. E’ citato in numerosi rapporti delle Nazioni Unite come principale organizzatore del saccheggio delle ricchezze naturali della Repubblica Democratica del Congo ed è, nello stesso tempo, il mandante degli atti di genocidio commessi contro i rifugiati hutu in RDCongo dal 1996 al 1997.

4. In contraddizione con la Costituzione della Repubblica Rwandese, il regime dittatoriale del generale Kagame si è vigorosamente opposto alla registrazione dei principali partiti politici e democratici dell’opposizione, che avrebbero voluto presentare i loro candidati alle prossime elezioni.

5. Infine, tutti ricordano che, nel 2003, il generale Paul Kagame non fu realmente eletto dal popolo rwandese, ma egli stesso si auto proclamò presidente, in seguito ad una frode elettorale che gli accordò un risultato stalinista del 95%. E’ ancora fresco il ricordo delle intimidazioni, umiliazioni, perquisizioni, minacce, arresti, imprigionamenti arbitrari e omicidi di membri dell’opposizione, mentre altri fuggivano dal paese e continuano a farlo ancora oggi.

Faustin Twagiramungu dichiara responsabili del caos e dell’assenza di democrazia in Rwanda certe grandi potenze occidentali e importanti personalità di questi paesi che, apertamente ed ostinatamente, sostengono un criminale, facendone il loro proconsole, supervisore ed agente concessionario nella regione dei Grandi Laghi africani, a scapito dei popoli del Rwanda e dell’intera regione che continuano a soffrire per le nefaste conseguenze delle sue azioni criminali. La complicità di questi paesi e di queste personalità politiche, religiose e del mondo degli affari con un criminale di tale notorietà è indegna e ripugnante.

Tenendo conto di tutto ciò che precede, Faustin Twagiramungu chiede con insistenza ad ogni cittadino rwandese, patriota e responsabile, di astenersi dalle elezioni del 9 agosto 2010, per manifestare il suo rifiuto del regime dittatoriale e criminale del generale Kagame. Non bisognerebbe mai più partecipare ad elezioni di presidenti che hanno sangue sulle loro mani.

In tali circostanze, invece delle elezioni, Faustin Twagiramungu propone di organizzare una conferenza nazionale sotto forma di un ampio dibattito sulle realtà e le verità della storia del paese e sui meccanismi di condivisione del potere, i due pomi della discordia che causano ricorrenti conflitti e tafferugli tra i Rwandesi stessi.

Il 3 luglio, EurAc, la rete delle ONG europee presenti in Africa Centrale, afferma, in un comunicato, che i partiti di opposizione che si stavano preparando per la campagna elettorale, sono stati ostacolati dal regime di Paul Kagame e che lo spazio politico è stato bloccato attraverso:

• il monopolio del regime sui media che hanno demonizzato in modo permanente i partiti di opposizione e i loro leader;

• l’intimidazione verbale e fisica dei leader e dei militanti dei partiti di opposizione;

• l’utilizzazione di accuse di diffusione dell’ideologia genocidaria e di divisionismo, nozioni molto ampie e volontariamente poco precisate nella legge, per impedire ai leader dell’opposizione di esercitare i loro diritti politici;

• una politica amministrativa che mira ad impedire all’opposizione di farsi registrare legalmente, di stabilizzarsi, di organizzare riunioni e di farsi conoscere dalla popolazione;

• l’infiltrazione dei partiti di opposizione per destabilizzarli dall’interno.

EurAc raccomanda all’Unione Europea di dare, nel quadro di un dialogo politico con il Rwanda, un segnale forte e chiaro al governo rwandese, affinché prenda delle misure adeguate in favore della stabilità politica e della tenuta di elezioni libere e trasparenti e, in modo particolare:

• rispetti i principi democratici, non impedisca la registrazione dei partiti di opposizione, non impedisca loro di lavorare alla base e, infine, non tenti di smantellarli;

• cessi le vessazioni politiche e giudiziarie contro i leader e i membri dell’opposizione;

• non utilizzi i mezzi pubblici della comunicazione per la demonizzazione dei suoi oppositori;

• rispetti e protegga la libertà di espressione e la diversità di opinione, mediante una stampa indipendente.

Il 7 luglio, l’esercito rwandese ha annunciato di avere arrestato il colonnello Diogène Mudenge, direttore generale dell’agenzia rwandese di regolazione dei servizi di utilità pubblica (RURA), per minaccia contro un cittadino civile. Il portavoce dell’esercito, il tenente-colonnello Jill Rutaremara, ha indicato a Radio Rwanda che l’ufficiale aveva “minacciato con la sua pistola un cittadino, con il quale aveva in corso un litigio fondiario”.

L’8 luglio, almeno 17 persone, fra cui il capo dell’opposizione rwandese Bernard Ntaganda, candidato alle elezioni presidenziale del 9 agosto, sono state poste in detenzione provvisoria dalla Corte d’appello di Nyarugenge a Kigali, per “atto di terrorismo”. Queste persone erano state arrestate dalla polizia in seguito ad una manifestazione della coalizione di opposizione, il 23 giugno, davanti alla sede della polizia a Kigali. Bernard Ntaganda, avvocato di professione, ha respinto tutte le accuse contro di lui, affermando che sono state montate per impedirgli il ritorno alla vita politica.

Il 9 luglio, la polizia rwandese ha arrestato la direttrice del giornale privato Umurabyo, Agnèse Uwimana, imputata per “incitamento alla disobbedienza civile, oltraggio al Capo dello Stato, propagazione di false notizie nell’intento di turbare l’ordine e la tranquillità pubblica e negazione del genocidio dei Tutsi del 1994, attraverso articoli pubblicati, gli ultimi giorni, nel suo giornale. Secondo la stampa rwandese, altri due giornalisti di Umurabyo sono stati arresati alcuni giorni dopo, il 13 luglio. “Questi arresti sono consecutivi alla pubblicazione, nel giornale, di alcuni articoli su argomenti sensibili”, scrive Reporter Sans Frontières (RSF). In modo particolare, negli ultimi due numeri del bimensile, la giornalista aveva pubblicato delle informazioni ed analisi sull’omicidio del redattore capo di Umuvugizi, Jean-Léonard Rugambage e sul tentativo di assassinio del generale Faustin Kayumba Nyamwasa, esiliato in Sud Africa.

Il 14 luglio, preoccupata per l’estrema degradazione della situazione di insicurezza nei confronti della stampa in Rwanda, l’Ong Reporter senza frontiere (RSF) chiede all’Unione Europea e agli altri finanziatori internazionali di sospendere il loro sostegno al regime di Kigali e di cessare il loro appoggio finanziario all’organizzazione delle elezioni del 9 agosto prossimo. “Per quanto tempo ancora la comunità internazionale continuerà ad appoggiare un tal regime liberticida”?, si interroga RSF. “Sostenendo le elezioni presidenziali del prossimo mese e preparate in pessime condizioni, la comunità internazionale si rende complice del regime”, afferma l’organizzazione.

“Se bloccasse le sue donazioni, l’Unione Europea manifesterebbe chiaramente la sua opposizione all’attuale modo di agire delle autorità rwandesi, tra cui l’arresto di Agnèse Uwimana, l’assassinio di Jean-Léonard Rugambage, il blocco del sito Internet del bimensile Umuvugizi e la sospensione, per sei mesi, dei due principali giornali indipendenti del paese, il bimensile Umuvugizi e il settimanale Umuseso”, sottolinea RSF, denunciando una “vera serie nera”.

Anche la Federazione Internazionale delle Leghe per i Diritti dell’uomo (FIDH) condanna con la maggiore fermezza l’onda di violenza che imperversa sul Rwanda all’avvicinarsi delle elezioni presidenziali. Gli omicidi, arresti e detenzioni arbitrarie, minacce, atti di sopruso e di intimidazione contro gli oppositori politici e i giornalisti non cessano di moltiplicarsi e rappresentano un grande ostacolo per la tenuta di elezioni libere, trasparenti e democratiche.

Secondo la Fidh, i recenti omicidi e arresti sono il riflesso di una degradazione generale della situazione dei diritti dell’uomo, caratterizzata da una crescente repressione contro tutte le voci dissidenti.

Il Rwanda era stato interpellato da numerose ONG sulla necessità di garantire le libertà individuali di espressione, di opinione e di riunione e la sicurezza di tutti i cittadini prima, durante e dopo le elezioni. La FIDH reitera questa interpellanza e chiede alle autorità rwandesi di:

* Chiarire, attraverso un’inchiesta indipendente e imparziale, le circostanze degli assassinii di André Kagwa Rwisereka e Jean-Léonard Rugambage e di perseguire e punire gli autori di questi crimini;

* Prendere tutte le misure necessarie, nel rispetto delle norme regionali e internazionali circa la protezione dei diritti dell’uomo, per mettere un termine agli atti di sopruso e di intimidazione perpetrati contro gli oppositori politici, i giornalisti e i difensori dei diritti dell’uomo;

* Conformarsi alle disposizioni della Risoluzione adottata in maggio 2010 dalla Commissione africana dei Diritti dell’uomo e dei Popoli (CADHP) sulle elezioni in Africa, in particolare quelle che esortano gli Stati a “garantire che tutte le parti interessate, in particolare i partiti di opposizione, possano condurre liberamente la loro campagna elettorale, senza violenza, né intimidazione” e a “proteggere prima, durante e dopo le elezioni, i giornalisti, i difensori dei diritti dell’uomo, gli osservatori e supervisori elettorali da intimidazioni ed altri abusi contro i diritti umani”.

* Ratificare la Carta africana sulla democrazia, le elezioni e il buon governo e rispettarne l’insieme delle disposizioni.

Il 20 luglio, la campagna elettorale per le elezioni presidenziali del 9 agosto è incominciata in un clima molto teso, dopo una serie di attentati, di arresti e di omicidi di un membro dell’opposizione e di un giornalista.

Quattro candidati sono in lizza: l’attuale Capo dello Stato Paul Kagame, candidato del Fronte Patriottico Rwandese (FPR); Jean-Damascène Ntawukuliryayo del Partito Sociale Democratico (PSD); Prosper Higiro del Partito Liberale (PL) e Alivera Mukabaramba del Partito del Progresso e della Concordia (PPC). Questi ultimi tre partiti portano avanti un discorso molto simile a quello del FPR, che avevano sostenuto in occasione dell’ultimo scrutino del 2003, ciò che li qualifica come “partiti satelliti” del FPR.

I tre partiti di opposizione apparsi recentemente, le Forze Democratiche Unificate (FDU), il Partito Democratico dei Verdi e il Partito Sociale (PS, Imberakuri), di fatto esclusi dalle elezioni presidenziali, hanno richiesto in vano lo spostamento delle votazioni in date ulteriori. Le prime due formazioni non sono ancora riconosciute ufficialmente. La presidente delle FDU, Victoire Ingabire, è sotto controllo giudiziario dal 21 aprile, accusata di negazione del genocidio e complicità di terrorismo. Il presidente del PS, Bernard Ntaganda, oggetto di accuse similari, è detenuto dal 24 giugno. Tale situazione dimostra che queste elezioni presidenziali, il cui vincitore, Paul Kagame, è già conosciuto in anticipo, non offrono alcuna alternativa e non contribuiscono al progresso della democrazia in Rwanda.

Il Rwanda dà l’immagine di un paese diretto da un dittatore, un militare che non sopporta il confronto, a tal punto che anche quelli del suo partito che si permettono una minima critica diventano dei nemici da abbattere, ovunque si trovino. Paul Kagamé dà anche l’impressione di una persona ossessionata per il potere che vuole mantenere ad ogni prezzo, a costo di camminare sui cadaveri di oppositori e dissidenti. Paradossalmente, i suoi comportamenti non sono oggetto di condanna, a causa dei sostegni di cui usufruisce, come quelli degli USA, che si presentano come gli alleati sicuri dell’uomo “magro” di Kigali. Nemmeno l’ONU insiste più di tanto e il suo segretario generale si mostra eccessivamente prudente sull’uso delle parole, al punto di non volere “immischiarsi negli affari interni di uno Stato sovrano”. Altri paesi sono arrivati a gravi compromessi per poter rimanere nelle buone grazie di Kigali con cui hanno molti contenziosi storici ancora aperti. Non si può quindi contare su di loro per osare un’osservazione “inopportuna” sull’atteggiamento delle autorità rwandesi circa il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali. La società civile può protestare, ma ciò non impedisce loro di stendere il tappeto rosso davanti all’amico rwandese.

2. L’ASSASSINIO DI ANDRÉ KAGWA RWISEREKA

Il 14 luglio, il primo vicepresidente del Partito democratico verde del Rwanda, André Kagwa Rwisereka, scomparso il giorno anteriore, è stato ritrovato morto presso il fiume Mukura, a circa 3 chilometri dalla città di Butare, dove la sua auto era stata gettata. “La sua testa era stata quasi completamente separata dal corpo. La carta di identità della vittima, le sue chiavi di casa e dell’auto sono state ritrovate nel suo veicolo”, precisa un comunicato firmato dal presidente del partito, Frank Habineza, che parla “di assassinio”.

Il Partito Democratico verde del Rwanda era stato iniziato in agosto 2009, da transfughi del Fronte Patriottico Rwandese (FPR) che è attualmente al potere. Il partito non è finora ufficialmente registrato e accusa il regime del presidente Paul Kagame di averne ostacolato il riconoscimento, con il solo scopo di impedirgli di partecipare alle elezioni presidenziali del 9 agosto prossimo. “Il nostro obiettivo è di mettere fine alla paura dei Rwandesi e ad un sistema in cui le idee di una sola persona o di un solo partito governano il Rwanda”, aveva dichiarato Habineza all’epoca della presentazione del partito.

Secondo una dichiarazione del 21 luglio resa pubblica da Human Right Watch, gli avvenimenti che hanno preceduto la morte di Rwisereka indicano che l’omicidio potrebbe avere dei motivi politici.

Rwisereka è stato visto per l’ultima volta nella serata del 12 luglio 2010 al Sombrero Club, un hotel di cui era proprietario. Il suo corpo, quasi decapitato, è stato scoperto il 14 luglio.

La polizia ha dapprima dichiarato che Rwisereka è stato vittima di un furto e che, secondo le persone che l’avevano visto la sera della sua scomparsa, aveva con sé una grossa somma di denaro. Tuttavia, delle investigazioni supplementari condotte da Human Rights Watch e da altre organizzazioni hanno rivelato che Rwisereka aveva consegnato del denaro ad un parente nella serata del 12 luglio e che, nel momento della sua morte, aveva con sé solo pochi soldi e nessun oggetto di valore .

La polizia ha poi cambiato la sua versione, invocando una disputa finanziaria tra Rwisereka e Thomas Ntivuguruzwa, l’ultima persona ad avere visto Rwisereka prima della sua scomparsa. Ntivuguruzwa, che la polizia ritiene come il principale sospetto, è stato arrestato ed è tuttora in detenzione.

Per ciò che riguarda le circostanze della morte di Rwisereka, Human Rights Watch ha stabilito che il 12 luglio, Rwisereka è arrivato al Sombrero Club verso le 22h00 e che ha bevuto e mangiato con Ntivuguruzwa, un cliente abituale del locale. Verso l’1h00 del mattino, Rwisereka ha lasciato l’hotel ed è partito in auto per andare a casa sua. Ntivuguruzwa si è ritirato nella camera che aveva riservato all’albergo Sombrero Club e non è stato visto lasciare l’hotel prima dell’indomani mattina verso le 9h00.

Alcune persone che hanno visto il cadavere di Rwisereka hanno dichiarato a Human Rights Watch di avere notato una decina di lesioni. Nelle dichiarazioni alla stampa, il portavoce della polizia ha negato le affermazioni del Partito Verde, secondo cui il corpo di Rwisereka presentava segni di tortura.

L’inchiesta di Human Rights Watch ha rilevato anche che il corpo di Rwisereka è stato scoperto a solo un chilometro di distanza dalla sua auto, e non a tre chilometri, come il portavoce della polizia aveva dichiarato. La polizia ha dichiarato a Human Rights Watch che c’era molto sangue sul posto. Tuttavia, quando Human Rights Watch si è recata sul luogo l’indomani della scoperta del corpo, ha notato che sul suolo ce n’era una piccola quantità. Il corpo, inoltre, si trovava su una forte pendenza, ciò che fa pensare che Rwisereka abbia potuto essere stato ucciso altrove.

La polizia ha dichiarato a Human Rights Watch che Ntivuguruzwa aveva dato una falsa identità e che il suo nome non appariva sul registro dell’hotel. Tuttavia, Human Rights Watch, che ha visto il registro dell’hotel, ha confermato che Ntivuguruzwa ha dato il suo nome, cognome e numero di carta di identità.

“Le dichiarazioni contraddittorie della polizia e le divergenze tra le versioni della polizia e quelle fornite dalle fonti prossime alla vittima fanno nascere il dubbio e la confusione sulle circostanze della morte di Rwisereka. Un’inchiesta indipendente approfondita dovrebbe confermare o smentire le diverse versioni. Il governo rwandese dovrebbe autorizzare dei medici legali stranieri indipendenti per effettuare un’autopsia indipendente sul corpo di André Rwisereka”, ha dichiarato Kenneth Roth, direttore esecutivo di Human Rights Watch.

Rwisereka era un ex membro del FPR. Col passare del tempo, aveva perso la fiducia nei confronti del FPR e nel 2009, aveva lasciato il partito per creare il Partito Verde Democratico, un nuovo partito di opposizione, con altri ex membri del FPR.

Durante gli ultimi mesi, vari membri del partito, compreso il presidente Frank Habineza, sono stati minacciati e invitati, da persone considerate prossime al FPR e al governo, ad abbandonare le loro attività politiche in seno al loro partito. Tre membri eminenti, compreso Charles Kabanda, ex segretario generale del Partito Verde, hanno abbandonato il partito e denunciato i loro ex compagni di partito, ciò che vari osservatori hanno considerato come un tentativo, da parte del FPR, di destabilizzare il Partito Verde.

3. RIMPATRIO FORZATO DI RIFUGIATI HUTU DALL’UGANDA

Secondo un rapporto recentemente pubblicato da organizzazioni per la difesa dei diritti dell’uomo, il governo rwandese, composto in maggioranza da Tutsi, osteggia i rifugiati hutu in Uganda. Le divisioni etniche, che avevano scatenato i massacri degli anni 1990, ritornano in superficie.

In tale rapporto, International Refugee Rights Initiative e Refugee Law Project affermano che le autorità rwandesi si servono dell’eredità del genocidio per reprimere gli Hutu e segnalano che i rifugiati in Uganda hanno paura di ritornare in Rwanda e molti assicurano che le autorità rwandesi torturano, mettono in prigione e arrivano anche ad uccidere degli Hutu.

Secondo il rapporto, infatti, i Rwandesi che ritornano in patria sono cacciati dalle loro case e quando tentano di chiedere giustizia, vengono arrestati o minacciati. Varie persone sono scomparse. Le “nostre vite sono in pericolo”, assicura Hope Semukanya, uno dei circa 18.000 Rwandesi che vivono in Uganda. “Temiamo di essere uccisi ad ogni momento da spie rwandesi”, aggiunge.

Il 14 luglio, oltre 2000 richiedenti di asilo e rifugiati rwandesi in Uganda sono stati rimpatriati al loro paese con la forza. Da alcuni mesi, numerosi Rwandesi si sono rifugiati in Uganda, aggiungendosi alle migliaia di rifugiati già presenti dal 1960 e dal 1994. Nel mese di maggio scorso, in una riunione tripartitica tra il Rwanda, l’Uganda e l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, è stato deciso che questi ultimi Rwandesi richiedenti di asilo sarebbero stati rimpatriati in Ruanda entro la fine di giugno. L’operazione, condotta dalla polizia ugandese e appoggiata dall’esercito rwandese, doveva essere segreta.

Secondo fonti dirette e informate, una delegazione governativa è arrivata, al mattino, nel campo profughi di Kyaka per la registrazione dei richiedenti di asilo, in vista della distribuzione di aiuti alimentari. Secondo i rifugiati, all’improvviso sono arrivati cinque camion, scortati da militari con uniforme rwandese. Il HCR (Alto Commissariato dell’Onu per i rifugiati), aveva appena registrato 45 richiedenti di asilo, quando 150 persone circa sono state obbligate con la forza a salire sui camion che si sono diretti verso il Rwanda da cui queste persone erano appena fuggite.

Nello stesso momento, nell’immenso campo di Nakivalé, nel sud dell’Uganda, i rifugiati richiedenti asilo sono stati riuniti presso la Base del Campo, quando sono arrivati dei veicoli della polizia ugandese, seguiti da tredici camion. Senza bagagli, senza acqua né cibo, come bestiame, circa duemila rifugiati rwandesi sono stati costretti a ritornare in Rwanda. Un anziano che ha tentato di saltare giù da un camion è morto.

L’Alto Commissariato per i Rifugiati delle Nazione-Unite condanna il rimpatrio forzato di oltre 2000 richiedenti di asilo e rifugiati rwandesi dall’Uganda verso il Rwanda. L’operazione, condotta dalla polizia ugandese con l’appoggio dell’esercito rwandese, avrebbe dovuto essere apparentemente segreta. Il HCR denuncia la brutalità con cui l’operazione è stata effettuata e accusa le autorità ugandesi di non avere rispettato il loro impegno ad espellere solamente quei richiedenti di asilo per i quali tutte le vie di ricorso fossero state esaurite.

Il HCR ha affermato la sua disapprovazione nei confronti di tale operazione. “Si tratta di un accordo bilaterale tra i due governi, ugandese e ruandese. Abbiamo chiesto al governo ugandese di sospendere l’operazione di rimpatrio forzato in corso nei campi dei rifugiati di Nakivale e Kyaka senza l’intervento del HCR”, ha affermato, il 15 luglio, a Irin, Kai Nielsen, rappresentante dell’HCR in Uganda.

I rifugiati rwandesi in Uganda, in maggioranza hutu, vivono nella costante paura di essere assassinati dagli agenti di servizi di sicurezza rwandesi. E’ Kigali che fa pressione su Kampala, affinché rimpatri con la forza tutti i rifugiati hutu rwandesi. Ma Kampala non dovrebbe farlo, prima di avere ottenuto dalle Nazioni Unite il ritiro del loro statuto di rifugiati, ciò che comporta un processo lungo e difficile.

4. DOPO L’ATTENTATO CONTRO FAUSTIN KAYUMBA

Il 1° luglio, il ministero degli esteri sud-africano ha accusato un paese straniero di essere dietro il tentativo di assassinio dell’ex capo di Stato Maggiore rwandese, Faustin Kayumba Nyamwasa. Pretoria non nomina esplicitamente il Rwanda, ma le dichiarazioni del direttore generale del ministero degli Esteri lo lasciano supporre. Ayanda Ntsaluba ha, infatti, avvertito: “se l’attacco sul suolo sud-africano contro il tenente generale è un atto politico, noi lo considereremo di una grande gravità e lo tratteremo come tale”. Pretoria accetta, nella pratica, che le missioni straniere inviino degli agenti dei servizi segreti, ma “se la loro attività è clandestina, è tutt’altra cosa”, ha insistito Ayanda Ntsaluba.

Il 29 giugno, in Sud-Africa erano stati arrestati quattro uomini che, sospettati di avere sparato contro Kayumba Nyamwasa, avevano affermato di essere di nazionalità tanzaniana, somala e mozambicana. Si tratterrebbe di Uma Huseni (35), Ahmed Ali (26), George Francis (31) e Shafiri Bakari (30). Uno di loro, George Francis, è scomparso. Convocato in tribunale per il 14 luglio, non si è presentato. Doveva dimostrare la sua nazionalità tanzaniana e il suo statuto di rifugiato politico.

Il loro processo, nell’attesa di verifica, è stato rinviato al 27 luglio. Precedentemente, due uomini fra cui un ruandese, Francis Gakwerere, erano stati rilasciati.

La Francia chiede l’estradizione dell’ex capo di stato maggiore rwandese Faustin Kayumba. La Procura della Repubblica conferma l’invio, da parte del giudice istruttore, di una richiesta di estradizione al Sud Africa. Ma a Parigi, il portavoce ha dichiarato di non sapere quando esattamente tale richiesta sia stata fatta. Faustin Kayumba è oggetto di un mandato di cattura emesso dal giudice Jean-Louis Bruguière nel novembre 2006 nel quadro di un’inchiesta sull’attentato contro l’aereo del presidente Juvénal Habyarimana, il 6 aprile 1994, attentato che ha poi provocato lo scoppio del genocidio. Il giudice francese aveva allora accusato 9 personalità prossime a Paul Kagamé.

Ma Faustin Kayumba è perseguito anche dalla giustizia spagnola. Nel quadro di un’inchiesta sull’assassinio di nove missionari e cooperanti spagnoli, in febbraio 2008, un giudice istruttore aveva emesso quaranta mandati di arresto contro altrettanti ufficiali superiori dell’esercito rwandese, tra cui Kayumba, accusati per atti di genocidio, crimini contro l’umanità, crimini di guerra e terrorismo.

Da parte sua, anche il Rwanda richiede l’estradizione del generale, imputato di volere destabilizzare il paese e di essere dietro agli attentati che hanno scosso Kigali in febbraio scorso.

5. ZAPATERO RINUNCIA A PARTECIPARE AD UNA RIUNIONE DELL’ONU INSIEME A KAGAME

Il 15 luglio, un gruppo di ONG spagnole, Amnesty international e vari gruppi parlamentari hanno vivamente criticato la presenza in Spagna del presidente rwandese Paul Kagame per una riunione del gruppo di contatto dell’Onu sugli Obiettivi del millennio per lo sviluppo (OMD), in vista di ridurre l’estrema povertà nel mondo entro il 2015.

Il segretario generale dell’ONU, Ban Ki-moon, aveva annunciato in giugno la creazione di questo gruppo di contatto e ne aveva nominato presidente il capo del governo spagnolo José Luis Rodriguez Zapatero e vice presidente Paul Kagame.

Il Coordinamento delle ONG spagnole per lo sviluppo (Congde) ha denunciato in un comunicato “la scelta questionabile di Ban Ki-moon” di eleggere Kagame per co-dirigere questo gruppo e “la passività del presidente Zapatero che ha accettato senza obiezione di agire a lato di un presunto genocidario”.

La levata di scudi in Spagna trova la sua origine nei mandati di arresto per “genocidio” emessi da un giudice spagnolo nel febbraio 2008 contro 40 militari del regime di Kagame, accusati di avere fomentato degli scontri etnici negli anni 90 per impossessarsi del potere e mettere in atto un “regime di terrore”. Essi sono particolarmente accusati di avere assassinato sei missionari e tre cooperanti spagnoli, testimoni di vari massacri. Il giudice Fernando Andreu Merelles aveva lanciato accuse dettagliate anche contro il presidente Kagame, senza tuttavia poter perseguirlo a causa della sua immunità di Capo di Stato.

Il 16 luglio, José Luis Rodriguez Zapatero ha rinunciato in extremis a partecipare con Paul Kagame ad una riunione dell’ONU sulla povertà e si è fatto rappresentare dal suo ministro degli Affari Esteri, Miguel Angel Moratinos. La riunione, inizialmente prevista alla Moncloa, sede del governo, ha avuto luogo invece presso l’hotel Ritz. Il capo del governo spagnolo è stato “sensibile” alla richiesta dei partiti politici che l’esortano a “non incontrare” il presidente rwandese, ha spiegato sobriamente la sua vicepresidente, Maria Teresa Fernandez de la Vega.

L’avvocato delle famiglie degli Spagnoli uccisi in Rwanda ha qualificato di semplice “trucco” il voltafaccia di Zapatero. I due dirigenti non hanno posato insieme per la foto di gruppo, né si sono incontrati in un luogo ufficiale”, ma “Zapatero non ha finora declinato l’invito a co-presiedere questa iniziativa insieme a Kagame “, ha denunciato Jordi Palou alla radio nazionale (RNE).

Ban Ki-moon si è astenuto da ogni commento sulle accuse portate dalla giustizia spagnola contro il regime rwandese. Ban Ki-moon ha tuttavia giustificato la sua scelta di Kagame per “l’impegno” del Rwanda, uno dei rari paesi dell’Africa ad avere realizzato un importante progresso nella riduzione della mortalità materna ed infantile”.

Secondo Faustin Twagiramungu, ex Primo ministro del Rwanda ed ex candidato alle presidenziali del 25 agosto 2003, l’umiliazione che il dittatore rwandese, il generale maggiore Paul Kagame, ha subito a Madrid è un grande messaggio di speranza per il popolo rwandese, preso in ostaggio e vittima di numerosi omicidi politici, atroci repressioni e altre violazioni dei diritti dell’uomo.

Essendo stato scelto più per le sue potenti lobbie che per le sue capacità di uomo di stato, per co-presiedere con il capo del governo spagnolo, José Luis Rodriguez Zapatero, i lavori del gruppo di contatto sull’applicazione degli obiettivi del millennio (OMD), Paul Kagame intendeva utilizzare tale tribuna dell’Onu per lavare la sua immagine ormai offuscata, all’interno come all’esterno, dai suoi numerosi crimini e per ottenere l’annullamento della procedura giudiziaria intrapresa in Spagna contro il regime rwandese.

Probabilmente, il gesto di Zapatero costituisce un affronto anche nei confronti di Ban Ki-Moon che ha preso il grande rischio di presentare questo grande criminale, responsabile in modo particolare dell’attentato del 6 aprile 1994 che è costato la vita a due capi di stato e che ha scatenato un genocidio che ha causato la morte di oltre un milione di persone, come un dirigente esemplare capace di difendere un nobile obiettivo, quale la lotta contro l’estrema povertà nel mondo.

Per i democratici rwandesi e per i difensori dei diritti dell’uomo, si tratta soprattutto di un segnale forte che indica che alla fine dell’oscurità c’è la luce e che alla fine dell’impunità ci sarà la giustizia.