Congo Attualità n. 113

50° anniversario dell’Indipendenza

SOMMARIO

EDITORIALE
1. LE PRIORITÀ DEL PRES. KABILA NEL SUO DISCORSO DEL CINQUANTENARIO
2. DUE MESSAGGI DEI VESCOVI CONGOLESI
3. UN CINQUANTESIMO DELL’INDIPENDENZA CELEBRATO NEL LUTTO
4. UNA NOTA POSITIVA
5. 50 ANNI DOPO: LE CIFRE DELLA POVERTÀ
6. 50 ANNI DI INDIPENDENZA: UNA PALMA SENZA FRUTTO
7. 30 GIUGNO: LE CONTRADDIZIONI DI UNA CELEBRAZIONE
8. IL 30 GIUGNO È DIVENTATO UNA TRISTE DATA


EDITORIALE

Finite le celebrazioni del cinquantenario dell’indipendenza, si possono fare alcune considerazioni.

Il primo trentennio dell’indipendenza è stato caratterizzato soprattutto da movimenti di secessione e, poi dalla dittatura di Mobutu.
Tra i momenti positivi degli ultimi vent’anni, si possono ricordare la fine dell’era del partito unico e l’inizio del pluralismo dei partiti, la Conferenza Nazionale Sovrana, la fine della dittatura di Mobutu e le prime elezioni libere e democratiche.

Quest’ultimo ventennio è stato tuttavia marcato anche da dolorosi eventi: due grandi guerre di aggressione, l’occupazione di due terzi del territorio nazionale da parte di truppe straniere, la destabilizzazione del Paese da parte di movimenti ribelli, anche dopo la fine ufficiale della guerra. Più di cinque milioni di Congolesi morti è il bilancio di questa assurda tragedia. E tutto questo è successo per avere il controllo sul territorio, in vista dello sfruttamento illegale delle risorse naturali di cui è ricco il Paese. Sono stati questi, e lo sono ancora, gli obiettivi di società minerarie, multinazionali e potenze occidentali, tra cui Stati Uniti, Canada e Inghilterra, che si sono serviti dei governi e delle truppe dei Paesi limitrofi alla RDCongo, soprattutto Rwanda e Uganda che, a loro volta, hanno fomentato e appoggiato i vari movimenti ribelli attivi sul suolo congolese.

Anche se la guerra è ufficialmente terminata, non si può certo affermare che la pace sia ritornata. Oggi ancora, intere popolazioni vivono, infatti, nella più totale insicurezza: massacri, saccheggi, stupri, incendi di villaggi, omicidi di giornalisti e difensori dei diritti umani, …

Responsabili di tanti crimini di guerra e contro l’umanità, i signori della guerra e i capi dei vari movimenti ribelli occupano oggi posti importanti nel Parlamento, nel Governo, nell’esercito e nell’amministrazione. In tale situazione, non si può certo dire che l’Autorità dello Stato sia stata ristabilita sull’insieme del territorio nazionale. Forse si tratta proprio del contrario: chi aveva le armi in mano si è impossessato dello Stato e delle sue Istituzioni.

Fino a quando ex signori di guerra ed ex miliziani continueranno ad infiltrare le Istituzioni dello Stato, la Nazione sarà in situazione di rischio. Infatti, avendo servito interessi stranieri, come potranno garantire l’unità del Paese, la sovranità nazionale e l’intangibilità delle frontiere?

La guerra, le ribellioni e il saccheggio sistematico delle risorse naturali hanno impedito lo sviluppo economico e sociale del Paese e costretto la popolazione alla miseria. Il pagamento annuale degli interessi sul debito estero e le imposizioni provenienti dal FMI e dalla BM hanno aggravato ancor più la situazione, con le note conseguenze: militari, insegnanti e agenti dello Stato insufficientemente retribuiti, spesso in ritardo e, a volte, addirittura non pagati, costretti a vivere sulle spalle di una popolazione che già stenta a sopravvivere. È questa situazione di estrema povertà che è alla base della tragedia di Sange (Sud Kivu), il 2 luglio: il ribaltamento di un’autobotte piena di carburante… la gente accorre con secchi e taniche per spillare un po’ di carburante… una terribile esplosione… bilancio: più di 235 morti bruciati vivi e oltre 200 feriti e ustionati. Una immane tragedia che smentisce freddamente qualsiasi slogan, tipo “Il risveglio del gigante” e “RDCongo: paradiso terrestre”.

Per dare credibilità e autenticità alle celebrazioni del cinquantenario dell’indipendenza, non bastano i discorsi di circostanza, né le parate militari, né la festa. Occorre passare dalle parole ai fatti. Come suggeriscono i Vescovi congolesi nei loro ultimi due messaggi, la RDCongo ha bisogno di una classe politica impegnata esclusivamente per il bene comune della Nazione. Le prossime elezioni del 2011 saranno l’occasione per mandare a casa tutti quei politici che, alla ricerca del proprio arricchimento personale, fomentano la corruzione, la malversazione di denaro pubblico e la destabilizzazione del Paese. Le elezioni del 2011 saranno l’occasione per far emergere, poco a poco, una nuova classe politica capace di vivere la politica come servizio e di dare una risposta ai gravi problemi della popolazione. I Paesi della Comunità Internazionale implicati nel commercio illegale delle risorse naturali della RDCongo e nel sostegno offerto a Paesi limitrofi dalle derive dittatoriali e dalle mire espansioniste dovranno, essi pure, assumere le loro responsabilità.

1. LE PRIORITÀ DEL PRES. KABILA NEL SUO DISCORSO DEL CINQUANTENARIO

Il 30 giugno, in occasione della cerimonia della celebrazione del cinquantenario dell’indipendenza della RDCongo, il presidente Joseph Kabila ha pronunciato il suo discorso alla nazione in Piazza del milite ignoto, di fronte al Palazzo del Popolo, a Kinshasa.

Come egli ha detto, “il cinquantenario non è un anniversario ordinario, è un momento particolare di valutazione, in vista di una nuova partenza”: apprezzare ciò che è stato fatto, prendere atto delle insufficienze e decidere ciò che deve essere realizzato, per gettare le basi di un nuovo slancio per un paese più bello di prima.

Nel suo discorso di circostanza, il Capo dello Stato ha fatto un giro d’orizzonte sulla situazione generale del paese. In 50 anni, secondo il Presidente, la RDCongo ha ottenuto vittorie notevoli, tra cui “la preservazione dell’unità nazionale e dell’integrità territoriale, il ristabilimento della pace all’interno del paese e con i paesi vicini, la riconciliazione nazionale, l’instaurazione del multipartitismo politico e sindacale, la liberalizzazione dei media e dell’economia, la tenuta di elezioni libere, trasparenti e democratiche, l’instaurazione della democrazia, sebbene ancora giovane, ma reale e vivente”. Il presidente ha tuttavia ammesso che “il paese ha conosciuto anche alcune disfatte spiacevoli, particolarmente in materia di sviluppo, di progresso sociale e dei diritti umani”.

Nel suo discorso, il presidente della Repubblica ha fissato le priorità per dare un nuovo impulso al governo e orientare la Nazione congolese verso un futuro migliore. Si tratta delle seguenti priorità:

– “Diventare un’oasi di pace nel cuore dell’Africa e una forza di stabilizzazione della regione dei Grandi Laghi. La pace per il Congo certo, ma anche per tutti i paesi che lo circondano. Non la pace finta raggiunta con le armi o mediante l’imposizione della paura, ma quella vera e duratura, frutto dello stato di diritto, della giustizia, dell’equità e della solidarietà. A questo fine, si dovranno continuare gli sforzi già in atto per raggiungere i seguenti obiettivi: * rafforzare la pace;

* consolidare la democrazia; * rendere effettivo il decentramento; * organizzare, nel rispetto delle date previste, le seconde elezioni generali e, quindi, le elezioni locali e municipali; * condurre a termine la riforma dell’esercito, della polizia, dei servizi di sicurezza e della giustizia; * intrattenere relazioni di fiducia e di coabitazione pacifica, oggi ristabilite, con tutti i paesi limitrofi;

* sviluppare, infine, la cooperazione e l’integrazione regionale”.

– “Diventare una potenza economica nel cuore dell’Africa e per il benessere del popolo congolese. In quest’ottica, settimo gigante agricolo del mondo per il suo potenziale, il Paese aspira legittimamente all’autosufficienza alimentare e intende contribuire a quella dei paesi fratelli. Parimenti, disponendo di una rete idrografica impressionante, di importanti risorse forestali e di immense potenzialità idroelettriche, il Congo aspira a soddisfare le sue necessità di acqua e di energia elettrica.Occorre, dunque, proseguire, ad un ritmo ancora più accelerato, l’ammodernamento delle infrastrutture su tutta la superficie del territorio nazionale. Occorre, inoltre, impegnarsi in una realizzazione più decisa del contenuto sociale del programma dei Cinque Cantieri della Repubblica: la creazione di posti di lavoro, l’educazione, la sanità, l’habitat e il trasporto di massa”.

– “Intraprendere, in modo deciso, una vera rivoluzione morale, per raggiungere gli obiettivi.

È necessari bandire e punire senza tergiversazioni l’attentato alla vita e alla dignità umana, lo stupro, il tribalismo, il regionalismo, il favoritismo, l’irresponsabilità, il furto, la corruzione, la malversazione del denaro pubblico, l’arricchimento senza causa e ogni altra forma di anti-valori. Ogni saccheggio e sfruttamento illegale delle risorse naturali saranno vigorosamente combattuti”.

2. DUE MESSAGGI DEI VESCOVI CONGOLESI

Il 24 giugno, alla vigilia del Cinquantesimo anniversario dell’indipendenza della RDCongo, la Conferenza Episcopale Nazionale del Congo ha reso pubblico un messaggio al popolo congolese intitolato: “Il nostro sogno di un Congo più bello di prima”. Ne presentiamo alcuni paragrafi:

In una prima parte, i Vescovi analizzano l’attuale situazione.

A. Situazione attuale: un sogno infranto.

“Bisogna riconoscere onestamente tutti i progressi settoriali che hanno potuto essere realizzati durante il mezzo secolo della nostra giovane Repubblica, particolarmente la realizzazione di numerose infrastrutture nel campo educativo e sanitario, la formazione dell’élite intellettuale di alto livello universitario, l’organizzazione delle istituzioni politiche sorte dalle elezioni democratiche, il risveglio di una certa opinione pubblica, il rifiuto della balcanizzazione del Paese, ecc. Tuttavia, malgrado questi progressi, il bilancio globale può riepilogarsi in cinquanta anni di tribolazioni e di opportunità mancate.

1. Vita politica: una logica del potere contraria agli ideali dell’indipendenza.

Bisogna riconoscere che, 50 anni dopo, il progetto nazionale sottostante all’idea della sovranità è stato tradito da un tipo di perdita o di abbandono della vocazione ad una vera indipendenza. Perché, la nazione non sta ancora in piedi e i suoi figli e le sue figlie non sono ancora totalmente indipendenti!

Le cause principali di questa situazione sono, tra l’altro, il neocolonialismo e l’imperialismo; i massacri perpetrati contro le persone; le guerre; i colpi di stato militari; la personalizzazione del potere e dello stato; il mal governo; gli impedimenti all’esercizio delle pubbliche libertà; il saccheggio delle risorse naturali del paese; la strumentalizzazione delle istituzioni repubblicane al servizio degli individui; l’esacerbazione di divisioni etniche e tribali per fini politici ed elettorali.

Bisognerebbe riconoscere che la prima causa della maggior parte dei nostri problemi e dei nostri fallimenti risiede in una visione e una pratica del potere politico contrarie agli ideali dell’indipendenza e delle società democratiche. Infatti, invece di essere un servizio al bene comune, le responsabilità pubbliche vengono arraffate ed esercitate nella logica della ripartizione dei vantaggi economici a scapito della popolazione.

La Conferenza Nazionale Sovrana del 1992 e le elezioni del 2006 sono state dei momenti importanti della nostra storia. Tuttavia, questo ciclo è rimasto incompiuto. A tutt’oggi, il popolo aspetta ancora la tenuta delle elezioni locali e comunali.

La constatazione è chiara: questa politica non ha assicurato la pace. I 50 anni di indipendenza della RDCongo sono stati marcati da violenze e da guerre molto atroci e devastatrici. A questo proposito, ricordiamo i “martiri dell’indipendenza” e le numerose “vittime della democrazia”. Non dimenticheremo mai i milioni di morti, vittime delle guerre, né i milioni di sfollati!

È molto deplorevole che la RDCongo sia obbligata a celebrare questo cinquantenario senza un esercito propriamente repubblicano, capace di difendere la sicurezza dei suoi abitanti e l’integrità territoriale contro i persistenti progetti della sua balcanizzazione.

In quanto all’esercizio della giustizia, malgrado alcuni progressi, il potere giudiziario non usufruisce ancora di una sua indipendenza, né di mezzi sufficienti per il suo esercizio leale. Tuttavia, la giustizia non può essere garantita se non mediante la sua indipendenza, la disponibilità di mezzi finanziari sufficienti e, soprattutto, la partecipazione di uomini e donne al di sopra di ogni sospetto e capaci di pronunciare il diritto nel rispetto delle procedure.

2. Vita economica: regressione, estraversione e predazione.

Dall’indipendenza in poi, la vita economica della RDCongo ha conosciuto varie fasi: una prima fase segnata da una gestione irresponsabile dell’eredità coloniale, caratterizzata da lotte e instabilità politica; un secondo periodo di nazionalismo economico, di congiuntura economica mondiale favorevole e di relativa stabilità politica che ha contribuito ad una certa crescita economica; un terzo periodo segnato dalla discesa agli inferi, con l’aggravamento della crisi economica e la decadenza dell’apparato dello stato.

La politica economica del Governo congolese è attualmente una politica di mancanza di investimenti, in cui l’economia informale occupa circa il 90% dell’attività del paese.

La regressione economica porta come conseguenza sociale un inquietante abbassamento del livello di vita delle popolazioni. Ne consegue la caduta dell’indice di sviluppo umano e la crescita dell’indice di povertà umana.

Le risorse naturali che fanno della RDCongo uno “scandalo geologico”, costituiscono un’opportunità e un’importante carta vincente economica per la crescita del paese, ma, nello stesso tempo, un’inquietante disgrazia, una fonte permanente di brame, di conflitti, di corruzione e, addirittura, di una mafia internazionale di cui sono complici certi Congolesi. La mancanza di entrate finanziarie causata dallo sfruttamento illegale delle risorse naturali avrebbe, tuttavia, potuto servire ad elaborare degli ambiziosi progetti di sviluppo economico, in vista di aumentare la produzione nazionale e di migliorare, così, le condizioni di vita delle popolazioni. Il modo di sfruttamento delle risorse naturali è quello di un’economia di predazione.

3. Vita sociale: palesi disuguaglianze e miseria.

Quando, nel 1960 viene proclamata l’indipendenza del nostro paese, gli aspetti socioeconomici presentavano degli indicatori al di sotto della media. Oggi questi indicatori sono scesi ulteriormente raggiungendo livelli marcati in rosso. La vita sociale è caratterizzata da offensive disuguaglianze e da una miseria dovuta allo sfaldamento dei servizi sociali di base: sanità, alimentazione, alloggio, educazione e posti di lavoro. Il nostro sistema educativo ha registrato una considerevole regressione. La parte assegnata all’educazione nel bilancio dello stato è passata dal circa 30% negli anni 60 a meno del 7% oggi.

Non nascondiamocelo: il sogno di costruire un Congo più bello di prima non è stato infranto? La RDCongo ha arretrato più che avanzato. L’uomo congolese non è stato al centro dell’azione politica, economica e sociale. Dopo cinquant’anni di esistenza, il nostro paese è ancora sotto accompagnamento internazionale e inquadramento speciale per la sua sopravvivenza e il suo funzionamento”.

In una seconda Parte, i Vescovi propongono alcune piste di soluzione ai vari problemi:

“B. Il futuro della RDCongo: il nostro sogno.

L’avvenire prospero e felice della RDCongo dipende innanzitutto dai Congolesi stessi. Questo cinquantenario dell’indipendenza è dunque il momento favorevole, l’ora decisiva per metterci in piedi, per costruire insieme il nostro destino.

È necessario che i politici adottino un ideale politico di servizio al bene comune. È l’uomo che deve essere al centro di ogni impegno politico.

È indispensabile promuovere un’economia al servizio dell’uomo. Una Nazione non può prosperare per molto tempo se favorisce unicamente i suoi membri già benestanti. L’avvenire armonioso della RDCongo esige un’economia dello sviluppo a vantaggio di tutti i Congolesi nel loro insieme. Bisogna dunque promuovere l’agricoltura, le infrastrutture, l’habitat, il trasporto e l’energia. Ciò richiede che si investa nella sanità, nell’alimentazione e, soprattutto, nell’educazione delle popolazioni, nei servizi sociali di base e nello sviluppo delle risorse umane.

Per un’economia al servizio dell’uomo congolese, è imperioso ricordare il contributo dei cittadini stessi. E’ per questo che invitiamo tutto il nostro popolo ad adempiere il dovere civico e costituzionale di pagare le tasse e le imposte che contribuiscono allo sviluppo del paese. Questo civismo fiscale si costruisce sulla base di una gestione trasparente delle finanze pubbliche al servizio delle popolazioni stesse. Chiediamo quindi allo Stato di mettere in atto delle strutture e dei meccanismi chiari che permettano di assicurare questa trasparenza.

Nel campo nevralgico della gestione delle risorse naturali, è urgente che lo stato congolese elabori un piano di gestione a lungo termine sulla base di una migliore conoscenza delle risorse e del loro valore.

Trattandosi del debito estero, l’esperienza dimostra che l’iniziativa PPTE (paesi poveri molto indebitati) è ben lontana dal costituire una soluzione miracolosa a questa grande sfida. Facciamo nostro l’appello del Papa Benedetto XVI° al G8 esigendo dalla comunità dei creditori della RDCongo “un annullamento immediato, completo e senza condizioni del debito estero”.

Bisogna inoltre ricollocare l’educazione al centro delle nostre priorità, perché una società senza scuola è una società senza avvenire. Il cinquantenario deve essere l’opportunità favorevole per inserire, nella legge finanziaria, nuovi impegni del Governo nei confronti dell’insegnamento. La chiesa esige che le conseguenze positive dell’annullamento annunciato del debito estero siano destinate prioritariamente a questo settore vitale della nazione. La chiesa non accetta le dimissioni dello Stato in questo campo. Questo sarebbe troppo. Il datore di lavoro degli insegnanti non sono i genitori, ma lo Stato”.

Lo stesso 24 giugno, i vescovi cattolici della RDCongo avevano inviato anche una lettera ai politici cattolici in occasione del cinquantenario dell’indipendenza del paese (1960-2010).

Ne riportiamo alcuni brani:

“Siamo rattristati dalla constatazione che non si è saputo gestire l’eredità dell’indipendenza.

Si è ceduto rapidamente alla tentazione di attribuire la responsabilità della cattiva gestione dello Stato agli interessi stranieri. Lo scopo inconfessato, ma certo, è di nascondere la vergognosa e tragica complicità dei dirigenti locali.

In cinquant’ anni di indipendenza, il Congolese ha finito per credere che non può fare nulla per il suo paese e che nemmeno il suo paese può fare qualcosa per lui. A forza di sentirlo ripetere, si è messo in testa che è incapace di creare, di inventare o di innovare. Questa perdita di fiducia in sé mina tutti gli sforzi per lo sviluppo. Il Congolese non sa più vedere le realizzazioni positive di cui deve essere fiero. Il cinquantenario è un momento favorevole per censirle e metterle in valore. Cosciente delle sue riuscite, riprenderà fiducia in sé, cesserà di sottovalutarsi, si mobiliterà e sarà pronto a sacrificarsi per la grandezza del Congo, il suo bel paese.

È vero che i colpi di stato, la dittatura, le guerre a ripetizione, la cattiva politica, la corruzione generalizzata e le fallaci promesse come modo di gestione della società hanno finito per eclissare tutto ciò che di buono e di bello il Paese ha potuto offrire in cinquant’anni di indipendenza. Ma, festeggiare un cinquantenario nella vita di un individuo, come in quella di un’istituzione o di un paese, è un’opportunità per porsi certe domande: Da dove veniamo? Dove siamo? Dove andiamo? Altrettante domande che meritano una risposta per evitare, nell’avvenire, poiché le stesse cause producono gli stessi effetti, di ricadere nei difetti del passato o di girare a vuoto. Queste domande prendono un’altra andatura quando si sa che questo giubileo d’oro coincide con l’organizzazione delle elezioni generali nel nostro Paese.

Impegnarsi in politica è impegnarsi a servire. In questo senso, la politica non può essere abbassata, in nessun caso, alla corsa agli onori e al denaro. Se no, diventa un tradimento permanente alla promozione del bene comune. In questa prospettiva, bisogna passare dalla politica dei doni alla politica del dono di sé; dalla politica al servizio dei propri interessi alla politica al servizio della Nazione, quella che, nella gestione della cosa pubblica, si preoccupa prima di tutto, in tutto e per tutto, del bene comune.

Occorre che i posti di responsabilità siano attribuiti alle persone sulla base del merito, della competenza e dell’esperienza; a persone disinteressate, decise a resistere alla corruzione, al nepotismo, al favoritismo e al clientelismo. I servizi di sicurezza dovranno proteggere la popolazione invece di vessarla.

Per fare uscire il nostro paese dalla miseria, è indispensabile lottare contro la corruzione e denunciare l’impunità e la concussione che la fomentano. Il male ha preso, purtroppo, una tale ampiezza che è diventato come uno stile di vita normale. La corruzione ha rivestito le forme del dono o dei regali. Per farsi eleggere, si rivaleggia in offrire doni e denaro. Come i mezzi personali non bastano, si attinge alla cassa dello Stato, si ritengono commissioni in contratti di mercato o si ricorre a finanziamenti stranieri. Quelli che vanno ad ascoltare un “leader” o un candidato, vi vanno non per le sue idee, le sue convinzioni o il suo ideale, ma perché hanno ricevuto o sperano di ricevere qualche cosa in ritorno. Quelli che sono stati eletti, spesso lo sono stati perché si sono mostrati più offerenti. Una volta in funzione, perpetuano le stesse pratiche. Al posto di rinforzare le Istituzioni e di renderle autonome, le rendono fragili, facendone delle mucche da mungere.

La politica del dono non ha mai sviluppato un popolo, soprattutto quando è il frutto della corruzione. Al contrario, essa provoca il mantenimento del povero nella sua situazione. Questi, infatti, finisce per pensare che non può fare nulla per sé stesso e che deve aspettare tutto dagli altri. La politica del dono fomenta anche la corruzione.

La lotta contro l’impunità, “tolleranza zero”, con lo scopo di arginare o di sradicare la corruzione a cui serve da supporto e da trampolino, sarà efficace solo se i cittadini arrivano a vivere del loro stesso lavoro. Occorre, quindi, un posto di lavoro per tutti e uno stipendio decente per ciascuno”.

3. UN CINQUANTESIMO DELL’INDIPENDENZA CELEBRATO NEL LUTTO

 Nella notte tra martedì 29 al mercoledì 30 giugno, Muhindo Salvator, attivista dei diritti dell’uomo e rappresentante dell’ONG di difesa dei diritti umano “Buon samaritano” è stato assassinato in casa sua a Kalunguta, a 20 chilometri dalla città di Beni, da uomini armati in tenuta militare. Il corpo della vittima è stato sepolto il mercoledì 30 giugno, data in cui si commemorava il “cinquantenario dell’indipendenza” del paese.

Secondo informazioni giunte alla sede dell’Ong “La Voce dei Senza Voce” (VSV), l’assassinio sarebbe legato al fatto che Salvator Muhindo si era unito ad altri difensori dei diritti umani che stavano organizzando delle campagne di boycott dei festeggiamenti del cinquantesimo anniversario dell’accesso della RDCongo all’indipendenza, come segno di una loro protesta contro l’assassinio di Floribert Chebeya Bahizire e la scomparsa di Fidèle Bazana Edadi nella notte tra il martedì 01 e il mercoledì 02 giugno 2010. Floribert Chebeya, direttore esecutivo dell’ONG La Voce dei senza voce, era stato assassinato quando si era recato all’ispezione generale della polizia per un appuntamento che non ha mai avuto luogo. Floribert Chebeya è stato inumato a Kinshasa il 28 giugno 2010. Fidèle Bazana, autista di Chebeya e anch’egli membro della VSV, risulta ancora scomparso.

Il 2 luglio, verso le 18H00 (16H00 GMT), un’autocisterna proveniente dalla Tanzania e trasportando circa 50.000 litri di benzina, si è rovesciata sulla banchina della strada che attraversa il centro della cittadina di Sange, situata a circa 70 km al sud di Bukavu, capoluogo della provincia del Sud-Kivu, non lontano dalla frontiera col Burundi. In seguito ad un’esplosione, si è sviluppato un incendio. Degli abitanti che stavano ricuperando della benzina che fuoriusciva dal camion e molte altre persone riunite in una sala per guardare il Mondiale di calcio, sono stati raggiunti dal fuoco e bruciati vivi.

“Una grande folla si era riunita per guardare la partita Brasile/Olanda appena finita e stava aspettando l’incontro Ghana/Uruguay”, racconta Tondo Sahizira, 28 anni, insegnante a Sange. “Un’autobotte che transitava sulla strada che attraversa il villaggio, si è rovesciata sulla banchina laterale. Benché ferito, l’autista ha potuto uscire dalla cabina e ha detto alle persone di allontanarsi, perché c’era il rischio di un’esplosione. Della benzina cominciava ad uscire dall’autocisterna e le persone, invece di fuggire, sono venute a ricuperare il carburante con secchi, bidoni e taniche. Dopo qualche minuto, c’è stata una grande esplosione che ha originato l’incendio”, precisa l’insegnante.

Secondo un testimone oculare, “un giovane ha riempito il serbatoio della sua moto e, quando l’ha rimessa in moto, la scintilla ha provocato l’incendio”. Secondo un altro testimone, “la benzina si è rapidamente sparsa nei cortili dove le donne avevano acceso il fuoco per preparare la cena ed è così che è esploso l’incendio”. Altri parlano di una sigaretta accesa. Quando si sa come sono costruite le case nei villaggi, la maggior parte coperte di paglia, il fuoco si è propagato molto rapidamente. La forza della deflagrazione ha raggiunto le case circostanti dove si erano raggruppati gli abitanti per seguire la partita della Coppa del Mondo.

Sulle cause probabili del rovesciamento dell’autobotte, si evoca un “eccesso di velocità”, uno scivolamento del camion nel canaletto laterale di scolo dovuto alla strettezza della strada o una sbandata del camion per evitare un veicolo mal parcheggiato.

L’ultimo bilancio ancora provvisorio è di 235 morti e 107 feriti.

4. UNA NOTA POSITIVA

Il 1° luglio, il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale hanno annunciato di avere confermato un accordo per la riduzione del debito estero della RDCongo. Secondo il FMI e la BM, la RDCongo ha raggiunto il punto di completamento che gli permetterà di accedere all’iniziativa PPTE (paesi poveri molto indebitati) ed usufruire di una riduzione del 90% del suo debito estero. Il debito annullato potrebbe dunque ammontare a 9 miliardi Usd su un totale di 13 miliardi Usd. Grazie a questa riduzione del debito, la RDCongo non dovrà più far fronte al pesante pagamento degli interessi del debito a cui era sottomessa finora. Ogni anno, infatti, la RDCongo doveva pagare 150 milioni di dollari (su un bilancio di 2 miliardi) solo per gli interessi di un “debito odioso” contratto al tempo di Mobutu. Le autorità affermano che tale quota sarà destinata, d’ora in poi, al “sociale”, cioè alla lotta contro la povertà, un obiettivo sostenuto dalle istituzioni finanziarie internazionali. Aspettando la cancellazione effettiva di questa parte del debito, il FMI e la BM consigliano al governo congolese di gestire il debito con prudenza, controllare l’inflazione e, dunque, le spese, spendere solamente ciò che c’è in cassa, migliorare l’amministrazione delle entrate, migliorare l’amministrazione, la trasparenza e lo stato di diritto nel settore minerario e petrolifero, per poter attirare gli investitori e i donatori stranieri.

5.   50 ANNI DOPO: LE CIFRE DELLA POVERTÀ

Secondo Jean-Jacques Wondo Omanyundu, la situazione socioeconomica e politica della RDCongo, 50 anni dopo la sua indipendenza, non solo provoca perplessità, ma in vari settori è regredita.

1. Il potere di acquisto medio di un Congolese è di circa 230 €, il più debole tra i 182 paesi membri dell’ONU. In Africa occidentale, il potere di acquisto medio per abitante è 10 volte superiore a quello della RDCongo, circa 2290€, mentre il potere di acquisto medio di un abitante del Terzo Mondo si avvicina ai 4000€. Il potere di acquisto di un belga è di circa 26.500 €. Dopo 50 anni di indipendenza, il potere di acquisto di un Congolese rappresenta così meno dell’1% di quello di un Belga.

2. L’educazione: la RDCongo si classifica al 161° posto. Il tasso di scolarizzazione nelle scuole elementari ha conosciuto una forte regressione: dal 92% nel 1972 al 64% nel 2002. Nelle secondarie, la percentuale di scolarizzazione è stimata al 29% nel 2001-2002 contro il 26% nel 1977-1978.

3. La crescita economica: l’inflazione annua rasenta il 17% e la crescita economica è del 6%. Ora per parlare di rilancio economico, bisognerebbe piuttosto invertire la tendenza, mantenendo l’inflazione annua al di sotto del tasso di crescita economica. Il rapporto Doing business 2010 classifica la RDCongo al 182° posto su 183 paesi. Nel 2010, si conta solo un centinaio di imprese europee sul suolo congolese, contro le 6000 nel 1960.

4. La sanità: la RDCongo dedica il 2,5% del suo PIL alle spese militari, ma appena l’1,1% alla sanità. Le inchieste retrospettive sulla mortalità hanno rivelato che circa 126 bambini su 1000 muoiono prima dell’età di un anno e 213 su 1000 muoiono prima dell’età di cinque anni. Anche la mortalità materna è molto elevata con 1289 decessi su 100.000 nascite viventi. La RDCongo è classificata al 178° posto su 182 paesi, per ciò che riguarda la speranza di vita che era di 47,6 anni nel 2007. In Africa subsahariana essa è di 51,5 anni. La popolazione congolese è estremamente giovane col 47% della popolazione che ha 15 anni o meno.

5. L’amministrazione: la Fondazione Mo Ibrahim “classifica la RDCongo al 47° posto su 48 paesi, con un punteggio globale di 29,8 su 100. In seno alla Comunità dell’Africa centrale, la RD Congo si classifica 10ª sui 10 paesi della regione. In seno alla Comunità di sviluppo dell’Africa australe, la RDCongo si classifica 16ª sui 16 paesi della regione”. Nel Rapporto mondiale sullo sviluppo umano 2009, il PNUD classifica la RDCongo al 176° posto, con un indicatore dello sviluppo umano (IDH) stimato a 0,389.

6. Democrazia e Stato di diritto: lo statuto della RDCongo è semplicemente quello di un “paese non libero.”

7. Accesso all’acqua potabile: nel 1990, il tasso di servizio aveva raggiunto, addirittura superato, il 70% della popolazione urbana. Fine 2008, il tasso di copertura è caduto al 35% in zona urbana, ossia 7,3 milioni su 21 milioni di residenti in città ed agglomerazioni urbane. Nel 2006, aveva accesso all’acqua potabile circa il 22,0% (il 12,0% in ambiente rurale e il 37,0% in ambiente urbano) della popolazione.

8. Accesso all’elettricità: Malgrado la loro potenza, le centrali di Inga non producono insieme che il 40,0% della loro capacità. Una buona parte di questa produzione è destinata all’esportazione, lasciando così la domanda locale insoddisfatta. Questa situazione fa che il tasso di accesso delle popolazioni all’elettricità sia dell’1,0% in ambiente rurale e del 30,0% nelle città. Sul piano nazionale è del 6,0%, mentre la media in Africa subsahariana è del 24,6%.

9. Situazione sociale: povertà urbana e habitat. L’81,0% delle famiglie hanno dichiarato di non essere soddisfatte del loro alloggio. Secondo le statistiche più ottimiste, il tasso di disoccupazione è dell’80%.

10. Pace e sicurezza: Nel Nord e Sud Kivu, sono ancora attive milizie di Rwanda e Uganda (FDLR e LRA). Da gennaio 2009, le truppe governative congolesi (FARDC), sostenute da Ruanda e MONUC, la missione dell’Onu in RDCongo, continuano le loro operazioni militari contro i ribelli Hutu ruandesi delle FDLR e altri gruppi armati, provocando una delle più gravi crisi umanitarie del mondo.

11. Conclusione.

Dopo questo oscuro quadro, il Cinquantenario dell’indipendenza della RDCongo, al di là dei simboli, deve interpellare tutti i Congolesi, tutto coloro che si considerano congolesi o amici del popolo congolese. Reinventare il Congo, è promuovere un pensiero e una visione che rimettano l’uomo congolese al centro della vita, al centro di tutto, un pensiero e una visione che assegnino alla politica, come suo fine, il benessere politico, economico, sociale e culturale di ogni Congolese e di tutti i Congolesi e non l’arricchimento personale dei singoli politici.

6. CINQUANT’ ANNI DI INDIPENDENZA, UNA PALMA SENZA FRUTTO

In una corrispondenza privata, Néhémie Bahizire, un abitante del Sud Kivu, condivide le sue riflessioni.

Il Congo-belga è stato dichiarato indipendente il 30 giugno 1960. In quella data, a Bukavu (Sud-Kivu), fu piantata una palma in “Piazza dell’Indipendenza”. Questa palma è invecchiata, ma non ha mai prodotto alcun frutto. Parimenti, l’indipendenza della RDCongo non ha mai prodotto alcun frutto, solamente miserie su miserie. La nostra riflessione si articola intorno ai sei seguenti punti: a) la politica e l’amministrazione pubblica; b) l’economia; c) l’educazione; d) la sanità; e) la sicurezza; f) l’eliminazione fisica e politica dei leader.

a) La politica e l’amministrazione pubblica.

E’ dal 1960 che i dirigenti politici congolesi governano come mercenari al servizio degli interessi dei loro sostenitori politici occidentali. Hanno privatizzato lo Stato e il suo apparato amministrativo e li hanno gestiti a loro profitto, in modo tale che l’amministrazione pubblica è diventata un mostro anarchico e caotico di cui nessuno conosce gli effettivi esatti, né sa controllare il funzionamento. Dopo l’indipendenza, i padroni bianchi del tempo della colonia sono stati sostituiti da padroni neri. Costoro continuano a riprodurre l’unico modello appreso dai dirigenti coloniali: quello del paternalismo, della dittatura e del dominio sul popolo. Hanno eretto la corruzione e l’impunità in sistema di governo e non sanno neanche come pagare gli stipendi dei funzionari, degli insegnanti e dei militari.

b) L’economia.

Tutto il tessuto economico del Sud-Kivu è stato distrutto e continua ad esserlo. Il 30 giugno 1960, nel Sud-Kivu esistevano centinaia di migliaia di ettari di piantagioni di cotone, caffè, tè, china, palme, alberi da frutto, riso, pyretra, ecc. C’erano anche riserie ed altre fabbriche di trasformazione di questi prodotti.

Oggi, tutte le piantagioni sono distrutte. Non esistono più che tre piccole industrie, fra cui due per la lavorazione del tè (Mbayu e Gombo) e una per la china (Pharmakina). Industria manifatturiera e tessile, vasellame e saponifici, produzione artigianale di caramelle, marmellate e biscotti, cementifici e zuccherifici, fanno oggi parte della storia. Le imprese statali tali: l’OCPT, il SNCC, l’INERA, ecc., non esistono più che di nome. La corrente elettrica fornita dalla SNEL è spesso interrotta, ciò che contribuisce a bloccare ogni iniziativa di attività locale.

I minerali del Sud-Kivu (cassiterite, oro, coltan, wolfram, tungsteno, ecc.) sono smerciati clandestinamente verso i Paesi limitrofi ed alimentano la guerra del Sud-Kivu. Camion pieni di minerali varcano le nostre frontiere senza alcun controllo.

In assenza di un’amministrazione pubblica efficace per inquadrare e orientare l’economia, nel Sud Kivu si è sviluppata una nuova classe di commercianti corrotti, immorali, privi di ogni cultura degli affari e pronti a vendere tutto, anche la loro nazione. Non esitano a complottare con l’aggressore del paese, trafficando illegalmente e clandestinamente armi e minerali. L’importante, per loro, è solo il denaro.

c) L’educazione.

Dal 1960, nessuna scuola (elementare, secondaria o superiore) è stata costruita dallo stato nel Sud-Kivu. Non esistono forniture scolastiche (libri, materiali didattici ecc.). Non si sono fatti lavori di mantenimento delle infrastrutture ereditate dalla colonia. I programmi scolastici sono imposti dall’esterno e cambiano continuamente secondo gli orientamenti dell’UNESCO. Non sono programmi concepiti in Congo. Sono i genitori che pagano gli insegnanti. Una percentuale di questa somma è destinata agli enti statali e così i nostri dirigenti politici percepiscono del denaro pagato dai genitori. L’educazione, nel Sud-Kivu come ovunque in Congo, non è più un’istituzione di formazione, ma è diventata un business mafioso.

d) La sanità.

Per ciò che riguarda la sanità, non è stato fatto nulla. Dal 1960, lo Stato non ha costruito nessun ospedale, nessun centro sanitario di zona, nemmeno un semplice dispensario.

e) La sicurezza.

La ragione d’essere di ogni Stato è di garantire la sicurezza, la protezione dei suoi cittadini e dei loro beni. Nel Sud-Kivu, dal 1960, la popolazione non conosce che orrori e paure, di cui gli ultimi episodi:

– Anno 1996: Rwanda, Burundi e Uganda aggrediscono il Sud-Kivu sotto copertura dell’AFDL di Laurent Désiré Kabila.

– Anno 1998: Rwanda, Burundi e Uganda aggrediscono il Sud-Kivu sotto copertura della ribellione del RCD.

– Anno 2004: la città di Bukavu è occupata dai Tutsi NKUNDA e MUTEBUSI: massacri, stupri, saccheggi e incendio del grande mercato della città.

– Le FDLR e le FRF, gruppi armati di origine ruandese presenti nel Sud-Kivu e Nord-Kivu, continuano a fare la guerra contro la popolazione autoctona del Sud-Kivu. Le operazioni militari Kimya 2 e Amani Léo sono rivolte più contro la popolazione del Sud-Kivu che contro le FDLR, come ufficialmente dichiarato.

f) L’eliminazione fisica e politica dei leader.

Alla guerra d’usura condotta contro il popolo del Sud-Kivu, si aggiunge l’eliminazione fisica e politica dei leader di questa provincia.

– Tra gli assassinati: Mons. Christophe MUNZIHIRWA, Dr. BYAMUNGU, Sig. KWAMISO, Pascal KABUNGULU, Serge MAHESHE, Didace NAMUJIMBO, Bruno CHIRAMBIZA, Faustin KAHEGESHE, Floribert CHEBEYA;

– Tra le morti strane: Faustin BIRINDWA, Charles MAGABE, Cimanuka NTAGAYANGABO, Dr. LURHUMA, Mons. Emmanuel KATALIKO, Pastor Erhamoba RUGAMIKA;

– L’estromissione dal Parlamento di dieci deputati nazionali del Sud-Kivu, mediante l’astuzia della loro nomina a ministri, seguita alcuni mesi dopo da un rimaneggiamento del governo quando avevano già perso la loro qualità di deputati. Le dimissioni forzate di Vital KAMERHE dalla presidenza del Parlamento, ecc.

g) Conclusione.

La vita di una persona del Sud-Kivu non ha nessuno valore agli occhi dei dirigenti politici. I massacri e gli omicidi che si commettono quotidianamente, questi dirigenti li chiamano effetti collaterali. Peggio ancora, questi dirigenti politici hanno istituzionalizzato la “ricompensa per crimini commessi”: militari e miliziani che hanno massacrato, violentato donne e bambine, rubato, saccheggiato, sequestrato persone sono “ricompensati” con incarichi politici, con posti nell’amministrazione e con nomine a ufficiali superiori dell’esercito e della polizia. Molti leader sono tentati dall’esca del guadagno immediato a spese del popolo stesso.

Ma, malgrado tutto, il popolo del Sud Kivu continua a resistere con tenacia e determinazione a questa guerra d’usura ingiustamente imposta.

7.    30 GIUGNO: LE CONTRADDIZIONI DI UNA CELEBRAZIONE

Secondo Mbusa Faustin, le seguenti parole: “… punire senza tergiversazioni gli attentati contro la vita e la dignità umana, lo stupro, il tribalismo, il regionalismo, … ” hanno costituito la sostanza del discorso del presidente Joseph Kabila, il 30 giugno a Kinshasa, viale della “libertà”, in occasione dei 50 anni di indipendenza della RDCongo, per la storia, ma per certi congolesi, sono stati 50 anni di ricolonizzazione. Come prova, il Congo utile, il Nord e Sud-Kivu e la Provincia Orientale sono territori occupati da forze armate straniere, ruandesi e ugandesi. A Kinshasa, negli ambienti del potere, ciascuno ha un ruandese, un ugandese o un libanese come suo protettore da cui riceve gli ordini. Sequestri e uccisioni dei difensori dei diritti dell’uomo e dei giornalisti, massacri, stupri, incendi di villaggi, spostamento forzato di popolazioni o la loro concentrazione in certi campi, come dei rifugiati nel loro proprio paese e ciò per lasciare il posto a dei “misteriosi rifugiati congolesi” di ritorno nel Kivu, provenienti dall’Uganda e dal Ruanda: questa è una parte del bilancio dei 50 anni di indipendenza della RDCongo.

Mentre l’insicurezza è il peso quotidiano delle popolazioni, Joseph Kabila ha osato parlare della “conservazione dell’integrità territoriale e dell’unità del paese, del ristabilimento della pace e della riconciliazione nazionale, dell’instaurazione della democrazia” come le grandi vittorie di questi ultimi cinquanta anni. Ma nessun Congolese serio e, soprattutto, se è del Kivu, può credere a queste belle parole che contraddicono la realtà. Su un’enorme striscione, si poteva addirittura leggere “il risveglio del gigante, la RDCongo, paradiso terrestre”. Si tratta piuttosto di un paese al limite dell’inferno, dove non c’è elettricità, né acqua corrente per tutti, nonostante che il paese abbia una delle più grandi dighe idroelettriche del mondo, la famosa diga di Inga, nella provincia del Bas-Congo. L’insufficienza della rete stradale è l’altro ostacolo allo sviluppo della RDCongo. In un paese di 2 345 000 km quadrati, ci sono meno di 5000 km di strade asfaltate e la parata militare del cinquantenario dell’indipendenza si è svolta su un tratto di un solo chilometro, asfaltato rapidamente poco prima per nascondere la miseria della città.

Il discorso del Presidente, buono per l’immagine esterna, non tranquillizza i Congolesi.

La soluzione dei grandi problemi è in grande parte nelle mani dei Congolesi stessi. Essi devono essere innanzitutto capaci di assumere la loro responsabilità in tutto ciò che succede loro. Perché tendono a credere che la colpa sia degli altri. Devono sapere che è la popolazione che detiene tutto il potere e non i militari che hanno fatto regnare sempre il terrore in RDCongo. Il cittadino congolese dovrà essere un giorno capace di interpellare il militare, facendogli sapere che la sua divisa e l’arma che porta sono state pagate con i soldi dei contribuenti e che, di conseguenza, egli è al servizio della sicurezza del cittadino e dell’interesse generale del Paese e che, infine, egli non ha alcun diritto di vita o di morte su di lui. Il cittadino congolese dovrà appropriarsi della sua storia, del suo territorio e delle sue ricchezze naturali e ritrovare la fierezza di appartenere a un grande paese.

Secondo un articolo di Le Monde, la celebrazione in pompa magna di questo giubileo, il mercoledì 30 giugno a Kinshasa, quattro giorni dopo le esequie di Floribert Chebeya, presidente di un’associazione per la difesa ei diritti umani, La Voce dei Senza-Voce, probabilmente strangolato su ordine o con la complicità delle autorità, ha rivestito un aspetto tragicamente grottesco. Il presidente congolese Joseph Kabila, chiedendo ai suoi concittadini di intraprendere una “rivoluzione morale” e di “punire senza tergiversazioni l’attentato alla vita e alla dignità umana”, il “favoritismo” e la “malversazione del denaro pubblico”, ha fatto l’elogio di tutte le virtù che egli, per primo, non pratica.

Nel 2006, le prime elezioni presidenziali libere dal tempo dell’indipendenza avevano suscitato immense speranze, dopo trentadue anni di dittatura Mobutu e dieci di guerre. Dopo quattro anni, questo paese di 70 milioni di abitanti è in preda ad un “declino del (suo) progetto democratico”, secondo l’eufemismo di Louise Arbour, presidente dell’organizzazione International Crisis Group. Lontano dall’aver ristabilito la sua autorità sull’insieme del territorio nazionale, lo Stato mostra tutta la sua debolezza di fronte alle milizie che continuano a terrorizzare l’est del paese. Kinshasa continua a chiudere gli occhi o, addirittura, a partecipare al saccheggio delle favolose risorse minerarie (cassiterite, coltan, oro, diamanti, petrolio, legname, …) firmando contratti con società straniere a vantaggio di una piccola elite politico-militare e a completo svantaggio dello Stato e della popolazione e mostrandosi incapace di istituire un sistema fiscale che possa contribuire al miglioramento dell’economia nazionale. Miracolo geologico, il Congo è tuttavia uno dei paesi più poveri del continente ed è classificato penultimo nella classifica della Banca mondiale per il suo pessimo “clima degli affari”.

Il tentativo di Kabila di “rivisitare” la giovane Costituzione per aumentare il numero e la durata dei mandati presidenziali getta altri dubbi sull’evoluzione del paese. La moltiplicazione delle vessazioni e degli omicidi perpetrati contro militanti dei diritti dell’uomo e giornalisti completa questo quadro detestabile. Minacce per SMS, aggressioni, arresti arbitrari, atti di tortura fanno parte delle violazioni dei diritti umani regolarmente denunciate da Amnesty International. Sono presi di mira dei militanti che denunciano la povertà o l’implicazione delle forze dell’ordine nell’estrazione mineraria e dei giornalisti di investigazione, di cui sei sono stati uccisi negli ultimi cinque anni.

Finanziatori vitali e primi beneficiari delle ricchezze del sottosuolo congolese, gli Stati occidentali, l’Unione Europea e gli Stati Uniti che hanno sostenuto l’elezione di Joseph Kabila, dovrebbero denunciare le derive del loro protetto e i responsabili del declino del paese.

8. IL 30 GIUGNO È DIVENTATO UNA TRISTE DATA

La data dell’accesso all’indipendenza ricorda a Simon Bokongo, medico congolese, che la RDCongo non è ancora quello stato democratico che essa desidera diventare. Bokongo ci dà un ritratto del paese.

Originario di Kisangani, all’est del paese, Simon Bokongo è presidente di un’ONG locale, Medici congolesi per la pace (ACP). Il 30 giugno, giorno del cinquantesimo anniversario dell’indipendenza, non parteciperà alle manifestazioni: non ha nessuna voglia di parteciparvi, vista l’evoluzione disastrosa del suo Paese dalla data dell’indipendenza in poi. “Per noi, il 30 giugno è diventato una triste data: l’indipendenza ha portato il benessere e l’arricchimento dei soli dignitari del potere, a scapito dell’intera popolazione che imputridisce nella miseria”, spiega Simon Bokongo.

“Siamo incapaci di gestire le nostre catastrofi umanitarie”.

Il quadro che descrive è cupo, la sua collera enorme. Da anni, Simon Bokongo tira il campanello d’allarme sulla situazione sanitaria catastrofica del suo paese che non dispone di nessun programma concreto per la sanità.

Egli afferma: “Nel settore della sanità, il governo contribuisce finanziariamente per il 5-10%, il 90% dei fondi provengono da organizzazioni straniere. Gli ospedali sono vetusti, il personale mal formato, le poche strutture sanitarie attrezzata e fornite di medicinali sono opera dei partner e non del governo. Siamo assolutamente incapaci di gestire le nostre catastrofi umanitarie, molteplici e permanenti. Mancano i medicinali di base, e se ci sono, sono contraffatti e sono importati senza un rigoroso controllo”.

“Le bici e le moto servono di ambulanza”.

Ineluttabilmente, l’AIDS e la malaria continuano a mettere in ginocchio il paese. Dall’inizio dei conflitti armati nel 1996, la situazione va di male in peggio. “I militari, nazionali e stranieri, hanno avuto dei comportamenti sessuali a rischio, particolarmente all’est del paese”, nota il medico, e l’aiuto finanziario non ha avuto gli effetti che ci si aspettava. “I fondi destinati alla lotta contro le epidemie vanno a finire nelle tasche di privati e solo una parte insignificante arriva ai beneficiari.”

Molte altre malattie assillano la popolazione. Simon Bokongo le enumera come una triste litania: colera, meningite, morbillo, malaria, tubercolosi, tripanosoma, malattia del sonno,… L’insalubrità e l’abbandono dei trattamenti peggiorano la situazione. Una gran parte dei Congolesi non ha sempre accesso alle cure a causa delle grandi distanze. “Il Congo è molto vasto, c’è un ospedale generale per territorio, e certi territori hanno le dimensioni di paesi europei, le strade non esistono più, le bici e le moto servono da ambulanze”.

“Un avvenire oscuro”.

A questa opprimente constatazione sanitaria si immischia lo “sconforto democratico” del paese. “Dopo 80 anni di colonizzazione belga, 4 anni di caos post-indipendenza, 32 anni di dittatura di Mobutu e 10 anni di guerra civile”, Simon Bokongo afferma: “È un Congo saccheggiato, spopolato e traumatizzato che è diventato indipendente. Il presidente attuale, Joseph Kabila, al potere dal 2001, è stato eletto democraticamente, ma l’insicurezza continua a regnare e nessuna delle sue promesse fatte durante la campagna elettorale è stata mantenuta”. Arresti, sequestri, omicidi politici, repressioni sono moneta corrente. “Attualmente, la RDC non è ancora un esempio di democratizzazione dell’Africa”, conclude Simon Bokongo.

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“Faremo regnare non la pace dei fucili e delle baionette, ma la pace dei cuori e delle buone volontà. E per tutto ciò, cari compatrioti, siate sicuri che potremo contare non solo sulle nostre enormi forze e sulle nostre immense ricchezze, ma sull’assistenza di numerosi paesi stranieri, di cui accetteremo la collaborazione ogni volta che sarà leale e che non cercherà di imporci una politica qualunque essa sia”.
(Dal discorso pronunciato davanti al parlamento il 30 giugno 1960 dal Primo ministro dell’epoca e figura emblematica della lotta per l’indipendenza, Patrice Lumumba)
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