Congo Attualità n. 107

SOMMARIO:

EDITORIALE
1. KIVU
2. ÉQUATEUR: L’ATTACCO DI MBANDAKA
3. UN MASSACRO PERPETRATO DAI RIBELLI LRA
4. ECONOMIA
5. VERSO IL RITIRO PROGRESSIVO DELLA MONUC DALLA RDCONGO

 

EDITORIALE

Le dichiarazioni ufficiali di tipo politico, economico e militari sono spesso molto pericolose, perché tentano quasi sempre di nascondere o, se non ci riescono, di manipolare la verità della realtà.

– L’attacco alla città di Mbandaka ha dimostrato che i disordini registrati nella provincia dell’Equateur da ottobre 2009 non derivano da una semplice diatriba tribale per il controllo di alcuni stagni riservati alla pesca, ma rivelano invece un profondo malessere nei confronti delle Istituzioni politiche, provinciali e nazionali, sfociato in una insurrezione condotta da militari ben esperti ed equipaggiati dell’ex regime mobutista, con l’implicazione di personalità politiche provinciali e nazionali e della diaspora congolese residente all’estero, particolarmente in Europa.

– Global Witness rivela che, contrariamente alla versione ufficiale, l’operazione militare Kimya II contro gli Hutu rwandesi delle Forze Democratiche di Liberazione del Rwanda (FDLR) ha permesso al Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo (CNDP), il movimento politico militare fondato da Laurent Nkunda, di procurarsi o di consolidare il suo accesso alle miniere abbandonate dalle FDLR. Il controllo delle miniere è stato trasferito, per così dire, da un gruppo armato ad un altro e, in tal modo, il commercio illegale delle risorse minerarie del Kivu continua sotto gli occhi di tutti, a scapito della popolazione locale che non ne ottiene alcun beneficio.

– Human Right Watch rivela il massacro di oltre 300 civili congolesi compiuto nel mese di dicembre dai ribelli ugandesi dell’Esercito di Resistenza del Signore (LRA), quando le autorità militari non facevano che ripetere che le LRA erano state sconfitte. Se fosse stato così, le LRA non avrebbero potuto compiere un massacro di tali dimensioni. Si sta facendo strada l’ipotesi che esista, al di là delle dichiarazioni ufficiali, un’alleanza tra il presidente dell’Uganda, Joweri Museveni e il capo ribelle Joseph Kony, per l’occupazione della Provincia Orientale ricca di oro e petrolio.

– Se da un lato si intensificano le iniziative per l’annullamento del debito estero della RDCongo, dall’altro sorgono nuove società il cui obiettivo è quello di comprare a basso prezzo delle aliquote del debito estero, per poi esigerne, mediante sentenze giudiziarie di tribunali compiacenti, il rimborso del totale della somma iniziale con l’aggiunta degli interessi retroattivi, di penalità varie dovute al ritardo e delle spese giudiziarie. Con una mano si concede, ma con l’altra si continua a speculare e a rubare in tutta legalità.

– Come tentativo di superamento del conflitto, si propone una collaborazione economica tra i vari Paesi in conflitto, mediante la realizzazione di progetti di sviluppo comuni. Ma sicuramente, dietro tali progetti si nascondono gli interessi dei Paesi industrializzati e delle multinazionali corrispondenti in cerca di materie prime, quali la cassiterite, il coltan, il legname e il petrolio.

A proposito di petrolio,sono già molte le società petrolifere, soprattutto anglosassoni, alla ricerca dell’oro nero anche nella Regione dei Grandi Laghi Africani. Forse si sta già pensando alla costruzione di un lungo oleodotto che convoglierebbe il petrolio prodotto in tale regione verso le coste orientali dell’Africa (Tanzania e Kenia). Altro che progetti di collaborazione economica per la pace, come l’americano Cohen e il presidente francese Sarkozy tentano di far credere all’opinione africana e internazionale. Si tratta piuttosto della ricerca di fonti supplementari di petrolio, per far fronte ad un probabile e prossimo esaurimento delle fonti attuali.

1. KIVU

Il 10 marzo, durante una conferenza stampa a Goma, il comandante militare della Monuc, il generale Babacar Gaye e quello dell’operazione Amani Léo condotta nel Nord e Sud Kivu, il generale Hamuli Bahigwa, hanno annunciato il bilancio delle operazioni Amani Léo dal 1° gennaio 2010 al 7 marzo: 271 FDLR neutralizzati, di cui 175 nel Sud-Kivu e 96 nel Nord-Kivu, 135 loro familiari consegnati alla Monuc per rimpatrio e 180 armi ricuperate.

L’11 marzo, dopo quattro settimane di ricerche nella regione, Annie Dunnebacke, di Global Witness (GW), ha dichiarato che “le offensive molto pubblicizzate tramite i mass media, condotte l’anno scorso contro gli hutu ruandesi delle Forze Democratiche di Liberazione del Ruanda (FDLR) e denominate Kimya II, hanno permesso ad alti esponenti del Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo (CNDP), il movimento politico militare fondato da Laurent Nkunda, di procurarsi o di consolidare il loro accesso ad importanti giacimenti minerari. Il controllo delle miniere è stato trasferito, per così dire, da un gruppo armato ad un altro. La principale differenza che è che i nuovi padroni portano l’uniforme dell’esercito nazionale”.

Gli ex ribelli del CNDP, entrati nell’esercito nazionale in seguito ad un caotico processo di integrazione nel 2009, hanno approfittato delle offensive militari governative sostenute dall’ONU e intraprese per allontanare le milizie delle FDLR dai siti minerari lucrativi, per incrementare attività mafiose di racket in certe delle zone di estrazione di stagno e di tantalio. Hanno così acquistato un controllo ben più importante delle zone minerarie di quello che avevano nel periodo della ribellione e hanno in vari casi hanno pure conservato le loro vecchie strutture di comando e la loro struttura politica.

In certe zone del Nord-Kivu, comandanti del CNDP gestiscono un’amministrazione parallela – per così dire uno stato nello Stato – mediante cui prelevano, in tutta illegalità, delle tasse sul commercio dei minerali e di altre merci. La maggior parte di questi fondi è inviata direttamente agli ufficiali superiori del CNDP e ad altri alti esponenti dell’esercito nazionale. In tali zone, il governo centrale non esercita praticamente nessuna autorità.

Emilie Serralta, di GW, ha affermato che, “se continuano ad impossessarsi delle rendite minerarie, gli ex ribelli avrebbero i mezzi finanziari per riarmarsi qualora constatassero che la pace non sarà più loro conveniente. La situazione è tanto più pericolosa se si considera la vecchia abitudine di ex comandanti di ricorrere alla ribellione quando non riescono ad ottenere ciò che vogliono”.

Global Witness invita il governo congolese a ritirare immediatamente tutte le unità militari dai siti minerari, in vista di una smilitarizzazione radicale del settore, escludendo i militari dalle miniere e dal commercio dei minerali.

Global Witness ha anche constatato che certe imprese dell’est della RDCongo e del Ruanda continuano ad acquistare delle merci direttamente da siti militarizzati.

I carichi di cassiterite e di tantalio continuano ad essere esportati illegalmente attraversi il vicino Ruanda, senza che nessuno faccia qualcosa per impedirlo, a cominciare dal governo centrale di Kinshasa che, sembra, chiude gli occhi in cambio del mantenimento di una pace precaria nei due Kivu.

A proposito della tracciabilità di origine dei minerali, Annie Dunnebacke precisa: “Non basta che le imprese si fidino delle promesse verbali o dei documenti compilati dai loro fornitori. Se vogliono evitare di essere complici del conflitto e delle violazioni dei diritti dell’uomo, devono fare delle inchieste per sapere esattamente da quali miniere proviene la merce e a chi beneficia il commercio. L’informazione su chi controlla questa o quella miniera è di dominio pubblico e le imprese che acquistano minerali nelle zone militarizzate non possono dire di non saperlo”.

Le recenti risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU hanno esortato i governi a prendere delle misure adeguate contro quelle entità che si riforniscono in minerali presso i gruppi armati dell’est della RDCongo, ma gli Stati membri continuano a non chiedere nessun conto alle imprese che, con sede nella loro giurisdizione, acquistano minerali provenienti da zone di conflitto e, per l’istante, non hanno ancora sottomesso nessuna società e nessun individuo alle sanzioni dell’ONU, malgrado le ampie prove pubblicate dal Gruppo di esperti dell’ONU e da varie Ong, fra cui Global Witness.

2. ÉQUATEUR: L’ATTACCO DI MBANDAKA

Il 1° aprile, 59 deputati dell’assemblea provinciale dell’Equateur sui 103 membri di tale istituzione hanno eletto un nuovo comitato di questo organo. Questi deputati appartenenti al gruppo detto “del cambiamento” sono riusciti ad entrare nella sala delle riunione dopo aver forzato le serrature della porta. Per la circostanza, è stato scelto un comitato elettorale diretto dal deputato Léon Bruno Likoku. Seduta stante, sono state presentate due candidature, quella di Kiliyo Sito del MLC, un deputato di Gemena, come presidente e quella di Richard Mboyo Iluta del CTC, deputato di Boende, come vicepresidente. Dopo due brevi allocuzioni dei candidati, si è passati al voto. Conseguentemente, il nuovo comitato rimane dunque diretto da Kiliyo Sito come presidente e da Richard Mboyo Iluta come vicepresidente. Il presidente dimesso, Paul Edmond Mondombo Kanzo giudica illegale questo passo e lo consideri un vero colpo di stato.

Il 3 aprile, in una conferenza stampa, Edmond Mondombo, presidente dell’assemblea provinciale dell’Equateur ha deplorato e condannato il comportamento dei deputati provinciali detti del cambiamento. Paul Edmond Mondombo stima che l’elezione di un nuovo comitato di questa istituzione è nulla e di nessuno effetto, perché non conforme ai testi legali e al regolamento. Edmond Mondombo ha sottolineato che conformemente alle disposizioni legali, è solo il presidente dell’assemblea provinciale che convoca e presiede le plenarie. Immediatamente dopo tale dichiarazione e in assenza del presidente dell’assemblea provinciale, i deputati detti del cambiamento che si aspettavano una seduta di passaggio delle funzioni tra il comitato Mondombo e quello appena eletto, hanno, ancora una volta, forzato le porte e occupato gli uffici del presidente e del suo vicepresidente.

Il 4 aprile, la città di Mbandaka, capoluogo della provincia dell’Equateur, in seguito ad un attacco sorpresa, è caduta sotto il controllo degli insorti Enyele che hanno preso l’aeroporto della città, la sede del governorato, la residenza del governatore di provincia e la sede dell’assemblea provinciale dei deputati.

Gli Insorti Enyele hanno cominciato la loro insurrezione alla fine di ottobre scorso nella località di Dongo, poi di Buburu nel distretto del Sud-Ubangi. Un mese fa, si erano impossessati, durante alcuni giorni, della località di Makanza, situata a 200 km da Mbandaka. Respinti dalle Forze armate regolari (FARDC), avevano promesso di prendere Mbandaka. Il 5 aprile, il ministro degli Affari fondiari, Maj Kisimba, portavoce ad interim del governo, ha dichiarato che “gli insorti sono stati respinti e la città e l’aeroporto di Mbandaka sono sotto controllo delle forze regolari sostenute dalla Monuc”. Tuttavia, secondo le ultime notizie provenienti da Mbandaka, i ribelli Enyele si propongono ora di scendere fino a Kinshasa, dove alcuni di loro si sarebbero già infiltrati.

I disordini dei mesi anteriori erano stati presentati come rivalità tra tribù, per il controllo di stagni riservati alla pesca.

In realtà, ora appare che gli Enyele, comportandosi come combattenti agguerriti e disponendo di vari nascondigli di armi, hanno nelle loro file degli ex militari mobutisti e stanno iniziando una vera insurrezione contro il potere di Kinshasa.

Nella provincia dell’Equateur, si è infatti diffuso un malessere evidente, da quando il governatore Makila, proveniente dal Movimento per la liberazione del Congo (MLC) di Jean-Pierre Bemba, è stato dimesso per corruzione e sostituito da Jean-Claude Baende, appartenente alla maggioranza presidenziale. Tale misura ha scontentato gli abitanti della provincia che avevano votato per Jean-Pierre Bemba e e fra cui molti sono rimasti fedeli al regime Mobutu. Ciò fa pensare che tra gli insorti che hanno attaccato Mbandaka, se senza dubbio c’erano dei membri della tribù Enyele, sicuramente c’erano anche dei sostenitori di Jean-Pierre Bemba e degli ex membri della Divisione speciale presidenziale (DSP), la guardia personale del defunto presidente Mobutu.

Questa volontà di rivincita degli ex mobutisti è forse in relazione con la preoccupazione dell’opposizione che teme un rimando delle elezioni previste per il 2011 e una modifica della Costituzione del 2006.

Nessuno si azzarda più a rievocare una rivolta puramente locale: è piuttosto una insurrezione armata che usufruisce di appoggi interni (sostenitori di Bemba ed ex mobutisti) ed esterni in paesi vicini, il Congo Brazzaville e la Repubblica Centrafricana (dove si sono ripiegati alcuni ex membri della DSP), ma anche in Europa, in Gran Bretagna, nel Lussemburgo e in Belgio (dove risiederebbero varie comunità della diaspora congolese. Gli attacchi su Mbandaka sarebbero così da mettere in rapporto con progetti di destabilizzazione del regime preparati da oppositori membri dell’ex regime mobutista a partire dall’Europa .

Bisogna sottolineare anche che questo attacco su Mbandaka, sventato grazie all’appoggio della MONUC, dimostri, se cen’era ancora bisogno, che la richiesta di ritiro dei Caschi blu, formulati dalle autorità congolesi, è forse ancora prematura.

Una fonte che ha richiesto l’anonimato afferma che, “contrariamente alle dichiarazioni trionfaliste del governo di Kinshasa, la situazione resta ancora incerta. Un nuovo attacco alla città di Mbandaka non è ancora da escludere”. Un simpatizzante dei “Patrioti Resistenti Congolesi” (PARECO), raggiunto per telefono in una città di un paese africano, conferma: “I nostri combattenti non hanno lasciato la città. Si sono semplicemente ritirati e restano nei pressi dell’aeroporto… “. Ma chi sono gli assalitori? Secondo la fonte, il “commando” che ha attaccato Mbandaka non è composto unicamente da ex smobilitati del MLC. “Il nucleo del movimento, dice, è composto da combattenti di élite provenienti dalle Forze Armate Zairesi. A questo nucleo, si sono aggiunti altri militari “delusi” dal modo di condurre gli affari pubblici e della sicurezza da parte del presidente Joseph Kabila e dei suoi più stretti collaboratori”. Kabila ha, infatti, fatto dispiegare, nella provincia dell’Equateur, vari battaglioni di militari appartenenti al CNDP (Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo) . “Sappiamo che, dietro l’etichetta del CNDP, fa notare un ufficiale ex-Faz, ci sono dei militari dell’esercito regolare del Ruanda. Molti di loro sono caduti durante i combattimenti. Non devono immischiarsi nei nostri problemi”. Quale è l’obiettivo finale? La risposta è precisa: “Kinshasa è l’obiettivo finale”. Notiamo che dei tiri di arme automatiche sono stati sentiti, domenica, al Beach Ngobila, a Kinshasa. “Sono dei membri della guardia personale di Kabila che sparavano in alto”, spiega la fonte.

Il 9 aprile, il ministro congolese della Comunicazione e portavoce del governo, Lambert Mende, durante una conferenza stampa a Kinshasa., ha dichiarato che gli insorti, autori dell’attacco-sorpresa di Mbandaka, fanno parte di un gruppo denominato “Esercito Nzobo ya Lombo” (NDLR: banditi di villaggio). Dicono di appartenere al Movimento di Liberazione indipendente degli Alleati, il cui presidente è Ibrahim Mangbama e il capo militare è Undjani, figlio di Ibrahim. I nomi di questi individui erano già stati citati all’inizio dell’insurrezione di Dongo nell’ottobre 2009.

Gli assalitori sono appoggiati da ex militari della DSP, la guardia del corpo dell’ex presidente Mobutu, da elementi delle ex Forze Armate Zairesi, della DPP, la guardia del corpo dell’ex vicepresidente Jean-Pierre Bemba, detenuto attualmente presso la Corte Penale Internazionale e da alcuni ex militari smobilitati. Senza citarli per nome, Lambert Mende ha rivelato la complicità di due deputati provinciali e di deputati nazionali. Il bilancio, secondo il ministro, è di 7 soldati FARDC, 3 agenti di polizia e 2 civili uccisi; tra gli assalitori, 21 sono stati uccisi, fra cui 3 per linciaggio e 38 catturati. Il ministro ha confermato anche che la Monuc ha perso 3 suoi membri.

3. UN MASSACRO PERPETRATO DAI RIBELLI LRA

Il 27 marzo, l’organizzazione per la difesa dei diritti dell’uomo Human Rights Watch (HRW) presenta in un suo rapporto il massacro di oltre 321 civili, “pianificato” dai ribelli ugandesi dell’Esercito di Resistenza del Signore (LRA) e compiuto a metà dicembre 2009.

“Durante un’operazione ben pianificata” compiuta tra il 14 e il 17 dicembre in una decina di villaggi della regione di Makombo, nel distretto dell’Alto Uélé (nord-est), “il LRA ha ucciso più di 321 civili e sequestrato oltre 250 persone, fra cui almeno 80 bambini”, rivela il documento di 67 pagine e intitolato “La strada della morte: atrocità commesse dal LRA nel nord-est del Congo” .

“La grande maggioranza delle vittime erano degli uomini adulti che sono stati incatenati, poi uccisi a colpi di machete o di ascie o di grossi bastoni”, scrive HRW dopo una missione di ricerca condotta nella regione nel mese di febbraio scorso.

Secondo Human Rights Watch, i ribelli erano tra i 25 e i 40 circa e l’obiettivo dell’operazione era quello di uccidere, sequestrare e saccheggiare.

Secondo l’inchiesta, “tra le vittime figurano almeno 13 donne e 23 bambini, fra cui una bambina di 3 anni, bruciata viva”.

In ogni villaggio attaccato, i ribelli LRA si sono presentati come soldati dell’esercito congolese e ugandese in pattuglia, rassicurando le persone e dicendo loro di non avere paura, ma, una volta che le persone si sono trovate radunate in un certo luogo, hanno catturato le loro vittime e le hanno legati”.

Il rapporto afferma che “i ribelli hanno particolarmente cercato i luoghi in cui gli abitanti si radunano con maggiore frequenza, come i mercati, le chiese, le fonti d’acqua e le scuole, ciò che indica che uno dei loro obiettivi era quello di sequestrare dei bambini. Le persone sequestrate, fra cui numerosi bambini di 10-15 anni, sono stati legati con corde o filo metallico, formando spesso delle catene umane di 5-15 persone e sono stati costretti a portare le cose che i ribelli avevano appena saccheggiato. Ogni persona che rifiutava, o camminava troppo lentamente o tentava di fuggire è stata uccisa. Alcuni bambini catturati sono stati costretti ad uccidere altri bambini che avevano disubbidito agli ordini dei ribelli. Alcune persone che sono riuscite a scappare hanno parlato della estrema brutalità del gruppo”.

Né l’esercito ugandese che è ancora presente nella zona, né l’esercito congolese hanno parlato di questo massacro, sebbene ne abbiano avuto delle notizie.

“Questi quattro giorni di atrocità dimostrano che il LRA resta ancora una grave minaccia per i civili e non un gruppo indebolito, come lo affermano i governi ugandesi e congolesi”, spiega Human Rights Watch in un comunicato ricevuto a Kinshasa.

HRW lamenta peraltro l’inerzia dimostrata dopo l’attacco dalla Missione dell’ONU in RDC (Monuc) – che dispone di un migliaio di soldati in quella regione -, e chiede una “strategia regionale globale” che implichi la RDCongo, la Rep. Centrafricana, il Sud-Sudan e l’Uganda per lottare contro i ribelli LRA. In una serie di raccomandazioni, HRW invita gli Stati Uniti a sostenere l’organizzazione di una “conferenza internazionale” per rispondere alla minaccia del LRA e ad “adottare la legge relativa al disarmo del LRA”.

La ribellione del LRA, attiva dal 1988 nel nord dell’Uganda, è reputata di essere una delle più brutali al mondo. Dal 2005, i suoi combattenti si sono installati nell’estremo nord-est della RDCongo, ma anche in Rep. Centrafricana e nel Sud-Sudan.

Il 29 marzo, l’esercito ugandese ha reagito con scetticismo al rapporto di Human Rights Watch (HRW). “Dubito di queste cifre”, ha dichiarato il portavoce dell’esercito ugandese, il tenente-colonnello Félix Kulayigye.

L’esercito ugandese si è detto “pronto” ad intervenire di nuovo nel nord-est della RDCongo per neutralizzare i ribelli ugandesi del LRA, se le autorità congolesi “lo chiedono”. “Se ci si chiedesse di ritornare in RDCongo per aiutare a risolvere definitivamente questo problema, l’UPDF (l’esercito ugandese) accetterebbe”, ha precisato il tenente-colonnello Félix Kulayigye.

Tra dicembre 2008 e marzo 2009, con l’accordo delle autorità congolesi, l’esercito ugandese aveva lanciato un’offensiva sorpresa contro il LRA, nel parco del Garamba, nell’estremo nord-est della RDCongo. Tuttavia, l’operazione non era riuscita né a catturare il capo ribelle Joseph Kony, né a neutralizzare il gruppo armato.

Il comandante della 9ª regione militare delle FARDC, nella Provincia Orientale, il generale di brigata Jean Claude Kifwa, stima che il grande massacro rievocato da HRW non è mai avvenuto. Egli afferma che in quel periodo le FARDC erano già dispiegate a Niangara per l’attacco ai ribelli LRA e che quindi era impossibile che ciò succedesse. Riconosce però che c’è insicurezza a Niangara.

Il ministro congolese della Giustizia e diritti umani ferma esplicitamente: “Non c’è stato nessun massacro in dicembre 2009 a Makombo”. Il ministro Luzolo Bambi si basa sul rapporto del governatore della Provincia Orientale, secondo cui non più di 25 persone sono state uccise in occasione del passaggio di alcuni elementi incontrollati del LRA nella località di Makombo. Il ministro ha affermato che, in seguito al rapporto trasmessogli dal governatore della provincia, il Governo aveva preso delle misure supplementari per la sicurezza degli abitanti e che, da allora, la località è sotto controllo delle FARDC.

Varie fonti locali sono unanimi nel riconoscere che a Makombo c’è stato un vero massacro. Tra esse, dei preti cattolici di Niangara, la società civile locale, dei superstiti del massacro stesso e dei deputati provinciali. Secondo le loro testimonianze, nel dicembre 2009, il LRA aveva attaccato Makombo e le vicine località di Tapili e Mabanga, nel territorio di Niangara. Il massacro è cominciato nel villaggio di Makombo in un giorno di mercato ed è proseguito in tutti i villaggi circostanti per tre, quattro giorni. Un prete dichiara di avere visto più di centocinquanta corpi, senza contare quelli che erano dispersi in foresta. In quel periodo, le FARDC non erano ancora state dispiegate in quella zona, ha affermato il prete. La società civile locale si dice sdegnata di sentire gli ufficiali congolesi minimizzare le cifre del massacro e sottovalutare così il loro dramma. Secondo essa, lo stato cerca di sottrarsi alla sua responsabilità di proteggere le persone e i loro beni.

L’ampiezza del massacro è stata tuttavia confermata dalla divisione dei diritti dell’uomo della Missione dell’ONU in RDC (Monuc), secondo cui sono state uccise almeno 290 persone e sequestrate altre 150.

Ci si può chiedere perché le autorità politiche e militari ugandesi e congolesi si ostinino a negare i fatti e perché la Comunità Internazionale, rappresentata dalle agenzie dell’Onu, abbia aspettato tanto prima di denunciare tali massacri. Il perché forse si trova nella scoperta dell’alleanza Museveni-Joseph KONY per l’occupazione della Provincia Orientale.

Secondo un’esperta americana in Politica della Regione dei Grandi Laghi, Tatiana Carayannis , il gioco di Yoweri Museveni e Joseph KONY é stato scoperto dagli istruttori militari americani alcuni giorni prima del massacro di Natale 2008,sempre nella Provincia Orientale.

Invitata il 24 febbraio 2010 dal Caucus Africain di John F. Kennedy School of Government dell’università di Harvard, Boston, MA (USA), come membro del Gruppo di lavoro sulla RDCongo, sul tema: “il conflitto più cruento dalla Seconda Guerra Mondiale e il suo impatto sugli USA”, Tatiana Carayannis a rivelato un’informazione che già circolerebbe nei corridoi dell’ONU e della Casa Bianca.

Secondo Tatiana Carayannis, dei tecnici militari americani che avevano partecipato all’operazione di cattura di Joseph Kony avrebbero sospettato una complicità tra Yoweri Museveni e Joseph KONY. Infatti, quando tutto era pronto per iniziare l’operazione della cattura di Joseph KONY, l’esercito ugandese avrebbe inviato un emissario a Joseph Kony per chiedergli di scappare. Il giorno dell’operazione, l’unità speciale ugandese appoggiata dai militari americani non aveva infatti trovato nessuno al QG del LRA. Il gruppo ribelle si era scisso, alla vigilia dell’operazione, in tre gruppi fuggiti in tre diverse direzioni. La fuga di informazioni militari avrebbe trasformato l’operazione “Colpo di tuono” di dicembre 2008 in una semplice esplosione di petardi. I tecnici americani avrebbero quindi dedotto che il regime di Museveni stava collaborando con il gruppo ribelle LRA per il controllo della Provincia Orientale.

Anche attualmente, per mantenere l’esercito ugandese in RDCongo, Museveni offre la sua collaborazione per neutralizzare il suo amico Joseph KONY e propone di nuovo un ulteriore intervento militare nella Provincia Orientale della RDCongo per proteggervi i suoi interessi e alleati.

Nella loro fuga, Joseph KONY e il suo gruppo hanno continuato a massacrare dei civili congolesi e ciò fino ai nostri giorni. Sono esattamente come le FDLR nel Kivu che sopravvivono a tutte le operazioni militari congiunte Ruanda-MONUC-RDC per proseguire il massacro dei civili congolesi. Infatti, le operazioni militari con la partecipazione diretta degli eserciti del Ruanda e dell’Uganda, reputati più forti dell’esercito congolese vilipeso come indisciplinato e non motivato, non hanno fatto che incitare le FDLR e gli LRA a commettere un maggior numero di crimini contro i civili congolesi.

L’11 marzo scorso, al senato americano è stata presentata una legge per chiedere che l’esercito americano intervenga in RDCongo per catturare Joseph KONY e neutralizzare i ribelli LRA. In tal caso, si potrebbe assistere ad un intervento americano in RDCongo simile a quello che aveva messo fine al mandato dell’ONUC e alle varie ribellioni e secessioni degli anni 1960. La presentazione al senato americano di questa legge esprime un interesse per i massacri attribuiti al LRA nella Provincia Orientale della RDCongo.

Per coloro che pensano che gli USA continueranno a sostenere Museveni nel suo tentativo di occupazione della Provincia Orientale attraverso i ribelli LRA, l’interesse per i massacri di dicembre 2009 e 2008 preparerebbe la strada per una ulteriore operazione militare nella Provincia Orientale all’esercito ugandese che, come l’esercito ruandese, entrerebbe ufficialmente in RDCongo con un mandato internazionale per poi rimanervi con il sotterfugio di un’integrazione nelle Fardc.

Secondo i sostenitori dell’effetto Obama sul conflitto congolese, le forze vive congolesi e il governo congolese dovrebbero fare pressione sul senato americano affinché approvi una legge non solo in favore della neutralizzazione del LRA ma anche delle milizie del CNDP e delle FDLR, per poter mettere fine alle innumerevoli operazioni militari congiunte RDC-Ruanda-Uganda-MONUC.

Tutto dipenderà dal modo in cui il governo congolese e la classe politica congolese nel suo insieme faranno prevalere l’interesse superiore della nazione sui loro interessi egoisti nel fare pressione sull’amministrazione di Barack Obama per pacificare il Paese. Nel caso contrario, non ci si potrebbe sorprendere che gli USA mantengano Kagame e Museveni in Congo per salvaguardare gli interessi americani in RDCongo. I Congolesi devono dunque approfittare della scoperta, da parte dell’opinione internazionale, della menzogna di Museveni nella Provincia orientale e di quella di Kagame nel Kivu per riprendere in mano il volante della RDCongo.

4. ECONOMIA

A proposito dei meccanismi di certificazione dei prodotti minerari, il ministro delle Miniere, Martin Kabwelulu, ha affermato che si tratta dapprima della “certificazione della produzione mineraria e dei siti minerari identificati e conosciuti. Si dovrà sapere ogni giorno la quantità di produzione e chi l’ha prodotta. Dai siti di produzione artigianale e prima di arrivare all’entità di trattamento, il prodotto dovrà transitare per i centri di commercio. Questi centri di commercio saranno un passaggio obbligatorio per tutti i prodotti minerari prima di arrivare all’entità di trattamento. È in questi centri che saranno pagato le tasse. È in questi centri che si identificherà la provenienza del prodotto e la sua destinazione, l’entità di trattamento a cui sarà inviato il prodotto, la modalità di trattamento e il paese in cui sarà esportato. Il servizio che si occuperà di fare questo lavoro sarà il CEEC (Centro di perizia, valutazione e autenticazione delle materie semipreziose e preziose) che è proprio l’organismo di certificazione”. Secondo il ministro, attualmente dal 60 al 70 per cento della produzione mineraria passa la frontiera in modo fraudolento.

Il 10 febbraio, la corte d’appello della Regione amministrativa speciale di Hong Kong, con parere favorevole di due giudici su tre, ha concesso alla società americana FG Hemisphere “fondo avvoltoio” il diritto di farsi rimborsare dalla RDCongo un credito, prelevando la quantità di denaro corrispondente al debito dal “fondo” (diritto pagato da un acquirente di un giacimento) di 350 milioni di dollari stanziati dall’impresa statale China Railway in favore della Gécamines, una società mineraria congolese, ciò che inciderà sul bilancio di quest’ultima e sul bilancio 2010 dello stato.

FG Hemisphere, un “fondo avvoltoio” americano, aveva comprato un debito della Snel, società elettrica congolese, contratto negli anni 80 con la ditta iugoslava Energoinvest, oggi serba, di un importo iniziale di 37 milioni di dollari. Avendo perso la speranza di farsi rimborsare, nel 2004 Energoinvest aveva venduto, a basso prezzo, questo debito a FG Hemisphere che richiede oggi alla RDCongo, secondo il “Financial Time”, più di 100 milioni di dollari, per il valore nominale del debito accresciuto delle spese e multe varie.

Nel 2009, FG Hemisphere aveva già ottenuto da un tribunale sud-africano il pignoramento delle rendite destinate alla Snel (società nazionale di elettricità) durante 15 anni per la corrente venduta dall’impresa congolese al Sud Africa, corrispondenti a 105 milioni di dollari. Il tribunale sud-africano concludeva in tal modo una procedura iniziata davanti ad un tribunale americano del distretto di Columbia (Washington) presso cui la parte congolese aveva perso la causa nel 2007, perché dopo 13 mesi non si era ancora presentata davanti alla giustizia .

I “fondi avvoltoi” sono dei fondi speculativi di investimento, delle imprese private, generalmente anglosassoni, che comprano a basso prezzo dei debiti di imprese in difficoltà o di paesi in via di sviluppo che hanno accumulato un certo ritardo nel pagamento dei loro debiti. Successivamente citano in giustizia gli ignari debitori, per richiedere loro il pagamento del debito nominale, aumentato degli interessi, delle spese processuali e di varie penalità.

Se, per esempio, un paese X ha un debito di 100 dollari con una banca e se la perizia finanziaria dimostra che non c’è che il 20% delle possibilità che abbia i mezzi per rimborsarlo, il debito non vale più in realtà 100 dollari, ma 20. La banca può decidere allora di vendere questo credito ad un fondo la cui attività principale consiste in esigere per via giudiziaria il rimborso da parte del paese X, richiedendo il valore teorico del debito che, sulla carta, è sempre di 100 dollari, più gli interessi ed altre penalità per il ritardo. Giuridicamente, questi “fondi” possono fare pignorare i beni che appartengono a questo paese, a costo di strangolarlo finanziariamente.

Queste pratiche sono state denunciate da diverse Ongs come Coordinamento Sud, il Comitato per l’annullamento del debito del Terzo Mondo (CADTM), la Campagna Giubilare contro il debito estero…

Per evitare gli abusi, occorrerebbe una legislazione appropriata che possa permettere agli stati di impedire ogni azione giudiziaria intrapresa da un qualsiasi fondo presso i tribunali sotto la loro giurisdizione o che possa prevedere che le somme e i beni destinati alla cooperazione internazionale o all’aiuto pubblico allo sviluppo siano inafferrabili ed incessabili. I paesi africani potrebbero proteggersi decidendo, mediante leggi, che le azioni giudiziarie contro di loro siano trattate obbligatoriamente davanti ai loro tribunali nazionali.

Il 25 febbraio, il Club di Parigi, gruppo informale dei creditori pubblici, ha annunciato di avere proceduto all’annullamento di una parte del debito estero dovuto dalla Repubblica Democratica del Congo. L’accordo che concerne circa 3 miliardi di dollari di debito, prevede l’annullamento di 1,31 miliardi di dollari e un posticipo di circa 1,65 miliardi di dollari di debito a dopo giugno 2012. Tuttavia, la promessa del Club di Parigi comporta una condizione: il rispetto degli impegni conformemente al programma di gestione e di politica economica conforme all’iniziativa in favore dei paesi poveri molto indebitati (PPTE) sostenuta dal FMI e dalla Banca mondiale. Queste misure dovrebbero permettere di ridurre del 97% il servizio del debito dovuto dalla RDCongo ai creditori del Club di Parigi tra il 1° luglio 2009 e il 30 giugno 2012. Il 30 giugno 2009, il debito dovuto dalla RDCongo ai creditori del Club di Parigi era stimato sui 6,92 miliardi di dollari. In seguito all’iniziativa PPTE e a quella di annullamento del debito multilaterale (IADM), la RDCongo potrebbe ottenere l’annullamento di circa 10 miliardi di dollari US su un totale di 13,1 miliardi di dollari di debito estero.

La Repubblica Democratica del Congo è al centro di desideri occulti e di scommesse geopolitiche divergenti. Numerosi analisti hanno già sottolineato gli obiettivi di una “guerra” fra potenze per il controllo dei minerali in RDCongo.

Questa guerra interminabile si iscrive infatti nel tentativo di instaurare un “Nuovo ordine mondiale”, una “Nuova geostrategia”. La RDCongo, per la sua posizione geopolitica è la placca girevole dell’Africa: chi controlla la RDCongo, avrà il controllo su tutta l’Africa.

La posizione strategica della RDCongo è alla base della guerra fra, da una parte, gli anglosassoni (Americani, Britannici, Canadesi) e, dall’altra, i francofoni (Francesi e Belgi). Alla base, c’è il controllo dei minerali, più particolarmente di alcune materie prime tali il coltan, la cassiterite, l’oro e lo stagno. Gli Occidentali hanno estremo bisogno di queste materie prime e la RDCongo rappresenta, per ciò che riguarda il coltan, il 60% della riserva mondiale. Ma l’irruzione della Cina in Africa e in RDCongo ha spinto gli occidentali ad abbandonare le loro rivalità e a fare blocco comune per frenare proprio questa irruzione.

I due campi, gli anglosassoni e i francofoni, sono membri della NATO e, secondo certe indiscrezioni, i loro interessi sarebbero gestiti all’interno del “Gruppo BILDERBERG” , composto essenzialmente dall’élite europea, americana e canadese della finanza, dell’economia, della politica e della comunicazione. In giugno 2008, questo gruppo si sarebbe riunito presso l’hotel Westfield Marriott, a Chantily, nello stato della Virginia, quando Obama era appena stato designato ufficialmente candidato democratico alla presidenza degli USA. In seguito a questa assemblea, nel quadro della geostrategia adottata per la Regione dei Grandi Laghi Africani, dall’inizio di agosto 2008 il candidato Obama si adopera con Blair, Sarkozy, Davignon e Michel a “garantire la sicurezza” nei paesi di questa regione e a rinforzare l’influenza ruandese sulla RDCongo.

Attualmente le pressioni euro-americane si fanno sempre più intense per “garantire la sicurezza” in questa regione in cui l’esercito americano è sempre più presente, specialmente nel Sud del Darfour e in Ruanda, dove si trova la principale base militare USA in Africa. Alla base di tale strategia politica sta il controllo economico, non solo dell’Africa dei Grandi Laghi, ma di tutta l’Africa orientale. In questo contesto, si sta profilando il progetto di costruzione di una rete di oleodotti e gasdotti che si estenderebbe dalle frontiere somale del Darfour al sud-est della RDCongo, comprendendo la Repubblica Centroafricana, il Ciad, l’Uganda, il Ruanda, il Burundi, il Kenya, la Tanzania, l’est e il centro della RDCongo. La rete dovrebbe confluire a Dar-es-Salam per permettere l’esportazione della produzione petrolifera dell’Africa orientale. Si tratterà forse di un progetto “Nabucco II” per l’Africa Orientale? Tutto è possibile. Tale progetto potrebbe essere in relazione con “i piani Cohen e Sarkozy” che propongono uno sfruttamento comune delle risorse minerarie dell’Est della RDCongo con Rwanda, Ouganda e Burundi? Anche questi due ultimi piani prevedrebbero, infatti, uno sbocco commerciale verso le coste orientali dell’Africa, particolarmente attraverso i porti di Dar-es-Salam (Tanzania) e Mombasa (Kenya).

Per non citare che alcuni esempi tra altri, alcune compagnie che si occupano di prospezione e sfruttamento di giacimenti petroliferi e di gas, sono già all’opera sul Lago Alberto, che segna la frontiera tra RDCongo ed Uganda: la società canadese Heritage Oil Corp e la britannica Tullow Oil e sul Lago Tanganyika, che segna la frontiera tra RDCongo e Burundi: la britannica British Petroleum SureStream junior, la sud-africana South African Mineral Resources Corp (Samroc) e la canadese Terra Seis International. Le ditte australiana e britannica Beach Petroleum e Ansco Petroleum sono già operative in Tanzania. Il petrolio sarebbe esportato attraverso un oleodotto fino alle coste del Kenya, paese membro con l’Uganda, la Tanzania, il Ruanda e il Burundi dell’East africa Comitte.

5. VERSO IL RITIRO PROGRESSIVO DELLA MONUC DALLA RDCONGO

Il 3 marzo, in visita a Kinshasa, il capo delle missioni di mantenimento della pace dell’ONU, Alain le Roy, ha affermato che le autorità congolesi e l’ONU hanno iniziato un dialogo per valutare le modalità di un ritiro progressivo dei caschi blu dalla RDCongo. Il portavoce del governo congolese, Lambert Mende, ha indicato che il ritiro della Monuc dovrebbe concludersi entro metà maggio 2011. Ha precisato che tale ritiro progressivo della missione dell’Onu dovrebbe iniziare già nel prossimo mese di giugno. Si sta già prendendo in considerazione una possibile riduzione del personale militare della Monuc nelle regioni non interessate da conflitti armati, particolarmente il centro e il sud-est del paese. I caschi blu restanti, ha detto Lambert Mende, dovranno essere destinati alle province del Nord e Sud Kivu, dove sono in corso le operazioni militari contro le milizie hutu ruandesi delle FDLR.

Secondo una fonte dell’Onu, il dipartimento delle missioni di mantenimento della pace delle Nazioni Unite pensa piuttosto ad un ritiro scaglionato in tre anni. “Ciò è inaccettabile”, ha risposto il portavoce del governo congolese, che sottolinea che non si tratta di una data negoziabile. Inoltre, Lambert Mende ricorda che la Monuc dovrà presentare un calendario del suo ritiro progressivo entro il 30 giugno prossimo, anniversario dei 50 anni di indipendenza del Congo.

Il 22 marzo, il responsabile delle comunicazioni della Monuc, Kevin Kennedy, ha indicato che la Missione dell’ONU in Repubblica democratica del Congo (Monuc) sta pianificando per fine 2011 il ritiro dei suoi 20.000, di cui 2.000 fin dal prossimo giugno, qualora il Consiglio di Sicurezza accettasse il calendario proposto da Kinshasa. La Monuc si prepara dunque a questo possibile calendario e sta pianificando un ritiro delle truppe in tre fasi.

La prima fase comprenderebbe la partenza a fine giugno 2010 di 2.000 uomini stanziati all’ovest, al centro e al sud-est del paese.

In una seconda fase della pianificazione, altri 9.000 soldati si ritirirebbero fine 2010 dalla Provincia Orientale (nord-est), Nord-Kivu e Sud-Kivu. Il 95% delle truppe della Monuc è concentrato attualmente in queste tre province, ancora instabili a causa della presenza di parecchi gruppi armati.

Infine, un’ultima fase prevede il ritiro dei 9.000 militari restanti entro la fine 2011, senza escludere tuttavia l’eventualità di un mantenimento di un piccolo contingente oltre tale data.

EurAc, la rete delle ONG europee per l’Africa Centrale ha affermato, in un comunicato, che “anche se la sua prestazione e il suo impatto sono rimasti ampiamente sotto le attese, la presenza della Monuc ha potuto evitare l’implosione del Congo nell’est del paese, ciò che è un merito reale e importante.

Quando si sta discutendo del futuro della Monuc, Eurac constata che la missione dell’Onu non si è ancora interamente conclusa, particolarmente nei seguenti campi:

– Le operazioni militari Umoja Wetu, Kimya 2 e Amani Léo non sono state capaci di mettere un termine ai massacri, agli stupri e ai saccheggi di cui soffre tuttora la popolazione e i diversi gruppi armati, nazionali e stranieri, sono attualmente in una fase di radicalizzazione e di nuovo reclutamento. E’ ancora necessario un ulteriore sforzo della Monuc nell’attuazione del programma di disarmo, smobilitazione, reintegrazione, rimpatrio, reinstallazione e reintegrazione (DDRRR) dei membri dei gruppi armati.

La presenza della Monuc resta indispensabile per il consolidamento dello stato di diritto e per la protezione della popolazione, purché la Monuc abbia i fondi, l’attrezzatura e il sostegno politico necessario per eseguire interamente il suo mandato.

– Né la transizione, né la Terza Repubblica sono riuscite a formare un esercito unificato, repubblicano, ad alto rendimento e disciplinato e la Monuc può portare ancora un suo contributo alle Riforme del Settore di Sicurezza (RSS).

– La militarizzazione dello sfruttamento e del commercio delle risorse minerarie continua a ritardare l’eventualità di una soluzione duratura del conflitto. È dimostrato oggi che senza un’implicazione dell’ONU, questo problema non sarà risolto.

– La prima legislatura della Terza Repubblica sta per terminare. La Monuc ha un importante ruolo da svolgere nell’organizzazione logistica e nel mantenimento della sicurezza delle elezioni e potrà contribuire anche al loro carattere libero e trasparente.

La rete delle ONG europee per l’Africa Centrale raccomanda alle istanze dell’UE e ai suoi Stati membri di impegnarsi in collaborazione con l’Onu per:

1. la formulazione e la comunicazione di una strategia e di un calendario di ritiro della Monuc, per dare un segnale chiaro che la comunità internazionale non ha nessuna ambizione di perpetuare la presenza dei caschi blu in RDCongo.

2. una strategia di ritiro che possa rendere le istituzioni civili e militari della Terza Repubblica capaci di assicurare la difesa del territorio e di proteggere la popolazione e lo stato di diritto.

3. l’implicazione della Monuc nel rafforzamento di queste capacità, mediante il suo appoggio al processo elettorale e alle Riforme del Settore della Sicurezza.

4. un programma DDRRR accelerato e la smilitarizzazione del settore minerario attraverso una struttura internazionale con mandato dell’ONU.

5. una concentrazione delle forze della Monuc nelle zone di conflitto e una migliore comunicazione con la popolazione e con le autorità congolesi.

6. una presenza dell’Onu che rispetti l’indipendenza e la sovranità del Congo.

 

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LETTERA APERTA AL PRESIDENTE DEGLI STATI UNITI D’AMERICA, BARACK OBAMA, PER UNA PACE DUREVOLE NEL KIVU (REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO)

Al momento della chiusura della petizione, il 10 febbraio, erano pervenute:
– 757 firme individuali (online e via e-mail)
– 10 adesioni di gruppi e/o associazioni
– 5 adesioni di politici

La lettera e l’elenco dei firmatari sono stati inviati all’ambasciata statunitense in Italia (Roma) che, il 24 febbraio 2010, rispondeva nei seguenti termini:

Anche gli Stati Uniti sono molto preoccupati da eventi che per anni hanno devastato le popolazioni locali in quella zona ed è per questa ragione che inoltreremo la vostra lettera al Dipartimento di Stato e alla Casa Bianca”.

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