INDICE
1. LA “DICHIARAZIONE DI PRINCIPI” FIRMATA A WASHINGTON DA REP. DEM. DEL CONGO E RUANDA (TESTO)
2. APPROFONDIMENTI
1. LA “DICHIARAZIONE DI PRINCIPI” FIRMATA A WASHINGTON DA REP. DEM. DEL CONGO E RUANDA (TESTO)
Il 25 aprile, il governo della Repubblica Democratica del Congo (RDC) e il governo della Repubblica del Ruanda (i partecipanti) hanno firmato, a Washington (Stati Uniti), una “Dichiarazione di principi” per la pace, la stabilità e lo sviluppo economico integrato nell’est della RDC e la ripresa di normali relazioni bilaterali tra i due Paesi. Eccone il testo:
SOVRANITÀ, INTEGRITÀ TERRITORIALE E GOVERNANCE
Ciascun Partecipante riconosce la sovranità e l’integrità territoriale dell’altro e si impegna a risolvere le divergenze tra le due parti con mezzi pacifici, basati sulla diplomazia e sulla negoziazione, piuttosto che sul ricorso alla forza o ad ostili accuse vicendevoli.
Ciascun Partecipante riconosce le frontiere territoriali dell’altro e si impegna ad astenersi da qualsiasi azione o discorso che minacci, o metta in discussione, la validità di tali frontiere.
Ciascun Partecipante riconosce all’altro il diritto sovrano di governare e di amministrare il proprio territorio in modo tale da non violare la sovranità o l’integrità territoriale dell’altro partecipante.
I Partecipanti si impegnano ad astenersi da qualsiasi ingerenza negli affari interni dell’altro.
PREOCCUPAZIONI DI INSICUREZZA
I Partecipanti riconoscono di avere entrambi delle legittime preoccupazioni derivanti dalla situazione di insicurezza che prevale lungo la frontiera da essi condivisa e si impegnano a rimediare a tali preoccupazioni, rispettando la sovranità e l’integrità territoriale di entrambi i Partecipanti.
I partecipanti riconoscono che la pace, la sicurezza e la stabilità sono elementi essenziali per incrementare gli scambi commerciali legittimi e una più ampia cooperazione economica regionale.
I Partecipanti riconoscono il loro comune interesse a limitare la proliferazione dei gruppi armati non statali all’interno e nei pressi delle loro frontiere e si impegnano ad astenersi dal fornire un appoggio militare statale a dei gruppi armati non statali.
I Partecipanti si impegnano a prendere in considerazione la creazione di un meccanismo congiunto di coordinamento per la sicurezza, con l’obiettivo di combattere i gruppi armati non statali e le organizzazioni criminali che minacciano i legittimi interessi di sicurezza dei Partecipanti.
INTEGRAZIONE ECONOMICA REGIONALE
I partecipanti si impegnano a redigere un progetto di integrazione economica regionale che, basato sugli organismi esistenti, tra cui la CIRGL, la COMESA e l’EAC, generi per entrambi i partecipanti un aumento degli scambi commerciali, favorisca gli investimenti esteri nel settore delle catene di approvvigionamento di minerali strategici e critici della regione e migliori la trasparenza delle operazioni commerciali regionali e internazionali, per permettere a entrambi i partecipanti di trarre un maggiore profitto dalle risorse naturali della regione, attraverso partenariati economici e opportunità di investimenti reciprocamente vantaggiosi.
I Partecipanti auspicano che tale progetto sia accompagnato dall’avvio o dall’incremento di considerevoli investimenti, tra cui quelli promossi dalle autorità e dal settore privato statunitensi, affinché l’economia regionale sia a vantaggio di tutti i Paesi partecipanti.
I partecipanti si impegnano a prendere in considerazione delle opzioni che possano permettere di collegare questo progetto ad altre iniziative di sviluppo economico, regionali o internazionali, tra cui si possono citare dei progetti relativi alle infrastrutture.
I partecipanti si impegnano ad avviare e/o ampliare la cooperazione nell’ambito di priorità comuni, come il settore dell’energia idroelettrica, la gestione dei parchi nazionali, l’eliminazione dei rischi presenti nelle catene di approvvigionamento dei minerali e l’implementazione di catene trasparenti, ufficiali e legali di trasformazione (valore aggiunto) dei minerali (dalle miniere ai metalli ottenuti). Saranno queste priorità comuni che potranno contribuire ad unire i due Paesi, in collaborazione con le autorità e gli investitori statunitensi.
RITORNO DEGLI SFOLLATI INTERNI E DEI RIFUGIATI
I partecipanti si impegnano a facilitare, una volta ristabilita la pace e con l’appoggio degli organismi delle Nazioni Unite e delle organizzazioni umanitarie competenti, il ritorno sicuro e volontario degli sfollati interni nei loro comuni di origine dell’est della RDC e dei cittadini congolesi fuggiti a causa del conflitto e attualmente presenti in Ruanda e in altri paesi, in conformità con gli obblighi giuridici internazionali dei partecipanti
ACCORDO DI PACE
I partecipanti, in conformità con i principi sopra esposti e in continuità con i processi di pace di Nairobi (Kenia) e di Luanda (Angola), ora confluiti nel quadro di collaborazione tra l’EAC e la SADC, come approvato dall’UA e con la facilitazione del Presidente Gnassingbe, tenendo conto delle discussioni in corso a Doha tra il Governo della RDC, il Governo del Ruanda e l’M23/AFC, e in cooperazione e consultazione con il Governo degli Stati Uniti, si impegnano a redigere e a presentare, entro e non oltre il 2 maggio, una bozza preliminare di accordo di pace, da sottoporre a valutazione comune da parte dei partecipanti.
Per risolvere eventuali divergenze sulla bozza dell’accordo di pace, i partecipanti hanno concordato un incontro tra i rispettivi ministri degli Esteri, a Washington, alla presenza del Segretario di Stato degli Stati Uniti.
2. APPROFONDIMENTI
In un’intervista, Martin Ziakwau, esperto in relazioni internazionali e ricercatore sulle dinamiche di sicurezza nell’est della RDC, esprime il suo punto di vista sulla “dichiarazione di principi” firmata a Washington dalla RDC e dal Ruanda.
ACTUALITE.CD: Qual è il contesto?
MZ: Oltre ai principi, ci sono dei dettagli che è opportuno notare, per comprenderne appieno la portata. Siamo di fronte a una chiara aggressione contro la RDC da parte del Ruanda, una realtà accuratamente documentata dal Gruppo di esperti delle Nazioni Unite. Lo scorso febbraio, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha adottato all’unanimità la risoluzione 2773, che esige il ritiro incondizionato delle truppe ruandesi dispiegate nell’est della RDC, in flagrante violazione dell’integrità territoriale del nostro Paese. Esaminando il testo della “Dichiarazione di principi”, ci si accorge però che questo elemento cruciale è purtroppo trascurato. Il punto di partenza della dichiarazione non è certamente il riconoscimento dell’aggressione del Ruanda nei confronti della RDC, elemento che, lungi dall’essere banale, merita un’attenzione particolare.
ACTUALITÉ.CD: Il primo punto di questa Dichiarazione riguarda la questione relativa a “Sovranità, integrità territoriale e governance”. Sembra una cosa piuttosto positiva per la RDC…
MZ: Un dettaglio attira la nostra attenzione: secondo la dichiarazione, “I Partecipanti riconoscono il diritto sovrano di ciascun Partecipante a governare e amministrare il proprio territorio, in modo tale che non violi la sovranità o l’integrità territoriale dell’altro Partecipante”. Qui si allude in particolare alle Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR), che Kigali percepisce come una minaccia esistenziale. Ciò significa che, per il Ruanda, è l’incapacità della RDC di amministrare l’insieme del suo territorio, in particolare l’est del Paese, che permette la proliferazione e l’attivismo dei gruppi armati, tra cui le FDLR. Questa evocazione legittimerebbe un ennesimo tentativo del Ruanda di ribadire le sue pretese sul’est del Congo, la cui aggressione sarebbe quindi tacitamente giustificata con l’argomento della lotta contro le FDLR.
ACTUALITÉ.CD: Il secondo punto riguarda questioni di sicurezza. Ci sono delle preoccupazioni?
MZ: È importante sottolineare l’interdipendenza che, in materia di sicurezza, esiste tra la RDC e il Ruanda. Finora, questa interdipendenza tra i due Paesi ha sfavorito Kinshasa, perché Kigali ha utilizzato a suo favore la vulnerabilità (e spesso l’assenza) dell’autorità dello Stato nell’est della RDC, diventato vittima di una moltitudine di gruppi armati, sia locali che stranieri. Un rapporto del 2023 redatto dal Programma per il Disarmo, la Smobilitazione, il Reinserimento Comunitario e la Stabilizzazione (PDDRCS), ha contabilizzato 252 gruppi armati, tra cui 14 di origine straniera. In questo contesto, la Dichiarazione di principi di Washington chiede di prendere in considerazione l’istituzione di un meccanismo congiunto di coordinamento per la sicurezza, volto a combattere i gruppi armati e le organizzazioni criminali che minacciano le legittime preoccupazioni di sicurezza di entrambi i Paesi. In breve, il Ruanda sta gettando le basi per nuove operazioni militari congiunte con le Forze armate della RDC (FARDC) contro le FDLR. L’esitazione del governo congolese nell’autorizzare queste operazioni, mentre le ha autorizzate per l’Uganda e il Burundi, le cui truppe si trovano ancora in territorio congolese. è motivata dalle reazioni popolari negative, alimentate dall’amara esperienza del 2009, quando le operazioni militari congiunte condotte contro le FDLR lasciarono ricordi molto dolorosi.
ACTUALITÉ.CD: Nel terzo punto relativo all’integrazione regionale, gli USA promettono grandi investimenti…
MZ: Questo è probabilmente il punto più preoccupante. L’avvio, o l’aumento, di grandi investimenti, da parte del governo e del settore privato degli Stati Uniti, è di fatto condizionato alla creazione di un quadro di graduale integrazione economica tra la RDC e il Ruanda. Non si tratterà di una struttura già esistente, ma di una nuova architettura da costruire, basata su strutture già esistenti, quali la Comunità dell’Africa dell’Est (EAC) e il Mercato Comune per l’Africa orientale e meridionale (COMESA). Emergerà quindi un nuovo spazio integrato, privo di qualsiasi connotazione statale e senza alcuna possibilità di identificare l’origine delle risorse naturali da estrarre, trasformare e commercializzare. In altre parole, non ci sarà né territorio congolese, né territorio ruandese. Gli investitori americani potranno così beneficiare di una totale libertà di stabilirsi e di operare ovunque essi desiderino. Inoltre, in questo processo di integrazione, il Ruanda potrebbe accaparrarsi la maggior parte degli investimenti, approfittando del suo avanzamento in termini di attrazione dei capitali stranieri, grazie ad alcuni fattori, tra cui la sicurezza giuridica, la qualità dell’amministrazione e la lotta contro la corruzione. Ci si può allora chiedere se la RDC è pronta a voltare rapidamente la pagina delle sofferenze delle vittime della violenza nell’est del Paese, per impegnarsi in un accordo di principi senza previe garanzie in materia di sicurezza dello Stato. Inoltre, un problema fondamentale è quello legato all’incapacità della RDC di affermare la sua sovranità sulle proprie risorse naturali. Infine, si pone la questione della valutazione / verifica delle riforme strutturali in corso nella RDC, essenziali per risanare il settore imprenditoriale e attrarre investimenti esteri, in particolare dagli Stati Uniti.
ACTUALITÉ.CD: Che dire del ritorno degli sfollati e dei rifugiati citato al punto quattro?
MZ: Questa questione è una delle cause profonde della conflittualità e dei conflitti che affliggono l’est del Paese. Il vero problema non è tanto il ritorno dei rifugiati, quanto le conseguenze che ne derivano. Infatti, questi rifugiati dovrebbero ristabilirsi nei loro luoghi di origine, generalmente delimitati da consuetudini tradizionali. Tuttavia, alcuni gruppi armati locali contestano e impediscono il loro accesso a queste terre, esacerbando così le tensioni. Per garantire il ritorno in sicurezza dei rifugiati è necessario innanzitutto raggiungere un compromesso con le comunità locali, con cui i gruppi armati locali generalmente si identificano. È quindi chiaro che la chiave di soluzione deve essere ricercata nell’ambito di una dinamica tra governo centrale ed entità locali. Se queste ultime non accettassero il piano proposto dallo Stato, il rischio di violenze sul luogo rimarrebbe molto elevato. Tuttavia, nella “dichiarazione di principi”, questa dimensione locale sembra essere del tutto trascurata. Ciò dimostra che la preoccupazione dell’amministrazione americana è più concentrata sui propri interessi economici e strategici che su un effettivo accompagnamento di Kinshasa e Kigali verso una pace duratura, che deve imperativamente basarsi sulla presa in considerazione delle percezioni e punti di vista, da parte delle popolazioni locali, sui problemi relativi all’insicurezza nell’est del paese.
ACTUALITÉ.CD: Nel frattempo, Kinshasa e Kigali devono presentare la bozza di un accordo di pace entro e non oltre il 2 maggio…
MZ: È auspicabile che questa bozza sia accompagnata da una Roadmap, volta a chiarire le responsabilità di ciascuna parte. Questo meccanismo permetterebbe di garantire una valutazione fluida e senza ostacoli dell’attuazione degli impegni presi, aprendo al contempo la strada alla concretizzazione degli investimenti americani. È fondamentale poter valutare attentamente e periodicamente l’attuazione degli impegni assunti da ciascuna parte.
ACTUALITÉ.CD: Quali proposte concrete per il Governo? Cosa dovrebbe fare in un simile contesto?
MZ: Dato il carattere cruciale dell’accordo in fase di elaborazione, sarebbe prudente che il Governo includesse una clausola di ratifica da parte del Parlamento. Questo approccio consentirebbe alla popolazione di essere coinvolta, attraverso i parlamentari suoi rappresentanti eletti, in questo processo decisionale fondamentale per il futuro della RDC in quanto Stato.[1]
Secondo Alphonse Maindo, politologo dell’Università di Kisangani, la crisi umanitaria e di insicurezza, che dura da 30 anni, si è aggravata con l’occupazione di Goma e di Bukavu in gennaio e febbraio 2025 da parte delle truppe del Movimento 23 Marzo (M23), appoggiate militarmente e logisticamente dall’esercito ruandese. Grazie ad una serrata attività diplomatica, la RDC è riuscita a dimostrare che è il Ruanda ad avere aggredito il suo territorio, ma non è riuscita a trarne alcun vantaggio. Ogni volta che il Ruanda viene preso di mira per i suoi interventi espansionistici nella RDC, è sempre la RDC a togliergli le castagne dal fuoco, con sorpresa dei congolesi e degli amici del Congo. Ancora una volta, i congolesi hanno appena avuto il tempo di riprendersi dalla sorpresa di Doha (incontro tra i capi di Stato congolese e ruandese e apertura di negoziati diretti tra l’AFC-M23 e il governo congolese) che si sono trovati di fronte a una seconda sorpresa, arrivata direttamente da Washington, con la firma di una “dichiarazione di principi” tra la RDC e il Ruanda, sotto l’egida americana. Si tratta di un enorme e incomprensibile passo indietro, rispetto a una risoluzione delle Nazioni Unite che, secondo il Capitolo 7 della loro Carta, esige un cessate il fuoco immediato e incondizionato, il ritiro delle truppe ruandesi e dell’M23 dai territori occupati e la cessazione di ogni tipo di appoggio all’M23.
Certamente, la pace è un’aspirazione profonda e vitale dei congolesi, ma non a qualsiasi prezzo.
Per l’aggressore, intimato a ritirarsi e sottoposto a fortissime pressioni internazionali (tra cui una serie disanzioni), quanto accaduto a Doha e a Washington gli consente di uscire dall’impasse, ma per l’aggredito, esso rivela l’ossessione patologica di un regime che, in grandi difficoltà, cerca tutti i mezzi possibili che gli permettano di restare al potere. Ciò è tanto più preoccupante in quanto entrambi le iniziative (Doha e Washington) sono del tutto opache e scagionano l’aggressore, che sene esce indenne, è esentato da ogni sua responsabilità nella tragedia umanitaria da lui provocata e, cosa ancor più grave, viene ricompensato con la possibilità di usufruire ufficialmente delle risorse naturali del Congo potendo, in un futuro prossimo, diventare formalmente il paese in cui i minerali congolesi verranno trasformati, raffinati e commercializzati legalmente. Nello stesso tempo, il ricordo dei milioni di vittime congolesi passa inevitabilmente in secondo piano. Un simile approccio alla crisi non porterebbe che a un miraggio di pace.
Che si tratti di un accordo di pace o di un cessate il fuoco, che si tratti di investimenti finanziari americani o no, finché non si affrontano i problemi di fondo mediante un approccio olistico e multidimensionale, qualsiasi soluzione al minimo appare precaria e di breve durata. Le questioni che vengono evitate sono: la fine dell’interventismo militare degli stati limitrofi, la fine di un’economia del profitto e dell’illegalità a vantaggio delle multinazionali e di un’élite locale corrotta, la ricostruzione dello Stato, la riforma del settore della sicurezza, la fine del regno dell’impunità, la presa in considerazione delle legittime rivendicazioni della popolazione congolese, il disarmo di centinaia di gruppi armati ancora attivi, la costruzione di infrastrutture stradali, ferroviarie, fluviali e aeree, la fornitura di servizi pubblici di base (scuole, elettricità, acqua potabile, sanità), la lotta contro la corruzione delle élite, ecc.
È un’illusione credere che un semplice accordo sulle risorse naturali possa riportare la pace. Con milioni di giovani disoccupati, disperati e senza futuro, il Paese è seduto su una vera e propria bomba che, anche con la pax americana di Trump e Kagame, non è possibile ignorare. Inoltre, come gestire le migliaia di miliziani Wazalendo e gli altri gruppi armati che, su richiesta del governo, hanno preso parte alla guerra contro l’aggressore ruandese e che hanno un conto da presentare al governo per il loro impegno in tale guerra? Molti di questi gruppi armati sono e rimarranno al servizio di personaggi politici e militari di Kinshasa. Come verrà affrontato il grande malcontento popolare generale? Il bastone non basterà.
Il Congo viene spesso presentato come uno scandalo geologico a causa della sua grande ricchezza mineraria, ma per milioni di congolesi questo scandalo geologico è sinonimo di dramma umanitario o, meglio, di tragedia umana, poiché l’attività di estrazione, lavorazione e vendita delle risorse naturali è quasi sempre accompagnata da violenze, saccheggi, stupri, massacri e ogni tipi di violazioni dei diritti umani. In Congo, le risorse naturali, che altrove sono una benedizione, per milioni di persone si trasformano in una maledizione, a causa dell’uso che ne viene fatto. Per troppo tempo, le risorse naturali della RDC sono state utili al mondo intero, ma non ai congolesi stessi. Dopo la tratta degli schiavi, dopo la corsa alla gomma, all’avorio, all’oro, all’uranio, al coltan e dopo i contratti con la Cina, ecco arrivare i contratti con Washington, in perfetta continuità con l’economia del profitto e del saccheggio.
Oggi molti esperti si interrogano sull’utilità e l’opportunità di negoziare e firmare con il Ruanda (colpito da misure restrittive e dalla sospensione di molti aiuti internazionali) una dichiarazione di principi e un accordo sui minerali critici che sarebbero a vantaggio dell’aggressore. Le difficoltà che la RDC incontra sul fronte militare sarebbero sufficienti per aderire a un’iniziativa che rischia di assolvere e salvare l’aggressore, proprio quando si trova in difficoltà sul fronte diplomatico?
L’ex presidente francese Nicolas Sarkozy aveva già preconizzato la condivisione delle risorse della RDC con il Ruanda, come mezzo per ricostruire la pace nella regione. Ci si potrebbe chiedere perché esse debbano essere condivise solo con il Ruanda e non con gli altri otto paesi limitrofi con la RDC. In base a quale principio la RDC dovrebbe essere l’unico Paese al mondo a dover condividere, contro la sua volontà, le sue risorse naturali con un altro Paese, quando la stessa “dichiarazione di principi” afferma la sovranità di ciascun Paese? Affinché siano al servizio della pace, le risorse naturali devono essere oggetto di un commercio equo, trasparente e legale. Ignorarlo, a favore di un saccheggio organizzato e ufficializzato sotto l’etichetta della condivisione delle risorse, significa preparare la strada ad altre guerre che, in futuro, potrebbero essere ancor più violente e mortali.
Il Congo non può rimanere uno scandalo geologico e biologico che costringe i Congolesi a vivere una tragedia permanente. “Minerali per la pace” vuol dire risanare il settore imprenditoriale, per poter attrarre investimenti e creare ricchezza (valore aggiunto) nel Paese, e non svendere le risorse naturali per una pace ipotetica. I responsabili politici attuali devono gestirle tenendo conto delle necessità del popolo di oggi e delle generazioni future. L’agire di oggi non deve compromettere la vita e il benessere delle generazioni future. Ogni politico dovrebbe chiedersi quale eredità lascerà alle generazioni future. Si tratta di una legge immutabile per ogni nazione che voglia prosperare e riconquistare o mantenere la propria grandezza.
La grandezza di una nazione dipende dalla pace, una pace duratura. Una pace duratura richiede, da un lato, una soluzione olistica e multidimensionale alla crisi che l’ha scatenata e, dall’altro, una sequenza di passi veri e reali verso la pace. E per cominciare, in questo caso, bisogna ricordare che il punto di partenza è l’applicazione della risoluzione 2773 del Consiglio di sicurezza dell’ONU. La pace ha certamente un valore inestimabile, ma non può essere svenduta a poco prezzo, soprattutto non a chi regolarmente la viola. Il Ruanda ha già più volte firmato degli accordi privilegiati con la RDC, ma non ha mai rispettato gli impegni assunti. Quali garanzie abbiamo oggi per credere che gli impegni assunti saranno questa volta mantenuti? Perciò, nei negoziati di accordi che impegnano il destino comune, è necessario coinvolgere tutte le componenti della nazione, in particolare le donne e i giovani, almeno attraverso il dibattito popolare e la ratifica, da parte del Parlamento, degli accordi negoziati, nel rispetto dell’articolo 214 della Costituzione.[2]
Secondo Human Rights Watch, il tentativo degli Stati Uniti per porre fine al conflitto armato in corso nella regione dei Grandi Laghi in Africa sembra ignorare un fattore chiave delle ostilità: la storica incapacità, da parte delle autorità della regione, di punire i responsabili delle atrocità commesse nell’est della Repubblica Democratica del Congo (RDC).
Il consigliere speciale della Casa Bianca per l’Africa, Massad Boulos, ha precisato che qualsiasi accordo di pace sarà accompagnato da un accordo minerario che permetterà alle società statunitensi e alle multinazionali di investire nelle miniere e in progetti infrastrutturali congolesi. Dato che la competizione per le risorse naturali, soprattutto quelle minerarie, è alla base di gravi violazioni dei diritti umani nelle zone congolesi ricche di minerali, è fondamentale prendere adeguatamente in considerazione il legame esistente tra conflitti, violazioni dei diritti umani, corruzione e la produzione – commercializzazione delle risorse naturali.
Tuttavia, negli attuali negoziati di pace (Doa e Washington), la questione di poter arrivare a sapere chi sia responsabile delle atrocità commesse nell’est della RDC e di come reagire non è stata finora affrontata.
Le forze armate ruandesi e congolesi hanno commesso numerosi e gravi violazioni dei diritti umani nell’est della RDC e hanno collaborato con gruppi armati che hanno ucciso, violentato e saccheggiato. Gli impegni assunti per mettere fine al loro appoggio militare a questi gruppi armati sembrano siano stati disattesi e nessuno è stato finora processato per aver fornito tale appoggio.
Le vittime congolesi e le loro famiglie, gli attivisti per i diritti umani, i leader religiosi e i difensori della giustizia continuano a chiedere la fine delle violenze perpetrate e continuano a ribadire la loro inequivocabile richiesta di giustizia. È essenziale che i colloqui in corso a Doha e a Washington includano l’obbligo di rendere conto di tutte le violazioni dei diritti umani commesse.
Qualsiasi accordo di pace per la RDC dovrebbe promuovere iniziative volte a rendere giustizia alle vittime dei devastanti crimini commessi durante l’attuale conflitto in corso, senza dimenticare quelli dei decenni precedenti.[3]
[1] Cf Propos recueillis par Clément Muamba – Actualité.cd, 29.05.’25 https://actualite.cd/2025/04/29/rdc-rwanda-pourquoi-laccord-de-principes-signe-washington-suscite-tant-dinquietudes
[2] Cf Alphonse Maindo (Politologue à l’Université de Kisangani) – Afrikarabia.com, 29.04.’25
https://afrikarabia.com/wordpress/tribune-des-minerais-pour-une-paix-durable-et-la-prosperite-intergenerationnelle/
[3] Cf Clémentine de Montjoye – Human Right Watch. 08.05.’25 https://www.hrw.org/fr/news/2025/05/08/la-justice-est-vitale-pour-une-paix-durable-dans-la-region-des-grands-lacs-en