Congo Attualità n. 506

INDICE

1. IL PROSEGUIMENTO DEL PROCESSO DI PACE PER L’EST DELLA RDC
a. Gli Stati Uniti hanno proposto una bozza di accordo di pace tra la RDC e il Ruanda
b. Il mediatore e il gruppo di facilitatori dell’Unione Africana si sono incontrati a Lomé (Togo)
2.DOHA-WASHINGTON: IL FUTURO INCERTO DELL’M23
3. LA CRISI NELL’EST DELLA RDC: IL FUTURO DEL PAESE SI STA COSTRUENDO LONTANO DA KINSHASA?
4. I MINERALI DEL KIVU TRA ECONOMIA, GEOPOLITICA E INSICUREZZA
5. PARTENARIATO RDC-USA: IL RUANDA CONSIDERATO COME PIATTAFORMA CENTRALE DELL’ACCORDO!
6. LETTERA APERTA AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO

1. IL PROSEGUIMENTO DEL PROCESSO DI PACE PER L’EST DELLA RDC

a. Gli Stati Uniti, mediatore di pace nel conflitto tra la RDC e il Ruanda, hanno trasmesso ai due Paesi una bozza di accordo di pace.

Il 15 maggio, oltre tre settimane dopo la firma, a Washington, di una “dichiarazione di principi” da parte della Repubblica Democratica del Congo (RDC) e del Ruanda, gli Sati Uniti hanno trasmesso ad entrambe le parti una prima bozza di accordo di pace.
Sia a Kinshasa che a Kigali, le autorità dei due Paesi hanno confermato di averla ricevuta. Il documento è un tentativo di sintesi delle proposte presentate dai due Paesi all’inizio di questo mese. come previsto dalla “dichiarazione di principi” da essi firmata sotto l’egida degli Stati Uniti.
Il documento attualmente in fase di elaborazione prevede impegni concreti in materia di sovranità nazionale, integrità territoriale, sicurezza, cooperazione economica regionale, ritorno dei rifugiati e degli sfollati e un rinnovato appoggio alla missione delle Nazioni Unite nella RDC (MONUSCO).
Ma per ora non è ancora stato deciso nulla. Il testo è ancora in fase di elaborazione e sarà comunque oggetto di ulteriori discussioni. In caso di persistente divergenza sui contenuti del testo, la “dichiarazione di principi” prevede una riunione dei rispettivi ministri degli esteri a Washington, sotto la mediazione del Segretario di Stato americano. Per dare un nuovo impulso all’iniziativa, il consigliere senior del Dipartimento di Stato per l’Africa, Massad Boulos, ha telefonato personalmente al presidente congolese Félix Tshisekedi e al presidente ruandese Paul Kagame, per loro presentare le grandi linee del testo. Egli ha dichiarato che le due conversazioni sono state positive e costruttive, pur ammettendo che sarà difficile raggiungere un consenso.
Secondo quanto riportato, Kinshasa e Kigali hanno tempo fino al 18 maggio per presentare le proprie osservazioni e proporre eventuali emendamenti. Tuttavia, fonti da entrambe le parti ritengono che tale scadenza potrebbe essere troppo breve, data la delicatezza dei temi da affrontare, come la cooperazione commerciale sui minerali strategici e le questioni di sicurezza.
L’annuncio di questa bozza di accordo è avvenuto mentre gli Stati Uniti e la Repubblica Democratica del Congo stanno negoziando una partnership strategica sui minerali strategici. Secondo questo accordo di partenariato, attualmente ancora in fase di discussione, le società minerarie americane dovrebbero avere un accesso privilegiato alle risorse minerarie strategiche della RDC, tra cui il cobalto, il coltan e il litio. In cambio, gli Stati Uniti si impegnerebbero a fornire un’assistenza in materia di sicurezza, per aiutare la RDC a combattere i gruppi armati, tra cui il Movimento del 23 marzo (M23), che stanno destabilizzando l’est del Paese. Contemporaneamente, gli Stati Uniti e il Ruanda stanno negoziando un altro protocollo di partenariato economico, che prevede la trasformazione di questi minerali strategici di origine congolese da parte delle raffinerie di oro e coltan già operative in Ruanda.
Nello stesso tempo, circola un’altra bozza di accordo. Secondo quanto riferito, la proposta è stata avanzata a Doha dalle autorità del Qatar, che assicurano la loro mediazione nelle trattative in corso tra le delegazione del governo congolese e dell’M23. Si dice che il testo sia già stato presentato alle due delegazioni. Anche in questo caso, finora pochissime sono le informazioni diffuse sul contenuto di questo secondo  documento.[1]

b. Il mediatore dell’Unione Africana e il gruppo dei facilitatori si sono incontrati a Lomé (Togo)

Il 17 maggio, a Lomé (Togo), il mediatore dell’Unione Africana e Presidente del Consiglio della Repubblica del Togo, Faure Gnassingbé, si è incontrato con il Gruppo dei facilitatori dell’Unione Africana. Secondo un comunicato stampa della Presidenza del Consiglio della Repubblica del Togo, le discussioni si sono concentrate sulla fusione dei processi di pace di Nairobi (Kenia) e di Luanda (Angola), come già deciso durante un vertice congiunto EAC-SADC l’8 febbraio 2025. I partecipanti hanno sottolineato la necessità di coordinare le azioni del mediatore e dei facilitatori, all’interno di un quadro integrato e hanno chiesto una maggiore collaborazione tra l’EAC, la SADC e gli altri partner, tra cui il Qatar e gli Stati Uniti. L’obiettivo di questo incontro è promuovere la pace nell’est della RDC e rafforzare le relazioni tra la RDC e il Ruanda.
Il gruppo dei facilitatori è composto da cinque ex capi di stato, come Olusegun Obasanjo (Nigeria), Uhuru Kenyatta (Kenya), Sahle-Work Zewde (Etiopia), Catherine Samba-Panza (Repubblica Centrafricana) e Mokgweetsi Masisi (Botswana).[2]

2. DOHA-WASHINGTON: UN FUTURO INCERTO PER L’M23

I negoziati di pace in Qatar tra il governo congolese e l’AFC-M23 e negli Stati Uniti tra la RDC e il  Ruanda stanno rimescolando le carte in tavola, soprattutto per quanto riguarda l’AFC di Corneille Nangaa, che potrebbe ritrovarsi emarginata in questa fase di uscita dalla crisi.
Nel conflitto tra il Congo e l’AFC-M23, questi ultimi appoggiati dal Ruanda, gli avvenimenti si stanno rapidamente susseguendo uno dopo l’altro. A Doha, il 18 marzo, si è svolto un incontro inaspettato tra i presidenti congolese e ruandese e un secondo tra l’AFC-M23 e Kinshasa. Infine, il 25 aprile, a Washington, sotto l’egida degli Stati Uniti, la RDC e il Ruanda hanno firmato una “dichiarazione di principi”, un testo in cui si affronta direttamente la questione dell’insicurezza: la salvaguardia dell’integrità territoriale dei due Paesi e la “cessazione di ogni tipo di appoggio ai gruppi armati”. Esso fa ovviamente riferimento all’appoggio del Ruanda all’M23 e alla “collaborazione” dell’esercito congolese con le FDLR, un gruppo armato a prevalenza hutu, in cui ci sono anche alcuni membri che avevano partecipato al genocidio ruandese del 1994 e, quindi, ostili a Kigali. Gli impegni che, a proposito di queste due questioni, erano stati assunti nel corso dei vari cicli di negoziati svoltisi sotto la mediazione africana, a Nairobi, Luanda e Dar es Salaam, non sono mai stati rispettati

Minerali in cambio di sicurezza
La seconda parte della “dichiarazione di principi” marca un nuovo approccio alla risoluzione del conflitto. Prevede un partenariato tra i due paesi (RDC e Ruanda) nel settore minerario e accordi economici bilaterali tra gli Stati Uniti e la RDC da una parte e tra gli Stati Uniti e il Ruanda dall’altra. Questa componente economica afferma la sovranità della RDC sulle sue risorse minerarie, ma in concomitanza  con un partenariato con il vicino Ruanda nel settore del trasporto e della trasformazione dei minerali. Vi saranno associate anche delle società americane. Nel delicato equilibrio di un possibile accordo di pace tra la RDC e il Ruanda, il partenariato economico tra i tre Paesi gioca quindi un ruolo centrale. Si può qui ricordate che, ispirandosi al modello proposto dagli Stati Uniti “minerali critici in cambio di sicurezza”, il Presidente congolese aveva, pochi mesi fa, presentato a Washington lo stesso progetto: accesso ai minerali in cambio di protezione americana.

Win-win…davvero?
Sembra quindi che tutti e tre i paesi ne traggano vantaggio: la RDC, che recupererebbe i territori finora controllati dall’AFC-M23; gli Stati Uniti si vedrebbero aprire le porte ai siti minerari congolesi e il Ruanda, che potrebbe gestire la trasformazione e l’esportazione dei minerali. Tuttavia, questa bozza di accordo dovrà fare i conti con certe difficoltà. Per la RDC, innanzitutto che si vedrebbe attribuire solo il ruolo di fornitore di minerali ciò che, secondo l’opposizione, non sarebbe che “una svendita a basso prezzo” delle risorse naturali. Per gli Stati Uniti, le cui società si troveranno di fronte non solo ai tanti gruppi armati presenti nella regione, ma anche alle molte compagnie minerarie cinesi, molto ben insediate in Congo.

Un accordo a scapito dell’AFC-M23
Un altro attore che potrebbe perdere terreno in questo nuovo accordo “business for territory” tra la RDC e il Ruanda è l’AFC-M23 di Corneille Nangaa. La ribellione si è sempre dichiarata “non implicata” dalle decisioni prese tra gli Stati, come nel caso di Luanda, Dar Es Salaam o Doha. Ma l’implicazione degli Stati Uniti e un possibile accordo di pace e di partenariato economico sui minerali tra la RDC e il Ruanda cambiano la situazione. Questo accordo, ancora del tutto virtuale, potrebbe essere stipulato a scapito dell’AFC-M23, che dovrebbe restituire i territori occupati, senza peraltro poter beneficiare dei vantaggi derivanti dall’accordo economico sui minerali. La ribellione cerca quindi un modo per ritagliarsi uno spazio tra Kinshasa, Kigali e Washington, per evitare il rischio di essere emarginata. Se il conflitto ha una dimensione regionale, ha però anche una dimensione locale, per cui sarà necessario trovare una via d’uscita non solo per l’AFC-M23, ma anche per i Wazalendo, i gruppi armati ausiliari che Kinshasa ha reclutato come riserve dell’esercito congolese.

L’AFC troppo dipendente dall’M23
Creando l’AFC, Corneille Nangaa ha tentato di trasformare il conflitto tra l’M23 e il governo congolese in un problema di politica interna e di cattiva amministrazione. Il suo obiettivo: sbarazzarsi di Félix Tshisekedi. Con la forza o con il dialogo. Il progetto di accordo tra Kinshasa e Kigali costituisce quindi una svolta pericolosa per l’AFC, che ora si ritrova in una posizione molto scomoda, essendo troppo dipendere dall’M23 e dal suo sponsor ruandese. Secondo Josaphat Musamba, ricercatore presso il GEC-SH/CERUKi ISP di Bukavu, «l’M23, che ha una componente politica, diretta da Bertrand Bisimwa, e un’ala militare, comandata da Sultani Makenga, è più forte dell’AFC, che è un movimento esclusivamente politico. Corneille Nangaa è stato spinto in prima linea solo per “congolizzare” il movimento.

Nangaa assente a Doha
L’AFC di Corneille Nangaa è apparsa sulla scena molto dopo  l’M23. Mentre quest’ultimo ha ripreso le armi verso la fine del 2021, l’AFC è stata creata da Corneille Nangaa nel 2023 a partire dal Kenya, con Bertrand Bisimwa al suo fianco. Sempre secondo Josaphat Musamba, «Le due organizzazioni non sono ancora in competizione; hanno costruito insieme il loro discorso di legittimazione e spiegazione della loro lotta, facendo leva sulle rispettive rivendicazioni: la sicurezza dei Tutsi per l’M23 e le rivendicazioni di politica interna per l’AFC. Ma potrebbe ora nascere una competizione tra le due componenti, l’AFC di Corneille Nangaa e l’M23 di Bertrand Bisimwa». Un segno chiaro è che, a Doha (Qatar), in occasione dei colloqui con la delegazione del governo congolese, c’era Bertrand Bisimwa (M23), e non Corneille Nangaa (AFC).

Una crisi con più attori
I colloqui con il governo congolese a Doha (Qatar) potrebbero consentire all’AFC-M23 di trovare la via d’uscita che cerca. Sotto la pressione militare dell’M23, l’AFC-M23 sta cercando di alzare la posta in gioco, esigendo l’amnistia per i suoi membri, la loro integrazione nell’esercito e nelle istituzioni politiche dello Stato e la restituzione dei beni a loro confiscati.
Una cosa è certa: per porre fine all’insicurezza e al conflitto attualmente in corso nell’est della RDC, non basterà un accordo di pace tra la RDC e il Ruanda, concluso a livello regionale con la mediazione americana. Un accordo che, peraltro, resta oggi ancora del tutto ipotetico. Sarà invece necessario tenere conto, oltre all’M23, di tutte le decine di gruppi armati ancora attivi nell’est del Paese e offrire loro delle concrete alternative di reinserimento sociale. Infine, Kinshasa dovrà accettare di confrontarsi con ciò che, da decenni, ostacola lo sviluppo del Paese: la corruzione, lo sfruttamento illegale delle risorse naturali da parte di élite politiche, militari e commerciali, l’impunità dei crimini commessi  e la repressione delle forze di opposizione.[3]

3. LA CRISI NELL’EST DELLA RDC: IL FUTURO DEL PAESE SI STA COSTRUENDO LONTANO DA KINSHASA?

A Washington (Stati Uniti), Doha (Qatar) e Lomé (Nigeria). i negoziati continuano per cercare di riportare la pace nella regione dei Grandi Laghi. Il futuro politico di Félix Tshisekedi è al centro delle discussioni…

Il peso della Nigeria
Nelle ultime settimane, il nigeriano Olusegun Obasanjo ha incontrato l’attuale presidente sudafricano Cyril Ramaphosa e l’ex presidente Thabo Mbeki, esperto della scena politica congolese. Si è poi recato in Zimbabwe, dove ha incontrato il presidente Emerson Mnangagwa e l’ex presidente congolese Joseph Kabila. Secondo diverse fonti, il messaggio di Obasanjo a Kabila è stato chiaro: “il suo ritorno al potere nella Repubblica Democratica del Congo non è gradito”. L’ex capo di Stato nigeriano si è poi recato a Kinshasa e a Kigali per colloqui con i due presidenti Félix Tshisekedi e Paul Kagame. Obasanjo ha manifestato al suo ospite congolese che, all’interno del continente africano, si trova isolato e che la sua salvezza politica e il successo del suo secondo mandato dipendono dall’insediamento di un nuovo governo gestito dall’opposizione politica. Egli ha insistito sul fatto che Washington vuole “un vero governo” nelle mani di una “vera opposizione politica”. È per questo che Obasanjo ha incontrato anche i leader dell’opposizione politica congolese, tra cui Moïse Katumbi, Martin Fayulu e Mbusa Nyamwisi.

L’ombra del Qatar
Finora i negoziati tra Kinshasa e l’AFC/M23 a Doha sono rimasti completamente bloccati. Kinshasa non ha accettato nessuna delle richieste avanzate dal movimento politico AFC/M23. Ma l’equipe di mediazione del Qatar non intende rinunciare e sono quindi state create delle commissioni di esperti per elaborare possibili scenari di uscita dalla crisi, che dovrebbero essere presentati all’inizio di giugno.

I tempi stringono
Il mese di giugno è presentato come decisivo anche per i negoziati tra Kigali, Kinshasa e Washington. Kinshasa non parla molto di questi negoziati. È stato Kigali a fornire i primi elementi di un calendario e a menzionare, tramite il suo ministro degli Esteri, Nduhungirehe, la firma di un accordo a metà giugno … sulla scia di quanto dovrebbe essere deciso a Doha.
A Washington, gli accordi, che dovrebbero essere firmati dai presidenti Paul Kagame e Felix Tshisekedi, alla presenza di Donald Trump, sono essenzialmente di natura economica. Il loro obiettivo è legalizzare l’esportazione di minerali congolesi verso uno dei paesi limitrofi, il Ruanda, dove potrebbero essere raffinati, finché la RDC non abbia la possibilità di effettuare tale operazione sul suo territorio. Le società americane potrebbero allora acquistare dal Ruanda i minerali congolesi di cui hanno bisogno per la loro produzione. L’etichetta “Made in Rwanda” consentirebbe loro di acquistare “minerali insanguinati” provenienti dall’est della RDC senza essere perseguiti penalmente.[4]

4. I MINERALI DEL KIVU TRA ECONOMIA, GEOPOLITICA E INSICUREZZA

Nei due Kivu (Est della Repubblica Democratica del Congo / RDC), le risorse minerarie sono al centro di un complesso sistema in cui confluiscono conflitti armati, contrabbando transfrontaliero e strategie economiche regionali. Oro, coltan, stagno e tantalio, spesso presentati come cause motrici della violenza, in realtà strutturano un’economia parallela a profitto sia di gruppi armati locali che di reti internazionali.

– Quali sono i prodotti minerari che generano conflitti?
I principali prodotti minerari che sono alla base dei conflitti nei Kivu sono l’oro e i “3T” (stagno, tantalio, tungsteno). L’oro occupa un posto centrale.
Secondo Christoph Vogel, ricercatore sulle dinamiche dei conflitti nell’Africa centrale, l’oro ha “un valore molto più elevato” rispetto agli altri minerali, soprattutto perché, una volta fuso, non è più tracciabile. Ciò può renderlo uno strumento privilegiato nell’ambito di una economia di guerra.
Zobel Behalal, esperto del GI-TOC (Global Initiative Against Transnational Organized Crime), spiega che ogni sei mesi, nel Sud Kivu, vengono estratti illegalmente 750.000 chili d’oro, che vengono poi fatti passare di contrabbando nei paesi limitrofi, dove vengono raffinati, per esempio a Rubavu (Ruanda). Egli ha aggiunto che, qualche anno fa, il prezzo d’un grammo d’oro oscillava tra 40 e 50 dollari, rispetto agli 80-100 dollari di oggi, in seguito a una forte domanda da parte di acquirenti ugandesi, presenti nella zona in cui sono dispiegate le truppe dell’esercito ugandese per combattere contro le Forze Alleate Democratiche (ADF), un gruppo armato di origine ugandese.
Da parte sua Christoph Vogel invita alla prudenza. Egli ritiene che il legame tra minerali e violenze debba ancora essere oggetto di interesse scientifico. Per esempio, egli fa notare che l’implicazione del gruppo armato M23 nell’attività mineraria è cambiato con il passare del tempo: tra il 2021 e il 2023, l’M23 non si interessava molto di questo settore e solo successivamente ha preso il controllo di Rubaya, una zona nota per le sue miniere di coltan.
Occorre sottolineare che, in questa regione, i gruppi armati ricavano entrate anche da altre attività (tassazione degli alcolici, pedaggi stradali). Ma l’oro resta, secondo gli esperti, la risorsa più redditizia e più ambita, per la facilità del suo trasporto.

– Che impatto ha l’attuale conflitto sul circuito mondiale di approvvigionamento?
Il conflitto in corso nel Kivu può perturbare i circuiti mondiali di approvvigionamento dei minerali strategici. Il caso della miniera di stagno di Bisié, a Walikale, è emblematico: nel 2024 rappresentava il 6% della produzione mondiale. La sua sospensione temporanea, causata dall’occupazione di quella zona da parte, ha provocato delle tensioni sui mercati internazionali. La società Alphamin ha dovuto sospendere le sue attività minerarie, riprese poi solo successivamente, in seguito al ritiro delle truppe dell’AFC/M23 e ciò dimostra l’interdipendenza tra sicurezza locale e stabilità economica globale.
Da parte sua, Zobel Behalal insiste sul fatto che “il mercato non conosce la guerra”: anche in un contesto di conflitto, il flusso dei minerali non si ferma. Egli cita in particolare l’aumento del prezzo dell’oro, salito a 100 dollari al grammo a Mangurujipa, una cittadina nel territorio di Lubero (Nord Kivu), in seguito alla forte domanda internazionale. Paesi come il Ruanda, l’Uganda e anche gli Emirati Arabi Uniti assorbono una quota importante di questa produzione: secondo le autorità provinciali, il 67% dell’oro del Sud Kivu arriva in Medio Oriente.

– Quali sono le sfide della tracciabilità?
Nella regione del Kivu, i problemi di tracciabilità dei minerali sono molti, sia nella lotta al contrabbando che nella bonifica della filiera mineraria. La mancanza di controlli rigorosi permette che i minerali estratti illegalmente entrino nelle filiere legali di approvvigionamento. Zobel Behalal sottolinea che i sistemi attuali si basano spesso su documenti cartacei, senza una reale verifica dell’origine stessa dei minerali. Per esempio, un prodotto dichiarato “proveniente dal Ruanda” viene automaticamente percepito come  legale, anche se originario di una zona congolese in conflitto.
La tracciabilità può essere perturbata anche dalle stesse società minerarie, mediante la creazione di meccanismi di autocontrollo interni, ciò che limita le possibilità di azioni indipendenti. Inoltre, molte società minerarie (cinesi, indiane o arabe) utilizzano i paesi limitrofi come zone di transito, raggirando così qualsiasi obbligo di rigorosa tracciabilità.
Nel tentativo di porre rimedio a questa situazione, la RDC ha fondato la società DRC Gold Trading SA. Secondo le autorità congolesi, in un anno le esportazioni legali di oro nel Sud Kivu sono aumentate da 25 chili a più di 5 tonnellate, generando un fatturato di 300 milioni di dollari. Ma questo sistema è crollato con la perdita del controllo su alcune zone passate sotto l’occupazione dall’AFC/M23. Inoltre, da parte sua, il Ruanda ha firmato un accordo con l’Unione Europea nel mese di giugno 2024 per garantire la trasparenza e si sta dotando di fonderie e raffinerie per trasformare e raffinare oro, stagno e tantalio. Per di più, la porosità delle frontiere dell’est della RDC alimenta i sospetti di immissione (riciclaggio) di minerali congolesi nei circuiti ruandesi.

– Quali sono i provvedimenti presi dalle autorità congolesi per tentare di riportare l’ordine?
Nel Sud Kivu sono state avviate alcune azioni per cercare di riportare l’ordine nel settore minerario. Al suo arrivo alla guida della provincia nel mese di maggio 2024, il governatore Jean-Jacques Purusi ha avviato una serie di inchieste nell’ambito del settore minerario. Egli ha affermato di aver identificato 1.600 imprese che operavano illegalmente nel settore minerario, senza permessi di ricerca, di estrazione, o di trasformazione e senza mai pagare le tasse. Di fronte a questa constatazione, con un decreto provinciale ha sospeso tutte le attività minerarie a partire dal 18 luglio di quello stesso anno.
Contemporaneamente, sono state eliminate più di 147 tasse per ridurre la pressione fiscale dall’80% al 26%. Il governatore ha inoltre imposto la digitalizzazione delle procedure, l’effettuazione bancaria delle transazioni finanziarie e la creazione di sportelli unici per gli operatori. Queste misure hanno aumentato di molto le entrate provinciali. Da 500.000 dollari al mese, le entrate sono salite a 1,75 milioni di dollari nel primo mese di attuazione.
Inoltre, una politica anticorruzione ha portato all’arresto di una quarantina di personalità locali. Nello stesso tempo, le società cinesi che operavano illegalmente sono state sospese, costrette a mettersi in regola e a pagare le tasse dovute. Ma i risultati attesi sono stati interrotti da quando il governo di Kinshasa ha perso il controllo di gran parte della provincia.

– Qual è l’atteggiamento del Ruanda?
Di fronte alle accuse congolesi sulla sua implicazione nello sfruttamento illegale delle risorse del Kivu, il Ruanda sta adottando una linea di difesa basata sulla trasparenza e sulla sovranità economica. Durante la sua audizione davanti alla Commissione francese per gli Affari Esteri in aprile 2025, l’ambasciatore ruandese in Francia, François Nkulikiyimfura, ha negato qualsiasi collegamento del suo Paese con l’operazione mineraria di Rubaya, affermando che il Ruanda aveva le sue risorse, tra cui coltan, wolframio, oro e tantalio, legalmente estratte sul suo territorio. Ha fatto notare che il Ruanda e la Repubblica Democratica del Congo condividono la stessa zona geologica chiamata “cintura di Kibaran” e che la ricchezza mineraria non si ferma sulla linee delle frontiere ereditate dalla colonia.
A sostegno della sua posizione, egli ha ricordato la firma, in giugno 2024, di un accordo con l’Unione Europea sulla tracciabilità dei minerali. Ha inoltre evidenziato gli investimenti del Ruanda nella trasformazione locale dei minerali: una fonderia di stagno (2018), una raffineria d’oro (2019) e una raffineria di tantalio (2024). Ha insistito anche sul fatto che degli operatori africani ed europei si fanno raffinare l’oro in Ruanda, prima di venderlo sui mercati di Dubai o d’Europa, nel rispetto delle procedure della tracciabilità.

– Quali soluzioni sono consigliate?
Per Zobel Behalal, la chiave non risiede tanto nella rigorosa tracciabilità, quanto nella cooperazione regionale e nei “contratti win-win” tra Stati e attori economici. Egli insiste anche sulla necessità di coinvolgere tutte le filiere economiche – congolesi, cinesi, indiani – che oggi controllano i circuiti  internazionali di approvvigionamento dei minerali. Secondo lui, queste filiere criminali devono essere trasformate in filiere economiche virtuose, regolarizzando le loro attività e responsabilizzando gli Stati di transito (Ruanda, Uganda, Burundi, Tanzania). Inoltre, per arginare lo sfruttamento illecito e indebolire le fonti di finanziamento dei gruppi armati, gli esperti sottolineano l’importanza di un approccio regionale al conflitto e di una regolarizzazione degli operatori del settore minerario.

– Cosa si sa sull’accordo minerario in fase di negoziazione tra Kinshasa e Washington?
Un accordo minerario tra la RDC e gli Stati Uniti è attualmente in fase di negoziazione. Non si tratta ancora di un contratto firmato, ma di un quadro di discussione, volto ad attirare maggiori investimenti americani nel settore minerario congolese.
Ciò che gli Stati Uniti chiamano accordo sui minerali è un progetto strutturale di cooperazione economica. L’obiettivo è quello di incoraggiare le società private americane a investire non solo nelle miniere congolesi, ma anche nelle infrastrutture necessarie a queste attività: strade, ferrovie, dighe, centrali idroelettriche.
Massad Boulos, consigliere senior del Dipartimento di Stato americano per l’Africa, ha ribadito che il governo degli Stati Uniti non interverrà direttamente nelle operazioni minerarie, ma faciliterà gli investimenti attraverso istituzioni come la Development Finance Corporation o l’EXIM, la US Export-Import Bank.
Secondo entrambe le parti, questo progetto vuole essere una soluzione “win-win”. Le società americane coinvolte dovranno rispettare le leggi congolesi e quelle americane, in particolare quelle sul lavoro minorile, sulla tutela dell’ambiente e sulla lotta contro la corruzione.
Per quanto riguarda la presenza dominante della Cina nel settore minerario congolese, Washington afferma di non voler interferire. Secondo loro, non si può certo chiedere a Kinshasa di ritirare delle concessioni minerarie alle società cinesi. Gli Stati Uniti affermano di voler solamente offrire un’alternativa competitiva.
Questo accordo è legato anche a un altro importante progetto strategico: il Corridoio di Lobito, già appoggiato dagli Stati Uniti. Questo corridoio dovrebbe collegare l’Angola, lo Zambia e il sud-est della RDC e facilitare il trasporto dei minerali verso l’Oceano Atlantico. Si tratta di un elemento chiave per le società interessate all’esportazione del rame e del cobalto, prodotti soprattutto nella regione di Kolwezi.
Ma resta una domanda: su come gli Stati Uniti intendono intervenire nelle zone instabili del Kivu,  dove l’oro viene ampiamente estratto spesso illegalmente da gruppi armati. Il consigliere americano non ha rilasciato dichiarazioni su questo punto. Affinché il progetto possa concretizzarsi, gli americani stanno prendendo in considerazione la necessità di coinvolgere le autorità congolesi nell’attuazione di un quadro favorevole agli investimenti. A questo proposito, Massad Boulos ha accolto con favore l’impegno personale del presidente Tshisekedi, che avrebbe garantito le riforme necessarie per garantire gli investimenti. Ma sul posto tutto dipenderà dai progressi concreti in materia di governance, tracciabilità e sicurezza.[5]

5. PARTENARIATO RDC-USA: IL RUANDA CONSIDERATO COME PIATTAFORMA CENTRALE DELL’ACCORDO!

I minerali strategici congolesi come il tungsteno, il tantalio e lo stagno, per i quali da tempo la RDC accusa il Ruanda di sfruttamento illegale, potrebbero presto essere legalmente esportati in Ruanda, per esservi trasformati e raffinati, per poi essere immessi nelle catene internazionali di approvvigionamento. Questa possibilità rientrerebbe nell’ambito di un accordo di pace in fase di negoziazione sotto l’egida degli Stati Uniti, come riferito da tre fonti all’agenzia di stampa Reuters.
Secondo Kinshasa, il saccheggio delle risorse minerarie è uno dei principali motori del conflitto tra l’esercito nazionale appoggiato da alcuni gruppi armati locali e l’M23 appoggiato da Kigali. Da gennaio, il conflitto si è intensificato e le autorità congolesi accusano il Ruanda di importare illegalmente ogni mese dei minerali congolesi per un valore di decine di milioni di dollari, minerali che vengono poi venduti sul mercato internazionale come prodotti ruandesi.
All’inizio di questo mese, Massad Boulos, consigliere del presidente degli Stati Uniti Donald Trump per l’Africa, aveva dichiarato a Reuters che, per potere investire miliardi di dollari nlla Regione dei Grandi Laghi, Washington sta spingendo per arrivare ad un accordo di pace tra le due parti, la RDC e il Ruanda, accompagnato da accordi minerari bilaterali, Due fonti diplomatiche e una fonte delle Nazioni Unite hanno dichiarato a Reuters che i negoziati potrebbero concludersi con un accordo secondo il quale dei minerali estratti da aree minerarie artigianali dell’est della RDC potranno essere raffinati e commercializzati a partire dal Ruanda.

Un accordo vantaggioso per tutti?
«Il ragionamento di Washington è semplice: se il Ruanda può trarre profitto in modo legittimo e legale dai minerali congolesi attraverso la loro trasformazione, sarà meno tentato di occupare militarmente l’est della RDC e saccheggiarne i minerali», ha spiegato uno dei diplomatici, aggiungendo: «E per la RDC, l’industrializzazione del settore minerario aumenterebbe le entrate fiscali, migliorerebbe la tracciabilità e priverebbe i gruppi armati del loro finanziamento illegale».
Per Kigali, i negoziati potrebbero permettere la regolarizzazione del settore minerario, spesso descritto come illegale, e aprire le porte a un afflusso significativo di investimenti.
Anche da parte americana la questione è strategica: ottenere un maggiore accesso alle risorse minerarie congolesi, attualmente nelle mani della Cina.
A questo proposito, è opportuno ricordare che, il mese scorso a Washington, la RDC e il Ruanda hanno firmato una dichiarazione congiunta volta a «creare delle catene di valore minerario trasparenti, ufficiali e legali (dalla miniera alla raffineria o fonderia) che colleghino i due Paesi, in collaborazione con il governo americano e gli investitori americani».
Non sono ancora chiari i dettagli precisi su quanto verrà investito e da chi, ma il consigliere senior del presidente degli Stati Uniti Donald Trump per l’Africa ha indicato che delle discussioni con vari investitori americani si svolgeranno fino alla fine di maggio, in vista del “finanziamento dei progetti minerari in Ruanda”, comprese le attività di trasformazione a valle.

I progetti minerari non bastano a porre fine a un conflitto che ha cause profonde.
Un funzionario congolese, parlando sotto anonimato, ha affermato che non sarà possibile alcuna cooperazione nel settore minerario senza il ritiro delle truppe ruandesi dal territorio congolese e dell’M23 dalle località occupate. «Il Ruanda deve rispettare la nostra sovranità, anche sulle nostre risorse naturali», ha egli affermato.
«Un semplice accordo minerario non può essere sufficiente per garantire la pace. Questi progetti richiederanno tre, cinque o dieci anni», ha affermato un diplomatico, aggiungendo: «Ci sono problemi immediati e cause profonde che devono essere affrontate».
Infine, occorre ricordare il fallimento, quattro anni fa, di un precedente tentativo di accordo di cooperazione mineraria tra la RDC e il Ruanda, il cui obiettivo era di garantire l’ufficialità e la legalità della produzione e commercializzazione delle risorse minerarie. In giugno 2021, le due parti avevano firmato vari accordi, tra cui uno che riguardava la produzione, raffinamento e  commercializzazione dell’oro congolese e che fu firmato tra la società pubblica congolese Sakima e la società privata ruandese Dither. Ma Kinshasa sospese tale accordo in giugno 2022, adducendo come motivo il presunto appoggio militare del Ruanda all’M23 e l’occupazione, da parte dell’M23 stesso, di Bunagana, strategica città di frontiera.[6]

6. LETTERA APERTA AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO

Il 29 aprile, una quarantina di intellettuali congolesi, attivisti per i diritti umani e personalità della società civile, tra cui il premio Nobel per la pace Denis Mukwege, hanno inviato al presidente della Repubblica Democratica del Congo una lettera aperta, in cui si dimostrano critici nei confronti delle discussioni diplomatiche in corso sull’attuale crisi nell’est del paese.
In questo testo, pubblicato alla vigilia di un vertice previsto a Washington tra la RDC e il Ruanda, i firmatari si dicono preoccupati per una “minaccia esistenziale” che grava sulla RDC, denunciano l’occupazione di ampi territori da parte dell’esercito ruandese e dell’AFC/M23 e mettono in guardia contro quello che essi percepiscono come uno “spirito transazionale”, dominato da interessi stranieri, in particolare americani.
Mentre milioni di Congolesi vivono sotto la costante minaccia delle violenze e della fame e sono costretti ad abbandonare le loro case e le loro terre, i firmatari denunciano una doppia responsabilità: le ambizioni espansionistiche straniere e una governance nazionale fallimentare. Essi pertanto chiedono un’azione urgente per porre fine alla crisi e ripristinare la pace nelle zone sotto occupazione militare delle truppe dell’AFC/M23 appoggiate dal Ruanda.
Gli autori della lettera richiamano l’attenzione sul crescente interesse geopolitico per i minerali strategici della RDC, essenziali per la transizione energetica globale, l’industria digitale e la difesa. Tuttavia, essi affermano con determinazione che queste risorse minerarie devono cessare di alimentare dei conflitti, ma servire allo sviluppo economico del Paese.
La dichiarazione di principi firmata il 25 aprile a Washington tra la RDC e il Ruanda, con la mediazione degli Stati Uniti, suscita la loro diffidenza. Sebbene essa riaffermi i principi di sovranità nazionale e di integrità territoriale, gli autori della lettera aperta ritengono che manchi di trasparenza e di inclusività. «La pace è il nostro unico orizzonte», affermano, chiedendo però che questa pace non venga costruita a scapito delle risorse naturali del Paese.
Gli autori della lettera ricordano al Capo dello Stato che qualsiasi tipo di accordo sulle risorse naturali del Paese firmato senza il consenso del Parlamento costituisce una violazione della Costituzione. Essi citano diversi articoli della Costituzione congolese (5, 56, 57 e 214) per ricordare al Capo dello Stato che la sovranità appartiene esclusivamente al popolo e che qualsiasi accordo internazionale che pregiudichi la sovranità sulle risorse naturali costituisce un reato grave, costitutivo di alto tradimento. Chiedono pertanto che qualsiasi trattato di pace o commerciale che riguardi le risorse naturali sia soggetto all’approvazione parlamentare, in conformità con le leggi del Paese.
Essi chiedono pertanto l’organizzazione di consultazioni nazionali e l’inclusione della giustizia di transizione nei negoziati, sollecitando il presidente a “non svendere” le ricchezze congolesi nell’ambito di un’integrazione regionale promossa dagli Stati Uniti, il cui principale beneficiario sarebbe il regime di Kigali, sostenuto da potenze straniere.
I firmatari invitano il Presidente Félix Tshisekedi ad assumere pienamente il suo ruolo di garante della Costituzione e a proteggere gli interessi strategici della nazione. Rifiutano qualsiasi forma di concessione o compromesso che possa privare il popolo congolese del controllo sulle proprie risorse e sollecitano le autorità a difendere la sovranità economica e territoriale della RDC.
Nella conclusione, essi citano le parole di Papa Francesco durante la sua visita a Kinshasa nel 2023: “Giù le mani dall’Africa, perché essa non è una miniera da sfruttare, né una terra da saccheggiare”.
Oltre a Denis Mukwege, la lettera è firmata da altre personalità come Jean-Claude Katende (Asadho), i professori Alphonse Maindo e Jean-Claude Maswana, Dismas Kitenge, Joseph Bobia Bonkaw e una trentina di altre personalità della società civile, del mondo accademico e della diaspora congolese.[7]

[1] Cf RFI, 16.05.’25; Radio Okapi, 16.05.’25
[2] Cf Radio Okapi, 19.05.’25
[3] Cf Christophe Rigaud – Afrikarabia.com, 13.05.25   https://afrikarabia.com/wordpress/doha-washington-a-new-deal-for-the-m23/
[4] Cf Hubert Leclercq – Lalibre.be/Afrique, 19.05.25   https://afrique.lalibre.be/79623/rdc-le-futur-du-congo-se-dessine-loin-de-kinshasa/
[5] Cf Patient Ligodi – RFI, 17.05.’25  https://www.rfi.fr/fr/afrique/20250517-est-rdc-les-minerais-des-kivus-entre-%C3%A9conomie-g%C3%A9opolitique-et-ins%C3%A9curit%C3%A9
[6] Cf Sonia Rolley et Daphne Psaledakis (trad de l’anglais Kd) – Reuters / MCP, via MediaCongo.net, 21.05.’25
https://www.mediacongo.net/article-actualite-150812_partenariat_rdc_usa_le_rwanda_vue_comme_la_plaque_tournante_du_deal.html
[7] Cf Actualitè.cd, 30.04.’25; Pierre Kabakila – Mines.cd, 01.05.’25  Texte intégral: https://www.rfmtv.net/rdc-felix-tshisekedi-appele-a-ne-pas-sacrifier-les-minerais-congolais-lettre-ouverte-au-president-de-la-republique-democratique-du-congo/