Congo Attualità n. 504

INDICE

1. LETTERA APERTA AD ANTONIO GUTERRES, SEGRETARIO GENERALE DELLE NAZIONI UNITE, SUI GRAVI AVVENIMENTI CHE IMPERVERSANO SULL’EST DEL CONGO
2. LETTERA DI UN GRUPPO DI INTELLETTUALI E AMICI DEL CONGO AD ANTONIO GUTERRES, SEGRETARIO GENERALE DELLE NAZIONI UNITE

Mentre dei negoziati di pace si stanno svolgendo a Doha (Qatar) tra le delegazione del governo congolese e dell’Alleanza Fiume Congo / Movimento del 23 marzo (AFC/M23) e a Washington (Stati Uniti) tra le delegazioni del governo congolese e del governo ruandese, due lettere aperte sono state indirizzate al Segretario Generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres. La prima è stata redatta da un gruppo di intellettuali a proposito dei gravi avvenimenti che imperversano sull’Est del Congo e la seconda è firmata da un gruppo di intellettuali e amici del Congo, per apportare qualche precisazione alla prima.
Nelle due lettere appaiono problematiche, dati storici, punti di vista, tensioni e proposte che i mediatori (eminenti autorità del Qatar e degli Stati Uniti) dei negoziati sopra citati dovrebbero prendere in considerazione, affinché eventuali accordi possano sancire una pace vera, giusta e duratura nella Regione dei Grandi Laghi Africani in generale e nell’est della Repubblica Democratica del Congo, in particolare.

1. LETTERA APERTA AD ANTONIO GUTERRES, SEGRETARIO GENERALE DELLE NAZIONI UNITE, SUI GRAVI AVVENIMENTI CHE IMPERVERSANO SULL’EST DEL CONGO

Il 15 marzo 2025, oltre 400 firmatari, tra cui degli scrittori, artisti, statisti, giornalisti, rappresentanti religiosi, sopravvissuti al genocidio, ricercatori e accademici provenienti da oltre 50 paesi del mondo, hanno scritto una lettera aperta al Segretario generale delle Nazioni Unite.
Secondo i firmatari della lettera, il conflitto nell’est della Repubblica Democratica del Congo (RDC) è stato ridotto a una narrazione a senso unico: il rischio della balcanizzazione dello Stato e lo sfruttamento illegale delle sue risorse naturali e minerarie. Contemporaneamente, la comunità internazionale rimane in gran parte indifferente di fronte al problema dell’esclusione dei Tutsi congolesi, quando alcuni attori politici congolesi incitano al loro sterminio.

Signor Segretario Generale,

Dai gravi eventi in corso nell’Est della Repubblica Democratica del Congo (RDC), che affondano le loro radici nella storia, emerge spesso una narrazione a senso unico: il rischio della balcanizzazione del Paese e lo sfruttamento illegale delle sue risorse naturali e minerarie. Tale narrazione non tiene conto dell’esclusione dei Tutsi congolesi, il cui sterminio è sempre più apertamente evocato da alcune personalità politiche. Per quanto abominevole, questa guerra, non può essere ridotta a una sola causa. Essa è piuttosto il risultato di un insieme esplosivo di tensioni sociali ed economiche, che si sono gradualmente cristallizzate in una crisi d’identità e in un conflitto armato.
È necessario raggiungere un cessate il fuoco immediato, per preservare vite umane e spianare la strada a una soluzione negoziata. Il modo migliore per raggiungere questo obiettivo non è certo ripetere l’accusa particolarmente semplicistica, secondo cui il Ruanda appoggia il Movimento del 23 Marzo (M23) con l’unico scopo di accaparrarsi delle risorse naturali del Kivu. Questa interpretazione univoca, ampiamente ripresa dai media, sceglie di ignorare le spaventose atrocità commesse in pieno giorno contro i Tutsi congolesi, uccisi e mutilati dai loro carnefici. Inoltre, ella aggrava le tensioni e alimenta i discorsi di incitamento all’odio. L’attuale escalation militare ne è, del resto, una conseguenza diretta.

Le chiediamo pertanto di privilegiare la ricerca di una soluzione duratura, che tenga conto delle cause profonde di questo conflitto. Riteniamo altrettanto importante identificare chiaramente le principali forze presenti sul territorio, nonché i loro obiettivi e la loro filosofia politica. L’M23 si trova di fronte l’esercito congolese, appoggiato dalle Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR), designate come entità terroristica a causa della loro ideologia genocidaria, che è anche quella dei Wazalendo, una coalizione composta da oltre duecento altri gruppi armati. Oltre a sfruttare illegalmente le risorse naturali del Congo e a seminare il terrore attraverso stupri di massa e uccisioni brutali, i gruppi armati FDLR e Wazalendo organizzano il reclutamento forzato di bambini soldato.
Questo conflitto è dovuto in gran parte alla mancanza di integrazione tra popolazioni raggruppate, contro la loro volontà, all’interno di nuove configurazioni delle frontiere stabilite dalle autorità coloniali. Esso è motivato anche dal rifiuto di tenere conto dei movimenti migratori del periodo precedente e successivo alle indipendenze africane. Un’altra causa è la limitazione della cittadinanza a dei criteri etnici e morfologici.

Da tre decenni, centinaia di migliaia di Tutsi congolesi sono condannati a una vita precaria in campi profughi del Burundi, dell’Uganda, del Kenya e del Ruanda, o hanno trovato rifugio in diversi paesi occidentali. Di fronte all’indifferenza o alla complicità dello Stato congolese, alcuni di loro hanno preso le armi per assicurare la loro propria difesa. Ciò significa che il conflitto continuerà, finché non verrà risolta la questione della nazionalità dei Banyarwanda del Congo.
Vorremmo anche far notare che, nel Nord Kivu, i membri delle FDLR erano notevolmente aumentati di numero nelle zone da essi controllate, prima di essere costretti dall’M23 a fuggire. Da tempo, in quelle zone essi commettevano ogni tipo di abusi e nella più totale impunità. Invece di reagire, lo Stato congolese aveva loro permesso di sfruttare illegalmente i minerali e il legname, che poi rivendevano sul mercato mondiale con la complicità di alcuni politici. Inoltre, nelle zone sotto loro controllo, le FDLR imponevano tasse illegali. In questa situazione, molti Tutsi sono stati costretti a cercare rifugio nei paesi vicini.

Uno studio approfondito della storia complessiva della regione dimostra che l’apparizione dell’M23 è la conseguenza della sistematica privazione dei diritti umani dei Banyarwanda e dei Tutsi nella Repubblica Democratica del Congo, considerati come cittadini di seconda classe, senza la possibilità di partecipare pienamente alla vita della società.

Ci sia consentito sottoporre alla sua attenzione i seguenti fatti particolarmente significativi:
– Tre anni dopo l’indipendenza del Congo (1960), il Nord Kivu visse un periodo di disordini conosciuto sotto il nome di guerra Kanyarwanda. Il leader Nande Denis Paluku aveva proclamato la sovranità del Nord Kivu contro Kinshasa. I suoi colleghi ruandofoni gli si opposero perché volevano l’unità del Congo. Paluku allora decise di inviare una spedizione punitiva a Masisi. I Tutsi vennero arrestati e giustiziati a Kiroshe. In quel tempo l’M23 non esisteva.
– Negli anni 1980, nel campus universitario di Kinshasa, degli studenti Tutsi vennero presi di mira al grido: “Viva la nazionalità zairese! Morte agli usurpatori della nostra nazionalità!” In un volantino si chiedeva di “cacciare ovunque e tutti questi serpenti (studenti Tutsi) che vogliono morderci”. In altri volantini si poteva leggere: “Tutti gli scritti riconoscono che i Tutsi dello Zaire sono immigrati e pertanto non possono beneficiare degli stessi diritti dei figli autentici di questo Paese”. In quel tempo l’M23 non esisteva.
– Nel 1991, ai Tutsi congolesi fu interdetto di partecipare alla Conferenza Nazionale Sovrana, con il pretesto che non erano “zairesi”. In quel tempo l’M23 non esisteva.
– Durante la Seconda Repubblica, soprattutto a partire dagli anni 1980, i Tutsi di lingua ruandese avevano la possibilità di essere elettori, ma non di essere eleggibili. In quel tempo l’M23 non esisteva.
– La Costituzione della Repubblica Democratica del Congo è stata modificata più di sette volte, essendo ogni revisione associata alla questione dei ruandofoni. In quel tempo l’M23 non esisteva.

È chiaro che la comunità internazionale potrebbe commettere un errore potenzialmente devastante qualora ritenesse che l’eliminazione di un unico gruppo ribelle e l’imposizione di sanzioni al Ruanda fossero sufficienti per riportare la pace nell’est della RDC.
Riteniamo che per una pace e una sicurezza durature nella regione dei Grandi Laghi africani sia necessario:
– prevenire la possibilità di un genocidio contro i Tutsi congolesi;
– prendere sul serio le preoccupazioni del Ruanda in materia di sicurezza, neutralizzando le FDLR e la loro ideologia genocidaria;
– rivedere gli accordi tra il governo congolese, il CNDP e l’M23, per determinare i motivi che ne hanno impedito l’attuazione;
– cessare e scoraggiare ogni appoggio militare al governo congolese, finché continuerà a ricorrere a forze genocidarie e a milizie, il cui programma politico è quello dello sterminio dei Tutsi;
– riaffermare il duplice principio dell’intangibilità delle frontiere congolesi e del diritto inalienabile delle comunità tutsi o ruandofone a vivere in completa sicurezza, nella loro terra natale e altrove in Congo;
– garantire la sicurezza delle minoranze, incoraggiando l’educazione ai valori che favoriscono la comprensione dell’identità congolese attraverso il prisma dell’individuo-cittadino piuttosto che quello dell’appartenenza a una tribù/etnia.
– istituire una commissione internazionale neutrale, incaricata di aprire delle inchieste sui contratti minerari e sulle pratiche relative all’esplorazione, estrazione, commercializzazione e finanziamento dell’economia dei minerali, delle terre rare e delle piantagioni agricole e forestali nell’intera Repubblica Democratica del Congo.[1]

2. LETTERA DI UN GRUPPO DI INTELLETTUALI E AMICI DEL CONGO AD ANTONIO GUTERRES, SEGRETARIO GENERALE DELLE NAZIONI UNITE

Il 20 aprile 2025, un gruppo di scrittori, artisti, giornalisti, personalità religiose, avvocati, medici, membri della società civile, ricercatori e docenti universitari del Congo e di tutto il mondo, dopo aver letto la lettera che degli intellettuali ruandesi residenti in diversi continenti hanno indirizzato al Segretario generale delle Nazioni Unite, in merito ai tragici eventi in corso nell’Est della RDC (cf.genocidealertdrc.org), hanno ritenuto indispensabile aggiungere alcune precisazioni utili alla ricerca di una soluzione duratura alla crisi nell’Est del Congo.

Signor Segretario Generale,

Ci si sarebbe aspettato che i firmatari della lettera a lei indirizzata in precedenza deplorassero, prima di tutto, gli avvenimenti attuali: massacri di popolazioni civili a Goma; molteplici esecuzioni sommarie a Bukavu; distruzione dei campi profughi; stupri di donne e ragazze; imposizione di sevizie corporali degradanti; esclusione degli operatori umanitari dalla zona di occupazione. Nessuna condanna per questi crimini.
Non può che sorprendere la chiara volontà, da parte degli autori della lettera, di ignorare uno dei principi fondamentali del diritto internazionale: il rispetto della sovranità nazionale e dell’integrità territoriale, che oggi costituisce la base della condanna, da parte dell’intera comunità internazionale, delle violenze e violazioni dei diritti umani perpetrate dal Ruanda, negli ultimi 30 anni, sul territorio della Repubblica Democratica del Congo. Gli autori della lettera giustificano addirittura la violazione di questo principio, affermando che il conflitto in corso nell’est del Congo non può essere compreso mediante la «narrazione a senso unico del rischio della balcanizzazione del Congo e dello sfruttamento illegale delle sue risorse naturali», ma come «il risultato di un insieme esplosivo di tensioni sociali ed economiche, tra cui principalmente l’esclusione dei Tutsi congolesi». Secondo gli autori di quella lettera, quindi, più che le velleità di espansione territoriale e di sfruttamento illegale delle risorse minerarie, sarebbero la sorte dei Tutsi congolesi e la presenza di membri delle Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR) in territorio congolese che giustificherebbero la violazione del principio di inviolabilità delle frontiere da parte del Ruanda.

I firmatari della lettera in questione hanno omesso dispiegare in che modo questi atti bellicosi e criminali possano contribuire a migliorare la situazione dei Tutsi in Congo. Tanto più che un intellettuale tutsi congolese, Alexis Gisaro, che è anche ministro dei Lavori pubblici a Kinshasa, ha dichiarato chiaramente, a nome della sua comunità: «Noi non abbiamo chiesto a nessun Stato straniero di occuparsi di noi». I ripetuti attacchi sul territorio congolese da parte del Ruanda, cinque in totale dal 1996 ad oggi, hanno infatti contribuito, secondo l’opinione di tutti, a complicare la situazione dei congolesi ruandofoni. Ciò può essere confermato confrontando la loro situazione negli ultimi decenni con quella degli anni precedenti, dal periodo coloniale fino agli anni 1990.
La lettera presenta la comparsa dell’M23 come “conseguenza della sistematica privazione dei diritti umani dei Banyarwanda e dei Tutsi della RDC”. A questo proposito, vorremmo segnalare l’uso malizioso e simultaneo dei termini “Banyarwanda e Tutsi”. Nella Repubblica Democratica del Congo, in particolare nel Nord Kivu, ci sono delle popolazioni di lingua kinyarwanda, composte da hutu, la maggioranza, e tutsi. È intellettualmente onesto sottolineare che le varie ribellioni e spedizioni punitive condotte dal Ruanda negli ultimi 30 anni hanno avuto l’unico obiettivo di difendere i soli Tutsi e che gli Hutu congolesi ne sono stati generalmente vittime.

Ci permetta di chiederle di prendere nota dei seguenti fatti, che dimostrano l’opposto di ciò che si cerca di farle credere:
– In questo momento, mentre la guerra infuria nell’est del paese, ci sono dei Tutsi congolesi che sono membri del governo, del parlamento e di altre istituzioni pubbliche congolesi, tra cui l’esercito, di cui fa parte il generale Masunzu. Dove sarebbe questo odio verso i Tutsi?
– Dal punto di vista storico, la stragrande maggioranza dei ruandofoni presenti in Congo discende da famiglie ruandesi immigrate nel Kivu nel periodo coloniale, nell’ambito di iniziative ufficiali, organizzate dalle stesse autorità coloniali, per incrementare la nascente industria congolese e, nello stesso tempo, abbassare l’eccesso delle popolazione ruandese (1927, 1937-1945, 1949-1955). Alla vigilia dell’indipendenza del Congo, secondo la legge elettorale coloniale del 23 marzo 1960, non tutti questi immigrati e loro discendenti avevano la possibilità di essere elettori, ma solo quelli residenti da più di dieci anni. Tuttavia, nel 1960, nel primo governo del Congo indipendente c’era già un ruandofono, Marcel Bisukiro, ministro del Commercio estero. In quel tempo, dove c’era il cosiddetto odio verso i ruandofoni da parte del popolo congolese?
Dal 1959 al 1994, per quattro decenni, il Congo-Zaire ha ricevuto, accolto e integrato socialmente delle ondate di rifugiati Tutsi, condannati all’esilio, in fuga dalle violenze perpetrate contro di loro  in Ruanda. Molti hanno studiato nelle scuole e nelle università congolesi, ricevendo anche borse di studio.
Successivamente, essi hanno ricoperto vari incarichi nelle istituzioni della Repubblica e nei servizi pubblici; hanno lavorato come imprenditori, avvocati, insegnanti nelle scuole di livello superiore o professori universitari. Il più noto tra loro, Barthélemy Bisengimana Rwema, ingegnere laureatosi all’Università di Lovanium a Kinshasa, fu capo del gabinetto di Mobutu dal 1969 al 1977 e, di fatto, esercitò delle responsabilità normalmente assegnate a un vicepresidente della Repubblica. Fu lui a gestire la nazionalizzazione delle aziende e delle imprese (zairianizzazione), creando una baronia tutsi in Congo, in particolare nel Kivu. A lui si deve anche la legge n. 72-002 del 5 gennaio 1972, secondo la quale i cittadini del Ruanda-Urundi, che si erano stabiliti nella provincia del Kivu prima del 1° gennaio 1950, in seguito alla decisione dell’autorità coloniale, e che da allora avevano continuato a risiedere nel Paese, avevano acquisito la nazionalità zairese il 30 giugno 1960. In quel tempo, dov’era l’odio per i Tutsi?
– Durante le ribellioni muleliste organizzate nel Sud Kivu, i rifugiati tutsi combatterono attivamente a fianco dei ribelli congolesi, come testimonia Ernesto Che Guevara nei suoi scritti. In quel tempo, dov’era l’odio per i Tutsi? Il rivoluzionario boliviano notò anche che le persone di origine ruandese incontrate nella zona di Fizi conservavano fermamente il senso di attaccamento alla loro patria d’origine. Avrebbero avuto particolari difficoltà a integrarsi con le altre comunità?
– Sono gli immensi privilegi concessi ai Tutsi durante l’era di Bisengimana, che finirono per esasperare la rabbia dei non Tutsi. Le loro crescenti rivendicazioni divennero più intense con il declino del potere di Mobutu. Benché non si fossero mai constatati atti di sopruso nei confronti degli studenti Tutsi del campus universitario di Kinshasa, è vero invece che ci fu l’esclusione dalla Conferenza Sovrana Nazionale, di cittadini ruandofoni, perché in quell’epoca venivano definiti come “zairesi di dubbia nazionalità”, fossero essi Tutsi o Hutu. Questo sentimento fu poi esacerbato dal fatto che diversi Tutsi, considerati come congolesi, diedero ostentatamente il loro appoggio morale e finanziario alla ribellione contro l’ex regime del Ruanda e dal fatto che alcuni, soprattutto di Masisi e Rutshuru, vi aderirono, arruolandosi nelle sue truppe. Diversi leader tutsi congolesi hanno fornito le prove di questa loro complicità, tornando in massa in Ruanda dopo la presa del potere da parte del Fronte Patriottico Ruandese (FPR), occupandovi dei posti importanti, addirittura anche all’interno dell’esercito.
Inoltre, durante tutto il periodo compreso tra la caduta di Mobutu, in maggio 1997, e l’arrivo al potere di Felix Tshisekedi, in gennaio 2019, fatta eccezione per il breve periodo intermedio (da metà 1998 a gennaio 2001) di rottura tra il regime ruandese e Laurent Désiré Kabila, presidente della RDC fino al suo assassinio, sono le élite Tutsi che hanno avuto il controllo effettivo dei principali ingranaggi del potere nella RDC: servizi segreti, forze di sicurezza e di difesa, istituzioni della Repubblica. Secondo l’opinione popolare, in quel periodo, in Congo non si poteva fare nulla di significativo senza la decisione di Kigali.
In queste condizioni, è difficile comprendere il discorso tenuto dai firmatari di quella lettera a proposito dell’esclusione e dell’emarginazione dei Tutsi. Tuttavia, le ribellioni del Raggruppamento Congolese per la Democrazia (RCD), del Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo (CNDP) e del Movimento del 23 marzo (M23), sono nate e hanno operato nel Kivu i quello stesso periodo, con il pretesto di difendere le stesse popolazioni tutsi.

Gli autori e i firmatari della lettera pongono l’M23 sullo stesso piano delle Forze Armate della Repubblica Democratica del Congo (FARDC) e associano le FDLR ai Wazalendo, attribuendo a entrambi un’ideologia genocida.
È sorprendente che lo Stato ruandese sia più preoccupato per la situazione dei ruandofoni congolesi (Tutsi) che non per quella dei ruandofoni ruandesi che vivono in Congo, per il fatto che sarebbero responsabili di atti di genocidio. In base a questa concezione delle FDLR, lo Stato ruandese ha decretato l’emarginazione dell’etnia maggioritaria del Ruanda, cioè gli Hutu, decimati e massacrati in Congo da tre decenni. Nell’immaginario popolare creato dal potere ruandese, oggi Hutu=Interahamwe=FDLR.
È utile ricordare che, nel 1996 – 1997, nelle foreste congolesi, gli eserciti ugandese e ruandese hanno sistematicamente massacrato i rifugiati ruandesi hutu durante, al punto che alcuni analisti hanno parlato di un genocidio degli Hutu conseguente al genocidio dei Tutsi. L’episodio più significativo è stato il massacro di centinaia di migliaia di rifugiati hutu ruandesi nella foresta di Tingitingi, ampiamente documentato, in particolare dal Mapping Report e da diverse organizzazioni per i diritti umani, e per il quale le Nazioni Unite non hanno mai ottenuto l’autorizzazione di aprire un’inchiesta, perché i ribelli congolesi dell’AFDL e i loro sostenitori ruandesi vi si opposero con fermezza. Il 3 febbraio 1997, l’ambasciatore ruandese presso l’ONU dichiarò addirittura: “Nello Zaire non ci sono rifugiati, ma 40.000 militari hutu e le loro famiglie”. La comunità internazionale ha preferito dimenticare questi massacri, che continuano ad angustiare la memoria dei cittadini congolesi, che non avevano mai assistito a una violenza di quella portata. A partire dal 1998, le ribellioni ruandesi dell’RCD, del CNDP e dell’M23 hanno continuato a perpetrare tali massacri fino ai giorni nostri.
E, per porre fine alle ricorrenti accuse di complicità con le FDLR, spesso ripetute dal governo ruandese nei confronti del governo congolese, occorre ricordare che il Governo congolese firmò, il 31 luglio 2002, il cosiddetto Accordo di Pretoria con il Ruanda, alla presenza del Governo sudafricano, parte terza. Quell’accordo stabiliva un’intesa tra i due governi, il cui obiettivo era quello di ridurre significativamente il numero dei membri delle FDLR operativi sul suolo congolese, in cambio del ritiro delle truppe ruandesi dal territorio congolese.
Posteriormente, su richiesta della comunità internazionale, la RDC aveva autorizzato l’esercito ruandese ad entrare in territorio congolese per sconfiggere definitivamente le FDLR, mediante operazioni militari (dal 2009 al 2012) denominate successivamente Umoja Wetu (la nostra unione), Kimia I e II (silenzio), Amani Leo (pace oggi).
In seguito, il governo congolese aveva effettuato diversi rimpatri di membri delle FDLR e di loro familiari, a partire dalla base militare di KAMINA e in collaborazione con la Missione delle Nazioni Unite per il mantenimento della pace in Congo (MONUC, divenuta in seguito MONUSCO). Ecco alcune date e fatti:
– 20 maggio 2014: a Kateku (Nord Kivu), 104 combattenti si sono arresi con 104 armi, tra cui 12 armi collettive.
– 9 giugno 2014: a Kigogo (Sud Kivu), 83 combattenti si sono arresi con 83 armi, tra cui 8 armi collettive.
– 28 dicembre 2014: 84 combattenti a Buleusa (Nord Kivu) e 67 a Burinyi (Sud Kivu) si sono arresi consegnando, rispettivamente, 37 e 30 armi, tra cui 11 armi collettive.
In totale, 338 combattenti si sono arresi consegnando 254 armi. Ciò non rappresentava che il 26% del numero totale dei combattenti delle FDLR presenti nella RDC, un totale stimato, in ottobre 2012,  sui 1.300 combattenti, secondo l’equipe militare di verifica, un organismo composto da esperti militari della Conferenza Internazionale della Regione dei Grandi Laghi (CIRGL).
– 8 dicembre 2016, la RDC ha consegnato Ladislas Ntaganzwa, leader delle FDLR, arrestato nel Nord Kivu
– 30 novembre 2018: i campi-base di Walungu, Kanyabayonga e Kisangani vengono chiusi e tutti i membri delle FDLR e i loro familiari vengono rimpatriati in Ruanda, per un totale di 1.609 combattenti rimpatriati.
– Settembre 2019: Sylvestre Mudachumura ​​e Ignace Iretegeka, due capi delle FDLR, vengono neutralizzati nel corso di un’operazione militare congiunta dei due eserciti, congolese e ruandese.
– Settembre 2024: il governo della RDC arresta il leader delle FDLR, il generale Pacifique Ntawunguka, alias “Omega”.
La cosa più sorprendente è che alcuni di questi combattenti hutu ruandesi delle FDLR, rimpatriati in Ruanda, si sono ritrovati di nuovo in Congo, massacrando la popolazione congolese e saccheggiando le risorse naturali. Ci sarebbero quindi delle FDLR vere e delle FDLR false. Inoltre, è in Congo, e non in Ruanda, che le FDLR hanno compiuto il maggior numero di massacri di popolazioni civili, pur continuando a servire da alibi per mantenere intere regioni congolesi sotto la sfera di influenza del Ruanda.

Per quanto riguarda l’M23, condannato dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, dall’Unione Africana, dall’Unione Europea e dalle Comunità economiche regionali africane, gli autori e i firmatari di quella lettera lo scagionano totalmente.
Vogliamo umilmente qui ricordare che, come attestato dai vari rapporti delle Nazioni Unite e di ONG nazionali e internazionali, l’M23 e le truppe ruandesi che lo appoggiano continuano a perpetrare crimini di guerra e crimini contro l’umanità: massacri di civili, violenze sessuali, reclutamento di bambini soldato, ecc., ciò che costringe migliaia di persone a fuggire dai loro villaggi,  Un caso particolare è quello delle migliaia di vittime (più di 6.000) dell’occupazione di Goma.

Che esista un legame più che evidente tra questi attacchi mortali e lo sfruttamento illegale delle risorse naturali del suolo e sottosuolo congolese è ampiamente affermato e confermato da numerosi osservatori, ricercatori e analisti della situazione. Anche l’ultimo rapporto del Gruppo di esperti delle Nazioni Unite dimostra che le zone attaccate sono spesso quelle in cui ci sono dei siti di estrazione artigianale di minerali strategici.
C’è un altro aspetto su cui i firmatari della lettera preferiscono tacere, ma che emerge chiaramente nei discorsi ufficiali del regime ruandese: le mire espansionistiche di Kigali e la volontà di conquistare una parte del territorio congolese, con il fallace pretesto del mito della ricostituzione del grande Ruanda precoloniale. È da 30 anni che i leader ruandesi esprimono questa ambizione.
Il 10 ottobre 1996 a Cyangugu, Pasteur Bizimungu, allora presidente del Ruanda, dichiarava: «Se i nostri combattenti sono attualmente nello Zaire, è perché si trovano a casa loro».
In aprile 2023, Paul Kagamé, in visita a Cotonou, in Benin, affermava a sua volta: “Le frontiere tracciate durante l’era coloniale hanno diviso i nostri paesi e gran parte del Ruanda è stata assegnata all’est del Congo.
A questo proposito, occorre ricordare che, nel 1963, il 2° vertice dell’OUA aveva adottato il principio dell’inviolabilità delle frontiere ereditate dalla colonizzazione e che nessun storico professionista ha mai riconosciuto l’esistenza di quel grande Ruanda, poiché l’antico regno del Ruanda non ha mai raggiunto le dimensioni spaziali dell’attuale Repubblica del Ruanda.

Per quanto riguarda la questione dei rifugiati Tutsi congolesi residenti in Ruanda, essa costituirebbe, secondo i ripetuti discorsi dei leader ruandesi, una delle principali giustificazioni (chiamate cause profonde del conflitto) delle varie ribellioni e aggressioni, perché la Repubblica Democratica del Congo si opporrebbe al loro ritorno nella terra natale. Nella lettera al Segretario generale si afferma che migliaia di rifugiati Tutsi congolesi “sono condannati a una vita precaria in campi-profughi di Burundi, Uganda, Kenya e Ruanda”. Secondo il governo ruandese, i rifugiati congolesi residenti in Ruanda sarebbero centinaia di migliaia ma, secondo le ONG sarebbero 80.000 e, secondo le autorità congolesi, sarebbero solo 72.000.
Il 15 maggio 2023, a Ginevra, è stato firmato un accordo tripartito tra il governo della RDC, il governo del Ruanda e l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, relativo al rimpatrio volontario dei rifugiati congolesi residenti in Ruanda. In conformità con le sue conclusioni, un nuovo incontro tripartito si è svolto a Nairobi il 26 e 27 giugno 2023. Tutto ciò è stato fatto in seguito agli accordi iniziali conclusi da questi tre partner a Kigali, il 17 febbraio 2010, seguiti dalla firma, a Goma, il 30 luglio 2010, di un altro accordo sulle modalità pratiche di questo rimpatrio. Il Ruanda non ha mai accettato la richiesta di controlli fisici individuali su questi rifugiati, come richiesto dagli altri due partner.

Una soluzione duratura all’attuale crisi deve effettivamente affrontare le cause profonde di questi conflitti. Queste cause profonde non sono congolesi; sono piuttosto intra-ruandesi, nell’ambito dell’antagonismo tra Tutsi e Hutu. La comunità internazionale, pur essendo consapevole di questa realtà, finge di ignorarla. Per evitare di scontrarsi con il regime di Kigali, che ha saputo strumentalizzare la cattiva coscienza internazionale riguardo al genocidio Tutsi, preferisce adottare un atteggiamento compiacente nei confronti del regime ruandese, per evitar di essere accusata di negazionismo.
Solo una vera riconciliazione tra Tutsi e Hutu, sul territorio del Ruanda, sarebbe il vero punto di partenza per una pace duratura e la base “esistenziale” per l’armonia tra i Paesi dei Grandi Laghi. La guerra del Kivu non è altro che la continuazione di un’interminabile guerra ruando-ruandese in territorio congolese, una guerra strumentalizzata a proprio piacimento per fini espansionistici e pratiche mafiose di commercio e di finanziamento, nell’ambito dell’economia dei minerali, delle terre rare e delle risorse forestali e agricole. La comunità internazionale e le istituzioni religiose, nazionali e regionali, devono avere il coraggio di affrontare questa spinosa questione, per porre fine definitivamente all’attuale spirale di guerre e di violenze. Ridurre questa crisi alla soluzione di semplici dispute politiche in Congo sarebbe un errore gravissimo, come l’ha dimostrato la nostra storia recente.[2]

[1] Cf Lalibre.be/Afrique, 15.03.’25   https://afrique.lalibre.be/79516/lettre-ouverte-a-m-antonio-guterres-secretaire-general-des-nations-unies/ e   https://genocidealertdrc.org/french/
[2] Cf https://souveraineterdc.org/plaidoyers/francais