INDICE
1. LA RDC E IL RUANDA HANNO FIRMATO UNA “DICHIARAZIONE DI PRINCIPI” A WASHINGTON (STATI UNITI) PER LA PACE NEL KIVU
2. CHIAVI DI LETTURA
3. REAZIONI E COMMENTI
1. LA RDC E IL RUANDA HANNO FIRMATO UNA “DICHIARAZIONE DI PRINCIPI” A WASHINGTON (STATI UNITI) PER LA PACE NEL KIVU
Il 21 aprile, il mediatore del Qatar Mohammed al-Khulaifi ha incontrato Massad Boulos, consigliere senior per l’Africa presso la Casa Bianca. Gli Stati Uniti, pur sostenendo il processo di Doha, stanno implementando una propria strategia. Massad Boulos ha recentemente ricordato: «Questo conflitto dura da più di trent’anni. È ora di porvi fine». E per Washington, l’economia è parte della soluzione. Si sta infatti discutendo un accordo minerario con Kinshasa, ma anche con altri paesi della regione, tra cui il Ruanda. Un modo, secondo la diplomazia americana, per ancorare la pace negli investimenti e nello sviluppo.[1]
Una fonte diplomatica ha affermato che una “dichiarazione di principi” avrebbe lo scopo di favorire “una via verso la pace, la stabilità e lo sviluppo economico integrato” nell’est della RDC e “la ripresa di relazioni bilaterali normali tra la RDC e il Ruanda”. L’amministrazione Trump ha mostrato un particolare interesse per la Repubblica Democratica del Congo da quando un senatore congolese ha contattato dei funzionari statunitensi per proporre un accordo minerario in cambio di un aiuto nel settore della sicurezza. Washington sta cercando nuove vie di accesso alle risorse minerarie (rame, cobalto e litio) utilizzate nella fabbricazione dei telefoni cellulari e delle auto elettriche. Attualmente queste risorse minerarie congolesi sono principalmente nelle mani della Cina e delle sue compagnie minerarie. Ultimamente, anche il Ruanda ha annunciato che sta discutendo con Washington su un possibile accordo minerario.[2]
Il 25 aprile, la Repubblica Democratica del Congo (RDC) e il Ruanda hanno firmato una “dichiarazione di principi”, in vista di un accordo per promuovere la pace e lo sviluppo economico nella Regione dei Grandi Laghi Africani, ponendo fine al conflitto che sta devastando l’est della RDC. La dichiarazione è stata firmata a Washington dal ministro degli Esteri congolese Thérèse Kayikwamba Wagner e dal suo omologo ruandese, Olivier Nduhungireye, alla presenza del segretario di Stato americano Marco Rubio. Questa iniziativa diplomatica ha avuto luogo 48 ore dopo il comunicato congiunto firmato da Kinshasa e il gruppo armato M23 e negoziato a Doha con la mediazione del Qatar, per una tregua in vista di un cessate il fuoco e della fine del conflitto. Questa “dichiarazione di principi” è imperniata su sei impegni principali:
– Riconoscimento reciproco della sovranità e dell’integrità territoriale,
– Lotta contro l’insicurezza,
– Promozione dell’integrazione economica regionale,
– Facilitazione del ritorno degli sfollati e dei rifugiati all’estero,
– Sostegno alla MONUSCO,
– Elaborazione di un accordo di pace.
La RDC e il Ruanda si sono impegnati a riconoscere la sovranità e l’integrità territoriale di ciascuno di loro due e a rispettare le frontiere stabilite. In consultazione con il governo degli Stati Uniti, le due parti concordano di intraprendere un percorso che permetta di risolvere le loro divergenze attraverso mezzi pacifici, basati sulla diplomazia e sulla negoziazione, piuttosto che attraverso il ricorso alla forza o a discorsi ostili. La Repubblica Democratica del Congo e il Ruanda devono quindi astenersi da qualsiasi ingerenza nei rispettivi affari interni.
Sul piano della sicurezza, i due Paesi si sono impegnati a creare un meccanismo congiunto di coordinamento della sicurezza, per combattere i gruppi armati e le organizzazioni criminali che minacciano gli interessi comuni di sicurezza. In questo contesto, i due Paesi si impegnano a non sostenere più alcun gruppo armato. Sebbene la dichiarazione non li menzioni espressamente, secondo gli esperti, si tratta dell’AFC-M23 per il Ruanda e dell’FDLR e dei Wazalendo per la RDC.
Sul piano dell’integrazione economica regionale, la dichiarazione propone che la questione delle risorse naturali venga inquadrata nell’ambito della cooperazione economica tra i due Paesi.
Kinshasa e Kigali intendono rafforzare la trasparenza nelle catene di approvvigionamento dei minerali critici, adoperandosi per eliminare i rischi dell’introduzione in esse di minerali che potrebbero contribuire al finanziamento dei gruppi armati. I due Paesi si propongono di ampliare la loro cooperazione economica sulla base di priorità comuni, come il settore idroelettrico e la gestione dei parchi nazionali, in collaborazione con le autorità e gli investitori statunitensi. L’obiettivo è consentire a entrambe le nazioni di trarre vantaggio dalle abbondanti risorse naturali della regione, attraverso un partenariato economico e degli investimenti reciprocamente vantaggiosi. L’accordo economico menzionato nel testo è motivo di preoccupazione per il governo congolese, che potrebbe uscirne perdente, poiché si presenta a questi negoziati in una posizione di debolezza e con pochi argomenti a suo favore. Una fonte occidentale ha affermato che si tratta di un accordo di “affari in cambio di territori” e che “l’est del Congo diventerà un’estensione economica del Ruanda”.
I due paesi confinanti si sono impegnati a facilitare il ritorno dei rifugiati all’estero e degli sfollati interni. Il Ruanda sostiene di ospitare oggi almeno 100.000 rifugiati congolesi.
Infine, i due Paesi si sono impegnati a redigere un accordo di pace preliminare e a presentarlo il 2 maggio.
Secondo alcuni osservatori, il riconoscimento del rispetto dell’integrità territoriale di ciascun Paese, la volontà di impedire qualsiasi azione o discorso che metta in discussione la validità delle frontiere e l’impegno di non fornire più alcun appoggio militare ai gruppi armati sembrano avvantaggiare la RDC. Tuttavia, l’inserimento della questione del commercio minerario nella dichiarazione di principi rappresenta un vantaggio soprattutto per il Ruanda, che gode di un certo primato in questo settore e si sta già posizionando come importante piattaforma commerciale nella regione. Quando il Ruanda è già dotato di una fonderia per lo stagno, di una raffineria per l’oro e di una raffineria per il tantalio, questo accordo gli consentirà di rafforzare ulteriormente la sua capacità di trattare / trasformare localmente i minerali strategici, tra cui quelli provenienti dall’est della RDC.
Questa “dichiarazione di principi” è stata firmata mentre è in corso una negoziazione di un accordo tra la RDC e gli Stati Uniti sul commercio di minerali strategici. L’accordo mira a garantire alle aziende americane un accesso privilegiato alle risorse minerarie strategiche della RDC, come il cobalto, il coltan e il litio, in cambio di assistenza in materia di sicurezza per la lotta contro i gruppi armati, tra cui il Movimento del 23 marzo (M2), appoggiato dal Ruanda. Questo gruppo armato controlla diverse località nelle province del Nord Kivu e del Sud Kivu, tra cui le città di Goma e Bukavu. Oltre all’M23, in queste due province ci sono più di un centinaio di altri gruppi armati.[3]
Sono tre gli accordi attesi nell’ambito della mediazione guidata dagli Stati Uniti. Il primo è un accordo di pace tra la Repubblica Democratica del Congo e il Ruanda, la cui firma è prevista per il mese di giugno.
Contemporaneamente, devono essere finalizzati due accordi economici bilaterali con Washington.
Il primo riguarda la RDC e prevede investimenti multimiliardari da parte di società statunitensi nel settore delle miniere congolesi e nelle infrastrutture correlate. Il secondo riguarda il Ruanda e concerne attività di trasformazione, raffinazione e commercializzazione dei minerali.
È in fase di discussione anche una componente di cooperazione tra Kinshasa e Kigali, incentrata sulla filiera mineraria. I minerali estratti nella RDC dovrebbero transitare legalmente attraverso il Ruanda, per essere trasformati, raffinati ed esportati negli Stati Uniti. Secondo una fonte diplomatica, «si può pensare che anche la RDC sarà implicata nella raffinazione e nella creazione di valore aggiunto mediante una collaborazione con le società minerarie statunitensi basate in Ruanda». Questi tre accordi, quello politico e quelli economici saranno interdipendenti anche se, per il momento, i loro contenuti sono ancora lontani dall’essere definitivi.[4]
L’accordo tra il Ruanda e la RDC prevede la loro collaborazione per quanto riguarda la produzione delle materie prime nelle miniere congolesi e la loro raffinazione negli impianti ruandesi.
Questo accordo di principio per la collaborazione dei due Paesi nel settore delle materie prime è stato proposto in un momento in cui l’Unione Europea sta ancora mettendo in discussione il protocollo d’accordo firmato nel 2024 con il Ruanda sulle catene di approvvigionamento di minerali strategici. Una posizione piuttosto insostenibile quando quest’ultimo accordo tra i due Paesi vicini, la RDC e il Ruanda, sarà firmato.
Il partenariato RDC-USA prevede l’estrazione e la commercializzazione delle risorse minerarie della RDC in cambio di un’assistenza americana per la sicurezza nell’est della RDC. In tale partenariato, gli Stati Uniti prevederebbero di investire quasi 500 miliardi di dollari USA in un periodo di 15 anni.[5]
Il 2 maggio è il giorno in cui la RDC e il Ruanda dovrebbero presentare a Washington (Stati Uniti) una bozza preliminare di un accordo di pace. È quanto prevede la dichiarazione di principi firmata il 25 aprile tra i due Paesi sotto la mediazione americana. Questo documento preliminare dovrebbe formalizzare gli impegni bilaterali assunti dalla RDC e dal Ruanda in materia di diplomazia, sicurezza e risoluzione dei conflitti. Dovrebbe chiarire le responsabilità di ciascun Paese, in particolare per quanto riguarda i gruppi armati, tra cui l’M23/AFC e le FDLR, e potrebbe includere un meccanismo di verifica. Questo documento, frutto della fusione dei processi di pace di Nairobi (Kenia) e Luanda (Angola), dovrà essere esaminato a livello ministeriale con la collaborazione del Segretario di Stato americano. Per finalizzare un testo consolidato del progetto d’accordo, è prevista una riunione dei ministri degli Esteri congolese e ruandese a Washington, nella terza settimana di maggio. Non c’è ancora alcuna conferma che la bozza dell’accordo di pace sia effettivamente presentata entro i tempi previsti. Infine, nessuna comunicazione è stata inoltrata dalle due delegazioni che, in serata, stavano ancora lavorando sulle loro copie.[6]
Ciò che ci si aspetta è una bozza iniziale di un accordo di pace. Sarà esaminata da esperti congolesi, ruandesi e americani. Questo testo è in continuità con la “dichiarazione di principi” firmata una settimana prima e ne riprenderà i principali temi affrontati: sovranità territoriale, lotta contro i gruppi armati, commercio dei minerali, questione dei rifugiati e degli sfollati, cooperazione regionale e ruolo delle forze internazionali, in particolare della Missione dell’ONU (Monusco). Per concludere il processo di pace, i presidenti Félix Tshisekedi (RDC) e Paul Kagame (Ruanda) dovrebbero recarsi negli Stati Uniti nel mese di giugno prossimo, per la firma ufficiale di un accordo finale di pace, sotto l’egida del presidente Donald Trump. Nel frattempo, le discussioni proseguono a diversi livelli: tra Kinshasa e l’AFC/M23 a Doha (Qatar), e tra Kinshasa e Kigali a Washington (USA).[7]
Il 5 maggio, la Repubblica Democratica del Congo e il Ruanda hanno ciascuno presentato una bozza preliminare di un accordo di pace, come previsto dalla dichiarazione di principi firmata a Washington sotto l’egida degli Stati Uniti. In caso di persistente divergenza sul contenuto dei due testi, la Dichiarazione di Principi prevede una riunione ministeriale a Washington, sotto la mediazione del Segretario di Stato americano.[8]
2. CHIAVI DI LETTURA
La firma, a Washington il 25 aprile, di una “Dichiarazione di principi” tra la RDC e il Ruanda, alla presenza del Segretario di Stato americano, ha sollevato serie preoccupazioni circa la sicurezza delle risorse naturali congolesi. Benché lo scopo della dichiarazione sia quello di porre le basi per un futuro trattato di pace, essa elude un punto essenziale, quello del riconoscimento esplicito dell’aggressione ruandese, peraltro ben documentata dall’ONU. Questa omissione indebolisce la posizione congolese e potrebbe legittimare, attraverso l’ambiguità giuridica, la presenza delle truppe ruandesi sul territorio congolese, con il pretesto della lotta contro il gruppo armato di origine ruandese, le Forze Democratiche di Liberazione del Ruanda (FDLR).
In materia di sicurezza, la dichiarazione prevede la creazione di un meccanismo congiunto per combattere i gruppi armati. Questa proposta solleva però il timore di una reintroduzione delle operazioni militari ruandesi nella RDC, che potrebbe riaccendere l’instabilità, come accaduto durante gli interventi del 2009. Il Ruanda potrebbe utilizzare questa possibilità, per giustificare una sua presenza armata nell’est della RDC, mentre lo Stato congolese, indebolito, rischia di perdere ancor di più il controllo sui suoi territori ricchi di risorse minerarie strategiche.
Un altro punto delicato è l’integrazione economica regionale prevista dalla dichiarazione. Con il pretesto dell’apertura agli investimenti americani, si potrebbe arrivare alla creazione di uno spazio economico transfrontaliero che non terrebbe conto dell’origine dei minerali. In questo sistema, la sovranità del Congo sulle sue risorse minerarie verrebbe diluita, a vantaggio del Ruanda che, più attraente per gli investitori stranieri. Potrebbe diventare il principale beneficiario della filiera mineraria strategica, a scapito delle comunità congolesi.
Restano ancora senza risposta alcune domande fondamentali: come può la RDC garantire la sua sovranità sui propri minerali? Quali garanzie di sicurezza sono previste per le popolazioni dell’Est? E soprattutto, quali sono le riforme interne che la RDC dovrebbe attuare per trarre vantaggio da possibili accordi? Di fronte a queste sfide, voci come quella del ricercatore Martin Ziakwau chiedono al governo congolese di inserire una clausola di ratifica parlamentare, per garantire la trasparenza democratica e preservare gli interessi strategici del Paese.[9]
I Grandi Laghi e Donald Trump: diplomazia e affari sono strettamente legati. È in questo contesto che, a Washington e con la mediazione americana, ha avuto luogo la firma di una “dichiarazione di principi” da parte della RDC e del Ruanda.
A cento giorni dal suo arrivo alla Casa Bianca, le azioni di Donald Trump in Africa stanno diventando sempre più visibili. Ed è nella regione dei Grandi Laghi Africani che la sua strategia risulta più evidente. La situazione ha subito una notevole accelerazione nelle ultime settimane, in particolare con la visita a Kinshasa, all’inizio di aprile, del suo inviato speciale per l’Africa, Massad Boulos. Insieme a lui, c’era anche Corina Sanders, vicesegretaria per gli affari africani. Secondo le dichiarazioni di quest’ultima, la strategia è chiara: unire la stabilità regionale e gli interessi economici americani, congolesi e ruandesi.
La RDC è centrale in questo approccio. Il paese è ricco di minerali strategici (tantalio, niobio, tungsteno, terre rare, oro) concentrati nel Kivu, una regione instabile caratterizzata da un’estrazione mineraria artigianale e da reti informali spesso legate a società minerarie cinesi e al contrabbando di minerali attraverso le frontiere con i paesi limitrofi (Ruanda e Uganda).
Dietro l’obiettivo della pace, si tratta soprattutto di aprire la strada agli investimenti americani in un’area considerata strategica. Tre questioni sottostanno all’iniziativa di Trump: garantire l’accesso ai minerali strategici per contrastare l’egemonia della Cina, stabilizzare l’est della RDC per attrarre capitali e rafforzare la presenza americana attraverso il Minerals Security Partnership Forum. Questo lavoro era già iniziato più a sud, nel Katanga, con il corridoio ferroviario di Lobito (Nord-Ovest dello Zambia – Sud della RDC – Angola) . Ma l’idea di estendere questo asse ferroviario verso Est si era scontrata con il rifiuto del Ruanda.[10]
Washington sottolinea che la “dichiarazione di principi” contribuirà a proteggere sia gli interessi degli Stati Uniti nel settore dei minerali strategici e critici, sia le esigenze di sicurezza nella regione dei Grandi Laghi. La dichiarazione contribuirà a proteggere gli interessi degli Stati Uniti nei confronti dei minerali strategici e critici e a riportare la pace e la stabilità tanto necessarie alla regione dei Grandi Laghi africani in generale e all’est della RDC in particolare. La dichiarazione arriva nei primi 100 giorni di attuazione della politica estera “America First” attuata dal Segretario di Stato Marco Rubio durante l’amministrazione Trump. Quest’ultimo sostiene che ogni azione diplomatica deve rispondere all’esigenza di rafforzare la sicurezza, la potenza e la prosperità degli Stati Uniti.[11]
3. REAZIONI E COMMENTI
In un’intervista con l’agenzia di stampa Reuters a Doha, capitale del Qatar, il consigliere senior del presidente degli Stati Uniti, Massad Boulos, ha annunciato che gli Stati Uniti stanno spingendo la RDC e il Ruanda a firmare, presso la Casa Bianca e tra circa due mesi (fine giugno), un accordo di pace, insieme ad accordi minerari bilaterali che porterebbero miliardi di dollari di investimenti occidentali nella regione: «Quando firmeremo l’accordo di pace… in quello stesso giorno sarà firmato un accordo sui minerali con la RDC e un accordo simile, ma di dimensioni diverse, con il Ruanda». La stessa fonte rivela che a metà maggio il Segretario di Stato americano Marco Rubio incontrerà a Washington i ministri degli esteri del Ruanda e della Repubblica Democratica del Congo per cercare di concordare una bozza definitiva di accordo di pace. Il consigliere del presidente Trump, Massad Boulos, ha sottolineato che prima della firma dell’accordo, Kinshasa e Kigali dovranno finalizzare gli accordi economici bilaterali con Washington, ciò che permetterà alle società americane e occidentali di investire miliardi di dollari nelle miniere congolesi e in progetti infrastrutturali per sostenere l’attività mineraria in entrambi i paesi, tra cui la trasformazione e la raffinazione dei minerali in Ruanda. Nella stessa intervista con Reuters, Boulos ha anche affermato che prima della firma di tali accordi, Washington si aspetta che i due Paesi (RDC e Ruanda) risolvano una serie di questioni legate alla sicurezza. Per esempio, il Ruanda dovrebbe ritirare le sue truppe dal Congo e cessare di appoggiare l’AFC/M23.[12]
Sul suo account X, Massad Boulos, consigliere senior per l’Africa presso la Casa Bianca, ha precisato che, prima che venga firmato qualsiasi accordo minerario con la RDC e il Ruanda, Kigali deve ritirare le sue truppe dal suolo congolese e cessare di appoggiare il Movimento del 23 marzo (M23) e la RDC deve, a sua volta, rispondere alle preoccupazioni del Ruanda in materia di sicurezza per quanto riguarda la presenza delle Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR) in territorio congolese.[13]
Riguardo a questa bozza di accordo di pace, Bob Kabamba, politologo dell’Università di Liegi e specialista della RDC, afferma che «non si tratta di un nuovo tentativo, ma di un consolidamento della strategia americana in atto nella regione», aggiungendo che «il Ruanda è un partner chiave di Washington, sia per questioni di sicurezza che per i minerali strategici». Kigali è infatti uno dei principali esportatori mondiali di minerali strategici ed è paragonabile alla città di Dubai.
Il testo del progetto preliminare di accordo si basa sulla “dichiarazione di principi” firmata una settimana prima a Washington e il suo obiettivo è di gettare le basi per un cessate il fuoco duraturo tra Kinshasa e Kigali.
La bozza di accordo da presentare a Washington si basa su tre pilastri: militare, umanitario ed economico. Essa prevede alcuni impegni di tipo strutturale: un cessate il fuoco immediato, il ritiro delle truppe ruandesi dal suolo congolese, la fine dell’appoggio ai gruppi armati e il disarmo delle milizie. Da parte sua, Kinshasa, si impegnerebbe a neutralizzare le FDLR. Si sta studiando anche la possibilità di una forza neutrale di interposizione, per mettere in sicurezza le zone riconquistate.
Oltre all’aspetto militare, il testo contiene anche una componente umanitaria, per facilitare il ritorno degli sfollati, il cui numero supera ormai le 700.000 unità solo nel Nord Kivu. I mediatori insistono: «senza una tregua è impossibile portare aiuti alla popolazione».
Un terzo pilastro, più discreto, è quello dell’economia. Washington sta spingendo per un accordo che consentirebbe alle sue imprese di accedere più facilmente ai minerali strategici provenienti dalla RDC (cobalto, litio, coltan). Bob Kabamba fa notare che «Alphamine, una società mineraria statunitense con sede anche a Walikale, produce il 6% dello stagno mondiale … Quando l’M23 ha preso il controllo della zona, i prezzi delle azioni si sono immediatamente alzati. Questo dimostra quanto questo sito sia strategico per gli Stati Uniti … La società mineraria Alphamine è legata a circoli prossimi a Donald Trump. C’è quindi una chiara volontà, da parte del presidente degli Stati Uniti, di proteggere questo investimento, riportando la regione verso una situazione di normalità». In caso di pace, entrambi i Paesi (la RDC e il Ruanda) potrebbero dunque beneficiare di ingenti investimenti statunitensi per progetti estrattivi, infrastrutturali ed energetici. Da parte sua, Kigali, che già possiede delle raffinerie, vede in tutto ciò l’opportunità di confermarsi come importante polo minerario a livello regionale.
Il processo avviato dagli Stati Uniti si basa sulle precedenti iniziative (Luanda, Nairobi e Doha) senza cancellarle. Finora, con un mandato dell’Unione Africana (UA), l’Angola aveva tentato di imporre un cessate il fuoco, ma senza alcun esito positivo. L’attuale tentativo statunitense è semplice: mantenere la pressione internazionale per evitare una ripresa dei combattimenti, promettendo nel contempo dividendi di pace a entrambe le capitali, Kinshasa e Kigali. Ma nella realtà la situazione è meno ottimistica. Le precedenti tregue sono state sistematicamente violate e l’AFC/M23 non solo occupa ancora intere città, tra cui Goma, capoluogo del Nord Kivu, e Bukavu, capoluogo del Sud Kivu, ma sta anche avanzando conquistando altre zone. «Dopo la MONUSCO, le truppe dell’EAC e della SADC, le truppe ugandesi e burundesi … non credo che la gente del Nord Kivu creda ancora che si possa arrivare ad un accordo», afferma Bob Kabamba. Nessuno si faccia illusioni: la bozza di accordo da sola non basterà a mettere a tacere le armi. Ma questa è forse la prima volta che tutti gli attori – regionali, continentali e internazionali – si sono riuniti attorno au uno stesso testo. Un’opportunità fragile ma reale per dare finalmente inizio ad una vera de-escalation.[14]
Il Segretario di Stato americano Marco Rubio, ha affermato che una pace duratura nella regione dei Grandi Laghi Africani è essenziale per la ripresa economica regionale, sottolineando che gli Stati Uniti sono pronti ad aumentare i propri investimenti nell’Africa centrale, in particolare nel settore di responsabili e sicure catene di approvvigionamento di minerali. Secondo Rubio, la risoluzione del conflitto tra Kinshasa e Kigali è anche una leva economica. «Una pace duratura nella regione dei Grandi Laghi aprirà le porte a maggiori investimenti americani e occidentali, che genereranno opportunità economiche e prosperità», ha egli affermato. Egli ha descritto questa dinamica come «una situazione vantaggiosa per tutte le parti: per gli Stati Uniti, per la Repubblica Democratica del Congo e per il Ruanda». Egli ha sottolineato che «una pace duratura è la previa condizione per lo sviluppo economico, perché è impossibile ottenerlo senza la pace», menzionando anche il ritorno degli sfollati che, secondo lui, potranno «ritornare a casa loro, in comunità più sicure e con nuove opportunità economiche, di cui varie generazioni non hanno potuto usufruire».
Ma non tutti condividono questo ottimismo. Il premio Nobel per la pace, il dottor Denis Mukwege, ha espresso le sue riserve. Egli ricorda la risoluzione 2773 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, adottata nel mese di febbraio, che già imponeva un cessate il fuoco immediato, il ritiro delle truppe ruandesi dal suolo congolese e la fine dell’appoggio del regime ruandese all’M23. Secondo Denis Mukwege, queste disposizioni sono chiare, rientrano nell’ambito del diritto internazionale e devono essere applicate senza ulteriori condizioni. Egli ritiene che non siano necessarie altre condizioni per porre fine a quella che egli definisce come una “aggressione dell’esercito ruandese di occupazione”. Egli mette in guardia dall’illusione di nuove tregue, ricordando che, nell’ambito dei processi di pace di Luanda e di Nairobi, sono stati «firmati circa sei accordi di cessate il fuoco, per essere in seguito sistematicamente violati», il che, secondo lui, dimostra la malafede delle forze aggressive e la loro strategia del “dialogare e combattere”. Inoltre, egli mette in guardia dal pericolo di un compromesso insufficiente, di fronte a un conflitto che egli descrive come profondamente radicato, internazionalizzato e segnato da gravi crimini, milioni di vittime e una delle peggiori crisi umanitarie nel mondo.
Ora sorge spontanea la domanda: gli impegni presi a Washington saranno effettivamente rispettati sul campo? In altre parole, rappresentano un vero passo avanti, in grado di aprire la strada a una de-escalation duratura tra due vicini con relazioni profondamente tese? Da questo accordo di principio emerge chiaramente che l’amministrazione americana sembra preoccupata più dei propri interessi strategici che di sostenere Kinshasa e Kigali sul cammino verso una pace duratura.[15]
In una sua dichiarazione, il movimento cittadino Filimbi, “fischio” in swahili, afferma che ogni tentativo di riconciliazione con i gruppi armati, intrapreso senza giustizia o riforme profonde, ha sempre contribuito a indebolire le istituzioni, a rafforzare l’impunità e a incoraggiare la proliferazione dei gruppi armati: «Queste ultime iniziative, condotte sotto la pressione regionale e internazionale e con la mediazione degli Stati Uniti e del Qatar, sembrano riprodurre uno schema ben noto: quello in cui la violenza armata viene premiata mediante compromessi politici, a scapito della sovranità nazionale, della giustizia per le vittime e dell’integrità delle istituzioni dello Stato. Se un cessate il fuoco può rappresentare un sollievo temporaneo per le popolazioni sofferenti, esso non può però giustificare certe concessioni che compromettono la dignità del popolo».
Di fronte a questa situazione e al fine di rompere il circolo vizioso dell’impunità, il movimento cittadino Filimbi propone alcune linee rosse da rispettare, tra cui il rifiuto di integrare i combattenti dei gruppi armati nell’esercito nazionale. In effetti, secondo Filimbi, «l’esperienza post-2009 ha chiaramente dimostrato che l’integrazione dei combattenti dei gruppi armati nell’esercito non fa altro che indebolirlo, mediante la perdita di lealtà, il sabotaggio e la diserzione. Pertanto, la nostra sovranità esige un esercito unito e disciplinato, basato sui principi repubblicani e non su fragili compromessi. Nessuna amnistia dovrebbe essere concessa per gli autori di crimini gravi. La giustizia rimane una condizione sine qua non per una vera riconciliazione. Pertanto, i crimini contro l’umanità, gli stupri di massa e i massacri, non possono essere passati sotto silenzio, né tollerati con un semplice accordo politico. In assenza di sanzioni, l’impunità prepara inevitabilmente il letto a future violenze».
Questo movimento cittadino rifiuta categoricamente anche qualsiasi riconoscimento politico dell’M23 poiché, secondo lui, riconoscere un gruppo armato come entità politica equivarrebbe di fatto a proclamare che la forza ha la priorità sulla volontà democratica. «Nonostante i massicci brogli elettorali, il popolo congolese ha scelto la via delle urne piuttosto che quella delle armi. Questa scelta fondamentale deve essere rispettata», ha sottolineato Filimbi nella sua dichiarazione.
Inoltre, questo movimento cittadino insiste sul rispetto dell’integrità del territorio nazionale e sull’importanza della giustizia e della riparazione per le vittime: «La sovranità nazionale è inalienabile. La nostra integrità territoriale non è negoziabile. Pertanto, qualsiasi tentativo di autonomia o di federalizzazione intrapreso con la forza delle armi costituirebbe un pericoloso precedente. Non ci sarà pace duratura senza verità, giustizia e riparazione per le vittime. La pace si basa sul riconoscimento della sofferenza e sulla verità storica. Ignorare queste ferite in nome di una ‘pace rapida’ sarebbe una pericolosa illusione». Secondo Filimbi, la società civile deve essere pienamente coinvolta nel processo di pace. Non dovrebbe limitarsi a un ruolo di spettatrice. Al contrario, una pace decisa senza la partecipazione delle popolazioni interessate è destinata al fallimento.[16]
L’opposizione si dimostra critica nei confronti di eventuali accordi che potrebbero favorire il Ruanda a scapito della RDC.
È la posizione della coalizione LAMUKA, espressa dal suo portavoce, Prince Epenge che si oppone a qualsiasi gestione congiunta delle risorse congolesi. Mentre la dichiarazione di principi propone un’integrazione economica a livello regionale, Lamuka ritiene che il Congo servirà solo come miniera per l’estrazione di materie prime. «La storia ricorderà che, per sopravvivere politicamente, il presidente Félix Tshisekedi, illecitamente al potere, ha accettato di ipotecare i minerali, i parchi, i laghi, il gas, l’oro e le terre del Congo. Accordo e dialogo per la pace sì, ma cogestione delle risorse minerarie del Congo no. Il presidente ruandese Paul Kagame ha ottenuto con l’accordo di Washington ciò che non è riuscito a ottenere con la forza delle armi al fronte. Tutte le società minerarie americane che arriveranno si stabiliranno in Ruanda, dove creeranno posti di lavoro e la RDC sarà ridotta a un grande pozzo da cui estrarre le materie prime», ha dichiarato Prince Epenge, invitando il popolo congolese a sollevarsi contro questa iniziativa.
Patrick Nkanga, membro del PPRD di Joseph Kabila, ha accolto con favore le varie iniziative di accordi di pace, ma ha altrettanto affermato che «le nostre risorse naturali sono la nostra forza, ma anche la nostra debolezza». Come altri membri dell’opposizione, Patrick Nkanga vuole dare priorità alle dinamiche interne, che ritiene preminenti rispetto a quelle che si svolgono a livello internazionale. Egli insiste su un patto repubblicano interno che, secondo lui, dovrebbe basarsi sul rispetto e l’applicazione della Costituzione, sulla separazione dei poteri, sulla supremazia della Costituzione su ogni cittadino e sulla piena applicazione del decentramento.[17]
Riguardo alla firma della “dichiarazione di principi” tra la Repubblica Democratica del Congo e il Ruanda sotto l’egida degli Stati Uniti, Ferdinand Kambere, vicesegretario permanente del Partito Popolare per la Ricostruzione e la Democrazia (PPRD), ha espresso un parere sfavorevole. Secondo lui, «il cuore del problema non è la dichiarazione di principi in sé, ma l’agenda nascosta che l’accompagna, in particolare il piano americano di negoziare un accordo di condivisione (cogestione) delle risorse naturali tra la RDC e il Ruanda, sotto la supervisione degli Stati Uniti, senza nemmeno chiedere il ritiro delle truppe straniere ruandesi e ugandesi dal territorio congolese. Sembra un trabocchetto». Egli ha poi aggiunto: «Il chiaro tentativo di fare del Ruanda un partner privilegiato, in violazione delle disposizioni della Costituzione (articoli 56 e 57), nella commercializzazione del cobalto, del coltan e del litio congolesi, in spregio alla sovranità nazionale congolese, rappresenta una grave ipoteca sulla pace stessa. È estremamente preoccupante l’assenza, in questa iniziativa, di qualsiasi riferimento serio alle reali sfide che la RDC deve affrontare: la sicurezza delle frontiere, il ripristino dell’autorità dello Stato nell’Est del Paese, il consolidamento della democrazia, il disarmo dei gruppi armati e la riforma della governance». Inoltre, Kambere ritiene che questa iniziativa istituzionalizzi indirettamente l’occupazione dell’M23: «Lungi dal promuovere una pace giusta e duratura, questa iniziativa istituzionalizza indirettamente l’occupazione di fatto di alcune zone da parte del Ruanda tramite l’M23 e organizza il saccheggio “legale” delle risorse congolesi, senza correggere le cause profonde dell’instabilità».[18]
In una dichiarazione firmata da Martin Fayulu, Moïse Katumbi, Delly Sessanga e Joseph Kabila, l’opposizione politica congolese ha chiesto l’avvio di un dialogo nazionale per permettere al Paese di uscire dall’attuale crisi. Questi membri dell’opposizione politica accolgono con favore l’impegno costruttivo da parte dell’Unione Africana, gli sforzi di mediazione messi in atto da Doha e Washington e l’iniziativa congiunta della Conferenza episcopale nazionale del Congo (CENCO) e della Chiesa di Cristo in Congo (ECC). Nella loro dichiarazione congiunta, i leader dell’opposizione ritengono che qualsiasi soluzione che ignori le cause profonde della crisi, come la violazione intenzionale della Costituzione, la cattiva gestione finanziaria, il malgoverno e le frodi elettorali, non possa che essere artificiale e di breve durata. «Tutte queste iniziative americane, europee e africane non possono avere alcun esito positivo senza l’unità all’interno del Paese. L’opposizione politica, l’opposizione armata e la società civile devono avere un loro ruolo ben preciso e riconosciuto nelle varie iniziative intraprese per ristabilire la pace. Nelle discussioni internazionali, è essenziale che la sovranità del Congo sia riconosciuta e rispettata», ha affermato Prince Epenge, portavoce di Lamuka, sottolineando che è necessario che i Congolesi stessi si incontrino tra loro in una piattaforma di dialogo che permetta loro di cercare delle soluzioni locali per uscire dalla crisi: «La soluzione non verrà solo da iniziative esterne. È a livello interno che i Congolesi devono dialogare tra loro, nell’ambito degli sforzi compiuti dalla CENCO e dall’ECC, per ristabilire la pace all’interno del Paese».[19]
[1] Cf RFI, 25.04.’25
[2] Cf Le Monde avec Reuters, 25.04.’25
[3] Cf Radio Okapi, 25 et 26.04.’25; Actualité.cd, 25.04.’25; RFI, 26.04.’25 ; Christophe Rigaud – Afrikarabia.com, 27.04.’25
[4] Cf RFI – 03.05.’25
[5] Cf Hubert Leclercq – Lalibre,be/Afrique, 25,04,’2 ; Nouveau Média / MCP, via mediacongo.net, 01.05.’25
[6] Cf Radio Okapi, 02.05.’25
[7] Cf RFI, 02.05.’25
[8] Cf Actualité.cd, 05.05.’25
[9] Cf Actualité.cd, 05.05.’25
[10] Cf RFI, 30.04.’25
[11] Cf Actualité.cd, 02.05.’25
[12] Cf Bernard Mpoyi – congo-press.com (MCP) / mediacongo.net, 02.05.’25
[13] Cf Rachidi Mabandu – Nouveau Média / MCP, via mediacongo.net, 03.05.’25
[14] Cf. tv5monde.com, 02.05.’25
[15] Cf Actualité.cd, 25 et 26.04.’25; RFI, 26.04.’25
[16] Cf Clément Muamba – Actualité.cd, 29.04.’25
[17] Cf Samyr Lukombo – Actualité.cd, 28.04.’25
[18] Cf Roberto Tshahe Da Cruz – 7sur7.cd, 29.04.’25
[19] Cf Radio Okapi, 01.05.’25