Congo Attualità 391

IL GRUPPO ARMATO DELLE ADF VISTO DALL’INTERNO

Panoramica della vita e delle operazioni di un misterioso gruppo armato jihadista[1]

Gruppo di Studi sul Congo
Centro di Cooperazione Internazionale
Università di New-York
Novembre 2018

INDICE

0. RIASSUNTO
1. PANORAMICA STORICA DELLE ADF
2. L’OPERAZIONE MILITARE SUKOLA 1 E L’INTENSIFICAZIONE DELLE VIOLENZE
3. ORGANIGRAMMA DELLE ADF
4. COLLEGAMENTI TRA LE ADF E ALTRI GRUPPI MILITARI ISLAMISTI
5. L’IMMAGINE DELLE ADF CONSEGUENTE ALL’ANALISI DI ALCUNI VIDEO
6. CONCLUSIONE

Da ottobre 2013, nel territorio di Beni sono state massacrate più di 1.000 persone.
Nessun gruppo armato ha rivendicato la responsabilità di questi massacri, ma le Forze Democratiche Alleate (ADF), di origine ugandese, ne sono state i principali attori, a volte in collaborazione con gruppi armati congolesi. Anche il governo congolese è stato implicato in alcuni di questi massacri.
Gli attacchi si sono svolti soprattutto in tre zone: la strada per Kamango, la strada a nord di Oicha e la città di Beni.
Data l’assenza di significative diserzioni dal gruppo, la sua rigorosa disciplina interna e la mancanza di comunicazione con il mondo esterno, è risultato difficile comprenderne le motivazioni, l’organigramma interno e i punti di appoggio.

0. RIASSUNTO

Tra il 2016 e il 2017, un membro dell’ADF ha pubblicato almeno 35 video su social network privati come Telegram, Facebook e YouTube. Questi video mostrano degli attacchi delle ADF, l’assistenza a dei feriti, delle esercitazioni di arti marziali, delle sessioni di indottrinamento dei bambini e dei messaggi di propaganda. Questi video offrono le seguenti informazioni:
– Il gruppo sta tentando di prendere contatti con altri gruppi jihadisti presentandosi sotto il nome di Madina a Tauheed Wau Mujahedeen (MTM, “La città del monoteismo e dei monoteisti”); sfoggia una bandiera simile a quella usata da Al-Shabaab, Al Qaida, ISIS e Boko Haram e mette fortemente l’accento su un’interpretazione radicale e violenta del Corano. Il recente arresto di un intermediario finanziario keniota dell’ISIS ha rivelato i primi collegamenti concreti tra le ADF e altri gruppi jihadisti attraverso transazioni bancarie.
– Anche se gli Ugandesi sembrano essere ancora alla direzione delle ADF – nessuno di loro appare nei video – la propaganda di questi video è rivolta a un pubblico molto più ampio dell’Africa orientale che parla Kiswahili, Luganda, arabo, francese e kinyarwanda. Nei video sono ampiamente utilizzati il kiswahili e dei dialetti congolesi e tanzaniani, che sono le lingue maggiormente parlate nella regione. Alcuni video riprendono anche due burundesi.
– Donne e bambini svolgono un ruolo importante nell’organizzazione del gruppo e, in due video, vengono visti partecipare attivamente agli attacchi ai villaggi, al saccheggio delle case e al trasporto delle armi. Diversi video più vecchi, registrati prima della recente escalation di violenza, mostrano almeno 70-80 bambini indottrinati e sottoposti ad addestramento militare. In diversi video, sono molto presenti anche le donne, presentate nel loro ruolo di combattenti, o mentre leggono il Corano o mentre assistono i soldati feriti.
– È importante sottolineare che, in passato, i governi ugandese e congolese hanno usato la presenza della minaccia islamista a loro vantaggio e che molti altri attori di Beni e dintorni sono direttamente implicati nelle violenze che vi vengono commesse.
Trovare una soluzione alla violenza perpetrata nella regione di Beni implica l’analisi della sua complessità. Operazioni militari mirate e precise contro i vari gruppi armati presenti nella regione fanno parte di questa complessità. Tuttavia, il modo in cui le ADF sono interconnesse e collegate ad altri gruppi armati locali richiede che l’amministrazione locale e i servizi di sicurezza assumano maggiormente le loro responsabilità, smantellando le reti del contrabbando e del racket e quelle del reclutamento di nuove leve e degli appoggi nazionali e internazionali.

1. PANORAMICA STORICA DELLE ADF

I primi membri della ribellione delle ADF appartenevano alla setta tabligh, attiva in Uganda almeno dagli anni 1970.
Questa comunità era nata all’inizio del ventesimo secolo in India, sotto il dominio britannico. Alla sua creazione, era un movimento conservatore denominato Tabligh, il cui obiettivo era di ravvivare i valori e le pratiche dell’Islam, con particolare attenzione all’attività missionaria. Sebbene la comunità Tabligh si sia generalmente opposta alla brutalità dei gruppi jihadisti – in alcuni luoghi è stata persino il bersaglio di militanti islamisti – a volte i suoi membri si sono uniti a gruppi violenti.
In Uganda, alcuni membri della setta Tabligh erano andati a studiare in Arabia Saudita con borse di studio offerte da comunità religiose saudite. Jamil Mukulu, diventato poi il leader delle ADF, ne è un esempio. Nato cristiano, egli si convertì all’Islam quando era ancora giovane, andò a Riyad per studiare e ritornò in Uganda con una visione militante dell’Islam. Secondo un suo collega, Jamil Mukulu tornò dall’Arabia Saudita come musulmano maggiormente devoto e pronto a morire per l’Islam e costantemente parlava del dovere di difendere l’Islam.
Le querele per il potere e per il controllo delle moschee locali avevano lacerato la comunità musulmana ugandese per decenni, in particolare da quando, nel 1971, Idi Amin Dada aveva federato tutti i leader musulmani nel Consiglio Superiore Musulmano Ugandese (UMSC).
Nel 1991, alcuni membri della comunità Tabligh si allearono con uno degli sceicchi che aspirava alla presidenza dell’UMSC. Quando i tribunali confermarono l’elezione di un rappresentante di una fazione rivale, un gruppo guidato da Jamil Mukulu prese d’assalto il quartier generale dell’UMSC, situato nella vecchia moschea di Kampala, uccidendo vari agenti di polizia. Mukulu e altri individui furono arrestati e trasferiti nella prigione di Luzira, dove incontrarono diversi ex disertori dell’esercito ugandese che avrebbero poi preso il comando delle ADF.
Nel 1994, Mukulu fu rimesso in libertà e, con il sostegno del governo sudanese, creò il Movimento dei combattenti ugandesi per la Libertà (UFFM), con sede a Hoima (Uganda occidentale). Quando l’esercito ugandese assediò il loro accampamento nel 1995, Mukulu fuggì in Kenya, mentre un altro leader dell’UFFM, Yusuf Kabanda, condusse i rimanenti giovani soldati verso l’est del Congo. Qui, hanno continuato ad essere appoggiati dal governo sudanese e hanno stretto un’alleanza con l’Esercito di Liberazione Nazionale dell’Uganda (NALU), un gruppo ribelle ugandese.
L’alleanza ADF-NALU si è trovata immersa nelle complesse politiche dei gruppi armati del territorio di Beni, dove si era stabilità. Sotto molti aspetti, il NALU era l’erede del Rwenzururu, un ex gruppo ribelle ugandese, il cui obiettivo era quello di ripristinare il potere tradizionale delle comunità Bakonjo e Baamba dell’Uganda occidentale. Questi gruppi etnici sono rispettivamente affiliati ai gruppi etnici Nande e Talinga del Congo, con i quali condividono lingue e culture.
Anche Mobutu Sese Seko aveva appoggiato l’alleanza ADF-NALU nella sua guerra per procura contro Yoweri Museveni, ma l’esercito ugandese intervenne come parte di una coalizione per rovesciarlo nel 1996 e le ADF dovettero abbandonare le aree urbane. Alla ricerca di un rifugio, parte del gruppo si stabilì nelle savane del sud-est di Beni, mentre una fazione ad essa collegata iniziò a stabilire rapporti con la comunità minoritaria Vuba, nel raggruppamento di Bambuba-Kisika, a nord della città di Beni. Molti Vuba entrarono a far parte delle ADF-NALU, mentre dei capi ribelli sposavano delle donne Vuba, acquistavano delle terre dai capi Vuba per costruirvi i loro accampamenti e collaboravano con loro per commerciare oro e legname.
Inizialmente, le ADF-NALU intrattenevano relazioni cordiali con le comunità congolesi, mentre organizzavano attacchi periodici in Uganda, facendo fuggire oltre 100.000 persone nel distretto di Bundibugyo e sequestrando decine di giovani.
Tuttavia, nei primi anni del 2000, diversi eventi simultanei hanno colpito il gruppo.
L’esercito ugandese ha schierato ingenti forze contro le ADF e ha cooptato importanti ufficiali NALU, per arruolarli nella sua contro-insurrezione. Nel 2005, le FARDC hanno lanciato la loro prima grande operazione contro il gruppo, con l’appoggio delle forze della Missione delle Nazioni Unite.  Nel frattempo, i processi di pace sudanese e congolese hanno iniziato a privare le ADF-NALU di alleati locali e di appoggi stranieri. Nel 2007, i capi della NALU si sono arresi in seguito a un accordo con il governo ugandese sul riconoscimento ufficiale del Regno di Rwenzururu, privando così le ADF del loro principale alleato.
Nello stesso tempo – e forse a causa di queste nuove sfide che hanno dovuto affrontare – i capi del gruppo hanno iniziato a radicalizzarsi. Uno dei suoi membri spiega: «Verso i l 2003, abbiamo iniziato ad applicare la legge della Sharia in modo più rigoroso, imponendo la separazione delle donne dagli uomini residenti negli accampamenti. Da quel momento, il ruolo dell’Islam all’interno delle ADF è quindi diventato più importante. Il gruppo è diventato più aggressivo nei confronti della popolazione locale, spesso come reazione agli attacchi dell’esercito congolese, commettendo sequestri e saccheggi, uccidendo contadini e commercianti. Un rapporto delle Nazioni Unite del mese di gennaio 2014 ha affermato che dei formatori di lingua araba si erano recati presso le ADF e ha confermato l’applicazione di un’interpretazione rigorosa della legge islamica da parte delle ADF.
La maggior parte dei rapporti sulle ADF redatti verso il 2013 descrivono un gruppo solitario, unito e trincerato in due principali accampamenti: il primo nei pressi di Isale, ai piedi dei Monti Ruwenzori e il secondo ad est della città di Eringeti, nella valle di Semuliki, nel raggruppamento di Bambuba-Kisiki, legato ai capi tradizionali Vuba.
Due offensive dell’esercito congolese e della MONUSCO – le offensive Ruwenzori (2010 – 2011) e Radi Strike (2012) – avevano notevolmente indebolito il gruppo, riducendo il numero dei suoi combattenti a circa 110, senza però alcuna conseguenza sui suoi leader più importanti.

2. L’OPERAZIONE MILITARE SUKOLA 1 E L’INTENSIFICAZIONE DELLE VIOLENZE

Successivamente, quasi immediatamente dopo aver sconfitto la ribellione dell’M23, sostenuta dal Ruanda, in dicembre 2013, l’esercito congolese lanciò le operazioni Sukola I contro le ADF. Ciò ha scatenato una serie di orribili massacri contro la popolazione locale a partire da ottobre 2014.
La dinamica all’origine di queste violenze è stata molto complessa. La decisione del governo congolese di attaccare le ADF piuttosto che le Forze Democratiche di Liberazione del Ruanda (FDLR), ciò che chiedevano gli Stati Uniti e altri paesi influenti, fu probabilmente influenzata dal fatto che il M23 aveva tentato di aprire una seconda linea del fronte nell’area di Beni, con la partecipazione di ex componenti dell’RCD / K-ML, ancora attive sul territorio. Sembra che le ADF abbiano fatto ricorso a forme di estrema violenza, per tentare di sopravvivere all’offensiva dell’esercito governativo e per vendicarsi sulle popolazioni locali per aver collaborato con lui.
Mentre il governo congolese ha sempre insistito sul fatto che le ADF fossero i principali responsabili dei massacri, il Gruppo degli esperti delle Nazioni Unite e alcuni gruppi della società civile hanno costantemente affermato che anche altri gruppi erano implicati in quei massacri.
Tra ottobre 2014 e dicembre 2016, nel territorio di Beni, sono state massacrate oltre 500 persone, principalmente lungo la strada da Beni a Eringeti e alla periferia della città di Beni. La modalità degli attacchi e dei massacri variava considerevolmente, il che rafforza la teoria secondo cui la responsabilità non poteva essere imputata a un solo gruppo. Nessuna comunità religiosa o etnica è stata particolarmente colpita e i massacri hanno avuto luogo in contesti sia urbani che rurali, soprattutto durante la notte. Secondo testimoni oculari, gli aggressori parlavano diverse lingue, principalmente swahili, ma anche kinyarwanda e lingala, lingue che di solito le ADF non parlavano durante le loro operazioni. I maggiori massacri hanno avuto luogo simultaneamente nei tre villaggi di Tepiomba, Masulukwede e Vemba il 20 novembre 2014, con l’uccisione di ben 120 persone.
La fase iniziale delle operazioni Sukola I è stata devastante per le ADF, che persero probabilmente centinaia di combattenti e loro familiari.
Secondo il gruppo degli esperti delle Nazioni Unite, quando la maggior parte delle truppe delle ADF si ritirò verso la foresta, circa 200 di loro, in gran parte bambini, morirono di fame. Alcuni dei principali capi, tra cui Jamil Mukulu, fuggirono all’estero e le FARDC invasero i loro principali accampamenti della Valle di Semuliki.
Dopo la morte, in agosto 2014, del comandante dell’operazione Sukola I, il generale Lucien Bauma, le operazioni dell’esercito subirono un rallentamento, consentendo alle ADF di ritornare in alcune delle loro precedenti postazioni. Mentre l’equipe di comando era rimasto quasi intatto, ad eccezione di Jamil Mukulu e di alcuni suoi luogotenenti che erano fuggiti nel mese di aprile, il gruppo si era notevolmente ridotto. Alla fine del 2014, dei disertori e dei fuggitivi delle ADF riferirono che erano rimasti solo 60 – 70 combattenti attivi. Un anno dopo, alla fine del 2015, secondo le Nazioni Unite e l’esercito congolese erano tra i 150 e i 260 elementi.
Jamil Mukulu, che aveva guidato il gruppo sin dalla sua formazione iniziale nel 1995 fu arrestato in Tanzania in aprile 2015 ed estradato in Uganda per essere processato. In sua assenza, Musa Seka Baluku divenne il principale capo delle ADF.
I massacri nei dintorni di Beni raggiunsero il loro apice all’inizio del 2015, per poi diminuire sia in frequenza che in intensità. Dopo un attacco a Rwangoma in agosto 2016, non ci furono più massacri significativi di civili o attacchi alle basi militari per quasi un anno.
Tuttavia, durante questo periodo, le ADF avrebbero reclutato nuove leve e si sarebbero ristrutturate. Nel 2016, dei disertori hanno riferito che, nel solo campo-base di Madina, c’erano tra 200 e 300 membri delle ADF, tra cui dei civili. A metà del 2018, secondo le Nazioni Unite, il loro numero si aggirava intorno a 400-450, tra cui donne e bambini. Secondo dei disertori, il loro numero sarebbe stato molto più elevato.
Come avevano fatto prima delle operazioni Sukola I, le ADF hanno continuato a reclutare nuove leve nell’Uganda orientale, anche se altre provenivano dal Congo, dal Ruanda, dal Burundi e dalla Tanzania.
Verso la metà del 2017, le ADF hanno ricominciato a compiere dei grandi attacchi, sempre più diretti contro basi militari ed equipe di militari in pattuglia. Tra giugno 2017 e settembre 2018, nel territorio di Beni, sono stati uccisi 315 civili, molto più che in qualsiasi altra parte dell’est del Congo nello stesso periodo. Le ADF hanno concentrato la maggior parte dei loro attacchi lungo la strada Beni-Oicha e la strada Mbau-Kamango. Nel mese di dicembre 2017, hanno attaccato una base della Missione delle Nazioni Unite situata nei pressi di un ponte sul fiume Semuliki, causando la morte di 15 caschi blu.
È difficile dare un nome ai responsabili di questi attacchi, poiché nessuno li ha mai rivendicati e i testimoni oculari quasi sempre parlano di “persone armate non identificate”. In molti casi, alcune fonti citano le ADF, ma non sono in grado di confermare la loro testimonianza.
Secondo certe informazioni, le ADF hanno continuato a collaborare opportunisticamente con altri gruppi armati locali e con l’esercito congolese. Due agenti delle Nazioni Unite e un membro di una milizia locale hanno affermato che le ADF hanno collaborato con dei membri della milizia Vuba e che l’attacco del 22 settembre 2018 alla città di Beni è stato organizzato a partire da un territorio controllato da una milizia locale di Mayangose. Tuttavia, le modalità e le dimensioni di questa collaborazione restano ancora molto confuse.
Le autorità congolesi hanno reagito lanciando nuove offensive militari nel mese di gennaio 2018. Le operazioni hanno preso di mira le due principali basi delle ADF: nel “triangolo della morte”, situato tra Mbau, Eringeti e Kamango, e nella savana a nord del Lago Eduardo, intorno a Mwalika.
L’esercito congolese ha subito una serie di sconfitte. Secondo alcuni comandanti dell’esercito, in queste operazioni sono rimasti uccisi centinaia di militari congolesi. Le ADF si erano preparate a queste offensive, collocando trappole e organizzando insidie, mentre l’esercito mancava di risorse e aveva problemi di comunicazione.
L’esercito congolese ha potuto riconquistare la principale base delle ADF a sud della Mwalika il 13 febbraio, ma la maggior parte dei membri delle ADF sono riusciti a trasferirsi in un altro accampamento delle vicinanze. Il 12 aprile, l’esercito ha lanciato la sua più ambiziosa operazione nel cuore di una zona controllata dalle ADF, per prendere il controllo del loro quartier generale di Madina. Tuttavia, questa offensiva è fallita e la MONUSCO ha dovuto usare i suoi elicotteri da combattimento per soccorrere un reggimento rimasto intrappolato nella foresta.
Da maggio 2018, l’esercito non ha effettuato alcuna operazione di rilievo. Nel frattempo, le violenze sono aumentate. Il 27 marzo 2018, combattenti delle ADF sono entrati nella città di Beni, uccidendo 11 persone, mentre il 20 maggio hanno attaccato il villaggio di Mangboko, a nord di Beni, uccidendo altre 10 persone. Il 22 settembre 2018, le ADF hanno fatto irruzione nella parte orientale della città di Beni, uccidendo almeno 15 civili e 4 militari, ferendone altri, saccheggiando e incendiando delle case.

3. ORGANIGRAMMA DELLE ADF

Le ADF sono divisi in due gruppi principali, uno nel sud del territorio di Beni, nella pianura del fiume Semuliki, verso il villaggio di Mwalika, e l’altro nel famoso “triangolo della morte”, a est della strada che porta da Beni a Eringeti.
Secondo alcuni ex combattenti, la base di Mwalika è il punto di transito per le nuove reclute e un punto di passaggio per le forniture provenienti dall’Uganda e dai mercati locali. In questa zona meridionale, dal 2014 ci sono stati pochi massacri di civili, il che lascia pensare che le ADF hanno voluto rimanere discrete e mantenere buoni rapporti con le comunità locali.
Degli agenti della sicurezza locale e il gruppo degli esperti delle Nazioni Unite hanno fatto osservare che, in questa zona, ci sono stretti legami tra le ADF e i gruppi armati congolesi.
A partire dall’arresto di Jamil Mukulu, in aprile 2015, è Musa Seka Baluku che guida il gruppo e Hood Lukwago rimane il capo militare.
Il gruppo è guidato da vari ufficiali, tra cui quelli responsabili dei servizi di intelligence, del reclutamento, dell’armamento, delle finanze e dell’assistenza sanitaria. Allo stesso modo di altri gruppi islamisti, come Al-Shabaab in Somalia, i settori giuridico ed esecutivo dell’organizzazione sono uniti e Baluku dirige il consiglio della sharia, che giudica i conflitti interni e dà indicazioni generali all’interno dell’organizzazione. Un ex combattente ha citato Baluku come “giudice supremo”. L’organizzazione ha applicato la sua versione della Sharia, infliggendo crudeli punizioni per vari crimini che vanno dalla diffusione di informazioni al tradimento. Prima dell’offensiva dell’esercito regolare nel 2014, le ADF avevano una prigione dotata di strumenti di tortura, come una cassa con pareti munite di chiodi (che gli investigatori delle Nazioni Unite hanno chiamato “Iron Maiden”) e delle fosse sotterranee.
Le ADF hanno istituito anche un sistema scolastico per i bambini, attraverso il quale insegnano il Corano e, almeno prima dell’offensiva del 2014, le scienze sociali, il kiswahili, l’inglese e le scienze. Secondo due ex combattenti che hanno disertato prima dell’offensiva, le ADF avevano anche una banca islamica, dove tutti i combattenti sono stati costretti a depositare i loro soldi.
Le ADF hanno una rigida gerarchia sociale e quasi tutti i posti di responsabilità sono ricoperti da combattenti ugandesi che partecipano alla ribellione già da molti anni. I combattenti maschi hanno determinati diritti. Per esempio: possono chiedere ai loro comandanti l’autorizzazione per un matrimonio “forzato” con una donna sequestrata, possono ricevere cibo e assistenza sanitaria.
Le donne hanno un’autonomia limitata, sono soggette a dei matrimoni forzati che le rendono vittime di continui stupri da parte dello stesso uomo e per molti mesi. Il più delle volte indossano un burka che le copre completamente. Tuttavia, le mogli degli alti ufficiali godono di determinati privilegi e ricoprono ruoli importanti, come quelli di insegnante, infermiera e intendente del settore femminile. Le donne sono spesso addestrate per usare le armi e accompagnare gli uomini in combattimento.
Al livello più basso alla gerarchia sociale delle ADF, si trova la bazana, un termine ugandese che designa l’amante o la moglie di un principe. Questo gruppo sociale è in gran parte composto da donne congolesi sequestrate. Il Gruppo degli esperti delle Nazioni Unite afferma che, dopo il loro sequestro, le bazana vengono automaticamente messe in prigione, vivono in condizioni disumane e sono costrette a convertirsi all’Islam, a fare lavori forzati e a sposare soldati ADF.
Nel corso degli anni, le ADF hanno sempre mantenuto dei legami con la diaspora musulmana ugandese. Jamil Mukulu si recava nel Regno Unito con un passaporto britannico, ha vissuto a Nairobi e conseguiva interessi finanziari in Tanzania. Secondo due disertori, dei membri della comunità musulmana del Regno Unito hanno inviato denaro alle ADF e le hanno aiutato a reclutare nuove leve. Per esempio, gli esperti delle Nazioni Unite hanno scoperto che, tra il 2013 e il 2014, dei cittadini del Regno Unito avevano inviato, attraverso la Western Union, almeno 14.970,84  $ ai membri delle ADF residenti nell’est della RD Congo.

4. COLLEGAMENTI TRA LE ADF E ALTRI GRUPPI MILITARI ISLAMISTI

Numerosi rapporti degli esperti delle Nazioni Unite sulla Repubblica Democratica del Congo, come dei loro colleghi del gruppo delle Nazioni Unite per la Somalia e al-Qaeda, hanno affermato di non aver potuto trovare prove sufficienti circa la collaborazione delle ADF con altri noti gruppi islamisti conosciuti. Secondo il rapporto del mese di giugno 2018 redatto dal gruppo di esperti delle Nazioni Unite sulla RD Congo, non esistono prove sull’esistenza di tali collegamenti.
A questo proposito, l’arresto di Waleed Ahmed Zein, cittadino keniota e consigliere finanziario dell’ISIS e oggetto di sanzioni statunitensi, sembra essere la prima prova tangibile dei legami tra le ADF e delle reti jihadiste internazionali.
Zein è stato arrestato in luglio 2018, accusato di finanziamento del terrorismo e, in settembre 2018, è stato iscritto sulla lista delle persone sanzionate dal governo degli Stati Uniti.
La polizia keniota l’ha accusato di essere responsabile del trasferimento di oltre 150.000 $ attraverso un’organizzazione che, relazionata con l’ISIS, operava in numerosi paesi, tra cui la RD Congo. Agenti ugandesi hanno affermato che Zein era in contatto con le ADF e un disertore delle ADF ha dichiarato che un uomo con quel nome gli aveva inviato del denaro a Kampala. Anche fonti prossime al governo degli Stati Uniti hanno confermato che Zein aveva inviato denaro alle ADF. Tuttavia, non è chiaro fino a che punto le ADF siano attualmente in contatto con organizzazioni jihadiste. Non è nemmeno facile determinare le quantità di denaro o di materiali effettivamente transitati attraverso questi canali.
Peraltro, le ADF sembrano sempre più risolute a diffondere i loro messaggi verso un pubblico più vasto dell’Africa orientale e tentano di presentarsi come parte di un movimento più ampio di gruppi jihadisti radicali.
La Repubblica Democratica del Congo potrebbe attirare l’interessamento delle organizzazioni jihadiste, soprattutto a causa della debolezza delle sue istituzioni pubbliche e della difficoltà di circolazione sul suo territorio. La comunità musulmana, d’altra parte, è una piccola minoranza che non rappresenta che circa il 3% della popolazione a livello nazionale e della provincia del Nord Kivu.

5. L’IMMAGINE DELLE ADF CONSEGUENTE ALL’ANALISI DI ALCUNI VIDEO

Il GEC ha ottenuto l’accesso a 35 video caricati sugli account di membri delle ADF. Molti di essi sono stati diffusi in settembre 2017 su un account Facebook, mentre altri sono stati pubblicati su Telegram e YouTube.

I video presentano un’ampia varietà di scene, tra cui le conseguenze di attacchi delle ADF, messaggi di propaganda per fini di reclutamento, partite di calcio, allenamenti di arti marziali, scene di indottrinamento di bambini e operazioni chirurgiche di combattenti feriti.
A differenza di molte organizzazioni islamiche radicali e dei gruppi armati congolesi, le ADF non dispongono di un dipartimento responsabile delle relazioni pubbliche e nemmeno di un portavoce.
La visione dei video permette le seguenti conclusioni:
– Tentativo di collegamento con altri gruppi islamici radicali
Sotto il nome di Madinat Tawhid wa-l-Muwahidin (MTM, “La città del monoteismo e dei monoteisti”), le ADF sembrano voler tentare di collegarsi con altri gruppi islamisti militanti o, almeno, di presentarsi con una nuova immagine. Diversi video mostrano una bandiera simile a quella usata da ISIS, Al-Shabaab, Al-Qaida e Boko Haram, e mettono fortemente l’accento su un’interpretazione radicale e violenta del Corano.
Le ADF usano il nome MTM dal 2012 quando, su documenti interni, è stato trovato un timbro recante questa designazione. In quel tempo, il gruppo degli esperti delle Nazioni Unite credevano che MTM fosse il nome di un accampamento, non di un’organizzazione. Alcuni disertori hanno dato delle informazioni contraddittorie, perché alcuni affermano che MTM è il nome del campo base di Madina, mentre altri dicono che questa sigla è usata in riferimento alle “ADF”.
Ciò lascia intendere che l’obiettivo degli sforzi fatti per cambiare di immagine è principalmente quello di attrarre l’attenzione dell’esterno.
Vari rapporti riportano l’immagine di un’organizzazione a compartimenti stagni che non lascia circolare che pochissime informazioni tra alti ufficiali superiori e i semplici membri armati. Dei disertori descrivono un gruppo di comando segreto che comunica poche informazioni, anche agli ufficiali subalterni.
L’interpretazione radicale dell’Islam è sempre stata una caratteristica dell’ideologia delle ADF, benché la sua importanza sia stata piuttosto variabile.
Le origini del movimento risalgono a una scissione avvenuta nella comunità musulmana di Kampala, quando Mukulu era alla guida di una fazione salafita e radicale della setta Tabligh, che propugnava il ritorno a un Islam rigoroso e più vicino alla tradizione.
È possibile che le lettere “SF”, che appaiono sul timbro di MTM, si riferiscano alla Fondazione Salaf, creata a Kampala nel 1992, con l’apporto di Mukulu.
Se si risale almeno al 2005, Mukulu stesso ha, in diverse occasioni, pronunciato e registrato dei sermoni in cui esorta i membri delle ADF a uccidere gli infedeli e i musulmani eretici. Un ufficiale ADF disertore, la cui registrazione video in un campo ADF nell’est della RD Congo risale probabilmente al 2014, ha dichiarato che Mukulu spesso diceva: «Ecco perché Allah l’Altissimo ha detto: questi non credenti sono come il bestiame. In effetti, sono ancor più fuori strada … Quindi, combattete insieme contro i politeisti, come loro vi combattono insieme. Quando ci vedono semplicemente passare in dei villaggi, devono denunciarci alle forze dell’esercito congolese. Se loro (i civili) vi vedono, uccidete i politeisti in modo collettivo, proprio come loro vi combattono collettivamente, abbattetelo, abbattetela, decapitateli sul posto, non pensateci mai due volte, non esitate a tagliar loro la testa».
Questo discorso risale a molti anni fa e mette in evidenza il ragionamento ideologico che sottostà agli attacchi contro i civili. In una registrazione del 2007, Mukulu afferma: «gli infedeli devono sapere che tutto ciò che fanno non resterà senza risposta da parte delle ADF. E ogni volta che gli infedeli uccidono un soldato ADF, le ADF uccideranno dieci militari o civili in rappresaglia».
Tuttavia, durante questo periodo, nonostante quelle dichiarazioni, le ADF non hanno mai massacrato i civili in maniera sistematica. Sembra che siano state le pressioni militari esercitate sul gruppo durante e dopo il 2014, insieme con l’arresto nel 2015 di Jamil Mukulu, ad aver scatenato gli attacchi contro la popolazione civile, com’era già avvenuto, anche se in misura minore, durante le offensive del 2005 e del 2010.
È possibile che i massacri, come l’affermazione di un Islam militante, siano stati delle reazioni a pressioni militari esterne. Queste pressioni militari potrebbero aver condotto le ADF a compiere atti di ritorsione contro le comunità circostanti, considerate traditrici.
Tuttavia, è importante sottolineare che certe figure dell’organizzazione rendono difficile la proiezione di un Islam militante verso l’esterno. Fino a poco tempo prima, le ADF hanno spesso collaborato con milizie locali composte in gran parte da non musulmani. Durante certi attacchi presumibilmente perpetrati dalle ADF, i combattenti hanno bevuto e portato via alcolici. Le ADF sono state capaci di abbracciare in modo coerente un’ideologia islamista estremista e, nello stesso tempo, di impegnarsi in partenariati opportunistici con le autorità locali, l’esercito nazionale e altri gruppi armati attivi sul posto, la maggior parte dei quali sono cristiani.
In passato, delle ricerche sulle ADF effettuate a partire da delle interviste con dei disertori hanno costantemente dimostrato che l’ideologia islamista militante non era che una delle motivazioni del movimento, così come lo erano il racket economico e la semplice sopravvivenza e che la sua importanza variava col passare del tempo.
In un’analisi realizzata per conto della Banca Mondiale nel 2007, si è stimato che la maggior parte dei combattenti delle ADF siano «dei Congolesi più concentrati sulla protezione dei loro interessi commerciali e redditizi nella RD Congo che sul raggiungimento dei loro obiettivi politici in Uganda».
L’anno seguente, quando le ADF iniziarono dei negoziati di pace con il governo, fu riferito che esse sembravano molto più preoccupate per il loro reinserimento socio-economico in Uganda che per le loro rivendicazioni religiose.
– Obiettivi oltre l’Uganda
Mentre sembra che i massimi leader delle ADF, nessuno dei quali appare nei video, siano ancora degli Ugandesi, la propaganda contenuta nei video si rivolta a un pubblico dell’Africa orientale molto più vasto. Lo testimonia l’uso di Kiswahili, del Luganda,dell’ arabo, del francese e del Kinyarwanda. Il kiswahili, la lingua più parlata nella regione, è di gran lunga la più utilizzata nei video.
Molti dei combattenti che compaiono nei video provengono dal Burundi. Parlano in Kirundi, il che lascia intendere che provengano dall’importante comunità musulmana di Bujumbura.
Uno dei video, che è stato ampiamente diffuso sui social media, presenta un tanzaniano dalla pelle chiara, Ahmad “Jundi” Mahamood, che parla in arabo. Secondo le autorità ugandesi, egli aveva studiato in Sudafrica prima di entrare nelle file delle ADF nel 2017. La polizia ugandese ha arrestato suo cugino che, a quanto pare, stava per raggiungere Jundi in Congo. Da allora, le autorità ugandesi hanno riferito che dei combattenti provenienti dal Mozambico e dal Regno Unito hanno disertato e sono stati arrestati.
– Il ruolo delle donne e dei bambini
Donne e bambini svolgono un ruolo importante all’interno dell’organizzazione. In due video risalenti al periodo precedente all’offensiva delle FARDC nel 2014, si può constatare che le donne e i bambini partecipano attivamente negli attacchi, saccheggiando i villaggi e trasportando le armi.
All’interno delle ADF, la vita è organizzata in modo profondamente patriarcale e molti combattenti delle ADF sono sposati con diverse donne.
Le donne svolgono una vasta gamma di funzioni, sia come guardie, cuoche, insegnanti o infermiere.
Tra i capi militari ci sono poche donne ma, nonostante ciò, le mogli dei comandanti possono occupare posti di responsabilità all’interno degli accampamenti, soprattutto per quanto riguarda il mantenimento dell’ordine tra le donne. Una donna che ha disertato il gruppo ha detto: «C’è molta severità. Non ci era permesso di parlare ad alta voce e non potevamo muoverci come volevamo. In generale, dovevamo indossare il burka ed eravamo state separate dai nostri figli. Non avevamo davvero alcun potere». Molte donne sono utilizzate come agenti delle ADF per ottenere approvvigionamenti e informazioni e per attrarre nuove reclute locali. Si pensa, infatti, che le donne siano prese di mira dai servizi di sicurezza meno degli uomini.
– Una maggiore ostilità nei confronti delle comunità locali
Sin dalla loro creazione, le ADF hanno usato la violenza contro i civili come strategia militare.
Secondo alcuni disertori, questo fenomeno ha diverse cause: ha permesso loro di reclutare nuovi membri, di discreditare l’autorità dei governi ugandese e congolese, di indottrinare i propri soldati e di punire la popolazione locale per aver collaborato con i propri nemici.
Inizialmente, l’uso dell’estrema violenza contro i civili è stato utilizzato principalmente in Uganda.
Tra giugno e settembre 1997, le ADF hanno ucciso 38 civili nel distretto di Bundibugyo, nell’ovest dell’Uganda. L’anno seguente, il gruppo ha arsi vivi 50 studenti dell’Istituto tecnico di Kichwamba, nel distretto di Kabarole, e hanno sequestrato almeno 100 bambini in diversi attacchi. Secondo una fonte, in Uganda, tra il 1996 e il 2000, le ADF hanno ucciso circa 1.000 persone civili. Questi attacchi terminarono praticamente nel 2000, quando le operazioni condotte dall’esercito ugandese costrinsero il gruppo a spostare le sue basi sul territorio congolese.
Tuttavia, è solo di recente che il gruppo ha cominciato a usare le forme più estreme della violenza contro le comunità congolesi locali.
Nella gran parte della loro storia, le ADF si sono appoggiate su queste comunità per le loro attività economiche, per la raccolta di informazioni e per la sicurezza dei loro spostamenti.
I rapporti di Human Rights Watch sul Congo del 2008, del 2009 e del 2010 non menzionano alcun crimine grave perpetrato dalle ADF e il Dipartimento di Stato americano, nel suo rapporto annuale del 2010 sui diritti umani, si limita a dichiarare: «Dei funzionari della MONUSCO hanno affermato che dei membri delle ADF-Nalu sono implicati in alcuni delitti minori e in qualche caso di estorsione». Benché le ADF fossero certamente colpevoli di abusi, questi atti non avevano una grande importanza a livello regionale.
Tuttavia, questa situazione ha iniziato a cambiare gradualmente a partire dal 2010, quando l’esercito congolese lanciò l’Operazione Ruwenzori contro le ADF. Probabilmente in collaborazione con le milizie locali Mayi-Mayi e l’RCD / K-ML, le ADF scatenarono un’ondata di attacchi contro le popolazioni civili, concentrandosi nella zona situata a nord-est di Beni, che diventerà l’epicentro delle violenze tra il 2014 e il 2018. I sequestri di persone sono diventati estremamente comuni. Secondo i leader della società civile, tra il 2010 e il 2013, nelle vicinanze di Beni sono state sequestrate circa 660 persone.
Tuttavia, sembrerebbe che alcuni di questi sequestri siano stati perpetrati da altri attori. Il gruppo di esperti ha attribuito questi sequestri alle ADF e a dei gruppi armati relazionati con l’RCD / K-ML.
Un diciannovenne, fuggito dalle ADF nel 2013 dopo avervi trascorso sei anni, ha dichiarato: «All’inizio, l’esercito e le ADF coabitavano molto bene insieme. Ma da quando, nel 2010, il governo ha lanciato le sue operazioni militari contro le ADF, esse sono diventate molto aggressive».
Alcune registrazioni video sembrano dimostrare che il discorso usato dalle ADF è progressivamente cambiato: da una guerra contro il governo ugandese, si è spostato verso una lotta più generale a favore dell’Islam. Un combattente che ha disertato le ADF nel 2016 ha descritto questa tendenza: «Prima le ADF attaccavano l’Uganda. Si trattava di una lotta politica. Uccidevano civili in quel contesto. Ora stanno uccidendo i congolesi con cui hanno convissuto per anni».
In un video (n. 2) che mostra una partita di calcio nel giorno dell’Aïd, a un combattente viene chiesto: «Cos’è che ti rende felice in questo giorno dell’Aïd?». Ridendo, egli risponde: «Niente, se non il fatto che, alla fine, non ci resta che uccidere i kafiri [non credenti]». In un altro video (n. 1), un combattente ADF dichiara: «In fin dei conti, stiamo massacrando solo degli infedeli che odiano il Corano».

6. CONCLUSIONE

Le ADF giocano un ruolo importante nel conflitto armato che si sta svolgendo a Beni e dintorni dove, da ottobre 2014, sono stati uccisi più di un migliaio di civili.
L’immagine delle ADF che emerge da questo rapporto è quella di un’organizzazione in evoluzione che sta subendo cambiamenti ideologici e organizzativi e che è sottoposta a grandi pressioni militari. Il gruppo sta tentando di allinearsi con il più ampio movimento jihadista dell’Africa orientale, benché sia difficile sapere quanto questi legami siano reali, effettivi e funzionali.
Smantellare le ADF e perseguire i vari attori implicati nelle ondate di violenze perpetrate nella zona di Beni richiederà un approccio globale. L’esercito congolese, le Nazioni Unite e gli altri partner nazionali e internazionali dovranno fornire alle loro truppe le risorse necessarie per condurre operazioni di contro-insurrezione che comprendano una chiara strategia di protezione delle popolazioni civili. Dato che le ADF e gli altri gruppi armati sono profondamente radicati nella società locale, il governo dovrà dimostrare di essere capace di arrestare imprenditori, politici e militari implicati in atti di violenza e di elaborare un preciso programma che abbia come obiettivo quello di risolvere le ingiustizie più importanti relative all’esclusione sociale, all’accesso alle terre e alla gestione dell’autorità tradizionale.

[1] Cf http://congoresearchgroup.org/6795/?lang=fr