Congo Attualità n. 204

INDICE

EDITORIALE: Per dichiarare terminato un dialogo impossibile

1. KIVU: PICCOLI SEGNI DI PACE

2. LE DISCUSSIONI TRA GOVERNO CONGOLESE E L’M23 A KAMPALA

3. L’M23: MORTI, ARRESI, FUGGITI, DIVISI

4. GLI ALTRI GRUPPI ARMATI:

a. Pianificazione di prossime operazioni militari, in caso di mancanza di disarmo volontario

b. Miliziani Maï-Maï si arrendono

 

EDITORIALE: Per dichiarare terminato un dialogo impossibile

 

1. KIVU: PICCOLI SEGNI DI PACE

 

Il 18 novembre, un tribunale di pace è stato ufficialmente installato, per la prima volta, a Rutshuru. Tale giurisdizione civile, la sesta della provincia, oltre a quelle di Walikale, Masisi, Lubero, Butembo e Beni, dovrà dirimere questioni di conflitti fondiari e altre questioni civili. Questo nuovo tribunale è composto da un presidente, un giudice e un cancelliere. La sua installazione rientra nel quadro del ripristino effettivo delle autorità dello Stato in questa parte del Nord Kivu, a lungo controllata dall’ex M23. Secondo il vice amministratore di Rutshuru, questo territorio, in quanto zona di post-conflitto, registra diversi casi di conflitti fondiari e interetnici. Il ministro provinciale della Giustizia, Christophe Ndibeche, si è detto certo che questo nuovo tribunale servirà a rafforzare la pace sociale e la restaurazione dell’autorità dello Stato. Da parte sua, il primo presidente della Corte d’Appello di Goma, Azard Banide, ha chiesto alla nuova equipe di svolgere il suo ruolo con imparzialità e indipendenza. Egli ha anche invitato il pubblico a rispettare le decisioni di questo nuovo tribunale di pace.[1]

Il 19 novembre, elementi di unità speciali di polizia hanno cominciato a dispiegarsi nei territori di Rutshuru e Nyiragongo (Nord-Kivu), precedentemente occupati dall’ex M23. I due contingenti di polizia arrivati da Kinshasa sostituiranno i militari delle FARDC nell’attività di protezione delle popolazioni civili nelle cittadine e nei villaggi. I militari interverranno in appoggio della polizia ogniqualvolta sia necessario. In totale, saranno più di 300 i membri del corpo di polizia di rapido intervento destinati a questi due territori. Per ora, ne sono arrivati quasi 200.[2]

Il 20 novembre, a Goma, il Centro di Coordinamento di lotta contro le mine gestito dalle Nazioni Unite UNMACC ha distrutto 926 armi e 38.801 munizioni, tra cui degli AK – 47, RPG, MAG, FAL, UBGL, UZI e granate. Le armi raccolte dalla sezione DDRRR della Monusco provengono dai gruppi armati locali e stranieri sparsi in tutto il Nord Kivu (Beni, Masisi, Lubero, Rutshuru, Nyiragongo e Walikale) e in parte della provincia del Sud Kivu. «Queste armi hanno ucciso persone. Queste armi sono state usate per incendiare i nostri villaggi. Queste armi hanno permesso ad alcuni di violentare le nostre madri, le nostre sorelle, le nostre nonne», ha deplorato il governatore del Nord-Kivu, Julien Paluku, che ha affermato di sperare che tali crimini non si ripetano più. Egli ha approfittato dell’occasione per rinnovare il suo appello a coloro che sono in possesso di armi di consegnarle all’esercito, o alla polizia o alla Monusco. Per il Rappresentante Speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite nella RDCongo, Martin Kobler, la distruzione di queste armi lascia intravvedere la fine delle sofferenze  inflitte a tante persone: donne, uomini e bambini. Per porre gradualmente termine alle loro paure e angosce, è necessario fare tutto il possibile per arrivare a una pace duratura.[3]

Il 29 novembre, il Presidente della Repubblica, Joseph Kabila, è arrivato a Rutshuru, un’ex roccaforte dell’M23, a circa 80 km a nord di Goma, accolto da migliaia di persone. «Vi auguro una pace duratura», ha affermato in un discorso di una decina di minuti pronunciato in uno stadio in cui si erano radunate migliaia di persone. «Molto sangue è stato versato per quasi 20 anni. Che la guerra che abbiamo appena terminato sia l’ultima! ( … ) È necessario che gli abitanti di Rutshuru aprano gli occhi e siano vigilanti», ha auspicato il Capo dello Stato. «Non possiamo lasciarci ubriacare da questa vittoria ( …) Non voglio una resa dei conti, non voglio alcuna brutalità né a Rutshuru, nel nord Kivu, né nel resto del Congo», ha detto Joseph Kabila, aggiungendo che i mezzi utilizzati per finanziare la guerra potranno ora essere utilizzati per incrementare le attività di sviluppo nel Nord Kivu. Il Presidente ha invitato gli abitanti di Rutshuru a riprendere il lavoro, gli sfollati a tornare a casa e quelli che erano fuggiti nei paesi vicini a tornare, per aiutare a ricostruire il Paese. Ha di nuovo fatto appello ai gruppi armati affinché escano dalla foresta minacciando, in caso contrario, di ricorrere all’uso della forza. Per quanto riguarda i Paesi vicini, Joseph Kabila ha chiesto loro di «rispettare il Congo, la sua popolazione e la provincia del Nord Kivu», sottolineando che qualsiasi tentativo di incursione o di sostegno a una nuova ribellione non saranno più tollerati

Il 30 novembre, in mattinata, il presidente Joseph Kabila ha visitato Bunagana, città di confine con l’Uganda, a circa 80 chilometri a nord di Goma, che per oltre un anno è stata sede politica dell’M23. Si è quindi recato al campo militare di Rumangabo, a circa 30 chilometri a nord di Goma, dove l’M23 aveva posto il suo quartier generale militare ed è finalmente arrivato a Goma dove, nei prossimi giorni, presiederà un consiglio di sicurezza e un consiglio dei ministri. I membri del governo e il primo ministro Augustin Matata Ponyo sono già sul posto. Kabila aveva iniziato il suo viaggio, in auto, il 20 novembre, con una prima tappa a Kisangani, capoluogo della Provincia Orientale (nord-est). Si è successivamente recato a Bunia  e a Butembo, per terminare il suo viaggio a Goma, capoluogo del Nord-Kivu (est). A Goma, ultima tappa del suo viaggio nei territori riconquistati dell’est del Paese, Joseph Kabila intende giocare la carta vincente dell’unità nazionale e della pace ritrovata. Questa visita del Capo dello Stato attraverso l’est del Paese ha un valore altamente simbolico, perché marca il ritorno dell’autorità dello Stato. Si tratta di un significato politico innegabile.[4]

2. LE DISCUSSIONI TRA GOVERNO CONGOLESE E L’M23 A KAMPALA

Il progetto dell’Accordo di Kampala tra Kinshasa e l’M23, che il Governo congolese ha rifiutato di firmare l’11 novembre scorso, è già sulla rete. Il testo è redatto in 11 punti:

Articolo 1: Amnistia.

1.1. Il Governo si impegna a concedere l’amnistia ai membri dell’M23 per atti di guerra e di insurrezione, per il periodo compreso entro il 1° aprile 2012 e il giorno della firma del documento. Conformemente al diritto nazionale e internazionale, l’amnistia non copre i crimini di guerra, i crimini di genocidio e i crimini contro l’umanità, tra cui la violenza sessuale, il reclutamento di bambini soldato e altre gravi violazioni dei diritti umani.

1.2. Per poter usufruire dell’amnistia, ogni membro dell’M23 dovrà personalmente impegnarsi, per iscritto, ad astenersi definitivamente dal ricorso alle armi e/o dalla partecipazione a un movimento insurrezionale al fine di difendere qualsiasi tipo di rivendicazione. Qualsiasi violazione di questo impegno rende automaticamente nulla l’amnistia così concessa e escluderebbe l’autore di questa violazione dal poter usufruire di qualsiasi amnistia successiva.

Articolo 2: Disposizioni transitorie di sicurezza.

2.1. Le parti si impegnano a rispettare e ad applicare le disposizioni di sicurezza transitorie in conformità con il presente accordo. Le disposizioni di sicurezza transitorie comprendono il disimpegno, l’acquartieramento, il disarmo, la smobilitazione e il reinserimento sociale dei combattenti dell’M23 come specificate nell’allegato A.

2.2. L’M23 si impegna a sottomettere le proprie unità armate, dopo la firma del presente accordo, alla procedura di disimpegno, acquartieramento, disarmo, smobilitazione e reinserimento sociale, secondo un cronogramma di attività.

2.3. Il disimpegno, l’acquartieramento e il disarmo saranno effettuati con il supporto della Missione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per la Stabilizzazione della Repubblica Democratica del Congo (MONUSCO), attraverso il meccanismo di attuazione delle disposizioni transitorie di sicurezza (MADTS), come dettagliato nell’Allegato A.

2.4. L’M23 si impegna ad acquartierare le sue truppe in siti appositamente autorizzati, scelti di comune accordo dalle parti, sulla base di un cronogramma di attività.

2.5. Il governo, con il sostegno dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), fornirà la logistica necessaria durante tutta la durata dell’attuazione delle disposizioni transitorie di sicurezza.

2.6. Il disarmo, la smobilitazione, il reinserimento sociale e la concessione dell’amnistia seguiranno l’ordine indicato nell’allegato B.

Articolo 3: Liberazione dei prigionieri.

3.1. Dalla firma del presente accordo, l’M23 si impegna a fornire una lista dei suoi membri prigionieri per fatti di guerra e di insurrezione.

3.2. Il Governo si impegna a liberare i prigionieri e li consegnerà al Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR​​),

3.3. Il CICR si incaricherà del loro ricongiungimento con le loro famiglie.

Articolo 4: Trasformazione dell’M23.

4.1. L’M23 decide di rinunciare alla sua ribellione.

4.2. L’M23 si riserva il diritto di cambiare nome e di diventare un partito politico, nel rispetto della Costituzione e delle leggi della Repubblica Democratica del Congo.

4.3. Il Governo si impegna a rispondere favorevolmente a tale richiesta.

4.4. Le parti convengono, in seguito alla fine dell’amministrazione da parte dell’M23 delle zone sotto suo controllo e al ripristino dell’autorità dello Stato in tali zone, di procedere a una valutazione congiunta della situazione.

Articolo 5: Smobilitazione e reinserimento sociale.

5.1. Sotto riserva dell’amnistia concessa ai sensi dell’articolo 1 del presente accordo, la smobilitazione e il reinserimento sociale dei combattenti dell’M23 saranno effettuati dalle strutture appropriate del governo con il supporto della MONUSCO e di altri partner,

5.2. Nella misura del possibile, e fatte salve le esigenze di equità e di governance democratica, il governo fornirà i mezzi necessari per il reinserimento sociale degli ex-combattenti.

Articolo 6: Il ritorno e l’insediamento dei rifugiati e degli sfollati interni.

6.1. Il governo si impegna per una rapida attuazione degli accordi tripartiti sul rimpatrio dei rifugiati firmati con gli Stati vicini e l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati e per il reinserimento degli sfollati interni.

6.2. A tal fine , il governo continuerà a lavorare con la MONUSCO per migliorare la sicurezza nelle zone di conflitto, assicurare la protezione delle popolazioni civili e risolvere il problema delle forze negative.
6.3. Per ciascuna zona di ritorno, il governo si impegna a:

(I) rendere sicure, viabili e attrattive queste zone,

(II) accelerare il dispiegamento della Polizia di prossimità,

(III) accelerare l’attuazione di progetti di sviluppo,

(IV) rilanciare ed estendere i comitati locali di conciliazione,

(V) presentare un piano d’azione dettagliato per il ritorno dei rifugiati e degli sfollati interni nel quadro degli accordi tripartiti.

6.4 . Per favorire il ritorno dei rifugiati, il governo si impegna a includere dei rappresentanti dell’M23 nella struttura nazionale responsabile per le questioni dei rifugiati.

Articolo 7: Beni spogliati, estorti, rubati, saccheggiati e distrutti.

7.1. Le parti acconsentano alla creazione, da parte del governo, di una Commissione incaricata di individuare i beni spogliati, estorti, rubati, saccheggiati e distrutti,  di esaminare tutti questi casi e di riferire ai tribunali competenti, al fine di ristabilire i proprietari nei loro diritti legittimi.

7.2. Tale Commissione sarà composta in modo rappresentativo e inclusivo, tenendo conto delle principali parti interessate, compresi i firmatari del presente accordo.

Articolo 8: Riconciliazione nazionale e giustizia.

8.1 Le parti concordano sull’istituzione di una Commissione nazionale di riconciliazione con il mandato di:

(I) promuovere la riconciliazione nazionale e la risoluzione pacifica dei conflitti,

(II) lottare contro la discriminazione etnica e l’incitazione all’odio, raccomandando una legislazione adeguata,

(III) risolvere i conflitti inter-etnici, compresi quelli fondiari,

(IV) offrire un’educazione civica per promuovere una coesistenza pacifica, per comprendere meglio i diritti e i doveri di cittadinanza e per rafforzare il patriottismo,

(V) trattare qualsiasi altra questione correlata.

8.2. La Commissione nazionale di riconciliazione sarà composta da persone di integre e rappresentative, selezionate nel rispetto dei principi di equità, inclusione e uguaglianza. Saranno inclusi i rappresentanti dell’M23.

8.3. La Commissione nazionale di riconciliazione sarà sotto la suprema autorità del Presidente della Repubblica e sotto la supervisione diretta del Primo Ministro.

Considerate le atrocità e le altre gravi violazioni dei diritti umani commesse nell’est della Repubblica Democratica del Congo e per porre fine all’impunità, le parti convengono che si debba intraprendere delle procedure giudiziarie per crimini di guerra, crimini di genocidio, crimini contro l’umanità, violenza sessuale e arruolamento di bambini contro qualsiasi presunto autore.

Articolo 9: Governance e riforme socioeconomiche.

Ai sensi dell’accordo quadro del 24 febbraio 2013, il governo riafferma il suo impegno a proseguire le riforme strutturali e istituzionali, compresa la riforma dei settori della sicurezza, della pubblica amministrazione, della finanza pubblica, della giustizia e della gestione delle risorse naturali, senza dimenticare l’attuazione del decentramento e rendendo effettive le condizioni di una governance locale in linea con le esigenze della Costituzione e delle leggi in vigore, tra cui la disposizione relativa all’attribuzione alle province del 40 % delle entrate di carattere nazionale.

Articolo 10: Attuazione delle conclusioni del riesame dell’accordo di pace del 23 marzo 2009.

Il governo ribadisce il suo impegno per portare a termine l’attuazione degli impegni che erano stati presi nel quadro dell’accordo del 23 marzo 2009 firmato con il CNDP e che, come previsto nelle conclusioni della rivalutazione di detto accordo (vedi Allegato C ), non sono stati realizzati o che non lo sono stati che parzialmente, che sono ancora validi e che non sono specificamente affrontati nel presente accordo, cioè l’impegno per la riabilitazione e lo sviluppo delle zone colpite dai conflitti. Per efficienza, il Governo si impegna ad assegnare tale compito ad una struttura adeguata.

Articolo 11: Meccanismo di attuazione, monitoraggio e valutazione.

11.1. Le parti convengono che il monitoraggio e la valutazione dell’attuazione del presente accordo saranno assicurati dal Meccanismo Nazionale di Controllo degli impegni nazionali sottoscritti dalla Repubblica Democratica del Congo creato in seguito all’accordo quadro del 24 febbraio 2013. A tal fine, il meccanismo nazionale di controllo formulerà i criteri di supervisione necessari per garantire un controllo efficace dell’attuazione del presente accordo.

11.2. Per l’attuazione dei propri impegni, ciascuna parte designerà un coordinatore per monitorarne l’attuazione con il meccanismo nazionale di controllo.

11.3. Il segretariato esecutivo della CIRGL accompagnerà il meccanismo nazionale di controllo in questo compito, per un periodo di sei mesi, rinnovabile una sola volta.

Articolo 12: Entrata in vigore.

Il presente Accordo entra in vigore il giorno stesso della sua firma.[5]

3. LE REAZIONI AL PROGETTO DELL’ACCORDO DI KAMPALA

Analisi del documento

Dopo lettura di questo documento ordito dalla mediazione ugandese, ci si rende conto che l’obiettivo del suo contenuto è la sopravvivenza politica dei dirigenti politici e militari dell’M23, nonostante la sua sconfitta militare. Il fondo del problema sta nelle disposizioni che contribuiscono a riconoscere all’M23 un diritto di partecipazione ai meccanismi relativi all’amnistia, disarmo, smobilitazione e reinserimento sociale dei suoi ex combattenti. Nello stesso modo, l’M23 è eretto in partner politico e sociale del governo congolese, un partner che dovrebbe essere associato a tutto ciò che è relazionato con il rimpatrio e all’insediamento di rifugiati la cui identità, nazionalità e numero sono del tutto sconosciuti nelle zone dette sinistrate del Nord Kivu, al dispiegamento di una polizia di prossimità vagamente definita e al finanziamento di specifici progetti di sviluppo in questa provincia. In breve, le rivendicazioni che l’M23 ha cercato di  far passare con il sostegno della mediazione ugandese, durante i 18 mesi di occupazione militare di diverse zone del Nord Kivu, non sono cambiate. I rappresentanti del popolo congolese nei negoziati di Kampala devono dimostrare coraggio politico e lucidità diplomatica per non cadere nella trappola di un vero – falso dibattito di semantica perché, invece di scomparire mediante la firma di un atto di resa, il colonnello Sultani Makenga e i suoi sostenitori stanno giocando la loro ultima carta attraverso il testo delle conclusioni di cui sopra.[6]

Necessaria implicazione del Parlamento

Tutti i patrioti degni di questo nome si sono accorti che la mediazione ugandese ha favorito l’M23, sia sul piano politico, diplomatico, militare, economico e sociale. Che si tratti di un accordo, di una dichiarazione o di conclusioni, il contenuto sembra rispondere alla logica di un contenzioso politico, militare, economico e sociale tra due partner (Kinshasa e l’M23) collocati sullo stesso piano.

In tale contesto, non si può che accogliere con favore il rifiuto, da parte del governo congolese, di firmare un documento politico squilibrato, perché gli riserva un pacchetto impressionante di impegni da rispettare, mentre l’unica obbligazione riservata all’M23 non è che una semplice promessa di non prendere più le armi contro le istituzioni della Repubblica. E gli si concede pure il vantaggio di trasformare il loro movimento ribelle in un partito politico.

Nella fase attuale dei negoziati Kampala, il governo ha fatto la sua parte di lavoro, rifiutando categoricamente di tradire il popolo congolese. Ma, date le innumerevoli pressioni che subisce quotidianamente da parte della comunità internazionale, affinché ritorni a Kampala per firmare un compromesso politico con l’M23, non potrà, da solo, resistere ancora a lungo.

Per aiutarlo a non cedere alle pressioni dei rappresentanti delle Nazioni Unite, dell’Unione Europea, dell’Unione Africana, degli Stati Uniti e di altre potenze occidentali, occorre una sorta di “sacra unione” dei Congolesi. E il posto migliore per organizzare la resistenza contro un testo portatore di rischi e pericoli non è altro che Parlamento. Milioni di Congolesi hanno ora gli occhi rivolti verso il Senato e l’Assemblea Nazionale dei Deputati. Si aspettano che queste due istituzioni, fortunatamente in piena sessione ordinaria, riservino alcune sedute per concentrarsi sull’analisi critica di questo testo di accordo – dichiarazione – conclusioni di Kampala. Attualmente, senatori e deputati dovrebbero spingere l’acceleratore fino in fondo per fare di questo documento un “affare nazionale”. Il messaggio da inviare alla comunità internazionale dovrebbe essere questo: l’intero popolo congolese è fermamente contrario a qualsiasi azione della comunità internazionale e africana che possa permettere di riesumare l’M23 dalle macerie e dalle ceneri di Kibumba, Kiwanja, Rutshuru, Bunagana, Rumangabo, Chanzu e altri. Se i Parlamentari continuassero a tacere, il popolo congolese potrebbe sospettare che non vogliano vederci chiaro nel caso di Kampala.[7]

Il 29 novembre, davanti ai deputati della camera bassa del Parlamento, Raymond Tshibanda, Ministro congolese degli Affari Esteri, ha affermato che il governo, per rispettare i suoi impegni nei confronti della regione e della comunità internazionale, è disposto a firmare un documento finale dei colloqui di Kampala. «Senza una conclusione dei colloqui di Kampala, il paese non avrebbe una base consensuale per risolvere la questione dell’M23 e, in particolare, le questioni relative al rimpatrio, all’acquartieramento, alla smobilitazione e alla reinserzione sociale dei suoi ex combattenti ora rifugiati in Ruanda e in Uganda», ha dichiarato Tshibanda rispondendo ad una interrogazione orale che gli era stata posta. Firmare il documento finale dei colloqui di Kampala, ha aggiunto, è stabilire il certificato di morte dell’M23 che permette di trarne tutte le conseguenze giuridiche e pratiche. Il documento che marcherà la fine dei colloqui di Kampala, ha precisato, dovrà tener conto dell’evoluzione della situazione, essendo l’M23 stato sconfitto e l’autorità dello Stato restaurata in tutte le zone precedentemente sotto controllo dell’M23. Questo documento dovrà inoltre includere una rinuncia chiara e inequivocabile alla ribellione da parte dell’M23 e, sia nella sostanza che nella forma, dovrà evitare di dare l’impressione che le due parti in colloquio godano della stessa legittimità. «Il governo non può essere messo sullo stesso piano dell’M23. E ciò dovrà riflettersi nel testo da firmare per chiudere i colloqui sul piano formale», ha concluso.[8]

3. L’M23: MORTI, ARRESI, FUGGITI, DIVISI

Il 19 novembre, un membro dell’intelligence ugandese ha affermato che il capo militare dell’ex M23, Sultani Makenga, si trova a Kampala (Uganda), “sotto la protezione dell’esercito ugandese”. «Sultani Makenga è in un luogo sicuro qui in città (Kampala), ma per motivi di sicurezza non possiamo rivelare la sua posizione. L’esercito garantisce la sicurezza necessaria», ha precisato, dietro anonimato, la stessa fonte. Il portavoce dell’esercito ugandese, il colonnello Paddy Ankunda, ha rifiutato di commentare il caso Makenga, ma ha dichiarato che, «secondo dati ufficiali, 1.320 combattenti dell’M23 sono sotto la nostra protezione. Sono stati trasferiti a Kasese, in un luogo chiamato Kavera» situato in Uganda occidentale, nei pressi della catena montuosa del Rwenzori, vicino alla frontiera con la RDCongo, ma più lontano dal Ruanda rispetto a Kisoro, il centro in cui si trovavano precedentemente. Tuttavia, secondo fonti della società civile di Beni, Sultani Makenga e il suo vice, il colonnello Bisamaza, sarebbero stati visti al campo militare dell’esercito ugandese a Kanyamuirima, nel villaggio di Kitengya, Distretto Bundibugyo (Uganda), vicino alla frontiera con la RDCongo. Sempre secondo queste fonti, i due starebbero preparando un piano d’attacco al Nord-Kivu a partire dal territorio di Beni.[9]

Il 20 novembre, la rappresentante speciale del segretario generale delle Nazioni Unite per la protezione dei bambini nella RDCongo, Leila Zerrougui, ha affermato che centotrentasei (136) minorenni reclutati dall’M23, la cui nazionalità non è ancora stata identificata, sono attualmente in Uganda. Leila Zerrougui ha espresso grande preoccupazione per la sorte di questi bambini e ha affermato che devono assolutamente ritornare nelle loro rispettive famiglie il più presto possibile.[10]

Il 24 novembre, a proposito degli scontri tra l’esercito congolese e l’ex M23 avvenuti tra maggio e novembre, il Generale Bauma Ambamba, comandante della regione militare del Nord Kivu, ha fornito il seguente bilancio: «Dal 20 maggio fino al 5 novembre, tra le FARDC (l’esercito governativo) ci sono stati 201 morti e 680 feriti. Tra le file dell’M23, ci sono stati 715 morti e 543 catturati o arresi, tra cui 72 Ruandesi e 28 Ugandesi». Tra i morti, ci sono anche tre caschi blu tanzaniani che hanno combattuto a fianco delle FARDC come membri della brigata d’intervento delle Nazioni Unite. Programmata per 30 giorni, l’ultima operazione denominata “Pomme – Orange” è durata solo dieci giorni, dal 25 ottobre al 5 novembre. È durante quest’ultima operazione che l’M23 è stato completamente sconfitto. Secondo il generale Bauma, la vittoria delle FARDC sull’M23 ha portato alla resa di molti altri combattenti provenienti da diversi gruppi armati attivi nella provincia. In questo senso, egli ha affermato che, finora, 1.020 miliziani e 96 bambini-soldato si sono consegnati alle FARDC o alla Monusco.[11]

Il 25 novembre, il Comitato Politico dell’M23 ha incaricato il Segretario Permanente, Kambasu Ngeve, di informare Bertrand Bisimwa, presidente politico dell’M23, della sua sospensione preventiva dalla carica di Presidente del Movimento. È, in particolare, accusato di: 1. gestione opaca, oscurantista e privatista del dialogo tra il governo congolese e l’M23 a Kampala, 2. totale mancanza di visione per il futuro dell’organizzazione e dei suoi membri, 3. blocco intenzionale della firma delle conclusioni dei colloqui di Kampala, senza far riferimento agli organi competenti del movimento, cioè il Comitato Politico. In tale situazione, il presidente ad interim dell’M23 sarà il Segretario Permanente del Comitato Politico, Kambasu Ngeve. A sua volta, il giorno dopo, il 26 novembre, il presidente dell’M23, Bertrand Bisimwa, sospende Kambasu Ngeve dalle sue funzioni di Segretario Permanente del Comitato Politico e di principale negoziatore dell’M23 nei colloqui di Kampala, per aver commesso gravi atti di indisciplina.[12]

4. GLI ALTRI GRUPPI ARMATI

Dopo la sconfitta militare dell’M23, altri sette gruppi armati locali e stranieri continuano a seminare il terrore nel territorio di Rutshuru, nel Nord Kivu. Questi miliziani sono principalmente dei combattenti Mai-Mai e dei ribelli ruandesi delle FDLR. Tra i gruppi armati attivi nel territorio di Rutshuru, ci sono quattro milizie Mai-Mai: il Movimento Popolare di Autodifesa (MPA), i Nyatura, la Forza per la Difesa degli Interessi del popolo congolese (FDIPC) e gli Shetani, e tre gruppi di ribelli ruandesi delle Forze Democratiche per la Liberazione del Rwanda (FDLR): Soki, Foca e Rude. Questi gruppi collaborano tra di loro secondo gli interessi delle etnie locali cui spesso appartengono. La popolazione li accusa di essere responsabili di diversi abusi. Gestiscono una dozzina di barriere (posti abusivi di pedaggio) e impongono tasse che vanno da 0,5 a 20 $ per viaggiatore. I miliziani impongono tasse illegali anche agli agricoltori che devono accedere ai loro campi per coltivare e raccogliere i loro prodotti agricoli. L’esercito e la polizia sono impotenti davanti ai soprusi di questi gruppi armati. I conflitti tra queste milizie stanno creando divisioni anche all’interno delle comunità locali, soprattutto tra  Hutu e Nande, due etnie maggioritarie.

Circa quaranta gruppi armati sono ancora attivi nell’est della RDCongo, in particolare nella Provincia Orientale, nel Katanga, nel Nord e Sud Kivu e nel Maniema.

Tra questi, cinque gruppi armati stranieri: i ribelli ruandesi delle FDLR divisi in quattro fazioni: Rude, Soki, Foca e Mandevu, distribuiti nel Nord-Kivu, Sud Kivu e Nord del Maniema, i ribelli ugandesi dell’LRA e dell’ADF-Nalu, attivi nella Provincia Orientale e nel Nord-Kivu, i ribelli burundesi FRF (ex FNL), nella regione di Uvira e gli allevatori stranieri Mbororo provenienti dal Sudan. .
Ci sono poi una trentina di gruppi armati nazionali, principalmente attivi nel Nord Kivu e Sud Kivu:
i Raia Mutomboki presenti a Walikale (Nord Kivu ), in diverse zone del Sud Kivu, tra cui Kalehe, Mwenga e Shabunda e nella provincia del Maniema; i Mai-Mai Kifuafua; i Mai-Mai Sheka; i Mai-Mai Nyatura; iMai-Mai Shetani; i Mai-Mai di la Fontaine; i Mai-Mai di Hilaire Kombi; i Mai-Mai Vutura FODP; la Forza per la Difesa degli Interessi del Popolo Congolese (FDIPC);  i Nyatura FDDH, sotto il comando del colonnello Kasongo Kalamo; le Forze di Difesa Congolese (FDC); l’Alleanza per un Congo Libero e Sovrano (ACPLS) di Janvier; l’Unione dei Patrioti Congolesi per la Pace (UPCP); il Movimento d’Azione per il Cambiamento (MAC); i Mai-Mai Kirikicho; i Mai-Mai Baleke Kashilogozi; i Mai-Mai Mulumba, sulle rive del lago Tanganica; i Mai-Mai Simba; i Mai-Mai AOCI; i Mai-Mai Shabunda; il Mudundu 40; i Mai-Mai Kapopo; i Mai-Mai Nakiriba; i Mai-Mai Mahoro; i Mai-Mai Shikito; i Mai-Mai Zabuloni; i Mai-Mai Beda; il gruppo dei Patrioti Resistenti Congolesi (Pareco); il gruppo Tawimbi. In Ituri, ci sono la Forza di Resistenza Patriottica dell’Ituri (FRPI) di Cobra Matata e i Mai-Mai Simba di Morgan. Infine, nel Katanga, ci sono i Mai-Mai di Mutanga, alias Gédéon e i Bakata-Katanga.[13]

a. Pianificazione di prossime operazioni militari, in caso di mancanza di disarmo volontario

Il 20 novembre, il governo congolese ha presentato un piano per il disarmo, l’integrazione e il reinserimento sociale dei membri dei gruppi armati nazionali. Secondo il portavoce del governo Lambert Mende, il piano prevede di offrire un’accoglienza degna e meritata ai compatrioti che sono disposti a deporre le armi. Secondo Lambert Mende, il piano privilegia la reintegrazione dei combattenti nella vita sociale, ma non automaticamente nell’esercito: «Tutti coloro che accettano di deporre le armi sono accolti dalle forze dell’esercito nazionale in collaborazione con le forze della Monusco. Il primo momento è il ritiro delle armi. Il secondo momento è un incontro in cui l’ex combattente  esprime in quale settore della vita nazionale desidera essere inserito nel quadro del programma Starec [il programma di stabilizzazione e ricostruzione] e di vari altri programmi avviati presso il Dipartimento degli affari umanitari».[14]

Il 22 novembre, nel corso di una loro riunione a Goma, il Capo di Stato Maggiore Generale dell’esercito congolese, il generale Didier Etumba, il suo omologo ugandese, il generale Aronda Nyakairima e il capo militare della Monusco, il generale Alberto Santos Cruz, hanno pianificato prossime operazioni militari contro i ribelli ugandesi dell’ADF / Nalu, attivi nel territorio di Beni, nel Nord Kivu. L’ADF / NALU è sul suolo congolese da oltre 20 anni, soprattutto nei settori di Watalinga, Rwenzori, Mbau e nella zona dei Bashu. Dopo la riunione, il governatore del Nord Kivu, Julien Paluku, ha dichiarato che l’operazione militare contro i ribelli dell’ADF- NALU sarà effettuata dal solo esercito congolese e che l’unico scopo dell’incontro era di prevenire eventuali effetti collaterali che potrebbero interessare l’Uganda. Secondo lui, non si è trattato di programmare operazioni militari congiunte con l’esercito ugandese. Dopo la sconfitta imposta all’M23, gli sforzi sono attualmente concentrati sull’ADF-NALU che è alla base di molti casi di rapimenti, sequestri e saccheggi nel territorio di Beni, ai piedi del Monte Ruwenzori. Il presidente della società civile di Beni, Teddy Kataliko, ha affermato che, dal 2011, questi ribelli ugandesi hanno sequestrato e mantenuto in ostaggio almeno ottocento persone, tra cui duecentocinquanta minorenni. Attualmente sono circa cinquecento le persone sequestrate, tra cui tre sacerdoti della parrocchia cattolica di Nostra Signora dei Poveri di Beni-Mbau e un medico. Dopo l’operazione contro l’ADF-NALU, inizierà quella contro le Forze di Liberazione per la Liberazione del Rwanda (FDLR) e, infine, contro i gruppi armati locali che non abbiano aderito al programma di disarmo volontario.[15]

Oggetto di un mandato di arresto internazionale emesso dalla Corte Penale Internazionale (CPI) e ricercato dagli Stati Uniti per sequestri di bambini e crimini contro l’umanità, il capo dei ribelli ugandesi dell’Esercito di Resistenza del Signore (LRA), Joseph Kony, si troverebbe nella Repubblica Centrafricana (RCA). Secondo il portavoce del governo di questo Paese, per poter arrendersi, il capo dei ribelli avrebbe chiesto garanzie per la sua sicurezza. Un funzionario delle Nazioni Unite ha anche confermato che sarebbero già in corso delle trattative con il presidente della RCA, Michel Djotodia.

L’LRA  è stato creato verso il 1988 con l’obiettivo di rovesciare il presidente ugandese Yoweri Museveni, per sostituirlo con un regime basato sui dieci comandamenti. L’LRA ha una pessima reputazione per i sequestri di persone commessi e le mutilazioni praticate su larga scala sui civili. Mescolando mistica religiosa, tecniche di guerriglia e brutalità, Kony ha trasformato ha sequestrato decine di migliaia di bambini e bambine per trasformarli in bambini soldato e schiave sessuali. L’LRA è ora ridotto a circa 150 combattenti, sparsi in piccoli gruppi ricercati dagli eserciti della regione sostenuti da un centinaio di membri delle forze speciali statunitensi.[16]

Il 29 novembre, a Goma, il Rappresentante speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite nella RDCongo, Martin Kobler, ha annunciato prossime operazioni militari contro i gruppi armati attivi nella regione e contro le Forze Democratiche per la Liberazione del Rwanda (FDLR) in particolare, precisando che, «dopo il successo contro l’M23, la priorità della Monusco sarà di combattere le FDLR».[17]

b. Miliziani Maï-Maï si arrendono

Il 19 novembre, a Shabunda, nel Sud Kivu, i Raïa Mukombozi [il popolo che si libera, in swahili] hanno annunciato la fine della loro lotta armata. Anche un’altra milizia rivale, i Raïa Mutomboki [il popolo in rivolta], si è detta pronta ad essere integrata nell’esercito regolare. Nello stesso giorno, a Minova, nella stessa provincia, si sono arresi più di 1300 miliziani dell’APCLS e Nyatura. Si è osservata la stessa tendenza anche a Manono, nel Katanga. I Raïa Mukombozi fanno notare di aver deposto le armi perché l’M23 è stato sconfitto. «Questo successo militare segna la fine della violenza umiliante della RDC da parte dei paesi vicini», ha fatto notare Daniel Meshe, capo dei Raia Mukombozi. Egli afferma che la sua milizia ora vuole partecipare alla ricostruzione nazionale e al ritorno della pace attraverso il processo democratico. Se i Raïa Mukombozi hanno annunciato ufficialmente di deporre le armi, i Raïa Mutomboki ne hanno espresso solo l’intenzione.

Il 19 novembre, milletrecento (1.300) miliziani dell’Alleanza Patriottica per un Congo Libero e Sovrano (APCLS) e dei Nyatura hanno deposto le armi a Bweremana, una località del raggruppamento di Mupfunyi Shanga, a 2 km a nord della città di Minova, nel Sud Kivu. Le truppe di questi gruppi sono già disarmate. Solo gli ufficiali conservano ancora le loro armi. Questi ex-combattenti affermano di provenire da Ngungu, Kasaki, Nyamitaba e da altre località di Masisi, nel Nord Kivu. Tra i 1300 ex-miliziani, ci sono anche cinquanta famiglie circa che vivono in tendoni,  case abbandonate, scuole e, alcune, all’aperto, sotto le stelle. Questi ex-combattenti chiedono il loro trasferimento in un centro di formazione dove sperano di trovare migliori condizioni di vita.[18]

Il 20 novembre, a Uvira (Sud Kivu), il Presidente dei Mai Mai del Movimento Popolare per la Difesa del Congo (MPDC), Emmanuel Ndigaya Ngezi, ha chiesto ai suoi miliziani sotto comando dell’autoproclamato generale Mayele Wilondja di deporre le armi e di prepararsi per la loro integrazione nell’esercito regolare (FARDC). In un comunicato, il capo militare ha detto che ha ricevuto la garanzia da parte della gerarchia dell’esercito circa l’integrazione di 1200 miliziani sparsi tra Uvira, Fizi e Mwenga. Ndigaya Ngezi, detto “fantasia”, ha dichiarato che la decisione sul disarmo e sull’integrazione del suo gruppo armato è stata presa con il comandante Mayele Wilondja. Ha inoltre affermato che la gerarchia militare dello Stato Maggiore delle Forze terrestri a Kinshasa è pronta a fornire il cibo per i combattenti che accettassero di deporre le armi. Tuttavia, Ndigaya Ngezi deplora il fatto che questa promessa dell’alta gerarchia militare non sia stata comunicata alle autorità militari della provincia. La 10ª Regione Militare ha infatti dichiarato di non essere a conoscenza di tale impegno da parte delle autorità militari di Kinshasa. Alcuni combattenti si trovano già nei siti di Lusambo e Makobola, altri a Uvira, ma molti sono ancora in foresta.[19]

Il 22 novembre, circa una sessantina di Mai-Mai Raïa Mutomboki si sono arresi all’esercito congolese a Chulwe, a 50 chilometri dal villaggio di Nzibira, al confine tra il territorio di Walungu e quello di Shabunda (Sud Kivu). La 10ª regione miliare conferma questa informazione, indicando che erano accompagnati dal loro comandante Kahasha, alias Foka. Questi miliziani si sono arresi con le loro mogli e figli. Attualmente si trovano a Nzibira, dove aspettano di essere disarmati, per poter essere evacuati verso Bukavu. Ci sono ancora diversi altri gruppi che portano il nome di Raïa Mutomboki, in particolare quelli di Ndalumanga, di Kikuni e molti altri, ancora attivi nel territorio di Shabunda. A tutti è stato chiesto di deporre le armi e di arrendersi.[20]

Circa 1.500 ex combattenti di gruppi armati sono raggruppati a Bweremana, a circa 50 chilometri da Goma. Questi ex-combattenti provengono da Masisi e Rutshuru e la maggior parte di loro appartengono ai Mai-Mai Nyatura e all’Alleanza dei Patrioti per un Congo Libero e Sovrano (APCLS) e Forze di Difesa degli Interessi del Popolo Congolese (FDIPC), milizie che, generalmente, hanno combattuto contro l’M23. Tende fatte di teloni e ripari di rami e foglie sono stati frettolosamente allestiti nel villaggio e su due colline circostanti. Un ex membro dell’APCLS riempie una tanica d’acqua. Altri due giocano a dama e come pedine usano tappi di bottiglie. Ufficialmente, la sicurezza sarebbe garantita dall’esercito congolese, ma gli abitanti del villaggio sono preoccupati. «Ho paura perché ci sono troppi militari», afferma Espérance. «Siamo molto numerosi e concentrati in uno spazio ristretto. Queste persone prendono le poche cose che abbiamo nei nostri campi, i nostri fagioli, le nostre banane». Gli ex- miliziani smentiscono queste informazioni e tutti confermano di non mangiare che una sola volta al giorno. Una razione insufficiente per loro e per le loro famiglie. Sono arrivati a Bweramana, sulle rive del lago Kivu, nella speranza di essere integrati nell’esercito congolese ma, secondo l’ONU, Kinshasa non ha ancora presentato un cronogramma per la loro integrazione. Una situazione di incertezza preoccupante perché, se l’attesa durasse troppo a lungo, potrebbe diventare esplosiva.[21]



[1] Cf Radio Okapi, 18.11.’13

[2] Cf 7sur7.cd- Rutshuru, 19.11.’13

[3] Cf ACP – Goma, 21.11.’13

[4] Cf Radio Okapi, 29.11.’13 ; AFP – Goma, 29 e 30.11.’13

[6] Cf Le Phare – Kinshasa, 25/11/2013 (via mediacongo.net) http://www.mediacongo.net/show.asp?doc=46078#

[7] Cf Kimp – Le Phare – Kinshasa, 26.11.’13

[8] Cf Xinua – Kinshasa, 29.11.’13

[9] Cf Radio Okapi, 19.11.’13; Xinua – Africatime, 20.11.’13; Kandolo M. – Forum des As – Kinshasa, 19.11.’13

[10] Cf Radio Okapi, 20.11.’13

[11] Cf Radio Okapi, 25.11.’13

[12] Cf julienpaluku.com, 27.11.’13

[13] Cf Radio Okapi, 11.11.’13

[14] Cf Radio Okapi, 21.11.’13

[15] Cf Radio Okapi, 23.11.’13; Symphorien Muhumbania (ACP) – julienpaluku.com, 25.11.’13

[16] Cf La Tempête des Tropiques – Kinshasa, 22.11.’13

[17] Cf Radio Okapi, 29.11.’13

[18] Cf Radio Okapi, 21.11.’13

[19] Cf Radio Okapi, 20.11.’13

[20] Cf Radio Okapi, 23.11.’13

[21] Cf AFP – Kinshasa, 25.11.’13; RFI, 27.11.’13