Congo Attualità n. 171

INDICE

 

EDITORIALE: Liberarsi insieme

 

1. IL DIALOGO TRA L’M23 E IL GOVERNO CONGOLESE

2. LA POLITICA DI FRONTE ALLA CRISI

a. Il discorso del Capo dello Stato sulla situazione del Paese

b. Le posizioni dei partiti dell’opposizione

3. LE DICHIARAZIONI DELLA COMUNITÀ INTERNAZIONALE

4. UNA LETTERA APERTA AL PRESIDENTE BARACK OBAMA

5. LA POLITICA INTERNA

 

EDITORIALE: Liberarsi insieme

 

1. IL DIALOGO TRA L’M23 E IL GOVERNO CONGOLESE

Il 17 dicembre, il governatore del Nord Kivu, Julien Paluku, ha accusato l’M23 di volere mantenere la popolazione della città di Goma in un clima di “psicosi” per fare pressione sugli incontri in corso a Kampala, tra governo e M23, facendo capire che, se a Kampala le cose non vanno secondo il suo volere, l’M23 potrebbe riprendere Goma in qualsiasi momento. In città si registrano, infatti, molti episodi di rapine a mano armata e di omicidi. Secondo il governatore, da quando l’M23 si è ufficialmente ritirato da Goma, vari militari dell’M23 sono rimasti in città e, camuffati tra la popolazione civile, fanno di tutto per rendere la vita insopportabile per dimostrare che la città è mal governata e giustificare un loro ritorno in forza.

Anche il portavoce delle Nazioni Unite, Martin Nesirky, ha dichiarato che la MONUSCO ha rilevato la presenza dell’M23 in diversi luoghi intorno a Goma e in varie parti del Nord Kivu, fra cui Ruwindi, Kibati e Masisi. Egli ha precisato che “tali movimenti infrangono la risoluzione 2076” delle Nazioni Unite, approvata il 20 novembre, che impone all’M23 di ritirarsi da Goma e di mettere fine ad ogni sua avanzata.[1]

Il 18 dicembre, il governo congolese e l’M23 hanno adottato e firmato il regolamento interno che dovrà guidare il dialogo fra loro a Kampala. Il documento contiene 22 articoli che stabiliscono le norme e le modalità delle discussioni durante tutto il periodo del dialogo. Firmato da Raymond Tshibanda, da parte del governo congolese, e da François Rucogoza, da parte dell’M23, il regolamento raccomanda che il dialogo si svolga in modo tale da non pregiudicare la Costituzione della Repubblica Democratica del Congo (RDCongo) e da permettere, nello stesso tempo, la ricerca di soluzioni al conflitto in corso nella parte orientale del Paese. Secondo il regolamento, i principali obiettivi del dialogo sono l’esame dell’applicazione dell’accordo del 23 marzo 2009, l’approvazione delle proposte che ne seguiranno e la discussione su altre questioni proposte dalle due parti. Il quorum richiesto per le riunioni in seduta plenaria è di quindici membri per ciascuna delegazione, tra cui il capo della delegazione o il suo vice. Le discussioni si terranno a porte chiuse, senza copertura degli organi di stampa. Le due parti hanno l’obbligo di astenersi dal rilasciare ai mezzi di comunicazione dichiarazioni che potrebbero compromettere il buon svolgimento del dialogo. Il regolamento vieta l’uso di termini ingiuriosi, degradanti o provocatori. Inoltre, le due parti hanno iniziato a prendere in considerazione l’ordine del giorno del dialogo.[2]

Il 19 dicembre, il governo congolese e l’M23 hanno sospeso le discussioni circa l’ordine del giorno del dialogo. Le due parti non hanno trovato alcun accordo circa la questione di un cessate il fuoco richiesto dalla delegazione dei ribelli, come prerequisito per continuare il dialogo.

Da parte sua, la delegazione del governo non vuole affrontare la questione del cessate il fuoco, perché non è ripresa nell’agenda della Conferenza Internazionale della Regione dei Grandi Laghi (CIRGL). Secondo la delegazione governativa, la questione del cessate il fuoco deve essere trattata in seno al meccanismo congiunto di verifica avviato dalla CIRGL e installato a Goma (Nord Kivu). Secondo un membro della delegazione governativa, firmare un cessate il fuoco sarebbe come accettare di concedere all’M23 lo spazio (territori di Rutchuru e di Nyragongo) che oggi occupa in forma anarchica e l’amministrazione della città di Goma che lo stesso M23 richiede. Un cessate il fuoco renderebbe anche inutili il rafforzamento del mandato della MONUSCO e il dispiegamento di una forza internazionale neutra incaricata di monitorare le frontiere e di combattere le forze negative, tra cui lo stesso M23.

Da parte sua, l’M23 accusa il governo congolese di volere prolungare le trattative per ricuperare tempo, al fine di reclutare dei ribelli delle FDLR e di riarmare l’esercito, in vista di attaccare le sue diverse posizioni. L’M23 dice di temere la re-edizione di un genocidio dei Tutsi, questa volta sul suolo congolese. Secondo informazioni in suo possesso, le FDLR si starebbero dispiegando lungo la frontiera con il Ruanda e intorno alla città di Goma. Tuttavia, secondo molti osservatori, si tratta di una campagna mediatica orchestrata dall’M23 per riprendere la guerra e giustificare l’ingresso di nuove truppe dell’esercito regolare ruandese in territorio congolese.[3]

Il 21 dicembre, i colloqui di pace tra l’M23 e il governo di Kinshasa sono stati sospesi senza alcun accordo sulla questione del cessate il fuoco e rinviati fino al 4 gennaio 2013.[4]

Il 24 dicembre, il giorno dopo il suo ritorno da Kampala, Christian Badibangi, deputato dell’Unione Socialista Congolese (USC) eletto a Dimbelenge, nel Kasai orientale, ha tenuto un conferenza stampa a Kinshasa. Christian Badibangi ha spiegato di essere andato a Kampala per aver ricevuto un invito in qualità di Vice-Presidente della Commissione politica, amministrativa e giuridica (PAJ) dell’Assemblea Nazionale, cioè in qualità di responsabile di un’istituzione e non per accompagnare la delegazione del governo e trarne dei vantaggi economici, come lo accusano i suoi colleghi dell’opposizione. Questi ultimi hanno dichiarato di aver rifiutato di andare a Kampala, perché invitati come semplici osservatori. Falso, dice Christian Badibangi. Secondo lui, i deputati dell’opposizione hanno condizionato la loro presenza nella capitale ugandese a un compenso di 30.000 $ a titolo di rimborso spese. “Questa è la vera ragione per cui si sono rifiutati di andare a Kampala”, ha ribadito Christian Badibangi che, secondo le sue dichiarazioni, si sarebbe accontentato di 400 $ al giorno, cioè 4.000 $ per 10 giorni di lavoro.

Christian Badibangi ha detto di avere avuto la possibilità, grazie alla sua presenza a Kampala, di accedere a dei documenti che molti politici dell’opposizione ignorano e che gli hanno permesso di venire a conoscenza di alcuni segreti circa le vere ragioni che stanno dietro le continue guerre nella parte orientale della RDCongo. Avendo avuto la possibilità di aver incontrato personalmente dei membri dell’M23 a Kampala, Christian Badibangi ha rivelato che alcune loro rivendicazioni brandite alla pubblica opinione non sono che di facciata: un pretesto per dare un po’ di credito alla loro tesi. Ha citato, come esempi, alcuni casi, come la verità delle urne rivendicata da Etienne Tshisekedi e la soppressione dei “dispositivi di sicurezza” intorno alla sua residenza, il rilascio dei prigionieri come Gabriel Mokia, Kutino Fernando, ecc. Punti che, ha riferito Badibangi, l’M23 si è  opposto, a sua richiesta, di iscrivere nella lista delle sue rivendicazioni. Il caso di Tshisekedi non è menzionato in nessuna parte nella lista delle esigenze presentate dall’M23. Inoltre, l’M23 non menziona alcun meccanismo per stabilire la verità delle urne. Sempre secondo Badibangi, ciò che interessa all’M23 è, in realtà, la condivisione del potere. In quel punto non transigono. Sul tavolo dei negoziati, hanno addirittura presentato il nome del futuro primo ministro, il leader dell’UNC.

Secondo Christian Badibangi, i ribelli ruandofoni tutsi sono in realtà al servizio del potere di Kigali. Essi utilizzano abusivamente i nomi di Tshisekedi e dei prigionieri politici a Kinshasa, per attirare le simpatie dell’opposizione e della popolazione congolese. In breve, non vi è nulla di nazionale nelle rivendicazioni dell’M23, ha insistito il deputato, secondo cui la guerra dell’est del Paese è una guerra contro i ruandofoni hutu che ne sono le principali vittime. Infine ha criticato alcuni colleghi che manipolano l’opposizione contro il regime di Kinshasa e che, d’accordo con il Ruanda, fanno il gioco dell’M23.[5]

2. LA POLITICA DI FRONTE ALLA CRISI

a. Il discorso del Capo dello Stato sulla situazione del Paese

Il 13 dicembre, a Kinshasa, il Presidente della Repubblica Joseph Kabila ha incontrato i deputati dell’opposizione per una consultazione circa la situazione di guerra che prevale nell’est della RDCongo. Secondo un partecipante, Joseph Kabila ha chiesto il coinvolgimento dei deputati per risolvere la crisi. Da parte loro, i deputati hanno richiesto l’organizzazione di una tavola rotonda per «discutere non solo sul Kivu, ma anche sugli altri problemi della RDCongo».

Alla riunione con Joseph Kabila hanno partecipato i rappresentanti di tre dei quattro gruppi parlamentari dell’opposizione presenti all’Assemblea Nazionale: l’UNC e alleati, l’MLC e alleati e i Liberali Social Democratici (GLDS). L’UDPS e Fac erano rappresentati da soli tre deputati. Di fronte all’allarmante situazione di insicurezza del Nord Kivu, i parlamentari ritengono essenziale la coesione nazionale. Gregory Kiro, deputato nazionale dell’RCD/KML, eletto a Beni (Nord Kivu), ha riferito: «Abbiamo chiesto di metterci attorno a un tavolo per fare una diagnosi chiara della situazione e formulare proposte precise per uscire dalla crisi». In effetti, i gruppi parlamentari dell’opposizione hanno ribadito la loro proposta di un «dialogo repubblicano e inclusivo», in vista di potere risolvere la crisi nell’est del Paese. A questo “dialogo inclusivo” dovrebbero partecipare i rappresentanti della maggioranza, dell’opposizione, dell’M23 e della società civile, sotto la guida dalla comunità internazionale. I deputati dell’opposizione si sono, infine, detti contrari ai colloqui tra il governo e l’M23, iniziati il 9 dicembre a Kampala, capitale ugandese.[6]

Il 14 dicembre, le Forze Acquisite al Cambiamento (FAC) / opposizione affermano, in un comunicato stampa, di seguire da vicino l’andamento dei colloqui di Kampala tra il governo del presidente Kabila e la delegazione dell’M23. Secondo le FAC, gli incontri di Kampala si sono trasformati in un forum in cui le due delegazioni, membri della maggioranza presidenziale al potere, si rinviano vicendevolmente la responsabilità della ricorrente insicurezza che prevale nella parte orientale del Paese.

Ma al di là di questa disputa interna tra l’M23 e il potere di Kabila, le FAC / opposizione stimano gli “incontri di Kampala” irrilevanti per la nazione congolese, ma utili per il potere di Kabila che, nella sua doppiezza, ha colto l’occasione che Kampala gli ha offerto per scagionare, ancora una volta, il Ruanda e l’Uganda, malgrado siano riconosciuti come i veri aggressori della RDCongo e i principali responsabili della tragedia della popolazione dell’est del Paese. Inviando una delegazione del governo a Kampala, Kabila ha accettato di ridurre, in tal modo, questa aggressione a un conflitto interno prettamente congolese. Per le FAC / opposizione, da Kampala non c’è da aspettarsi nulla che possa portare ad una rapida soluzione del problema di insicurezza nell’est del Paese.

Le FAC / opposizione propongono, invece, di organizzare un dialogo nazionale come unica via d’uscita dalla crisi perché, secondo loro, la crisi è soprattutto una crisi di legittimità:

1.         a livello dell’autorità suprema dello Stato, dell’Assemblea Nazionale e del governo, come conseguenza dei brogli elettorali del mese di novembre 2011.

2.         a livello del Senato, delle Assemblee Provinciali e dei governi provinciali ancora in carica dalle elezioni del 2006, anche se, secondo la Costituzione, il loro mandato è già terminato.

3.         a livello dell’amministrazione territoriale (sindaci, amministratori territoriali, responsabili dei settori, ecc.) finora in mano alla sola famiglia politica del presidente Kabila, perché il processo elettorale del 2006 è rimasto incompiuto.

Il problema di legittimità perturba l’architettura istituzionale, nella misura in cui crea un’ambivalenza istituzionale: la coesistenza delle istituzioni sorte dalle elezioni del novembre 2011 con quelle anacronistiche sorte dalle elezioni del 2006.

È urgente risolvere questo problema, prendendo le misure necessarie per organizzare le prossime elezioni. Oltre a questi scogli politici che devono essere gestiti in modo responsabile da tutta la classe politica, occorre concentrarsi anche sul malgoverno che caratterizza la gestione della cosa pubblica da parte del potere del presidente Kabila.

Secondo le FAC, tutti questi inconvenienti sopra citati e molti altri possono essere risolti solo nel quadro di un dialogo nazionale aperto e inclusivo teso a ricreare il consenso politico rotto. Coerentemente alle denunce appena esposte contro il Presidente Kabila, le FAC / opposizione gli chiedono di cogliere l’occasione del suo discorso sullo stato della nazione, previsto per il 15 dicembre, davanti alle due Camere del parlamento riunite in Congresso a Palazzo del Popolo, per annunciare al popolo congolese le sue dimissioni.[7]

Il 15 dicembre, parlando ai deputati e senatori riuniti in Congresso, il Capo dello Stato, Joseph Kabila, ha dedicato la maggior parte del suo discorso sullo stato della nazione alla situazione di insicurezza che prevale attualmente nel Nord Kivu, affermando che «quando una parte del territorio è in pericolo, tutta la Nazione ne è interessata». Fin dall’inizio del suo discorso, Joseph Kabila ha esplicitamente accusato il Ruanda di essere alla base dell’insicurezza rilevata nella parte orientale del Paese: «È già stato detto tutto circa l’aggressione del nostro paese da parte del Ruanda. Ci sono prove sufficientemente documentate fornite sia dai nostri servizi specializzati che dai rapporti delle Nazioni Unite». Ricordando gli inizi del conflitto, ha affermato che è alla fine di marzo 2012 che «degli elementi al soldo di interessi stranieri hanno cominciato a creare problemi e a spargere desolazione nella provincia del Nord Kivu».

Il Capo dello Stato ha fatto notare che «all’inizio, si trattava di un ammutinamento motivato dalla presunta mancata attuazione dell’accordo del 23 marzo 2009 firmato tra il governo e trenta gruppi armati. Oggi, tale accordo non è messo in discussione che da un solo gruppo. L’ammutinamento si è poi trasformato in una ribellione dalle motivazioni fluttuanti ed elastiche che variano a seconda delle circostanze e delle alleanze. L’attuazione della strategia è semplice: creare focolai di tensione e provocare insicurezza in diverse parti della Repubblica, scoraggiare gli investimenti ed evitare l’attuazione del programma di ricostruzione nazionale. In breve, creare il caos e giustificare la balcanizzazione del nostro paese». Joseph Kabila ha deplorato «l’incubo in cui vive circa un milione di persone nel Nord Kivu, vittime di una guerra i cui veri ideatori e mandatari sono inafferrabili come sono le loro motivazioni, perché costituiscono un inammissibile tabù». Egli ha condannato i massacri, gli omicidi, i sequestri, gli arresti arbitrari e i saccheggi subiti dagli abitanti di questa parte del paese.

Ha reso omaggio a tutti coloro che hanno perso la vita fin dall’inizio di questo conflitto e ai valorosi soldati e agenti di polizia che sono morti sul campo di battaglia. Ma Joseph Kabila ha voluto essere ottimista, affermando che, «nonostante i profeti di sventura che pianificano lo smembramento del nostro paese, la Repubblica Democratica del Congo rimarrà uno stato di diritto, indipendente, sovrano, unito e indivisibile» e aggiungendo: «È vero che abbiamo perso una battaglia ma, come succede nella vita di un uomo, una sconfitta nell’esistenza di una nazione non è una fatalità. Ciò che è più importante è ricuperarsi e darsi i mezzi per progettare il futuro. Non risparmieremo alcun sforzo per riconquistare i territori occupati».

Il presidente congolese ha affermato che, per porre fine alla guerra, il suo governo ha preso provvedimenti su tre fronti, sul piano diplomatico, politico e militare. Ha dichiarato che, «sul fronte diplomatico, in sette mesi sono stati convocati cinque vertici straordinari della CIRGL, due vertici della SADC, una riunione tripartita RDCongo-Ruanda-USA e il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha emesso due risoluzioni», facendo notare che i Capi di Stato dei Grandi Laghi hanno deciso il dispiegamento di una forza internazionale neutra con la duplice missione di monitorare la frontiera tra la RDCongo, il Ruanda e l’Uganda e di combattere le forze negative.

Sul fronte politico, ha evocato il dialogo che il governo ha iniziato con l’M23 sotto gli auspici degli Stati dei Grandi Laghi, al fine di “evitare il pretesto della destabilizzazione”. Ma secondo lui, «questi scambi hanno come solo scopo quello di chiarire i nodi del problema e di accertare le responsabilità di questa guerra».

Sul piano militare, il capo dello Stato ha promesso di fare della difesa una priorità: «Solo un esercito repubblicano forte può salvaguardare la nostra integrità territoriale e la nostra sovranità nazionale. Oltre all’impegno per lo sviluppo, la nostra priorità sarà ora la difesa del Paese, con un esercito apolitico e professionale, capace di garantire la sicurezza del nostro popolo». Considerando che i risultati ottenuti dalla Missione dell’Onu nella RDCongo (Monusco) sono rimasti al di sotto delle attese, egli ha rivelato di avere richiesto una ristrutturazione del suo mandato, “per rinforzarlo e adattarlo alla realtà sul terreno”.

Secondo il presidente, «per uscire dalla guerra in corso nella parte orientale del paese, è più che mai necessaria una coesione nazionale. Essa esige di mettere in disparte le varie differenze, per ritrovarsi insieme intorno a ciò che a tutti è più caro: il Congo. Non c’è una Repubblica per la maggioranza e un’altra per l’opposizione. C’è una sola Repubblica: la Repubblica Democratica del Congo. Questa coesione nazionale non può essere subordinata ad alcuna condizionalità. Essa si realizzerà in un quadro adeguato e aperto a tutte le forze politiche e sociali del paese. A questo scopo, a breve scadenza sarà presa un’iniziativa, le cui modalità saranno precisate nel momento opportuno».

Il Capo dello Stato ha dedicato l’ultima parte del suo discorso a questioni politiche ed economiche.

Sul piano politico, ha ricordato le ultime elezioni dei governatori del Bas-Congo, della Provincia Orientale e del Kasai Occidentale, la riforma della Ceni, “oggetto di un ampio dibattito in entrambi i rami del Parlamento” e l’approvazione di una legge sulla creazione della Commissione Nazionale per i Diritti Umani. Sul fronte economico, ha ricordato che il tasso di crescita di quest’anno è stimato al 7,2%, mentre il tasso di inflazione è stimato al 3%, “uno dei più bassi della nostra storia”. “Tuttavia, ha ammesso, molti Congolesi sembrano stanchi di sentire parlare della stabilità del quadro macroeconomico, mentre le loro condizioni di vita non migliorano nella stessa proporzione”.[8]

Il 16 dicembre, in una conferenza stampa a Kinshasa, la Nuova Società Civile Congolese (NSCC) afferma di accogliere con favore l’idea del capo dello Stato Joseph Kabila di organizzare delle concertazioni sulla situazione di guerra nell’est della RDCongo. Il presidente dell’ONG, Jonas Tshiombela, ha affermato che, «a tali concertazioni, dovranno partecipare tutte le forze politiche e sociali, in vista di un dialogo inclusivo capace di diagnosticare i mali che affliggono il Paese e di trovare soluzioni durature che contribuiscano a rafforzare la coesione nazionale e a garantire la stabilità del paese, condizione necessaria per lo sviluppo sociale ed economico».

L’idea di dialogo è diversamente apprezzata dai deputati. Quelli della maggioranza presidenziale (MP) la accolgono molto favorevolmente, mentre quelli dell’opposizione pongono alcune previe condizioni a qualsiasi forma di dialogo, come per esempio: la sua modalità inclusiva e la soppressione dei dispositivi militari dispiegati nei pressi della residenza di Etienne Tshisekedi, presidente dell’UDPS. Se alcuni deputati della MP ritengono che l’appello alla coesione nazionale sia opportuno in questo momento di guerra nell’est del Paese, quelli dell’opposizione non sono affatto d’accordo con l’idea di una coesione nazionale “senza condizioni”.[9]

Il 20 dicembre, in una lettera aperta al presidente congolese Joseph Kabila, 144 organizzazioni non governative congolesi chiedono un’urgente attuazione della riforma dell’esercito e del sistema di sicurezza. Queste organizzazioni hanno preso atto dei “significativi progressi” registrati nel mese di agosto 2011, con la promulgazione delle due leggi organiche n. 11/012 e 11/013, ma si dicono preoccupate per i ritardi constatati nella riorganizzazione dell’esercito e della polizia. Le Ong si dicono sorprese per il fatto che l’istituzione del Consiglio Supremo della Difesa, approvata da entrambe le camere, non sia ancora stata promulgata dal Presidente della Repubblica. Lo stesso vale per la legge sullo statuto delle forze armate, approvato in seconda delibera nel giugno 2012, ma che non è ancora stato promulgato. Le Ong notano che, dopo l’emanazione di alcune leggi, non ci sono state ordinanze presidenziali, né decreti ministeriali. Varie leggi sono ancora in “stand-by”. Le 144 Ong ritengono, infine, che «la difesa della patria è una priorità nazionale» che richiede una riforma profonda ed efficace dell’esercito congolese.[10]

b. Le posizioni dei partiti dell’opposizione

Il 20 dicembre, il Segretario Generale dell’Unione per la Democrazia e il Progresso Sociale (UDPS), Bruno Mavungu Puati, ha tenuto una conferenza stampa presso la sede del partito a Limete (Kinshasa). In tale occasione, egli ha parlato della situazione politica del Paese caratterizzata da una grave crisi di insicurezza nel Kivu. Bruno Mavungu ha ribadito la posizione assunta dal suo partito sulla crisi della parte orientale del Paese. Secondo lui, Joseph Kabila è parte del problema, in quanto ha lasciato che si sviluppassero le condizioni per una vera destabilizzazione del Paese. Il segretario del partito ha ribadito il fatto che gli attuali governanti del paese hanno favorito il gioco dei nemici della RDCongo, venendo a patti con gruppi armati, facilitando i gruppi mafiosi che li appoggiano e disorganizzando le Forze Armate. Questa politica, ha detto il segretario dell’UDPS, è alla base delle minacce che incombono sull’unità del paese e della sofferenza vissuta dal popolo nell’est della RDCongo.

Per quanto riguarda l’appello alla mobilitazione popolare auspicata da Joseph Kabila, Bruno Mavungu ritiene che non sia lui il più adatto per invitare la popolazione alla coesione nazionale, a causa della contestazione della sua elezione da parte di molti Congolesi. Secondo il suo partito, coloro che sono attualmente al potere si trovano politicamente, giuridicamente e moralmente disqualificati per pretendere di parlare in nome del popolo congolese e invitarlo alla coesione nazionale. Bruno Mavungu sostiene che la coesione nazionale, essenziale per la ricostruzione della RDCongo, non può essere raggiunta che attorno ai valori sublimi della giustizia, della libertà, della democrazia, della difesa degli interessi del popolo, del rispetto della sua volontà e del verdetto delle urne. Secondo lui, Etienne Tshisekedi, cui il popolo ha espresso la sua piena fiducia attraverso il voto del 28 novembre 2011, è l’uomo che può fermare la spirale discendente del paese, favorire la coesione nazionale e salvare il paese dal baratro.

Secondo Bruno Mavungu, Etienne Tshisekedi, padre della democrazia congolese, sarebbe la persona migliore e capace di riscuotere la totale fiducia della popolazione per realizzare l’unità nazionale, al fine di fare un fronte comune in grado di affrontare i numerosi pericoli che minacciano la nazione e il suo futuro. Bruno Mavungu ha sostenuto, infine, che gli attuali incontri di Kampala tra governo congolese e M23 non costituiscono affatto il luogo e il mezzo adeguato per risolvere, alla radice, la crisi del Congo, poiché la crisi nell’est del Paese è la continuazione di una crisi ai vertici dello Stato che si pone in termini di mancanza di leadership e di legittimità.[11]

Il 22 dicembre, in una conferenza stampa tenuta a Kinshasa, Norbert Luyeye, presidente dell’Unione dei Repubblicani (UR), un partito di opposizione, ha affermato che, nella ricerca di una soluzione alla crisi nella parte orientale del paese – che, secondo lui, si innesta su un’altra, quella della legittimità di chi governa senza il consenso popolare – solo un dialogo franco e sincero potrà condurre a una reciproca comprensione e a un accordo soddisfacente. A tale dialogo dovrebbero partecipare Joseph Kabila, attuale presidente della Repubblica, Etienne Tshisekedi, che sostiene di essere stato eletto Presidente della Repubblica nelle ultime elezioni di novembre 2011, l’opposizione politica, la società civile e i gruppi armati, tra cui l’M23. Egli ha affermato che, con ogni probabilità, l’attuale dialogo tra governo e M23 a Kampala non riuscirà a trovare una soluzione adeguata alla crisi. Perciò, per evitare la ripresa della guerra nella parte orientale della RDCongo, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite dovrebbe designare un mediatore incaricato di avviare delle consultazioni, in vista di un dialogo in cui si prenderebbero in esame le proposte di ogni parte e, in particolare, le rivendicazioni dell’M23 e il problema della legittimità ai vertici dello Stato e delle altre istituzioni nazionali.

Circa le rivendicazioni dell’M23, Norbert Luyeye ha osservato che l’M23 non ha mai firmato il famoso Accordo del 23 marzo 2009 che rivendica senza alcun titolo o diritto, perché firmato tra il governo e un altro gruppo armato, il CNDP. Come prova, l’M23 l’ha capito così bene che le sue rivendicazioni e dichiarazioni non si limitano solo a tale accordo, ma toccano vari altri aspetti estranei a detto accordo. Norbert Luyeye ha ricordato che la classe politica congolese non dovrebbe dimenticare che questa crisi non è che una conseguenza delle ultime elezioni che hanno portato il paese ad avere due presidenti della Repubblica e dei dirigenti, all’interno delle istituzioni, che si trovano in una situazione di illegittimità. Infine, egli ha osservato che in occasione di tale dialogo, i partecipanti dovrebbero delineare le linee guida per il futuro politico, economico e sociale del Paese, ponendo particolare attenzione sulla riforma dell’esercito, della polizia e dei servizi di sicurezza e sull’organizzazione di future elezioni democratiche, trasparenti e credibili.[12]

Il 26 dicembre, il deputato dell’opposizione Jean-Lucien Busa, presidente del gruppo parlamentare del Movimento per la Liberazione del Congo (MLC), ha dichiarato che il dialogo tra il governo congolese e l’M23 a Kampala è “una perdita di tempo e di denaro”. Egli ritiene che tali negoziati non dovrebbero concentrarsi unicamente sulla valutazione dell’accordo del 23 marzo 2009 firmato tra il governo e il CNDP di cui l’M23 è un’emanazione. Jean-Lucien Busa afferma che “la riduzione della questione dell’est del Paese alla valutazione dell’applicazione di detto accordo” è uno dei motivi per cui i gruppi parlamentari dell’opposizione hanno boicottato i colloqui a cui, tuttavia, erano stati invitati a partecipare. Secondo lui, un altro motivo del boicottaggio da parte dell’opposizione è legato al ruolo che le era stato riservato in tali incontri, quello di semplici osservatori e testimoni. Alla domanda circa il recente incontro tra l’opposizione e il capo dello Stato Joseph Kabila, Jean-Lucien Busa ha affermato che i partiti dell’opposizione hanno ricordato al presidente che «la questione dell’est del Paese è strutturale, mentre le soluzioni che si stanno proponendo sono congiunturali». «Bisogna porsi le domande giuste per trovare le risposte giuste. Occorre chiedersi perché c’è chi prende le armi per conquistare il potere. La risposta è che c’è un legame inscindibile tra la guerra che crea insicurezza e le questioni politiche, militari, governative e sociali», ha concluso il deputato dell’MLC che, per questo, chiede un dialogo inclusivo e responsabile.[13]

Il 27 dicembre, nel corso di una conferenza stampa, Martin Fayulu, coordinatore delle Forze Acquisite al Cambiamento (FAC), una piattaforma dell’opposizione congolese, ha affermato che i colloqui tra il governo congolese e ribelli dell’M23 avrà certamente un esito negativo e ha, quindi, chiesto «un dialogo politico inter-congolese capace di porre fine alla guerra in corso nella parte orientale della RDCongo». Secondo lui, il dialogo inter-congolese dovrebbe affrontare varie questioni, tra cui la formazione di un esercito repubblicano, la riforma dei servizi di sicurezza, la correzione e la continuazione del processo elettorale, il rispetto dei diritti umani, il malgoverno, la corruzione, l’impunità, il saccheggio delle risorse naturali e le relazioni tra la RDCongo e i Paesi vicini.[14]

3. LE DICHIARAZIONI DELLA COMUNITÀ INTERNAZIONALE

Il 18 dicembre, al termine di una riunione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu a New York, il vice Segretario Generale delle Nazioni Unite per le operazioni di mantenimento della pace, Hervé Ladsous, ha dichiarato che si stanno prevedendo dei rinforzi alle forze di pace da inviare a Goma, “se le circostanze lo richiederanno”.  Infatti, negli ultimi giorni, si stanno notando dei movimenti delle truppe dell’M23 nei dintorni di Goma. Hervé Ladsous parla di “movimenti irregolari e inquietanti”.[15]

Il 18 dicembre, il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha telefonato al suo omologo ruandese Paul Kagame, per metterlo in guardia “contro qualsiasi sostegno al gruppo ribelle dell’M23”. Secondo un comunicato della Casa Bianca, nella telefonata, Obama ha sottolineato che “ogni appoggio al gruppo ribelle M23 è incompatibile con il desiderio di stabilità e di pace del Ruanda”. Il Presidente degli Stati Uniti ha chiesto al suo omologo ruandese di «rispettare i recenti impegni presi a Kampala con i presidenti Kabila e Museveni, al fine di raggiungere un accordo politico trasparente e credibile che include la fine dell’impunità nei confronti dei comandanti dell’M23 e degli altri gruppi armati che hanno commesso gravi violazioni dei diritti umani». Secondo il comunicato della Casa Bianca, «il presidente Obama ha accolto con favore l’impegno del Presidente Kagame per promuovere la ricerca di una soluzione pacifica e di un accordo politico nella parte orientale della RDCongo».[16]

Il ministro belga per gli affari esteri, Didier Reynders, ha accolto con favore la richiesta del presidente degli Stati Uniti al suo omologo ruandese. Tuttavia, il capo della diplomazia belga si aspetta che l’ONU appoggi l’iniziativa degli Stati Uniti: “Spero che questo approccio (di Obama) sia lo stesso del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite”, che sta prendendo in considerazione un rafforzamento del mandato della Missione delle Nazioni Unite per la Stabilizzazione del Congo (MONUSCO) e delle sanzioni nei confronti dei responsabili dell’M23. Secondo Didier Reynders, il Consiglio di Sicurezza dovrebbe tenere conto della possibilità di imporre sanzioni anche al Ruanda e all’Uganda, per il loro appoggio all’M23.[17]

Secondo il comunicato stampa della Casa Bianca, i Presidenti degli Stati Uniti e del Ruanda, Barack Obama e Paul Kagame, hanno affrontato anche il problema della governance nella RDCongo.

Secondo alcuni osservatori, vista dagli Stati Uniti, la RDCongo è considerata come un protettorato del Ruanda. Altrimenti, come spiegare il fatto che Obama si riferisca a Paul Kagame per affrontare le questioni della governance nella RDCongo? Sembra che, negli Stati Uniti, il Ruanda appaia come un valido interlocutore necessario per parlare della RDCongo. È questa tesi, largamente veicolata nella pubblica opinione occidentale, circa l’incapacità dei Congolesi per governare il loro paese, che sta dietro al progetto di balcanizzazione della RDCongo. È ora arrivato il momento di invertire e di bloccare questa tendenza estremamente pericolosa per il futuro del paese.[18]

4. UNA LETTERA APERTA AL PRESIDENTE BARACK OBAMA

Il 15 dicembre, 15 Ong internazionali, fra cui Africa Faith and Justice Network, The Enough Project e Global Witness, hanno indirizzato una lettera aperta al Presidente Barack Obama, nella quale rilevano che, mentre la situazione nell’est della RDCongo si sta ancora una volta deteriorando in modo drammatico, la risposta degli Stati Uniti alla crisi è palesemente fallita e non è al passo con le altre nazioni occidentali. Secondo i firmatari della lettera, gli Stati Uniti devono, quindi, prendere misure immediate per affrontare in modo significativo una delle più grandi crisi umanitarie della nostra generazione.

Il silenzio sulla partecipazione del Ruanda aggrava il problema.

Nel corso degli ultimi 15 anni, gli sforzi degli Stati Uniti per affrontare l’implicazione ruandese nell’est della RDCongo hanno dato la priorità à una diplomazia discreta che non è riuscita a scoraggiare le continue incursioni ruandesi nell’est della RDCongo. Mentre il Ruanda avanza legittime preoccupazioni di sicurezza e di tipo economico, esse non sono però sufficienti per giustificare le continue violazioni, da parte delle sue forze armate, della sovranità nazionale della RDCongo, dei diritti umani e dell’embargo dell’ONU sulle armi. Sin dalla creazione dell’M23, nella primavera del 2012, le autorità degli Stati Uniti hanno continuato a credere che il Ruanda potesse, in buona fede, impegnarsi in un dialogo costruttivo. Chiaramente, questo approccio non è servito a cambiare la politica del Ruanda, come lo dimostra la partecipazione diretta dell’esercito ruandese nella recente caduta di Goma, documentata dal Gruppo degli esperti delle Nazioni Unite.

La mancata consolidazione di istituzioni democratiche in RDCongo.

Nello stesso tempo, il governo della RDCongo ha continuato a dimostrare la sua incapacità di garantire la sicurezza nelle sue regioni orientali a causa, in gran parte, della sua incapacità di intraprendere le necessarie riforme nei settori della sicurezza e della governance. Ogni nuova strategia per portare stabilità nella regione dovrà garantire progressi tangibili nella consolidazione delle istituzioni democratiche e dello stato di diritto nella RDCongo, anche nei settori cruciali della riforma elettorale, della riforma dell’esercito e del commercio delle risorse naturali.

Le procedure della CIRGL insufficienti per una pace duratura.

I firmatari accolgono con favore gli sforzi forniti dalla Conferenza Internazionale sulla Regione dei Grandi Laghi (CIRGL) e il coinvolgimento degli attori regionali nella ricerca di una soluzione alla crisi. Sono, tuttavia, consapevoli che l’approccio palliativo della CIRGL e il ricorso a soluzioni militari non porteranno alcuna pace duratura nella regione. Nella migliore delle ipotesi, l’attuale dialogo tra il governo della RDCongo e l’M23 rischia di condurre al reinserimento dei criminali di guerra nell’esercito congolese e, quindi, alla continuazione della violenza e dell’instabilità nella regione. Gli sforzi per raggiungere una pace durevole non dovrebbero essere coordinati da coloro che continuano a perpetuare il conflitto, ma piuttosto attraverso un processo credibile posto sotto una facilitazione internazionale.

Raccomandazioni.

I firmatari raccomandiamo agli Stati Uniti di prendere urgentemente le seguenti quattro misure:

– Nominare un inviato presidenziale incaricato di elaborare una politica americana unitaria di fronte alla crisi regionale

– Sostenere la nomina di un inviato delle Nazioni Unite per i Grandi Laghi, in vista di un processo politico internazionale credibile capace ci affrontare e risolvere i continui cicli di violenza e di interferenze regionali.

– Appoggiare l’imposizione di sanzioni contro i trasgressori dell’embargo sulle armi decretato dalle Nazioni Unite a proposito della RDCongo e contro tutte le persone e entità, comprese alcune alte autorità del governo ruandese, citate nel rapporto finale del Gruppo degli Esperti dell’Onu e contro quelle identificate come membri di reti criminali legate al commercio delle risorse naturali.

– Sospendere ogni tipo di assistenza militare e altri aiuti non umanitari al governo del Ruanda, a causa del suo appoggio alla ribellione dell’M23.

Tali provvedimenti sono indispensabili per incoraggiare tutte le parti a impegnarsi in modo costruttivo in un processo politico globale.[19]

5. LA POLITICA INTERNA

Il 6 dicembre, dopo il Senato, anche l’Assemblea Nazionale dei deputati ha approvato la legge che istituisce la Commissione nazionale per i diritti umani. Si tratta di creare un organo neutrale e indipendente per la promozione e la protezione dei diritti umani nella RDCongo. Secondo la legge che la istituisce, la commissione non potrà ricevere alcuna ingiunzione da parte di organismi nazionali o internazionali, al fine di garantire la sua missione di assicurare il rispetto dei diritti umani.[20]

Il 12 dicembre, l’Assemblea Nazionale ha approvato il disegno di legge che modifica la legge organica del 28 luglio 2010, relativa all’organizzazione e al funzionamento della Commissione Elettorale Nazionale Indipendente (CENI). Su 384 deputati che hanno partecipato al voto, 374 hanno votato a favore della legge, 7 hanno votato contro e 3 si sono astenuti. Il disegno di legge verrà inviato al Senato per approvazione in secondo grado. La nuova CENI comprenderà due organi: l’assemblea plenaria come organo di progettazione, orientazione e controllo e il comitato centrale come organo di gestione. Entrambi saranno sotto la presidenza della società civile. L’assemblea plenaria sarà composta di 13 membri, sei provenienti dalla maggioranza, quattro dall’opposizione e tre dalla società civile. Il comitato centrale sarà composto da sei membri che faranno parte anche della plenaria. Il presidente del comitato centrale apparterrà alla società civile. Il Vice Presidente, il secondo relatore e il questore apparterranno alla maggioranza, mentre il primo relatore e il vice questore apparterranno all’opposizione. Per quanto riguarda la composizione di ogni organo, almeno il 30% dei posti sarà riservato alle donne. Così, tra i sei membri del comitato centrale, due saranno donne, una della maggioranza e l’altra dell’opposizione. Il Presidente della CENI ha il rango di ministro. Gli altri membri hanno il rango di vice ministro. La CENI è dotata anche di una segreteria nazionale esecutiva, di una segreteria esecutiva in ogni capoluogo di provincia e di un’antenna in ogni città e in ogni capoluogo di territorio.[21]

Il 13 dicembre, l’Assemblea Nazionale ha convalidato i mandati di sette deputati eletti nel distretto elettorale di Masisi, nel Nord Kivu. Questi sono:Mugiraneza Ndizeye Jules (Alleanza dei Democratici per lo Sviluppo Integrale), Mukingi Nahimana Oswald (Unione dei Congolesi per il Progresso), Ayobangira Samvura François-Xavier (Unione dei Congolesi per il Progresso), Mwangachuchu Hili Edouard (Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo), Shomwa Mongera Innocent (Democrazia Cristiana Federalista – Convenzione dei federalisti per la Democrazia Cristiana), Gachuruzi Bulakali Shally Boniface (Partito dei Nazionalisti per lo Sviluppo Integrale) e Safari Nganizi Jacques (Coalizione dei Resistenti Patrioti Congolesi). Tuttavia, la convalida si è svolta in assenza dei parlamentari dell’opposizione che l’hanno ritenuta come un atto di “tradimento” da parte della maggioranza. Il deputato dell’opposizione José Makila Sumanda ha accusato i nuovi deputati appena convalidati di far parte del comitato politico dell’M23. Egli ritiene, inoltre, che la convalida del mandato di questi deputati “faciliti la balcanizzazione del paese”.[22]


[1] Cf AFP – Kinshasa, 17/12/2012 (via mediacongo.net); AFP – New York, 17.12.’12

[2] Cf Radio Okapi, 18.12.’12

[3] Cf Radio Okapi, 19.12.’12; Le Potentiel – Kinshasa, 20.12.’12

[4] Cf Radio Okapi, 21.12.’12

[5] Cf Freddy Longangu – L’Observateur – Kinshasa, 27.12.’12; La Prospérité – Kinshasa – Africatime, 27.12.’12; La Tempête des Tropiques – Kinshasa, 27.12.’12

[6] Cf Radio Okapi, 13.12.’12

[7] Cf Congo News, 15.12.’12

[8] Cf Radio Okapi, 15.12.’12;  Texte intégral du discours:

http://www.digitalcongo.net/UserFiles/file/PDF_files/2012/discours_jkk_etat_nation_2012.pdf

[9] Cf Radio Okapi, 17.12.’12

[10] Cf Le Potentiel – Kinshasa, 31.12.’12

[11] Cf Eric Wemba – Le Phare – Kinshasa, 21.12.’12

[12] Cf Sakaz – Le Phare – Kinshasa, 26.12.’12

[13] Cf Radio Okapi, 27.12.’12

[14] Cf Radio Okapi, 28.12.’12

[15] Cf Radio Okapi, 19.12.’12

[16] Cf Radio Okapi, 19.12.’12

[17] Cf Le Potentiel – Kinshasa, 20.12.’12

[18] Cf Le Potentiel – Kinshasa, 20.12.’12

[20] Cf Radio Okapi, 07.12.’12

[21] Cf Marcel Tshishiku – La Tempête des Tropiques – Kinshasa, 13.12.’12; Dorian Kisimba – Forum des As – Kinshasa, 13.12.’12

[22] Cf Radio Okapi, 14.12.’12. Eletti in seguito alle elezioni legislative del novembre 2011, i sette deputati del Masisi erano stati invalidati dalla Corte Suprema di Giustizia (CSJ), perché le elezioni si erano svolte in un clima di estrema insicurezza. La Commissione Elettorale (Ceni) non ha potuto riorganizzare le elezioni nel Masisi, come raccomandato dalla CSJ, a causa dell’insicurezza persistente nella zona. Su richiesta del Procuratore Generale della Repubblica, la CSJ aveva disposto, lo scorso ottobre, che l’Assemblea Nazionale convalidasse i mandati dei sette deputati.