Le dichiarazioni “secessioniste” del M23 e il possibile avvicinarsi della caduta del “mito dell’uomo forte di Kigali”

Congo Attualità n. 157 – Editoriale a cura della Rete Pace per il Congo

 

Le dichiarazioni “secessioniste” del M23.

Nel suo discorso del 21 luglio, a Bunagana, (Nord Kivu) Jean-Marie Lugerero Runiga, presentandosi come coordinatore del “Movimento del 23 marzo” (M23), ha elencato le solite critiche contro il regime incarnato da “Joseph Kabila”, un regime, d’altra parte respinto all’unanimità anche dalla popolazione.

Egli cita, tra l’altro, la cattiva gestione dell’esercito e dei servizi di sicurezza, il malgoverno, la corruzione e lo sfruttamento illegale delle risorse naturali del Paese. Ha quindi affermato che «l’attuale classe politica congolese non è in grado di gestire correttamente ed efficacemente la RDCongo nella sua attuale configurazione, soprattutto a causa della vastità del suo territorio e di un governo eccessivamente centralizzato».

Ha, infine, concluso dicendo che “Bisogna avere il coraggio di innovare radicalmente e profondamente”. Già, innovare. Ma come? Questa è la questione. Runiga non ha voluto dire esplicitamente la sua proposta. Ma attraverso la sua insistenza sulla non viabilità della RDCongo nelle sue dimensioni attuali, ci si rende conto che il suo movimento, il M23, ha decisamente accettato la logica della balcanizzazione della RDCongo, in conformità con la missione assegnatagli dal suo mandante, l’uomo forte di Kigali. Runiga si limita a dire che lui e i suoi “amici” non escludono di fare ricorso a “strategie alternative” per costringere le autorità di Kinshasa a rispettare gli “impegni” assunti nell’accordo di pace del 23 marzo 2009, tra il Governo di Joseph Kabila e il CNDP.

Invece di parlare degli accordi del 23 marzo 2009, in gran parte (troppo) rispettati dal governo, Runiga dovrebbe piuttosto parlare di quei “segreti accordi del 13 dicembre 2010”, quando il CNDP aderì alla Maggioranza Presidenziale (MP), senz’altro con obiettivi ben precisi. Sarebbe certamente più onesto. Dovrebbe pure parlare di ciò che Bosco Ntaganda e Joseph Kabila si sono detti alla vigilia delle elezioni di novembre 2011.

Ciò che Runiga omette di dire è che l’attuale crisi del Nord Kivu non sarebbe avvenuta

– se non ci fosse stata la decisione del Tribunale Penale Internazionale di fare arrestare Bosco Ntaganda,

– se il governo non avesse deciso, nel mese di aprile 2012, di procedere al trasferimento di truppe del CNDP in altre circoscrizioni militari fuori del Kivu,

– se “Joseph Kabila” avesse affidato l’incarico di primo ministro a una nota personalità del RCD o se avesse affidato a qualcuno del CNDP qualche ministero in seno al governo centrale,

– se le elezioni nel Masisi non fossero state annullate, proprio a causa della violenza perpetrata da militari del CNDP nei pressi o all’interno dei seggi elettorali, impedendo così al CNDP di avere qualche deputato all’Assemblea Nazionale.

Runiga non dice che la potenza militare del suo movimento gli è assicurata dall’appoggio dei regimi di Kigali e Kampala. L’attuale crisi del Nord Kivu ha certamente qualcosa di mafioso.

Jean-Marie Lugerero Runiga dimentica che la balcanizzazione della RDCongo non è certamente la risposta che milioni di donne e uomini congolesi attendono per realizzare le loro aspirazioni di pace, democrazia, buon governo e di benessere sociale. I veri patrioti continueranno ad esprimere con forza la loro volontà di vivere insieme in un Congo unito, nonostante le sue debolezze di ogni genere. Essi si mobiliteranno contro l’aggressore attraverso vari eventi: preghiere, marce, dibattiti politici, raccolte di fondi e messaggi di solidarietà con gli sfollati, ecc.

Il possibile avvicinarsi della caduta del “mito dell’uomo forte di Kigali”.

Forse anche la Comunità Internazionale comincia a capire ciò che la gente del Kivu dice già da molto tempo: che la RDCongo è vittima di continue invasioni e aggressioni da parte dell’esercito rwandese e che i servizi di sicurezza dello Stato (esercito, polizia, intelligence) sono totalmente infiltrati da ufficiali ruandesi al servizio degli interessi del loro Paese. Ma il prezzo pagato dalla popolazione congolese si cifra in milioni di vittime: vedove, orfani, sfollati, rifugiati, donne violentate, bambini soldato. Nonostante tutto ciò, il governo di Paul Kagame è stato a lungo sostenuto e elogiato dalla comunità internazionale, per il suo modo di gestire l’economia del Paese e gli aiuti ottenuti. Kigali dipende, infatti, dagli aiuti internazionali per più del 50% del suo bilancio nazionale. Ma forse la Comunità Internazionale si sta ora accorgendo che gli aiuti finora ricevuti per “ridurre la povertà e promuovere la crescita economica”, sono serviti a dare un po’ di fiato all’economia nazionale, ciò che ha permesso di finanziare più facilmente, anche con gli apporti provenienti dal contrabbando dei minerali congolesi, l’occupazione militare e economica del Kivu, mediante l’infiltrazione dell’esercito congolese e l’acquisto di terre e pascoli congolesi, in vista di un’emigrazione clandestina di popolazioni civili ruandesi verso il territorio congolese, a scapito della popolazione locale.

Negli ultimi giorni, nel tentativo di fermare l’appoggio del regime ruandese al gruppo terroristico del M23, vari Paesi occidentali, tra cui Stati Uniti, Olanda, Gran Bretagna e Germania hanno deciso di sospendere l’erogazione, almeno parziale e temporanea, degli aiuti governativi. Tale misura non dovrebbe, però, limitarsi all’obiettivo della cessazione, da parte di Kigali, dell’appoggio fornito al gruppo terroristico M23, ma dovrebbe protrarsi fino a che Kagame accetti di organizzare un dialogo inter ruandese, con la partecipazione del Governo e dell’opposizione, interna ed esterna, in vista di accordi che permetterebbero non solo il ritorno in Ruanda dei rifugiati ruandesi ancora residenti nel Kivu, ma anche dei membri delle FDLR, usate finora come pretesto per invadere ripetutamente il Kivu. Alla sospensione degli aiuti economici al Governo, si potrebbero aggiungere anche altre misure, tra cui l’embargo sulle armi, il blocco di conti bancari, l’interdizione di viaggiare all’estero, l’emissione di mandati di cattura internazionali nei confronti delle persone implicate in crimini di guerra e crimini contro l’umanità, il richiamo in patria, per consultazioni, degli ambasciatori accreditati a Kigali e la sospensione temporanea degli investimenti stranieri nel Paese.

La pressione internazionale su Paul Kagame, Presidente del Ruanda, sta aumentando. A causa del suo regime dittatoriale, delle sue mire espansionistiche, delle sue ambizioni egemoniche e della sua implicazione in numerosi crimini di guerra e crimini contro l’umanità, Paul Kagame sta perdendo, forse, l’appoggio degli alleati europei. Il mito dell’”uomo forte” di Kigali sta, probabilmente, cadendo. Come pure, forse, sta svanendo l’illusione di una corsa allo sviluppo economico di un Paese privato del diritto alla libertà di espressione e alla democrazia.