Congo Attualità n. 155

SOMMARIO

EDITORIALE: L’integrità del territorio nazionale non è negoziabile

1. NOTIZIE DAL FRONTE

2. LE DECISIONI DEL GOVERNO

a. Il Consiglio Supremo della Difesa

b. Il Consiglio dei Ministri

3. LE DICHIARAZIONI DELLA SOCIETÀ CIVILE

a. La Conferenza Episcopale Nazionale del Congo (CENCO)

b. EURAC (Europa-Africa Centrale)

c. Il Collettivo delle organizzazioni dei giovani solidali del Congo – Kinshasa (COJESKI)

4. IL M23 MIRA ALLA SECESSIONE DEL KIVU PER CONTO DI KIGALI

5. DIALOGO KINSHASA – M23 – KIGALI: UN NON SENSO

 

EDITORIALE: L’INTEGRITÀ DEL TERRITORIO NAZIONALE NON È NEGOZIABILE

1. NOTIZIE DAL FRONTE

Il 5 luglio, si sono registrati aspri combattimenti tra le Forze Armate della Repubblica Democratica del Congo (FARDC) e i ribelli del Movimento del 23 marzo (M23), nel territorio di Rutshuru, nel Nord Kivu. Le FARDC avevano lanciato un’offensiva contro le postazioni dei ribelli intorno alle 3h00 (ora locale). Secondo alcune fonti locali, le località di Tchengerero e Jomba e la collina di Bugusa, a circa 7 km da Bunagana, al confine con l’Uganda, sono ormai state occupate dai ribelli del M23. Migliaia di persone hanno abbandonato la zona e sono fuggite verso altri villaggi o l’Uganda. Un ufficiale militare sul posto ha affermato che le FARDC stanno tuttavia tentando di riprendere il controllo di tutta questa zona.

Il 6 luglio, la cittadina di Bunagana, posto di frontiera con l’Uganda, è caduta nelle mani dei ribelli, dopo aspri combattimenti contro l’esercito congolese, durante i quali anche un casco blu indiano è stato ucciso. Vari militari delle FARDC sono stati costretti ad attraversare il confine con l’Uganda, lasciando dietro di loro armi, munizioni e carri armati. Peter Mugisha, un portavoce dell’esercito ugandese, parla di circa 600 militari delle FARDC. «Hanno attraversato la frontiera questo (venerdì) mattina, li abbiamo disarmati e ora sono sotto il nostro controllo», ha dichiarato. Il giorno precedente, le FARDC avevano condotto un’offensiva a ovest delle posizioni ribelli, ma il M23 ha lanciato una controffensiva a nord-est, per prendere le cittadine di Jomba e Chengerero (giovedì) e Bunagana (venerdì). Secondo la società civile del Nord Kivu, il giovedì 5 luglio, gli ammutinati si sarebbero “infiltrati” nella zona di Bunagana, mescolandosi agli sfollati di Jomba e Chengerero in fuga dai combattimenti. Il portavoce del M23 ha dichiarato che i ribelli “si ritirerebbero” da Bunagana per lasciarvi, invece, “la polizia del M23”. «La nostra intenzione non è quella di conquistare spazio, e tanto meno di continuare la guerra (…) Noi non chiediamo ulteriori negoziati, chiediamo piuttosto il rispetto degli impegni assunti dal governo con l’accordo del 23 marzo 2009», ha assicurato il M23 in un comunicato.

Nella scuola elementare di Bunagana sono rimasti stivali, caschi, divise militari, tutto gettato sul pavimento. È la prova della precipitosa fuga in Uganda dei 600 militari che controllavano questo posto di frontiera, ora nelle mani degli ammutinati del M23. Situata quasi al centro della cittadina, circondata da alcune case e bananeti, la scuola era una delle due basi di comando del 42° Battaglione della Forza di reazione rapida dell’esercito congolese (FARDC). Sugli edifici scolastici, nessun impatto di proiettili o tracce di combattimenti, ma le prove di una fuga allo sbaraglio di fronte all’avanzata dei ribelli appoggiati da alti ufficiali dell’esercito ruandese, come denunciato dal gruppo degli esperti dell’Onu. Casse di munizioni e di medicine, lancia razzi e documenti militari sono abbandonati qua e là nelle varie classi. Su una piccola collina che domina la città, con vista sull’Uganda, le FARDC hanno abbandonato anche un’altra base strategica, con armi pesanti: lanciarazzi multipli, mortai da 120 mm, cannoni anticarro e anti-aerei, ecc…Sotto una grande tenda “FARDC”, ci sono scatole di medicinali, bottiglie d’acqua, una decina di sacchi di fagioli, una quindicina di sacchi di farina di mais, fusti di carburante e una decina di casse di munizioni.

L’8 luglio, i ribelli del M23, hanno continuato la loro offensiva prendendo Rutshuru, senza incontrare alcuna resistenza, perché le FARDC si erano ritirate prima dell’arrivo degli attaccanti. I ribelli hanno occupato anche Kiwanja, a 5 km dal centro di Rutshuru. Poco prima di Rusthuru, erano cadute nelle mani degli ammutinati anche le località di Ntamugenga e di Rubare, situate a meno di 10 km a sud di Rutshuru, sulla strada che va a Goma (60 km più a sud), la capitale del Nord Kivu.

L’8 luglio, verso sera, dopo aver preso nel corso della mattinata le cittadine di Rusthuru, Rubare, Kako, Kalengera e Katale, il capo del Movimento del 23 marzo (M23), il colonnello Sultani Makenga, ha annunciato il loro ritiro da queste cittadine senza, tuttavia, dare date o scadenze. Ha aggiunto che le avrebbero lasciate nelle mani della MONUSCO (missione delle Nazioni Unite) e della polizia nazionale (…). Ha comunque affermato che sarebbero rimasti a Bunagana, un posto di frontiera con l’Uganda, preso dopo violenti scontri con l’esercito congolese (FARDC). Alcuni osservatori ritengono che sia per motivi economici che i ribelli si rifiutino di lasciare anche questa cittadina. I ricavi mensili della Direzione generale delle dogane e accise ammontano, infatti, a circa 500-700.000 dollari. «Non siamo qui per prendere città, ma per fare sentire la nostra voce (…) Le nostre principali richieste, il governo le conosce: il ritorno dei rifugiati congolesi dal Ruanda, una buona democrazia, la conferma dei nostri gradi militari, e molte altre rivendicazioni», ha detto l’ufficiale, con indosso una divisa dell’esercito congolese e una pistola sul fianco, circondato da numerose guardie armate.

Il 9 luglio, nella mattinata, i ribelli del movimento del 23 marzo (M23) si sono ritirati dalle cittadine di Kiwanja, Bunagana, Rubare, Ntamugenga, Tchengerero, Jomba parrocchia, Kabaya e Kitagoma, nei raggruppamenti di Jomba e Busanza, nel territorio di Rutshuru (Nord Kivu). Fonti locali hanno riferito che i ribelli hanno lasciato il posto a delle unità di polizia nazionale. Queste ultime sono formate da ex militari del CNDP, come i membri del M23, che erano stati riconvertiti in agenti di polizia, in conformità con le raccomandazioni della Conferenza di Goma del 2008. Questi agenti di polizia sono sotto il comando del colonnello Mosè Rusingiza, ex comandante di battaglione della guardia di polizia di Goma, passato al M23 dallo scorso giugno. Non si tratta, dunque, di un vero ritiro, in quanto il M23 ha posto tutte queste località sotto il controllo dei suoi uomini. Secondo diverse fonti, i ribelli che si sono ritirati dalle varie località, si trovano, in effetti, ancora nei dintorni, soprattutto sulle colline che sovrastano le cittadine di Rutchuru, Kiwanja e Bunagana.

Il 9 luglio, a Goma, nelle prime ore del mattino, una folla di giovani taxi-moto ha percorso le strade della città dirigendosi verso la sede del comando della 8ª Regione Militare. Durante tutto il percorso, sotto il rombo dei motori, clacson, fischi e grida di rabbia, i giovani gridavano a gran voce, chiedendo armi e munizioni. La circolazione dei veicoli e motocicli è stata temporaneamente interrotta causando, a volte, il panico tra la popolazione.

Un’esplosione spontanea di rabbia, di indignazione, di disperazione di una popolazione che si sente abbandonata da chi dovrebbe proteggerla dai perturbatori dell’ordine e della pace che, sotto falsi pretesti, nascondono ambizioni egemoniche. «Se voi non volete combattere, dateci armi e munizioni per mandare via gli invasori ruandesi dal nostro Paese» è ciò che i giovani chiedevano nella loro marcia verso lo Stato Maggiore provinciale dell’8 ª regione militare delle FARDC. Grazie a Dio, non si sono registrati incidenti di rilievo. Ma questo aumento di tensione è stato interpretato in diversi sensi, in particolare dalle popolazioni che parlano Kinyarwanda, vari cui membri, soprattutto studenti e commercianti, si sono diretti verso la frontiera, per ritornare nel vicino Ruanda.

Un segnale chiaro e spontaneo in direzione della comunità internazionale, che assiste senza reagire ad un genocidio di cui, da tempo, il popolo congolese è vittima.

Segnale chiaro per ricordare al regime del Fronte Patriottico Ruandese che la buona fede e il senso di ospitalità dei Congolesi non significano che sono incapaci di difendere le loro terre ambite da stranieri. Questo è il significato da dare all’appello alla resistenza lanciato dai giovani di Goma contro gli aggressori ruandesi.

Prima o poi, la comunità internazionale sarà accusata di non assistenza a un popolo, vittima di un genocidio. Numerosi rapporti hanno messo in luce l’implicazione di ufficiali ruandesi nella perturbazione della pace nei territori dell’est del Paese, tra cui il rapporto MAPPING dell’Onu che ha denunciato il genocidio commesso dalle truppe dell’AFDL e dell’esercito patriottico ruandese nella loro avanzata verso Kinshasa nel 1996-1997. Recentemente, gli esperti delle Nazioni Unite e Human Rights Watch hanno pubblicato i loro rapporti contenenti le schiaccianti prove sull’implicazione del regime di Kigali nella destabilizzazione della pace nella RDCongo.

Di fronte a questa esplosione di rabbia, si spera in un cambiamento a Kigali, dove già alcune voci stanno cominciando ad ammettere che il regime di Kagame ha troppo esagerato nel voler prendere in ostaggio un intero paese, la RDCongo.

L’11 luglio, le FARDC sono ritornate a Kiwanja e a Rutshuru-centro. Gli agenti della polizia del M 23, presenti in queste due cittadine dopo il ritiro dei ribelli, non sono più visibili. In una dichiarazione a Radio Okapi, il giorno precedente, il governatore del Nord Kivu, Julien Paluku, aveva dichiarato che Kiwanja e Rutshuru centro erano già sotto il controllo delle FARDC e che tutti i servizi erano stati reinstallati.

La vicinanza del movimento ribelle del 23 marzo (M23) a Goma, capoluogo della provincia del Nord Kivu, inquieta le autorità congolesi e la Monusco. Per far fronte a un’eventuale offensiva dei ribelli contro la città, si stanno inviando truppe supplementari, congolesi e della Monusco. Secondo un funzionario delle Nazioni Unite che ha chiesto l’anonimato, per il quale la presa di Goma “sarebbe un disastro”, il governo congolese sta inviando un battaglione di stanza nel nord e addestrato da istruttori statunitensi. Questo battaglione, incaricato della lotta contro l’Esercito di Resistenza del Signore (LRA) che opera in una vasta area comprendente l’Uganda, la RDCongo, la Repubblica Centrafricana e Sud Sudan, si unirà ai 7.000 militari già dispiegati nel Nord Kivu. I soldati congolesi dovrebbero essere appoggiati da uomini della missione delle Nazioni Unite nella RDCongo (MONUSCO). Truppe del Ghana, del Guatemala, della Giordania e dell’Egitto, sotto il comando del generale britannico Adrian Foster, sono attualmente in viaggio per Goma. Nelle ultime settimane, il numero degli effettivi del M23 è aumentato da 1.000 a 2.000 combattenti.

2. LE DECISIONI DEL GOVERNO

a. Il Consiglio Supremo della Difesa

Il 6 luglio, il Consiglio Supremo della Difesa ha deciso di espellere dall’esercito alcuni ufficiali ammutinati che hanno disertato l’esercito e hanno creato il Movimento del 23 marzo (M23). Tra questi ufficiali, ci sono il generale Bosco Ntaganda, e i colonnelli Ruzandiza, alias Sultani Makenga e Vianney Kazarama, rispettivamente coordinatore e portavoce del M23. Sono espulsi dall’esercito anche i colonnelli Kahasha, Sabimana, Saddam Ringo, Bernard Byamungu, Innocent Kahina, Zimurida, Baudouin Ngaruye, Biyoyo, Ngabo (alias Zaïrois), e i tenenti colonnelli Douglas e Mboneza. Il Consiglio ha inoltre decretato misure preventive sulla loro proprietà privata e sulla loro messa a disposizione della giustizia. Secondo il comunicato finale, dovranno essere intraprese urgenti operazioni per l’arresto del generale Bosco Ntaganda e dei colonnelli Makenga, Zimulinda, Kahina e Kazarama.

Se il Congolese comune ha accolto con favore la decisione del Governo di espellere dall’esercito 14 ufficiali del CNDP/M23, tuttavia, ha deplorato il modo approssimativo con cui ha designato gli ufficiali interessati. In un documento ufficiale, quando degli ufficiali sono definitivamente espulsi dall’esercito o dalla polizia, l’autorità militare competente dovrebbe rendere nota la loro identità completa (nome, cognome, rango, funzione, numero di matricola, ecc). Per quanto riguarda questi ufficiali del CNDP/M23 espulsi dall’esercito, si constata che si chiamerebbero semplicemente colonnello Douglas, colonnello Saddam Ringo, colonnello Ngabo (alias “Zairese”), colonnello Ruzandiza (alias “Makenga Sultani”), ecc.

Se addirittura a livello di un’istituzione così sensibile com’è il Consiglio Supremo della Difesa, questi alti ufficiali sono conosciuti solo per i loro nomi o soprannomi, i Congolesi hanno il diritto di interrogarsi sui meccanismi che si sono seguiti per la loro integrazione all’interno dell’esercito nazionale. Probabilmente, i responsabili incaricati di seguire l’integrazione degli ex combattenti del CNDP non hanno mai cercato di conoscere e verificare la loro vera identità, i loro villaggi e le loro province di origine, le origini dei loro genitori e dei loro nonni, il loro curriculum degli studi fatti o la loro nazionalità.

Vari osservatori ritengono che i casi di tradimento oggi deplorati hanno le loro radici in questa negligenza o compiacenza nel trattamento della questione dell’identità degli ufficiali e militari provenienti dal movimento ribelle del CNDP (Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo ). Infatti, se la gerarchia militare avesse avuto cura di esaminare a fondo i dossier – se esistevano – di ogni ex-combattente del CNDP candidato all’integrazione nell’esercito nazionale, avrebbe saputo che Sultani Makenga non si chiamava così e che il suo vero nome era Ruzandiza. Avrebbe certamente scoperto la vera identità dei colonnelli Saddam Ringo, Douglas, Ngabo “alias Zairese” e di molti altri. È così che si sono integrati nelle FARDC dei militari provenienti dal RCD o dal CNDP come cittadini congolesi quando, in realtà, sono dei cittadini ruandesi. Tra il 2009 e il 2012, ufficiali stranieri hanno potuto tranquillamente raccogliere informazioni sul sistema congolese della difesa (gli effettivi delle regioni militari, la cartografia delle basi militari e dei depositi di armi e munizioni, la logistica militare e le strategie) nel Nord e Sud Kivu, hanno frequentato le varie riunioni per la sicurezza, hanno coordinato i vari programmi di “integrazione”, hanno assicurato il comando di false operazioni militari contro le FDLR (Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda) e altri gruppi armati.

Le operazioni di “integrazione”, tanto osannate per la formazione di un nuovo esercito nazionale, stanno rivelando i loro limiti. Ci si rende conto oggi che si trattava di iniziative nefaste per la sicurezza e la difesa nazionale.

È difficile per il governo congolese affrontare la “guerra mediatica” con il Ruanda, proprio a causa della presenza, nelle FARDC, di militari ruandesi reclutati e integrati come cittadini congolesi. È molto difficile sostenere la tesi di una nuova aggressione ruandese nel Nord Kivu, quando il generale Bosco Ntaganda e il colonnello Makenga continuano a moltiplicare delle dichiarazioni ai mass media internazionali, in qualità di ufficiali congolesi che hanno scelto la via dell’ammutinamento.

È pertanto necessario che il Consiglio Supremo della Difesa imponga alla gerarchia militare la rivisitazione di tutti i dossier degli ufficiali e militari provenienti dagli ex-movimenti ribelli sostenuti dal Ruanda (AFDL, RCD, CNDP, FRF, M23, Mai Mai, ecc.).

b. Il Consiglio dei Ministri

Il 7 luglio, in una riunione straordinaria del Consiglio dei ministri convocato dopo la caduta di diverse località del territorio di Rutshuru (Nord Kivu), nelle mani dei ribelli del Movimento del 23 marzo (M23), «il governo ha decretato la mobilitazione di tutto il popolo congolese per sconfiggere questo nuovo tentativo di destabilizzazione del paese e di violazione dell’integrità del territorio nazionale». Il Governo ha fatto «appello all’unità e alla coesione del popolo congolese, in tutta la sua diversità, di fronte ad un nemico che non è una delle sue comunità che lo compongono, ma piuttosto un gruppo di criminali al soldo di interessi stranieri». Per il governo congolese, la presa di controllo su queste località dimostra il sostegno che un paese vicino offre alla ribellione del M23. Il Governo ha ringraziato la comunità internazionale per avere chiaramente denunciato l’implicazione esterna nella destabilizzazione dell’Est della RDCongo e invita il Consiglio di Sicurezza dell’ONU a «trarre tutte le conseguenze necessarie per tutti coloro che minano la pace e la sicurezza nella regione dei Grandi Laghi, specialmente nel Nord Kivu». La stessa richiesta è stata fatta anche all’Unione Africana e alla Conferenza Internazionale sulla Regione dei Grandi Laghi, il cui il Patto per la pace, la sicurezza e lo sviluppo è stato violato.

3. LE DICHIARAZIONI DELLA SOCIETÀ CIVILE

a. La Conferenza Episcopale Nazionale del Congo (CENCO)

Riuniti in assemblea plenaria dal 2 al 6 luglio a Kinshasa, i vescovi membri della Conferenza Episcopale Nazionale del Congo (CENCO)

1. Hanno espresso la loro profonda costernazione per la guerra che ancora imperversa nel Nord Kivu e Sud Kivu e che è “l’illustrazione del piano di balcanizzazione più volte denunciato nelle loro precedenti dichiarazioni e messaggi”.

“No alla balcanizzazione della RDCongo”. Questa è l’essenza della dichiarazione letta da Padre Leonard Santedi, segretario generale della CENCO.

2. Secondo la CENCO, questo piano ordito contro la RDCongo è in esecuzione sotto diverse forme. Sul piano economico, i vescovi parlano della presenza di reti di sfruttamento illegale delle risorse naturali. Sul piano militare, essi citano l’intensificazione dell’inaccettabile presenza di milizie e gruppi armati stranieri che uccidono, stuprano e saccheggiano, costringendo il popolo congolese a fuggire dai villaggi. Ma citano anche una “occupazione irregolare del territorio nazionale”. I vescovi esprimono la loro solidarietà alle popolazioni vittime degli orrori di una guerra ingiusta e ingiustificabile.

3. Sommamente attaccati all’unità della nazione congolese sempre minacciata da successive guerre e periodiche ribellioni, i vescovi riaffermano “l’unità e l’indivisibilità della RDCongo nelle sue frontiere ereditate dal periodo coloniale e riconosciute dalla comunità internazionale il 30 giugno 1960”. Secondo la CENCO, “l’integrità del territorio nazionale della RDCongo non è negoziabile”.

4. I Vescovi denunciano con forza questo piano di balcanizzazione. Ne condannano pubblicamente i promotori. Condannano con energia la ripresa della guerra nel Kivu. Esprimono il loro appoggio ai sacrifici dei militari congolesi e agli sforzi della diplomazia intrapresi per difendere l’integrità territoriale della RDCongo.

5. I vescovi invitano i parlamentari e il popolo congolese a “un risveglio patriottico, per non essere complici di questo macabro piano di disintegrazione e di occupazione del territorio nazionale”. Essi chiedono di denunciare tutte le strategie che hanno come obiettivi “l’indebolimento dell’unità nazionale, lo sfruttamento anarchico e illegale delle risorse naturali e l’incitamento alla divisione tra i diversi gruppi etnici o le varie province”. I vescovi sottolineano che le risorse naturali del Congo appartengono al popolo congolese e devono, prima di tutto, essere utilizzate in vista del suo sviluppo e del benessere della sua popolazione.

6. La CENCO chiede a tutti i Congolesi residenti in RDCongo e a quelli della diaspora di mobilitarsi, per far fallire questo piano nemico e distruttore. A questo scopo, in tutte le parrocchie delle diocesi congolesi e nelle comunità dei Congolesi residenti all’estero, saranno organizzate una serie di azioni per esprimere un categorico rifiuto del piano di destabilizzazione in corso.

7. Nello stesso tempo, la CENCO chiede ai paesi limitrofi alla RDCongo di “mettere fine a qualsiasi forma di ingerenza e di aggressione e di favorire il cammino della pace e della coesistenza pacifica, per consentire lo sviluppo sostenibile della regione dei Grandi Laghi”.

8. I vescovi tirano il campanello d’allarme e si rivolgono anche alle Nazioni Unite e a tutti i paesi amanti della pace, affinché pongano fine alla guerra e al piano di balcanizzazione della RDCongo.

Chiedono loro, infine, di appoggiare la RDCongo per la salvaguardia della sua unità nazionale, in vista di una pace vera e duratura

b. EURAC (Europa-Africa Centrale)

Il 10 luglio, Eurac chiede all’Unione Europea di esigere dal Ruanda di mettere immediatamente fine alla sua implicazione nel conflitto nella parte orientale della RDCongo

La Rete europea per l’Africa Centrale (EURAC) e le ONG membri hanno ripetutamente denunciato l’implicazione del Ruanda nella fomentazione e mantenimento dell’insicurezza nell’est della Repubblica Democratica del Congo (RDCongo), appoggiando certi gruppi armati. Queste denunce sono ancora una volta confermate dal rapporto annuale del Comitato delle sanzioni delle Nazioni Unite per la RDCongo. Il gruppo degli esperti dell’ONU afferma che il governo ruandese ha fornito “assistenza diretta alla creazione del M23, facilitando il trasporto di armi e di truppe attraverso il territorio ruandese”, sostiene e protegge il generale Bosco Ntaganda, attualmente ricercato dal Tribunale Penale Internazionale per crimini di guerra. Non solo il Ruanda recluta militari smobilitati delle Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR) rimpatriati in Ruanda, ma il suo sostegno al M23 dà la possibilità a questi ribelli ruandesi di riorganizzarsi, quando erano già stati indeboliti attraverso le operazioni militari dell’esercito regolare (FARDC) e della missione delle Nazioni Unite (MONUSCO). Questi atti del Ruanda sono contrari al diritto internazionale e sono alla base di numerosi crimini di guerra e crimini contro l’umanità commessi in territorio congolese e contribuiscono alla destabilizzazione della regione dei Grandi Laghi.

Finora, la comunità internazionale in generale e l’Unione Europea in particolare, hanno sempre basato le loro strategie per la stabilizzazione dell’est della RDCongo su un postulato volontaristico, secondo cui la RDCongo e il Ruanda vorrebbero la pace e, di conseguenza, dovrebbero lavorare insieme per questo fine. Il problema non è la mancanza di dialogo tra la RDCongo e il Ruanda, ma piuttosto la mancanza di volontà politica. Il gruppo di esperti delle Nazioni Unite ha dimostrato l’esistenza di un programma segreto da parte di Kigali che, dopo la firma di determinati accordi, fa sempre ricadere l’est della RDCongo nella guerra. Tale comportamento del Ruanda dovrebbe mettere in discussione la sua credibilità nelle sue relazioni con l’UE, la cui reazione al rapporto del gruppo degli esperti delle Nazioni Unite rimane, finora, alquanto debole. Eurac ritiene che ogni forma di dialogo o qualsiasi nuova azione militare congiunta tra il Ruanda e la RDCongo resteranno sempre improduttive, dal momento in cui non esiste una reale volontà politica da parte del Ruanda, che non può essere ottenuta se non attraverso una decisa presa di posizione da parte della comunità internazionale in generale e dell’Unione Europea in particolare.

Per queste ragioni, Eurac chiede all’Unione Europea e ai suoi Stati membri di:

1. Prendere una posizione forte, denunciando l’appoggio del Ruanda ai ribelli del M 23 e la sua protezione al generale Bosco Ntaganda;

2. Esigere che il governo ruandese metta fine immediatamente e senza condizioni al suo appoggio al M23 e ad altri gruppi armati nell’est della RDCongo;

3. Rivedere la propria strategia sulla sicurezza all’est della RDCongo. In tale strategia il Ruanda non dovrebbe più essere considerato un agente pacifista che vuole promuovere la pace nell’est della RDCongo e si dovrebbe fare ricorso ad ogni tipo di pressioni e di sanzioni per costringerlo al rispetto del diritto internazionale;

4. Decretare delle sanzioni contro gli ufficiali ruandesi citati nel rapporto delle Nazioni Unite, tra cui: il ministro della Difesa, Gen. James Kabarebe, il Capo di Stato Maggiore, il generale Charles Kayonga, e i generali Jack Nziza, Emmanuel Ruvusha e Alexis Kagame;

5. Mettere in atto dei meccanismi per assicurarsi che l’aiuto finanziario e militare concesso al governo ruandese non sia utilizzato per sostenere gruppi ribelli e per la destabilizzazione della regione dei Grandi Laghi;

6. Sostenere efficacemente la RDCongo nel ripristino dell’autorità dello Stato su tutto il territorio nazionale, in particolare all’est del Paese, soprattutto nel contesto della riforma del settore della sicurezza (esercito, polizia, giustizia);

7. Opporsi alla candidatura del Ruanda ad un seggio non permanente presso il Consiglio di Sicurezza dell’Onu, seggio che rischierebbe di aumentare la sua influenza che, finora, non è certo stata positiva per gli sforzi di pacificazione dell’est della RDCongo.

c. Il Collettivo delle organizzazioni dei giovani solidali del Congo – Kinshasa (COJESKI)

Il Collettivo delle organizzazioni dei giovani solidali del Congo – Kinshasa (COJESKI) si insorge contro il silenzio della comunità internazionale e del governo congolese di fronte a ciò che qualifica di “aggressione” e di “genocidio” nel Nord Kivu. Allusione fatta all’ammutinamento del movimento del 23 marzo. L’ONG ha espresso il suo disappunto in un memorandum indirizzato recentemente al Segretario Generale delle Nazioni Unite. Ha chiesto una decisa condanna del Ruanda che, con prove alla mano, aggredisce la RDCongo e massacra le popolazioni dell’Est del Paese. Molte voci chiedono la cessazione delle ostilità e un rapido ripristino della pace nella RDCongo orientale, vittima di ricorrenti conflitti armati da oltre dieci anni.

4. IL M23 MIRA ALLA SECESSIONE DEL KIVU PER CONTO DI KIGALI

Non c’è più alcun dubbio. Dietro il movimento del M23, vi è il Ruanda che agisce nell’ombra, a sua volta strumentalizzato da potenze straniere che forniscono armi e munizioni per destabilizzare permanentemente la parte orientale della RDCongo. Dal tempo del genocidio ruandese del 1994, di cui Kigali si è sempre servito come mezzo di ricatto, è la creazione di uno stato autonomo nel Kivu l’obiettivo che si vuole raggiungere. Un macabro piano che ha già provocato la morte di oltre cinque milioni di Congolesi. La caduta di Bunagana, seguita da quella di Rutshuru, si inseriscono in questo schema.

Come nel 2009, si sta assistendo ad uno schema che, alla fine, costringerà la Repubblica Democratica del Congo ad avviare dei negoziati diretti con i ribelli del Movimento del 23 marzo (M23). Se, per ora, Kinshasa esclude qualsiasi idea di negoziare con il M23, sul posto, la situazione non sembra andare a suo favore.

Infatti, coloro che, nell’ombra, lavorano nella realizzazione del progetto della balcanizzazione del Paese hanno fatto di tutto per indebolire ulteriormente il potere di Kinshasa. In definitiva, si tratta di realizzare il vecchio progetto della secessione del Kivu, attraverso la creazione di uno stato autonomo alle dipendenze del Ruanda. È ciò che sta alla base dell’appoggio, ormai confermato, del Ruanda a tutti i movimenti ribelli che si sono formati nell’Est della RDCongo. AFDL, RCD-Goma, CNDP e ora M23, tutti sono stati alimentati dal Ruanda.

Le ricorrenti guerre nell’Est del Paese fanno parte di uno schema ben tracciato, i cui sponsor si trovano ben oltre i confini nazionali della RDCongo e Kigali è utilizzata come schermo e paravento per l’attuazione di questo piano che mira, alla fine, alla secessione delle province del Kivu, per farne uno stato dipendente da Kigali. Dal maggio 2012, alti ufficiali dell’esercito ruandese hanno moltiplicato riunioni a Gisenyi e a Ruhengeri (in Ruanda), per passare all’azione. È da questi incontri che è nato il M23, movimento ribelle composto principalmente da militari di origine ruandofona, integrati nell’esercito congolese (FARDC) in seguito all’accordo di Goma nel marzo 2009.

Agendo così, Kigali mira ad avere all’Est della RDCongo uno stato favorevole alla sua causa e che garantisca l’accesso alle immense risorse naturali della RDCongo con cui oggi il Ruanda sta costruendo la sua prosperità. Si sta quindi assistendo ad una guerra a bassa intensità che è principalmente destinata a creare il caos, per forzare alla fine il potere di Kinshasa ad assecondare la ribellione.

L’Addendum al rapporto delle Nazioni Unite sull’appoggio del Ruanda al CNDP/M.23 rivela un piano nascosto elaborato a Kigali. Si tratta della volontà di Paul Kagame di creare un nuovo Stato sulle ceneri del Nord e del Sud Kivu.

Secondo gli esperti delle Nazioni Unite, da maggio 2012, l’esercito ruandese (Ruanda Defence Force) ha chiaramente preso il comando delle operazioni militari nel Nord Kivu. Due sono gli obiettivi perseguiti: la secessione del Nord Kivu, seguita poco dopo da quella del Sud Kivu. La grande offensiva lanciata, nella prima settimana di luglio, a Bunagana e Rutshuru dall’esercito ruandese (RDF), sotto copertura del CNDP/M23, risponde a uno schema molto chiaro, quello dell’occupazione militare di tutta la provincia del Nord Kivu. Secondo lo stesso piano, l’esercito ruandese, sempre coperto dal suo “cavallo di Troia” che è il CNDP/M.23, sta preparando un attacco militare nel Sud Kivu, sempre per metterlo sotto gli stivali di Paul Kagame.

Il Generale Bosco Ntaganda e il colonnello Makenga stanno aspettando impazientemente che la Ruanda Defence Force apri il cammino per proclamare la secessione del Nord e Sud Kivu e l’erezione di queste due province autonome in un nuovo Stato indipendente.

L’Addendum al rapporto delle Nazioni Unite ha fatto osservare che è il capitano Célestin Senkoko, assistente personale di James Kabarebe, ministro ruandese della difesa e confidente di Paul Kagame, che ha organizzato, il 23 maggio 2012, a Gisenyi (Ruanda) un importante incontro su tale progetto. Erano presenti il generale Bosco Ntaganda, il colonnello Ruzandiza, alias “Sultani Makenga” e diversi ufficiali e dirigenti del CNDP. In tale occasione, è stata presentata addirittura una mappa in cui sono chiaramente indicati i limiti del nuovo Stato, ardentemente desiderati dal regime di Kigali. Si dice che tre giorni dopo, questa volta nel corso di una seconda riunione tenutasi nella prefettura di Ruwengeri (Ruanda), sotto la direzione dello stesso capitano Célestin Senkoko, questi abbia chiesto a tutti gli ufficiali e politici rwandofoni del Nord e Sud Kivu di integrarsi immediatamente nel CNDP e nel M23 o, in caso contrario, di lasciare il territorio congolese.

Nell’addendum al loro rapporto, gli esperti delle Nazioni Unite sono chiari. Paul Kagame è disposto a tutto pur di materializzare, con la forza delle armi, il suo piano di “colonizzazione” del Nord e Sud Kivu, integrando queste due province congolesi in un nuovo stato autonomo e indipendente. Affinché il suo colpo di stato militare non sia troppo indigesto per il popolo congolese, soprattutto per le popolazioni autoctone delle due province citate, si prevede di assegnare il compito della proclamazione di indipendenza del futuro nuovo Stato autonomo all’UCDD (Unione Congolese per la Difesa della Democrazia). Xavier Chiribanya, governatore onorario del Sud Kivu, è citato tra i leader di questo movimento politico. Sembra che l’interessato abbia già avuto una serie di contatti con i capi militari del CNDP e del M23, soprattutto con Bosco Ntaganda e “Ruzandiza Sultani Makenga”. Secondo l’addendum dell’Onu, Paul Kagame sarebbe molto preso dall’idea di mettere piede in modo permanente nel Congo, suscitando la creazione di uno stato indipendente nella sua parte orientale. Sarebbe un grande colpo non solo militare e politico, ma anche economico e finanziario. Con le ricchezze minerarie di questo nuovo stato alle sue dipendenze, il padrone di Kigali avrebbe risolto la questione del finanziamento dello sviluppo del suo paese, senza dipendere dalle potenze occidentali.

 5. DIALOGO KINSHASA – M23 – KIGALI: UN NON SENSO

Il 29 giugno, i ministri della difesa della RDCongo e del Ruanda si sono incontrati a Goma (Nord Kivu). Erano presenti anche i capi di stato maggiore degli eserciti di entrambi i paesi e il vice governatore della provincia del Nord Kivu. Il Ruanda continua a considerare la questione del Movimento del 23 marzo (M23) come un problema interno alla RDCongo e a smentire il suo appoggio a detto gruppo armato.

Il 2 luglio, il vice primo ministro e ministro degli Esteri del Belgio, Didier Reynders, era tra gli ospiti del governo del Burundi per le manifestazioni del cinquantesimo anniversario dell’indipendenza di questo paese. Al margine della manifestazione, egli ha parlato sulla situazione della sicurezza nell’est della RDCongo. Egli ha precisato che «se il Ruanda afferma di non essere parte del problema, deve allora essere parte della soluzione, affinché si ponga fine alla ribellione». Egli ha anche esortato i capi di Stato della RDCongo e del Ruanda a “parlarsi di più” su questo tema. Egli ha auspicato che “si arrivi a questo tipo di dialogo”. A suo parere, Kinshasa e Kigali dovrebbe dare la priorità al dialogo, per allentare la tensione tra le due capitali.

L’idea in sé non è male. Sarebbe in linea con le relazioni di buon vicinato tra la RDCongo e il Ruanda. Solo che, a causa delle intenzioni nascoste utilizzate dal regime di Kigali sin dal 1994, nel suo tentativo di annettere la parte orientale del paese, è difficile continuare a fidarsi di lui.

Le rivelazioni dell’ultimo rapporto degli esperti delle Nazioni Unite sul multiforme appoggio del Ruanda al CNDP / M23 e sulla presenza di truppe dell’esercito regolare ruandese sul fronte del Nord Kivu, hanno maggiormente aperto gli occhi ai Congolesi. L’idea di tentare un nuovo dialogo con un Paese vicino che non ha mai mantenuto la parola data e gli impegni assunti, non incontra, almeno per il momento, il parere favorevole delle autorità congolesi. Nel contesto attuale, ciò potrebbe sembrare un vero insulto alla memoria dei milioni di Congolesi che hanno perso la vita negli ultimi due decenni, a causa di un’insicurezza fabbricata di sana pianta da Paul Kagame e dai suoi complici.

A distanza di un po’ di tempo, il governo di Kinshasa constata che l’accordo del 23 marzo 2009 firmato con il Cndp (Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo), oggi non ha alcun valore, perché tale movimento ribelle, presentato allora come congolese, era in realtà un cavallo di Troia che ospitava ufficiali e militari ruandesi che sono riusciti a infiltrarsi nei ranghi delle FARDC. Il CNDP, che aveva fatto finta di trasformarsi in un partito politico, è rimasto il nuovo braccio armato di Kigali in territorio congolese. Pertanto, il cessate il fuoco, che doveva essere la conseguenza dell’abbandono del suo status di gruppo armato, non è mai stata effettivo. Il governo congolese è stato abilmente raggirato, accettando di assegnare gradi e promozioni agli ufficiali e combattenti del CNDP e sottomettendosi ai loro capricci di essere dispiegati solo nel Nord e Sud Kivu quando sono stati integrati nell’esercito nazionale.

Essendo questi infiltrati ruandesi diventati padroni, dal 2009, di un ampio fronte militare nel Nord Kivu e Sud Kivu, come potrebbe la RDCongo correre il rischio di accettare un nuovo bacio di Giuda? La principale conclusione cui Kinshasa dovrebbe arrivare dopo l’inganno subito dal regime di Kigali è che ha più che mai bisogno di accelerare la riforma delle FARDC. Il Congo dovrebbe dotarsi, entro un termine ragionevole, di un sistema di difesa in grado di scoraggiare qualsiasi tentativo di violare la sua integrità territoriale, sia da parte dei Paesi vicini che dei movimenti ribelli da loro appoggiati.

Il 6 luglio, da Bujumbura, il segretariato esecutivo della Conferenza Internazionale della Regione dei Grandi Laghi (CIRGL) ha annunciato che il mercoledì, 11 Luglio 2012, ad Addis Abeba, in Etiopia, si terrà una sessione speciale del Comitato Interministeriale regionale della CIRGL, in concomitanza con la sessione ordinaria dell’Unione Africana (UA). Secondo il comunicato stampa reso pubblico, il segretariato esecutivo della CIRGL afferma che la riunione nella capitale etiope verterà su una «valutazione della situazione dell’insicurezza nella parte orientale della RDCongo» e sulla presentazione di «proposte e modalità concrete per la sicurezza e la preservazione dei buoni rapporti tra gli Stati della regione». «Ciò che chiediamo è che gli ammutinati del M23 abbiano un minimo di buon senso. Non è con la forza delle armi che possono avanzare delle rivendicazioni. La popolazione ha già sofferto molto», ha affermato il segretario esecutivo della CIRGL, Ntumba Luaba. Il documento indica che l’incontro si effettuerà nello spirito del Patto sulla sicurezza, la stabilità e lo sviluppo della regione dei Grandi Laghi. Per giustificare il suo approccio, il segretariato esecutivo della CIRGL ricorda due impegni assunti dai paesi membri.

In primo luogo, quello contenuto nella Dichiarazione di Dar es Salaam sulla loro “determinazione collettiva a fare della regione dei Grandi Laghi una zona di pace e sicurezza duratura, di stabilità politica e sociale, di crescita e di sviluppo condivisi”. In secondo luogo, quello assunto il 5 e il 16 dicembre 2011, a Kampala (Uganda), dai capi di Stato e di governo, nella loro dichiarazione in occasione del quarto vertice ordinario. Si erano impegnati a “sconfiggere, entro un tempo concordato, i gruppi armati attualmente esistenti nella regione, in conformità con il protocollo della CIRGL sulla non aggressione e la reciproca difesa”. Kinshasa si trova davanti a un fatto compiuto, cioè negoziare con Kigali. Ma attraverso il suo burattino in RDCongo, il M23. Se negoziare vuol dire fare delle concessioni, che cosa entrambe le parti saranno disposte a cedere?

Se i negoziati di Addis Abeba hanno lo scopo di prendere in considerazione le rivendicazioni espresse dal M23 che, in realtà, sono ancora quelle espresse già in passato dal RCD e dal CNDP sotto la pressione del regime ruandese, la delegazione di Kinshasa ad Addis Abeba deve sapere che l’integrità e la sovranità territoriale della RDCongo non sono negoziabili. In altre parole, nessuna concessione deve essere fatta su questi due temi. È ormai noto a tutti, dopo l’ultima rapporto delle Nazioni Unite sulla situazione dell’insicurezza nella RDCongo, che uno dei firmatari del Patto di non aggressione, il Ruanda, non ha mai rispettato finora il suo impegno.