SOMMARIO
EDITORIALE
1. POLITICA INTERNA
– La Società Civile
– Mozione di censura contro il Governo
– Decentramento
– I deputati, i “viziati della Repubblica”?
2. KIVU
– News
– Una programmata occupazione delle terre
– Un’occupazione militare dell’Est della RDCongo
– La “Repubblica Federale del Congo” sulla punta del fucile
3. MONUC
4. ECONOMIA
EDITORIALE
Dalla Repubblica Democratica del Congo (RDCongo), continuano ad arrivare notizie preoccupanti.
La Società civile avverte che, se non si dà un nuovo slancio al consolidamento della democrazia, l’avvento di uno Stato di diritto in RDCongo “è in pericolo”. Si parla sempre più di un “governo parallelo”, di un potere centralizzato sulla presidenza e di un regime incapace di risolvere i conflitti locali. Il potere si vanta di aver riportato la pace sull’insieme del territorio nazionale, ma l’insicurezza, i massacri, le estorsioni, gli incendi di villaggi sono in aumento. Anzi, nell’Est della RDCongo si annuncia un protocollo d’accordo tra gruppi armati per creare un nuovo movimento politico-militare denominato “Movimento dei Federalisti Congolesi per la Rivoluzione”, MFCR, il cui obiettivo sarebbe quello di “liberare l’Est” e istituire una nuova “Repubblica Federale del Congo” (RFC). Si parla sempre più di occupazione di terre da parte di gruppi “kinyarwandofoni” provenienti dal vicino Rwanda presentandosi come rifugiati congolesi, anche se sconosciuti nelle zone in cui arrivano a stabilirsi. Essendo armati, si sospetta una occupazione militare da parte del Rwanda con la complicità delle truppe dell’ex Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo (Cndp) integrate nell’esercito congolese e dispiegate attualmente nel quadro dell’operazione Amani Leo contro le Forze Democratiche di Liberazione del Rwanda (Fdlr). Vari osservatori fanno capire che le varie operazioni militari intraprese contro i rifugiati hutu rwandesi considerati, globalmente ed erroneamente, come tutti appartenenti alle Fdlr e, peggio ancora, come genocidari, hanno avuto come scopo quello di liberare il territorio e permettere, in tal modo, il ritorno dei rifugiati tutsi congolesi dal Rwanda. Vittima anch’essa di queste operazioni militari, la popolazione congolese teme che il regime rwandese approfitti dell’operazione di rimpatrio dei rifugiati congolesi per infiltrare gruppi civili e militari rwandesi, in vista di un ripopolamento dei territori abbandonati dalle Fdlr e dagli sfollati congolesi stessi. In questo caso, non sarebbe esagerato parlare di una fondazione di una colonia rwandese in RDCongo o, addirittura, di occupazione militare dell’est della RDCongo da parte dell’attuale regime rwandese. Questo tipo di lettura della realtà conferma l’ipotesi che le Fdlr sono sempre state, lo sono ancora attualmente e lo saranno anche in futuro, qualora non si prendano i provvedimenti necessari, il pretesto per assicurare al Rwanda una certa sua presenza in RDCongo, per continuare ad approfittare del commercio delle risorse naturali e minerarie dell’Est della RDCongo. In questo contesto, emerge l’ambiguità di quei progetti di collaborazione economica tra Paesi limitrofi, presentati come un cammino di pacificazione della Regione dei Grandi Laghi in generale e del Kivu, in particolare. L’assenza di una buona gestione della collaborazione economica e dei vari progetti comuni per lo sviluppo non solo non risolverebbe l’attuale crisi, ma sarebbe all’origine di nuovi conflitti futuri. Per essere cammini di pace, la collaborazione economica e i progetti comuni per lo sviluppo dovranno giovare alle rispettive popolazioni, nel rispetto reciproco della sovranità nazionale e delle norme internazionali del commercio. Finora la popolazione congolese non ha mai potuto usufruire, fosse anche in minima parte, dei colossali contratti minerari, a proposito dei quali le fonti di informazione parlano di una perdita di decine di miliardi di dollari da parte dello stato congolese. Evitare tali perdite sarebbe sufficiente per pagare il debito estero e sovvenzionare lo sviluppo della nazione. Per raggiungere tale obiettivo, si impongono quindi delle misure drastiche: costringere le multinazionali al rispetto delle regole internazionali sul commercio e lottare contro la corruzione, consegnando alla giustizia internazionale tutti coloro che sono alla base della sofferenza del popolo: politici, militari, direttori generali di imprese, …. La fine della impunità permetterà l’emergere di nuove personalità politiche, militari, amministrative, sociali e impresariali finora non valorizzate, ma capaci di costruire un futuro migliore.
1. POLITICA INTERNA
La Società Civile
L’8 aprile, in un rapporto intitolato “Congo: l’insabbiamento del progetto democratico”, l’istituto di analisi dei conflitti International Crisis Group (ICG) ha affermato che, nella Repubblica Democratica del Congo (RDCongo), l’avvento di uno Stato di diritto “è sul punto di fallire”, se non si dà un nuovo slancio al consolidamento della democrazia.
L’ICG afferma che “i politici eletti nel 2006 non sono riusciti a cambiare la forma di governare e a rispondere alle aspirazioni democratiche dei loro concittadini”. L’ong, con sede a Bruxelles, invita i partner del Congo a “ricollocare la democratizzazione e le riforme istituzionali al centro del loro dialogo col governo del presidente Joseph Kabila.
“Quasi quattro anni dopo la vittoria di Kabila alle elezioni del 2006, considerate come un grande progresso nel processo di pace, il potere è centralizzato sulla presidenza, i contro-poteri sono quasi inesistenti, le libertà fondamentali sono frequentemente minacciate e il regime non riesce a risolvere i conflitti locali”, stima l’ONG che, inoltre, precisa che “la presidenza ha assoggettato il governo, il parlamento e il potere giudiziario, approfittando della debolezza dell’opposizione e della corruzione endemica in seno all’élite”. La presidenza ha ricorso all’intimidazione contro l’opposizione, rivelando così una tendenza all’autoritarismo, aggiunge l’ICG. Di fronte al “silenzio della Comunità Internazionale”, l’Ong chiede ai “partner del Congo di ricollocare la democratizzazione e le riforme istituzionali al centro del loro dialogo col governo del presidente Kabila”.
L’ong afferma anche che le “promesse” di Kabila di “ricostruire il Congo e consolidare la democrazia, applicando la Costituzione e organizzare le elezioni locali non sono state mantenute”. L’ICG deplora la dimenticanza, durante il mandato di Kabila, di quella “visione comune di un Congo democratico che apre la via ad una pace duratura e allo sviluppo” del paese.
Dalle elezioni del 2006 in poi, non si sono ancora istituite alcune istituzioni previste, tuttavia, dalla Costituzione, come, per esempio, la nuova Commissione elettorale e la Commissione nazionale dei diritti dell’uomo”, ha spiegato Thierry Vircoulon, direttore del Dipartimento Africa centrale all’ICG di Nairobi. La questione del decentramento rimane ancora sospesa, ha sottolineato l’esperto di ICG.
“Se le autorità congolesi non fanno della democratizzazione una priorità, i progressi realizzati per stabilizzare il paese e gli sforzi internazionali dedicati alla preparazione di un avvenire migliore rischiano di essere sprecati”, avverte l’ICG.
Mozione di censura contro il Governo
Il 14 maggio, i deputati dell’opposizione hanno depositato presso il Comitato dell’Assemblea Nazionale, col sostegno di alcuni deputati della maggioranza, una mozione di censura contro il governo, accusato “di immobilismo patente” sulle questioni della sicurezza, a livello politico e sociale. La mozione ha ottenuto 126 firme, una in più del necessario. “Abbiamo ottenuto l’adesione di tutta l’opposizione, 90 deputati e di alcuni membri della maggioranza”, ha precisato Jean-Lucien Busa, deputato del Movimento di liberazione del Congo (MLC) e iniziatore della mozione di censura. Per essere adottata, la mozione dovrà ottenere 251 voti favorevoli. In tal caso, si potrebbe arrivare alla caduta del governo
“Questa messa in causa della responsabilità del Governo è fondata innanzitutto sull’assenza di volontà, ormai accertata, del Primo ministro, Capo del Governo, per esercitare la pienezza delle prerogative attribuite dalla Costituzione a questa eminente funzione e ciò a profitto di una struttura informale comunemente chiamata “Governo parallelo”. Ciò comporta, ipso facto, la violazione della Costituzione in modo permanente.
Secondo i firmatari,
1. Il Primo Ministro e il suo Governo avevano promesso di riportare la pace e la sicurezza e di restaurare l’autorità dello Stato sull’insieme del territorio nazionale.
Finora, questo obiettivo non è stato raggiunto. Infatti, malgrado gli accordi firmati con i Governi di Uganda e Rwanda e le operazioni militari congiunte dell’esercito congolese, sostenuto dalla MONUC, con gli eserciti di Uganda e Rwanda, nell’est del paese non è ancora ritornata la pace. Come ciascuno può verificarlo, tanto nella Provincia Orientale (Alto-Uélé, Basso-Uélé e Ituri) che nel Nord e Sud-Kivu, i massacri delle popolazioni civili, gli stupri e gli scontri tra gruppi armati ed esercito regolare continuano ancora, provocando spostamenti di migliaia di persone.
Intanto, lo sfruttamento illegale delle risorse naturali del Congo continua senza soste per opera di paesi limitrofi.
2. Il Primo ministro e il suo Governo si erano prefissati l’obiettivo del buon governo, per assicurare al paese una crescita generatrice di posti di lavoro.
Anche questo obiettivo è stato un fallimento. Infatti, invece del buon governo, si constata piuttosto una politica del governo caratterizzata dalla cattiva gestione delle Finanze pubbliche, la dilapidazione del denaro dello Stato e la corruzione generalizzata.
Questo mal governo ha condotto all’aggravamento della miseria delle popolazioni che vivono oggi in condizioni disumane. La maggioranza degli abitanti del paese non ha accesso né all’acqua potabile, né all’elettricità, né alle cure mediche, né ad un’alimentazione sufficiente, né all’educazione e, meno ancora, a posti di lavoro. E questa enumerazione è ben lontana dall’essere esauriente.
3. Il Primo ministro e il suo Governo si erano impegnati a finalizzare il decentramento, come stipulato nella costituzione.
Nemmeno questa promessa è stata mantenuta. Infatti, nessuna disposizione costituzionale in materia di decentramento è stata rispettata dal Governo. Le province non possono ancora usufruire del 40% delle rendite a carattere nazionale, assegnato loro dalla costituzione (articolo 175, capoverso 2) e l’istituzione delle nuove province (articolo 226, capoverso 1) ha preso un ritardo tale che a partire da questo mese di maggio 2010, il paese entra in un impasse costituzionale.
Il 19 maggio, durante una breve plenaria tenuta all’Assemblea Nazionale, il deputato dell’opposizione François Mwamba ha ritirato la mozione di censura contro il governo Muzito, affermando che non c’erano le condizioni necessarie per un dibattito. In seguito a tale dichiarazione, il presidente dell’assemblea nazionale, Evariste Boshab, ha dichiarato chiusa la seduta, dal momento in cui non c’era più materia di discussione.
Secondo il relatore dell’Assemblea Nazionale, la decisione del ritiro era già stata presa durante la conferenza dei capi gruppi parlamentari. L’opposizione rievoca la pressione esercitata dai militanti del partito lumumbista unificato (Palu) che ha impedito il dibattito. Il Palu, invece, rivela che la mozione conteneva firme irregolari.
Secondo il deputato e presidente del gruppo parlamentare del MLC, François Mwamba, la presenza nella sala di centinaia di militanti (da 300 a 400) del Palu, partito del Primo ministro Muzito, non ha permesso le condizioni richieste per organizzare il dibattito della mozione con serenità.
Infatti, i militanti del Palu, dopo avere forzato le griglie di entrata al Palazzo del Popolo, hanno preso d’assalto la loggia della sala del Congresso, provocando un grande disordine e scandendo slogan favorevoli al Primo ministro Adolphe Muzito. François Mwamba stima che i deputati che non hanno firmato la mozione [la maggioranza] volevano solo creare la confusione e, di conseguenza, l’opposizione ha ritirato la sua mozione.
Secondo il partito del Primo ministro Muzito, le ragioni di insicurezza avanzate dall’opposizione sono totalmente false. Le vere ragioni, secondo il Palu, sono da cercare nel fatto che la mozione conteneva firme irregolari. Di conseguenza, non aveva ragione di essere.
Il deputato Zénon Mukwakani, presidente del gruppo parlamentare del Palu all’assemblea nazionale, è chiaro su questo argomento: C’è stato un falso in scrittura e uso di falso. Ci sono state delle firme di deputati assenti da Kinshasa. Ci sono dei nomi che sono stati ripresi due volte, ragione per cui non si è raggiunta la quota delle 125 firme necessarie”.
Un’altra causa che potrebbe spiegare il ritiro della mozione è che l’opposizione si è evidentemente accorta che non avrebbe potuto ottenere l’adesione di tutti i firmatari iniziali, perché con tutta probabilità alcuni di loro si sarebbero ritrattati e avrebbero ritirato la loro firma. Non si esclude, infatti, l’ipotesi che alcuni di loro “sarebbero stati corteggiati” e che alla fine delle votazioni, non si sarebbe raggiunto nemmeno le 126 firme iniziali.
Decentramento
Il 13 maggio, Adolphe Lumanu Mulenda, vice – Primo ministro per l’interno e la sicurezza, ha indicato, in una dichiarazione rilasciata alla stampa in nome del governo, che non ci sono ancora tutte le condizioni necessarie per l’installazione delle nuove province ed entità territoriali decentralizzate.
Secondo la Costituzione promulgata il 18 febbraio 2006, la gestione amministrativa della Repubblica Democratica del Congo è decentralizzata in 26 province e le disposizioni relative alla creazione di queste ultime dovevano entrare in vigore entro i 36 mesi consecutivi all’installazione effettiva delle istituzioni della Repubblica.
Adolphe Lumanu ha spiegato che il governo si è imbattuto in un certo numero di difficoltà, particolarmente a livello giuridico ed economico finanziario.
Sul piano giuridico, la maggior parte dei testi legislativi, fra cui un buon numero di leggi organiche sull’amministrazione provinciale sulle Entità amministrative decentralizzate, sono ancora in via di elaborazione. Sul piano economico e finanziario, Adolphe Lumanu ha rievocato il costo esorbitante dell’operazione che ammonta sui 2.365.000.000 USD (due miliardi tre cento sessantacinque milioni di dollari americani), di cui 1.350.000.000 USD per l’installazione delle 26 province e 1.015.000.000 USD per le 1.015 Entità territoriali decentralizzate previste. Un altro ostacolo finanziario è dato dalle condizioni del nuovo programma concluso nel 2009 con le istituzioni di Bretton Woods per raggiungere nel 2010 il punto di accesso all’iniziativa PPTE.
Tuttavia, il Vice – Primo ministro ha affermato che, nonostante tutte queste difficoltà, il Capo dello Stato ha chiesto al governo di prendere urgentemente in esame la legge sui limiti delle province e della città di Kinshasa e la legge sulla programmazione del decentramento.
Il 14 maggio, riunito in consiglio dei ministri sotto la presidenza del Primo ministro Adolphe Muzito, il governo ha reiterato il suo impegno per applicare appena possibile le disposizioni degli articoli 2 e 226 capoverso 1 della Costituzione, che prevedono la creazione e l’installazione di 15 nuove province, portando a 26 il numero totale delle province in RDCongo.
“È un’esigenza costituzionale alla quale il governo della Repubblica non ha né il diritto né l’intenzione di sottrarsi”, ha affermato il portavoce del governo, Lambert Mende Omalanga, ministro della Comunicazione e dei media, nel resoconto della riunione del consiglio. Ha aggiunto che nonostante le costrizioni giuridiche, il costo esorbitante dell’installazione delle nuove istituzioni provinciali e le esigenze del programma concluso con le istituzioni di Bretton Woods per raggiungere nel 2010 il punto di accesso all’iniziativa PPTE, il governo conferma l’irreversibilità del processo di decentramento e si impegna ad eseguire il cronogramma di installazione delle nuove province, appena sarà approvato in forma legale dal Parlamento”.
Il 15 maggio, i senatori originari dell’Equateur hanno affermato la loro totale adesione all’istituzione immediata delle 26 province, come dispone la Costituzione.
Il senatore Adambu Lomalisa ha fatto la seguente dichiarazione: “I senatori dell’Equateur confermano la loro totale adesione alla proposta di istituzione immediata delle cinque nuove province risultanti dalla divisione amministrativa dell’attuale provincia dell’Equateur. Si tratta delle nuove province dell’Equateur, del Mongala, del Nord-Ubangi, del Sud-Ubangi e del Tshwapa”.
Il 15 maggio, venti cinque deputati provinciali su un totale di 96 dell’Assemblea provinciale della Provincia Orientale hanno dichiarato di prendere atto della creazione effettiva, a decorrere dal 15 maggio 2010, delle nuove province del Basso Uélé, Alto-Uélé, Ituri e Tshopo, ottenute dalla divisione territoriale dell’attuale Provincia Orientale. In tal modo, la Provincia Orientale, nella sua configurazione attuale, comprese le sue istituzioni, cessa di esistere”.
I deputati, i “viziati” della Repubblica?
Testi di legge mal preparati, assenteismo, sospetti di corruzione…. I deputati congolesi godono di cattiva stampa.
Con l’equivalente di 4.250 dollari al mese (pagati in franchi congolesi) ai quali si aggiungono, per certi membri delle commissioni, 1.700 dollari di complemento “per il carburante e il telefono”, i deputati congolesi sono tra i privilegiati della Repubblica.
Un membro del governo afferma con tono ironico: I “nostri deputati sono dei viziati”.
I Ministri, è vero, non riscuotono che 2.700 dollari, più 900 dollari di sussidio per alloggio e 1.100 dollari di spese di funzionamento.
Gilbert Kiakwama kia Kiziki, della Convenzione dei Democratici Cristiani (CDC, opposizione), non nasconde la sua indignazione: “Non nuotiamo nell’oro. Se si guarda bene le cose, i due terzi dei ministri dovrebbero essere in prigione. Non c’è che da vedere le case che hanno costruito. Niente a che vedere coi loro stipendi!”.
Molti congolesi non comprendono come, mentre la maggior parte di loro non riescono ad arrivare a fine mese, gli “onorabili” si battono per un aumento dei loro già alti stipendi.
Jean Bamanisa, indipendente ma prossimo alla maggioranza, spiega che gli stipendi dei deputati sono stati fissati nel 2007, all’epoca in cui un dollaro valeva 500 franchi congolesi, contro 900 franchi di oggi. “Abbiamo perso quasi la metà del nostro potere di acquisto “, egli assicura.
Ogni mese, i deputati deducono dai loro stipendi circa 1.400 dollari per rimborsare le rate dei loro veicoli. Alcuni ne hanno acquistato addirittura due… “Come si può constatare, non ci resta quasi nulla per provvedere ai nostri bisogni o per rispondere alle sollecitazioni dei nostri elettori”, assicura Bamanisa.
Secondo un ministro che ha richiesto l’anonimato, gli stipendi non sono che la parte visibile dei redditi dei deputati. Il resto è costituito da un fondo speciale di intervento per colmare gli “imprevisti”, ciò che i membri dell’assemblea nazionale negano. Secondo loro, i fondi speciali di intervento non sono un supplemento dello stipendio, ma piuttosto una cassa destinata alla soluzione dei loro problemi di ordine personale o umanitario. La differenza è sottile.
Il governo rimprovera loro anche di non volere pagare l’imposta sul reddito. “La questione non è di pagare o di non pagare, si difende François Muamba Tshishimbi, del Movimento di Liberazione del Congo (MLC, opposizione). Ciò che non accettiamo, è la decisione del governo di tassarci sui 4.250 dollari, quando questa somma comprende le indennità di trasporto e di alloggio”.
Inoltre, i deputati – che siano della maggioranza o dell’opposizione – esigono di essere pagati prima di adottare una legge.
Un deputato della maggioranza riconosce che ” quando si trattano grandi questioni, nell’emiciclo c’è sempre del denaro che circola”, come nel marzo 2009, in occasione dell’affare Kamerhe – il presidente dell’Assemblea costretto alle dimissioni – e dell’elezione del suo successore, Évariste Boshab Mabudj.
Ad ogni sessione parlamentare, l’Assemblea Nazionale si trasforma in teatro: deputati dell’opposizione che presentano testi di mozioni di sfiducia contro certi ministri, ma redatti talvolta dai loro colleghi della … maggioranza! “È vero, ahimè”, sospira Muamba Tshishimbi. Lo scopo è quello di intimidire qualche membro del governo, per poi proporgli il ritiro della mozione in cambio di una certa somma. Anche se tali somme sono irrisorie, spiega un abituale frequentatore dei corridoi dell’assemblea, “ciò funziona regolarmente”. E quelli che ne traggono maggior profitto sono gli indipendenti, perché non sono tenuti ad una disciplina di partito.
Ma come si è arrivati a ciò? Alcuni analisti notano che molti deputati non hanno altro mestiere, né patrimonio personale e cercano di accumulare denaro con tutti i mezzi. Muamba Tshishimbi ha un’altra percezione del fenomeno: “La colpa è della maggioranza. Avevamo votato una legge sul finanziamento dei partiti che permetteva all’opposizione, a partire da un certo numero di deputati, di evitare tali situazioni. Ma la sua applicazione è stata riportata alla prossima legislatura!”.
2. KIVU
News
Il 6 maggio, combattenti delle FDLR hanno assediato per più di 24 ore la miniera di Kalenda, a 60 chilometri da Kasese, nel territorio di Punia, nel Maniema. Gli assalitori erano una cinquantina e molto armati. Erano arrivati da Walikale con l’intenzione di saccheggiare il villaggio. Alla fine della loro operazione, gli assalitori hanno portato via 2 tonnellate di cassiterite (40 sacchi di 50 chili ciascuno), vari sacchi di manioca e di riso, dei bidoni di olio di palma e una radio ricetrasmittente. Per il trasporto del bottino, hanno sequestrato 40 persone per la cassiterite e 30 donne per i viveri. L’attacco di Kalenda è il secondo nello spazio di tre mesi in questa zona. L’ultimo aveva avuto luogo il 9 aprile contro un’altra miniera, a tre ore di cammino da Kalonda.
Il 6 maggio, uomini armati hanno fatto irruzione nella località di Rubare (Butare?) in territorio di Rutshuru. Dopo essere entrati in una casa, hanno violentato la mamma e le sue figlie, torturato il papà, rubato tutti i beni di valore, tra cui dei telefoni portabili, denaro, abiti, ecc. All’uscita, questi uomini armati si sono trovati davanti a una pattuglia della Polizia Nazionale congolese. Pensando che si trattasse di un gruppo di militari delle Fardc di passaggio nella zona, gli agenti di polizia hanno voluto stabilire un contatto di routine. Gli assalitori armati e in tenuta militare delle Fardc hanno risposto con vari spari contro gli agenti della polizia, uccidendone uno sul colpo e ferendone un altro gravemente. Fuggendo, questi stessi uomini armati e in tenuta militare Fardc hanno incendiato due camion che, provenendo da Rutshuru, trasportavano viveri. Vari sacchi di farina di manioca e di fagioli sono stati ridotti in cenere.
Il 9 maggio, un minibus dell’agenzia di viaggio Arco in Cielo è stato preso d’assalto da uomini in uniforme a livello di Ngomo, sulla strada Bukavu-Uvira (Sud Kivu). Una persona è stata uccisa e un’altra ferita. L’attacco di questo minibus che trasportava passeggeri da Uvira a Bukavu è il secondo nello spazio di una settimana, dopo quello di un camion saccheggiato il 4 maggio sullo stesso troncone stradale. Secondo le testimonianze di parecchi autisti, è difficile fare la differenza tra banditi aggressori e militari delle Fardc. Il portavoce delle operazioni Amani leo, il capitano Olivier Hamuli, ha precisato che combattenti FDLR, militari smobilitati e altri banditi portano spesso uniformi delle FARDC.
Il 9 maggio, a Goma (Nord Kivu), sarebbe nato un nuovo gruppo denominato CNDP-rinnovato, ancora non ufficiale. Non si comprende bene se si tratti di un nuovo partito politico o di un nuovo gruppo ribelle in gestazione.
Gli abitanti del villaggio di Bajuvi, Chefferie di Bukumu, territorio di Nyiragongo e quelli del quartiere Super Match, sempre in Territorio di Nyiragongo, denunciano dal 6 maggio, una nuova ondata di militari rwandesi che entrano massivamente in RDCongo provenendo da Gisenyi (Rwanda). Una volta sul territorio congolese, questi militari rwandesi prendono una destinazione sconosciuta.
Il deputato nazionale Lusenge Bonane ha denunciato una lunga serie di massacri selettivi dei Nande del Nord-Kivu per opera di truppe “Kinyarwandofone”.
Al Sud del Territorio di Lubero, parecchie case sono state incendiate nei villaggi di Katondi, Kitsombiro, Ndoluma, Mambasa, Alimbongo, Matembe, Kaseghe, Bwatsinge, Mighobwe, Kirumba, Kayna, Bulotwa, Kanyabayanga, Luofu, Miriki, Kamandi, Bingi, .
Altrove sul troncone stradale Kamandi, Kikuvu e Kirumba, sono stati segnalati parecchi attacchi e saccheggi, al punto che, ogni volta che lasciano la loro casa per andare al campo o al mercato, gli abitanti del luogo dicono addio ai loro familiari o vicini. Così, ogni uscita da casa è diventata un addio possibile! Vedere ritornare i propri familiari sani e salvi dal campo sembra oggi essere diventato un miracolo che procura un’immensa gioia.
Il 10 maggio, in occasione di una manifestazione organizzata ad Uvira (Sud Kivu), nel quadro della settimana mondiale contro la proliferazione delle armi leggere, le ONG locali hanno condannato l’aumento dei casi di massacri, furti e attacchi a mano armata nei territori di Uvira e Fizi e sugli altopiani e hanno denunciato la detenzione illegale delle armi da parte dei civili.
Attraverso i media del Sud Kivu, le ONG hanno chiesto ai detentori illegali di armi di consegnarle alle autorità competenti. Al governo congolese, invece, chiedono di ratificare il trattato sulla tracciabilità delle armi leggere.
Il rappresentante della coalizione delle ONG, Joseph Mugereke Kisahira, spiega:
“A New York, dal 14 al 18 giugno 2010, ci sarà la riunione biennale degli Stati. Lanciamo un pressante appello alle nostre autorità, affinché ratifichino il trattato sul commercio delle armi. Se si disponesse del tracciato e del marchio di origine delle armi, sarebbe più facile arrivare agli autori dei crimini commessi. La proliferazione delle armi è all’origine dei furti a mano armata, dei massacri e dell’apparizione di nuove milizie. Finché ci sarà una circolazione incontrollata delle armi tra la popolazione, tutte le attività per lo sviluppo saranno bloccate”.
Un centinaio di giovani degli altopiani di Uvira (Sud-Kivu) hanno annunciato il loro dispiegamento in parecchi villaggi come combattenti di autodifesa popolare. Il movimento si chiama “Tusaidiane” (NDLR: aiutiamoci, in swahili) ed è già in azione in certe località del territorio: Nabugera, Magunda, Masango e Chanzovu. Secondo il loro portavoce, Joel Namunene, dell’ex gruppo armato Maï Maï Zabuloni, l’obiettivo è di difendere le popolazioni civili locali e i loro beni dai ricorrenti attacchi dei combattenti rwandesi delle FDLR e dei militari FARDC dispiegati nel quadro dell’operazione militare Amani Léo contro le FDLR.
Le popolazioni locali di Lubero accusano dei militari dell’esercito regolare, provenienti da ex-gruppi armati, di compiere troppi soprusi nei loro confronti. Le angherie subite contribuiscono ad aumentare la diffidenza della popolazione nei confronti dei militari delle FARDC. E’ per questo che la popolazione chiede un loro nuovo dispiegamento in altre province del paese. Molti elementi indisciplinati delle FARDC sono accusati di perpetrare saccheggi, attacchi, incendi e massacri a Kanyabayonga, Muhanga, Mbingi, e Kasuo. “Quando si lasciano le stesse persone che hanno ucciso, violentato e saccheggiato, sul posto stesso in cui hanno compiuto i loro misfatti, come si può avere fiducia in loro?”: sono parole che rivelano la profonda crisi di fiducia che esiste tra la popolazione e alcune unità FARDC dispiegate sul territorio.
Un’occupazione programmata delle terre da parte di falsi-rifugiati “congoresi” provenienti dal Rwanda
Dal 24 aprile, i capi tradizionali, le autorità politico-amministrative e i membri della Società Civile del Nord Kivu sono stati informati dall’Alto Commissariato per i Rifugiati (HCR), l’ONU-habitat, lo STAREC (Programma di Stabilizzazione e di Ricostruzione dell’est del Congo), la CNR (Commissione Nazionale per i Rifugiati) antenna di GOMA e il Ministero Provinciale degli Affari Fondiari, sul ritorno imminente di 53 000 “rifugiati congolesi” che vivono in Rwanda.
Ogni Territorio del Nord-Kivu dovrà accoglierne un certo numero, eccetto il Territorio di Beni, i cui villaggi situati presso la frontiera ugandese sono già occupati da clandestini armati.
I dati statistici sono stati forniti da Kigali, come rivela il Coordinatore Provinciale della CNR:
– Territorio di MASISI: 23.441
– Territorio di RUTSHURU: 15.226
– Territorio di WALIKALE: 551;
– Territorio di LUBERO: 805 (ce ne sono già più di 1000 a Kanyabayonga, Kasugho, Manguredjipa, Kirumba)
– Città di GOMA: 148
– Città di BUTEMBO: 8
Secondo la CNR, da oltre un anno i Rwandesi entrano nel Nord-Kivu a piccoli gruppi, prima sotto la protezione del CNDP, oggi sotto la protezione dei militari di Amani Léo. Vari villaggi del Nord-Kivu sono, infatti, già occupati da assalitori armati che dipendono da un comando militare e politico parallelo, spesso accompagnati da donne, bambini e mucche, come è il caso di Biakato e Boga, nei pressi della città di Bunia.
Il 10 maggio, gli abitanti di Watalinga organizzavano una giornata città morta e una marcia pacifica per protestare contro l’occupazione programmata delle loro terre da parte di falsi rifugiati congolesi provenienti dal Ruanda. Secondo la popolazione, questo ritorno di “Congoresi” rifugiati in Rwanda assomiglia piuttosto ad un arrivo di una colonia di popolamento rwandese nel Nord-Kivu. Si tratta di un’occupazione militare dopo una conquista militare. Gli incendi e i massacri compiuti nei villaggi designati per accogliere i “ritornati” costituiscono la prova più evidente dell’occupazione militare in corso nella regione.
Per gli osservatori, l’ampiezza dei massacri dei congolesi da parte di assalitori Kinyarwandafoni in una regione in cui l’ONU è da tempo presente e da cui il Governo congolese ha ritirato tutti quegli ufficiali dotati di spirito nazionalista, è il segno probante del complotto che la storia saprà riconoscere quando sarà il momento.
Un’occupazione militare dell’est della RDCongo
L’analisi della realtà dimostra che l’est del paese è sotto un’occupazione militare da parte di Rwanda e Uganda.
Secondo il regolamento dell’Aia del 1907, “un territorio è considerato occupato quando si trova collocato, di fatto, sotto l’autorità di un esercito nemico”. Nel suo dizionario, il professore Basdevant precisa che l’occupazione è un “termine usato per designare la presenza di forze militari di uno Stato sul territorio di un altro Stato, anche se questo territorio non cessa di far parte di quest’ultimo”.
Queste due definizioni di occupazione militare inquadrano bene la situazione che prevale nelle province del Nord-Kivu, Sud-Kivu, Maniema e Provincia Orientale.
Per le popolazioni civili del Sud di Lubero, Beni, Boga, Kamango, Kibotoko, Masisi, Mwenga, Dungu, Kibosho, ecc., non c’è ancora alcun segno di unità o di pace come lo vorrebbero suggerire i nomi dati alle varie operazioni militari intraprese, Umoja wetu = la nostra unione e Amani Léo = la pace oggi. Al contrario, per queste popolazioni sofferenti, la sedicente guerra alle FDLR che minaccerebbero la sicurezza del Rwanda non è che un alibi per conquistare il Kivu. Da quando questo alibi ha permesso l’entrata delle truppe rwandesi nel Kivu, le popolazioni congolesi non hanno più tregua e scoprono, a loro spese, che sono proprio loro il bersaglio delle truppe rwandesi.
La Monuc e la Comunità Internazionale che davano falsi allarmi ogni volta che un rwandofono starnutiva, hanno scelto di adottare un profilo basso, proprio ora quando i civili congolesi vengono sgozzati come capre dalle FARDC nuova formula. Ancor più, la Monuc ha aspettato la recrudescenza dei massacri dei congolesi per cominciare a programmare il suo ritiro progressivo dal paese. Contemporaneamente, i governanti congolesi utilizzano i media per dire che la pace è ritornata su tutta la superficie del territorio nazionale. Solo alcuni pochi deputati continuano la lotta in parlamento.
Nelle imprese pubbliche, i quadri congolesi vengono sostituiti e messi sulla lista d’attesa per una nuova nomina. In breve, si può dire senza paura di sbagliarsi che oggi 4 province della R.D.Congo sono sotto occupazione militare rwando-ugandese. Per camuffare tale occupazione militare, le autorità amministrative sono mantenute al loro posto, purché ripetano come pappagalli ciò che i nuovi padroni chiedono loro di dire: “la pace regna nel Kivu”. Che gli occupanti brucino le loro case, i pappagalli politici ripetono sempre lo stesso ritornello: “la pace regna nel Kivu”.
Rassicurati da questa fedeltà dei pappagalli congolesi e dal silenzio della Comunità Internazionale rappresentata in Congo dalla Monuc, gli occupanti possono eseguire indisturbati il loro progetto di epurazione etnica nelle 4 province precitate. I vescovi cattolici della R.D.Congo hanno già parlato di un genocidio silenzioso nella loro dichiarazione “La R.D.Congo piange i suoi figli ed è inconsolabile (cf. Mt 2, 18), pubblicata a Kinshasa il 13 novembre 2008. Oggi, il genocidio congolese non è più silenzioso. È pubblico! Ciò che manca, è il coraggio dei Congolesi per denunciarlo e fermarlo.
In dieci anni, la Monuc non ha saputo o non ha voluto opporsi decisamente al tentativo di balcanizzazione della R.D.Congo. Le prove sono molteplici. Ogni volta che l’esercito congolese respingeva i miliziani del CNDP, la Monuc si interponeva per imporre un cessate il fuoco seguito dal dialogo. Durante il dialogo, Kinshasa convocava per consultazione l’ufficiale militare che aveva dimostrato di poter far fronte al CNDP e tale consultazione diventava, in seguito, una mutazione.
Oggi, quando le società civili delle province martiri chiedono che i militari colpevoli di massacri siano condotti davanti alla giustizia e trasferiti dall’est del paese verso altre province, si dice loro che non è più il tempo della mutazione. Le stesse FDLR che hanno servito da alibi per cedere l’Est del paese al Rwanda sono invece trasferite (delocalizzate) dal Kivu verso l’ovest e il Sud del paese. E se lo stesso alibi delle FDLR producesse gli stessi effetti all’ovest che all’est?
La “Repubblica Federale del Congo” sulla punta del fucile?
E’ stato elaborato un progetto di protocollo d’accordo che dovrebbe essere firmato dai movimenti e gruppi armati dell’est, il CNDP e altri gruppi armati, fra cui i Maï-Maï. Il protocollo non esclude la Società civile. L’oggetto di questo protocollo d’accordo è quello di “liberare l’est” della RDCongo.
L’accordo riguarderebbe la creazione di un movimento politico-militare denominato: “Movimento dei Federalisti Congolesi per la Rivoluzione, MFCR”. Il Suo ramo armato si denominerebbe “Forze Armate della Repubblica Federale del Congo” (RFC).
Nelle prime dichiarazioni raccolte, Kinshasa è accusata di non rispettare i suoi impegni, particolarmente quelli presi a Goma. Le strutture del movimento potrebbero servire come punto di partenza per le strutture della nuova Repubblica Federale del Congo (RFC): la presidenza del movimento (Presidenza della Repubblica), il Coordinamento (Governo), il Collegio dei Fondatori (Senato), l’assemblea dei rappresentanti (Assemblea dei deputati), il comandante in capo delle Forze armate,…
Si tratta di un progetto che si inserirebbe chiaramente nella linea della balcanizzazione della RDCongo. Le forze occulte non sono sparite nel nulla e la guerra sta cambiando semplicemente campo. Indubbiamente, queste informazioni devono essere verificate, ma giungono proprio nel momento in cui sulla regione dei Grandi Laghi soffia il “vento elettorale”, con i ripetuti attentati dinamitardi in Rwanda, le intimidazioni politiche in Burundi e un’insicurezza generalizzata in RDCongo.
3. MONUC
Il 14 maggio, una delegazione del Consiglio di sicurezza dell’ONU, composta di 15 membri permanenti e condotta dall’ambasciatore francese Gérard Araud, è arrivata a Kinshasa per discutere con le autorità congolesi sul futuro della missione dell’Onu in RD Congo (Monuc).
Il governo congolese desidera che il progressivo ritiro dei militari dell’ONU si realizzi a partire dal 30 giugno 2010, cinquantesimo anniversario dell’indipendenza, fino a fine dicembre 2011 e non agosto 2011, come aveva affermato finora.
La maggioranza dei membri del Consiglio di sicurezza ha, infatti, giudicato la data di agosto 2011 prematura.
Infatti, in un rapporto consegnato recentemente al Consiglio di sicurezza, il segretario generale dell’ONU Ban Ki-moon aveva indicato che “una strategia di ritiro responsabile” della componente militare della Monuc dovesse appoggiarsi sull’esistenza, in RDCongo, “di uno Stato di diritto e di istituzioni di sicurezza viabili”, ciò che non è ancora il caso. Aveva anche precisato che un ritiro totale della Monuc sarebbe legato al completamento di una serie di obiettivi strategici, tra cui la protezione dei civili, incluso contro le violenze sessuali, l’aumento del numero degli agenti di polizia ben formati e inquadrati e la riduzione della minaccia rappresentata dai gruppi armati, come i ribelli hutu ruandesi delle Forze Democratiche di Liberazione del Rwanda (FDLR) e della ribellione ugandese dell’Esercito di Resistenza del Signore (LRA), ancora attivi nell’est.
Il comunicato del governo rievoca peraltro “un consenso” sulla “trasformazione” del mandato della Monuc, da una “missione di mantenimento della pace a quello di una missione di stabilizzazione e di consolidamento della pace”, con “il trasferimento di certe responsabilità ad agenzie specializzate”.
Sottolineando che il ritiro della MONUC deve farsi progressivamente e in un contesto di pace, Gérard Araud ha dichiarato che “la MONUC non resterà indefinitamente in RDCongo” e che “partirà lasciando dietro di sé una situazione stabile. All’ora attuale, la situazione della sicurezza in RDCongo resta ancora fragile e occorre dunque che la Monuc rimanga”. Dispiegata nell’est del paese, la Monuc è oggetto di virulente critiche da parte delle popolazioni locali che la considerano inefficace.
4. ECONOMIA
Secondo l’Osservatorio Governo e Trasparenza (OGT), la Repubblica Democratica del Congo, ampiamente e duramente provata dalla frode e dal saccheggio delle sue risorse, ha perso, tra il 1999 e il 2004, più di 10 miliardi di dollari USD, una somma che le avrebbe permesso di pagare il suo debito estero valutato sui circa 12 miliardi del dollari US e di incrementare i progetti per lo sviluppo economico. Questa constatazione dovrà spingere all’attuazione di “un sistema di controllo e di autenticazione dei minerali” esportati.
In una conferenza stampa tenuta a Bunia, l’osservatorio britannico sulla produzione del petrolio, Platform, ha rivelato che i contratti firmati con le compagnie per lo sfruttamento di petrolio sul lago Alberto provocano allo stato congolese una perdita di oltre10 miliardi di dollari. Secondo i risultati delle ricerche di questo osservatorio, questi contratti giovano soprattutto a certi politici prossimi al potere centrale, a scapito della popolazione congolese. Di più, Platform teme anche un aumento dell’insicurezza che proverrebbe dalla cooperazione tra le compagnie petrolifere e certi gruppi armati ancora attivi nella regione.
Secondo Taimour Lay, ricercatore dell’osservatorio britannico Platform, l’accordo per la condivisione della produzione firmato nel 2006 tra la RDCongo e la compagnia britannica Tollow Oil e l’impresa sud africana Heritage Oil, concede oltre il 50% del beneficio a queste due compagnie, per una produzione di 20 000 barili al giorno. Tale accordo produce una perdita di oltre 10 miliardi di dollari americani per il governo congolese, indica ancora il ricercatore.
Secondo il rapporto, nell’accordo di condivisione della produzione che lega Sud Oil e Pétrolium Congo, due alleati del potere di Kinshasa hanno ottenuto oltre 3 miliardi di dollari su una durata di 20 anni. Da parte sua, Lambert Mende, portavoce del governo e ministro della Comunicazione e dei Media, ha indicato che questi contratti sono già stati annullati da due anni.
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“A ogni nuovo crimine o orrore dovremmo opporre un nuovo pezzetto di amore e di bontà che avremo conquistato in noi stessi”.
(Etty Hillesum, Westerbork, 3 luglio ’43)
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