Congo Attualità n. 438

L’EST DELLA REP. DEM. DEL CONGO:
OSTAGGIO DEI GRUPPI ARMATI

INDICE

1. DIETRO LE CIFRE DEI RAPPORTI, VITTIME INNOCENTI
2. IL MESSAGGIO DEI VESCOVI
3. UNA COMMISSIONE PARLAMENTARE “SPECIALE E TEMPORANEA” SULLA SITUAZIONE DI     INSICUREZZA NELL’EST DEL PAESE
4. UN DIALOGO INTERCOMUNITARIO PER LA PACE SUGLI ALTIPIANI DI FIZI, UVIRA E MWENGA-ITOMBWE (SUD KIVU)

1. DIETRO LE CIFRE DEI RAPPORTI, VITTIME INNOCENTI

Nel suo rapporto pubblicato l’11 febbraio 2021 e comprendente i dati raccolti tra gennaio e dicembre 2020,  il Comitato Congiunto delle Nazioni Unite per i Diritti Umani (BCNUDH) ha affermato che, nei territori di Beni (Nord Kivu), Irumu e Mambasa (Ituri), le Forze Democratiche Alleate (ADF), un gruppo armato di origine ugandese, hanno effettuato 166 attacchi e ucciso almeno 849 civili. Lo stesso rapporto rivela che, nello stesso periodo e sempre per opera delle ADF, almeno 108 civili sono stati vittime di violazioni del diritto all’integrità fisica, fra cui 103 feriti e 5 donne vittime di abusi sessuali. Inoltre, il BCNUDH ha documentato il sequestro di almeno 77 persone, di cui 20 donne e 3 minorenni già rilasciati.[1]

Durante il mese di febbraio 2021, il Comitato Congiunto delle Nazioni Unite per i diritti umani (BCNUDH) ha documentato 495 casi di violazioni dei diritti umani commesse sul territorio congolese. Il 65% di queste violazioni è stato perpetrato da miliziani di gruppi armati e il 35% da agenti dello stato (esercito e polizia). Queste violazioni hanno provocato la morte di almeno 197 civili, tra cui 23 donne e 12 bambini. I gruppi armati sono stati ritenuti responsabili dell’esecuzione sommaria di almeno 175 persone, tra cui 22 donne e 9 bambini, mentre gli agenti delle forze di sicurezza sono stati ritenuti responsabili dell’esecuzione extragiudiziale di almeno 22 persone, tra cui 1 donna e 5 bambini.
455 violazioni dei diritti umani (il 92% del totale) sono state commesse nelle province coinvolte in conflitti armati. La maggior parte delle violazioni sono state registrate nella provincia del Nord Kivu (228 violazioni, ovvero il 50%), Ituri (103 violazioni), Sud Kivu (35 violazioni) e Maniema (26 violazioni).
Nel mese di febbraio 2021, il BCNUDH ha notato una diminuzione delle violazioni di quasi l’8% rispetto a gennaio 2021 (539 violazioni). Tale diminuzione riflette una diminuzione di circa il 35% del numero delle violazioni imputabili ai militari delle Forze Armate della Repubblica Democratica del Congo (FARDC), soprattutto nel Kasai, ma anche nel Nord Kivu, nel Sud Kivu e nell’Ituri. Il numero delle violazioni dei diritti umani commesse dai gruppi armati durante il mese di febbraio è aumentato di circa il 17% rispetto al mese di gennaio.[2]

In un rapporto pubblicato il 5 marzo 2021 e che copre il periodo tra il 1° febbraio e il 28 febbraio 2021, il Forum per la Pace di Beni (FPB), nel Nord Kivu, ha affermato di aver registrato l’uccisione di 105 persone e il sequestro di 34 persone, tra cui solo 13 sono state finora rilasciate.
Questa Organizzazione Non Governativa ha documentato anche 12 casi di incendi di case private o negozi, 12 altri casi di rapina a mano armata, 8 casi di imboscate tese a veicoli in circolazione, 4 casi di minacce di morte, 3 casi di violenza sessuale, 3 casi di giustizia popolare e 1 caso di arresto arbitrario. La maggior parte di questi crimini sono stati commessi nella regione di Beni (Nord Kivu) e , in misura minore, in Ituri. Secondo l’FPB, «tra le cause per le quali le ADF riescono a continuare a perpetrare questi massacri e violazioni dei diritti umani si possono citare: la minimizzazione, da parte dei servizi di sicurezza, degli allarmi loro inoltrati dalla popolazione, l’allentamento delle operazioni militari contro le ADF e la demotivazione dei soldati sul fronte, a causa del dirottamento del loro stipendio, ecc.». Per porre fine alle violenze, l’FPB chiede al Capo di Stato Maggiore delle FARDC di sostituire quegli ufficiali che si trovano sul posto già da molto tempo senza aver ottenuto alcun risultato positivo.[3]

Secondo un rapporto pubblicato il 22 febbraio 2021 dal Kivu Security Tracker (KST), nell’est della Repubblica Democratica del Congo ci sono ben 122 gruppi armati, in particolare nelle province di Nord Kivu, Sud Kivu, Ituri e Tanganica. Secondo questo rapporto, nel Sud Kivu ne sono stati identificati 64, nel Nord Kivu 46, nell’Ituri 11 e nel Tanganica 9. Alcuni gruppi armati operano simultaneamente anche in due o tre province.
Il Kivu Security Tracker afferma che questi gruppi armati ricorrono alla violenza per mantenere il controllo del loro territorio e sopravvivere mediante l’estrazione e il commercio delle risorse naturali. Il Kivu Security Tracker sottolinea che i 4 gruppi armati più importanti sono: le Forze Democratiche Alleate (ADF), le Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR), l’Alleanza dei Patrioti per un Congo Libero e Sovrano (APCLS) e il Nduma Defence for Congo (NDC-R). Essi sono responsabili di oltre un terzo delle violenze commesse e della metà dei civili uccisi. In particolare, l’ADF è responsabile di oltre un terzo (37%) delle uccisioni commesse dall’insieme dei gruppi armati.[4]

2. IL MESSAGGIO DEI VESCOVI

L’8 aprile, il Comitato Permanente della Conferenza Episcopale Nazionale del Congo (CENCO) ha pubblicato un messaggio dal titolo “Cessate di uccidere i vostri fratelli”, relativo alla situazione di insicurezza constatata nell’est della Repubblica Democratica del Congo nel corso di una missione pastorale, effettuata da una delegazione dei Vescovi dell’Associazione delle Conferenze Episcopali dell’Africa Centrale (ACEAC) e della CENCO nell’Est del Paese, in particolare nelle diocesi di Goma, Butembo-Beni e Bunia e svoltasi dal 14 al 26 gennaio 2021. Secondo i Vescovi:
«Le violenze perpetrate hanno causato morti, spostamenti della popolazione e saccheggi danneggiando, tra l’altro, l’economia di una regione considerata come il granaio del Paese. Le vittime si contano in migliaia: più di 6.000 morti a Beni dal 2013 in poi e più di 2.000 morti a Bunia nel solo 2020. Sono stati registrati anche almeno 3 milioni di sfollati e circa 7.500 persone sequestrate. A ciò, occorre aggiungere l’incendio di case private e di interi villaggi, la distruzione e conseguente chiusura di scuole, centri sanitari ed edifici amministrativi, il saccheggio di animali e prodotti agricoli, ecc.
La situazione è molto complessa. Gli aggressori utilizzano i punti deboli delle forze armate regolari per raggiungere il loro obiettivo politico o religioso: l’occupazione forzata delle terre, lo sfruttamento illegale delle risorse naturali, l’arricchimento privato, l’islamizzazione della regione a scapito della libertà religiosa, ecc….
Le autorità sono sopraffatte dagli eventi. Alcuni politici tendono a coprire i criminali per una loro opzione personale o sotto pressione della loro comunità di appartenenza. Altri sono strumentalizzati o assistono impotenti al crollo dell’indice della loro accettazione a livello popolare.
Su molte strade, i gruppi armati impongono tasse illegali sotto gli occhi delle autorità costituite e questo spesso avviene a una cinquantina di metri dalle postazioni dell’esercito regolare che, frequentemente, si comporta nello stesso modo.
Per quanto riguarda la situazione della diocesi di Beni-Butembo (Nord Kivu), diverse persone sostengono che non si tratta di un conflitto intracomunitario o intercomunitario, ma piuttosto di una strategia di occupazione delle terre e di balcanizzazione del Paese. Tuttavia, altri ritengono che, in una certa misura, ci siano anche degli aspetti intercomunitari del conflitto e ciò in seguito a un continuo e massiccio arrivo di popolazioni ruandofone denominate Banyabwisha e di altre che, provenienti dall’Uganda, non parlano alcuna lingua locale.
Per quanto riguarda la diocesi di Bunia (Ituri), la situazione è marcata da crisi ricorrenti e multiformi di cui la popolazione è la principale vittima. I principali gruppi armati, alcuni dei quali sono presenti anche a Beni-Butembo, sono: la Cooperativa per lo Sviluppo del Congo (CODECO), la Forza di Resistenza Patriottica dell’Ituri (FRPI), la Forza Patriottica Integrazionista del Congo (FPIC) denominata anche Chini ya Kilima, le Forze Democratiche Alleate (ADF), la Madina a Tauheed Wau Mujahedeen (MTM, jihadisti associati alle milizie mayi-mayi), le Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR), l’Unione dei Patrioti per la Liberazione del Congo (UPLC), le milizie MAYI-MAYI, l’ex Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo (CNDP) o Movimento del 23 marzo (M23), l’Esercito di Liberazione del Congo (ALC), il Fronte Popolare per l’Autodifesa (FPAC), ecc.
I militari dell’esercito regolare sono presenti, ma l’impatto della loro presenza è molto relativo. Alcuni attribuiscono loro il merito di aver compiuto grandi sforzi per arginare i massacri e i saccheggi. Altri invece accusano alcuni ufficiali superiori di ostacolare l’avanzamento delle loro truppe. D’altra parte, la molteplicità dei centri di comando dell’esercito e l’esiguità dei suoi interventi contro le milizie permettono il saccheggio e rafforzano l’economia criminale.
In realtà, secondo vari osservatori, le Forze Armate della Repubblica Democratica del Congo (FARDC) sono caratterizzate da:
– la sedentarizzazione di alcuni ufficiali rimasti troppo a lungo sul posto e che si oppongono ad essere dispiegati altrove;
– il basso livello dello stipendio dei militari e il frequente dirottamento dei fondi riservati agli stipendi e all’approvvigionamento alimentare, ciò che provoca lo scoraggiamento dei militari stessi;
– la mala gestione del personale militare, a volte insufficiente, altre volte fittizio. Spesso, chi rimane ucciso sul fronte non viene né recensito, né dichiarato;
– la forte infiltrazione di militari stranieri, attraverso dubbiose operazioni di integrazione, nell’esercito nazionale, di membri di precedenti gruppi armati;
– la presenza di ex ribelli RCD, CNDP e M23 nelle file dei soldati impegnati nelle operazioni militari condotte contro i gruppi armati e sospettati di complicità con il nemico;
– l’affarismo di alcuni ufficiali, interessati più per l’attività commerciali che della guida delle operazioni militari.
– l’elevata porosità delle frontiere che facilita gli ingressi notturni di uomini armati dai paesi vicini.
La popolazione si sente abbandonata. Le promesse del governo centrale per un rapido ritorno alla pace sono numerose, ma molto sono spesso non sono state mantenute.
Vari autori di crimini sono coperti e protetti da alcuni politici che continuano a fomentare i conflitti per trarne profitto. Essi sarebbero addirittura strumentalizzati e appoggiati da forze esterne, per depredare le risorse naturali locali grazie al perdurare della crisi.
La debolezza delle istituzioni giudiziarie e l’impunità fanno sì che gli ex detenuti tornino nel ciclo della violenza, a causa della mancanza di un loro reinserimento nella vita sociale e comunitaria.
La MONUSCO è accusata di passività e persino di complicità dalla popolazione. La sua presenza desta sempre più sospetti e scetticismo, perché non è riuscita a fermare le stragi, anche quando esse avvengono a pochi metri dalle postazioni delle forze dell’Onu.
Tra le raccomandazioni:
– Regolarizzare il pagamento degli stipendi dei militari, soprattutto quelli delle truppe, verificare il modo con cui si utilizzano le risorse assegnate alle unità impegnate nelle operazioni, effettuare un controllo sul personale effettivo e assicurare la logistica necessaria sul fronte delle operazioni. Dirottare i fondi destinati agli stipendi e alla razione alimentare dei militari impegnati sul fronte è un atto criminale.
– Trasferire / permutare tutti gli ufficiali militari che hanno partecipato alle varie ribellioni o gruppi armati attivi nell’est del paese e allontanare dalla catena di comando e dall’organizzazione logistica quelli che sarebbero ritenuti complici di eserciti stranieri.
– Rafforzare gli effettivi dei reggimenti e fornire loro adeguate risorse logistiche, tra cui droni da ricognizione e attacco, al fine di ridurre le perdite in vite umane e danni materiali.
– Chiedere un’operazione militare internazionale simile a quella denominata “ARTEMIS” che fu effettuata dal 6 giugno al 6 settembre 2003 in Ituri, con truppe dell’Unione Europea sotto l’autorità del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, secondo la sua risoluzione 1484 del 30 maggio 2003.
– Rinforzare il processo di disarmo e smobilitazione e assicurare l’assistenza e il reinserimento sociale di quelli che hanno deposto le armi. Molti di loro stanno ritornando nei gruppi armati o vanno a ingrossare le fila dei vari gruppi di banditi e gangster.
– Istituire un ambito di consultazione permanente per la coesione e la pace nell’Est, guidato da un osservatorio scientifico multidisciplinare e coinvolgere i leader locali nella sensibilizzazione alla convivenza pacifica, attraverso il consolidamento del dialogo intracomunitario e intercomunitario».[5]

Il deputato nazionale Grégoire Kiro, eletto a Beni (Nord Kivu), si è espresso a proposito delle operazioni militari attualmente condotte contro le Forze Democratiche Alleate (ADF) nella regione di Beni (Nord Kivu) e dell’Ituri, senza tuttavia pervenire a qualche risultato sufficientemente positivo. Egli ha affermato che il problema è essenzialmente militare e ha precisato che l’appropriazione indebita, da parte di alcuni ufficiali militari superiori, dei fondi stanziati dallo Stato per pagare gli stipendi dei soldati impegnati sul fronte è una delle principali cause del persistere dell’insicurezza e dei massacri nell’est del Paese. Egli ha fatto notare che «queste malversazioni di denaro, da parte di certi ufficiali dell’esercito, contribuiscono allo scoraggiamento dei soldati sul fronte e sono la causa di molte diserzioni: finché esse continueranno e finché i responsabili non saranno sanzionati, nulla cambierà». Grégoire Kiro ha aggiunto che l’esercito congolese è minato dalla corruzione e dall’affarismo di alcuni ufficiali che, tuttavia, usufruiscono di una totale impunità; non dispone dei mezzi logistici necessari (armi, munizioni, veicoli, carburanti, …) e non è un corpo omogeneo, essendo un amalgama di diversi gruppi armati, in esso integrati in seguito ad accordi spesso molto oscuri. Secondo lui, nella sua attuale configurazione, l’esercito congolese è purtroppo inefficace e deve essere riformato.[6]

In un’intervista, il deputato Gratien Iracan, eletto a Bunia (Ituri), ha affermato che l’insicurezza nell’est del Paese è dovuta all’affarismo di alcuni alti ufficiali dell’esercito e della polizia che collaborano con i gruppi armati, traendone enormi vantaggi economici: «Ci sono molte indizi che rivelano una stretta collaborazione tra alcuni ufficiali dell’esercito e della Polizia con diversi gruppi armati: scambi di informazioni, commercio di armi e munizioni tra forze di sicurezza e gruppi armati, pianificazione congiunta di attacchi ai villaggi, organizzazione di finti scontri per ottenere maggiori contribuzioni governative, operazioni finanziarie “di ritorno” su acquisti di alimentari e medicine».[7]

3. UNA COMMISSIONE PARLAMENTARE “SPECIALE E TEMPORANEA” SULLA SITUAZIONE D’INSICUREZZA NELL’EST DEL PAESE

Il 29 marzo, all’inizio della seduta plenaria dell’Assemblea Nazionale, alcuni deputati del Gran Kivu (Nord Kivu, Sud Kivu e Ituri) hanno organizzato una manifestazione per chiedere il ritorno della pace nelle loro province di origine. In particolare, essi hanno chiesto che la questione dell’insicurezza permanente in cui si trova l’est del paese sia trattata con priorità durante l’attuale sessione parlamentare di marzo.
Da parte sua, il presidente della Camera dei deputati, Christophe Mboso, ha loro risposto: «Ne parleremo e vi chiederò di uscire dai gruppi armati. Alcuni di voi, attraverso i loro discorsi, sono alla base dei conflitti intercomunitari. Colleghi del Grand Kivu, abbandonate i gruppi armati. Ve lo dirò».
Di fronte a una tale reazione da parte del presidente Christophe Mboso, i deputati dell’est hanno intensificato la loro protesta, ciò che ha spinto il primo vice presidente dell’Assemblea Nazionale, Jean-Marc Kabund ad intervenire, confermando che, nel caso in cui qualche deputato fosse interpellato in giustizia per questioni relative all’insicurezza del Paese, il Comitato di presidenza dell’Assemblea nazionale non interverrà affatto per proteggerlo. Per quanto riguarda la recente reazione del presidente Christophe Mboso, egli ha indicato che si è trattato di una affermazione che va oltre l’indicizzazione di un gruppo di individui: «tutti i Congolesi devono sentirsi implicati in questa questione, perché non si può essere Congolesi e, contemporaneamente, partecipare alla distruzione del proprio paese commettendo atti di criminalità come quelli cui stiamo assistendo nell’est del nostro Paese».
Nel suo discorso di apertura della sessione parlamentare di marzo, Christophe Mboso aveva già esortato «tutti i nostri connazionali congolesi che, in un modo o in un altro, collaborano con i gruppi armati ancora attivi nell’est del Paese, ad uscirne definitivamente, per dimostrare il loro attaccamento alla patria e il loro amore per il nostro popolo. I Congolesi non possono essere complici di quelli che uccidono e massacrano le nostre sorelle e i nostri fratelli». In quell’occasione, egli aveva indicato che l’Assemblea nazionale si sentiva in dovere di chiedere al governo di accelerare il programma di disarmo, smobilitazione e reintegrazione sociale (DDR) a favore di quei connazionali che abbandoneranno i gruppi armati o cesseranno di esserne complici, affinché abbiano un’occupazione dignitosa che permetta loro di mantenere la loro famiglia e di partecipare al progresso e allo sviluppo del Paese.
A metà aprile 2019, in una sua visita a Goma, capoluogo del Nord Kivu, anche il Presidente della Repubblica, Félix Tshisekedi, aveva già dichiarato che «non ci sarà alcuna immunità per quei parlamentari che contribuiscono alla persistenza dell’insicurezza … I parlamentari hanno un potere di persuasione. Attraverso i loro discorsi e atteggiamenti, essi possono contribuire a ristabilire la pace».[8]

In risposta alla recente dichiarazione del presidente dell’Assemblea nazionale, i deputati nazionali del Grande Kivu hanno dichiarato ogni loro implicazione in quanto detto. Hanno fatto sapere che hanno sempre partecipato alle varie campagne indette per il ritorno della pace nell’est del Paese. Hanno sottolineato che essi hanno sempre svolto il loro ruolo parlamentare con tutta responsabilità, ma che le autorità a loro volta competenti non si sono sempre sufficientemente impegnate, soprattutto per quanto riguarda la necessità di arrestare e processare i fautori dell’insicurezza. Hanno aggiunto che «i risultati delle operazioni militari condotte contro i gruppi armati non sono sufficientemente soddisfacenti, a causa della malversazione, da parte di certi ufficiali, dei fondi ad esse destinati e del traffico illegale di armi e munizioni esistente tra alcuni ufficiali delle forze di sicurezza  e i capi dei gruppi armati. Questo secondo aspetto è una prova sufficiente dell’implicazione dei servizi di sicurezza nella perpetuazione dei massacri. Nonostante le denunce dei parlamentari, gli autori dei crimini non sono mai stati arrestati. Nel frattempo i militari sul fronte  sono totalmente abbandonati a se stessi, ciò che ha un impatto negativo sul loro lavoro».
Infine, i deputati hanno formulato 5 proposte per poter riportare la pace e la sicurezza nell’est del paese:
«– Iscrizione della questione relativa all’insicurezza nell’Est del Paese, in particolare nel Nord Kivu e nell’Ituri, nel calendario di attività della sessione parlamentare di marzo;
– Istituzione di un audit, al fine di tracciare la catena dei fondi messi a disposizione delle forze di sicurezza, sin dall’inizio delle operazioni militari a Beni;
– L’organizzazione di processi nei confronti delle persone arrestate per operazioni di rifornimento delle ADF;
– Creazione di altri meccanismi di mantenimento dei soldati impegnati sul fronte;
– Accelerazione del programma DDR-C, per consentire una miglior presa in carica di chi intende deporre le armi».[9]

Il 30 marzo, in occasione dell’apertura della sessione parlamentare di marzo, il presidente dell’Assemblea provinciale del Nord Kivu, Robert Seninga, ha chiarito che, «nei gruppi armati attivi nell’est del Paese, non c’è alcun deputato. Il presidente dell’Assemblea nazionale ha fatto appello alla coscienza di ciascuno. Come ben sapete, ci sono certi figli della provincia che si sono smarriti e che stanno commettendo questi crimini e noi, come responsabili politici, dobbiamo impegnarci a sensibilizzarli, affinché possano rinunciare alle loro attività criminali, abbandonare i gruppi armati cui appartengono e rispondere positivamente all’appello del Capo del Stato, affinché depongano le armi, per contribuire allo sviluppo economico e sociale della nostra provincia».[10]

Secondo l’analista Boniface Musavuli, accusando i suoi stessi colleghi parlamentari del Nord Kivu di essere membri di gruppi armati, il presidente dell’Assemblea nazionale, Christophe Mboso, in una certa misura, ha accusato anche la popolazione del Nord Kivu di essere responsabile dei massacri di cui essa stessa è vittima. Messo alle strette dai deputati accusati che gli hanno chiesto di rivelare i nomi dei parlamentari che farebbero parte di gruppi armati, Christophe Mboso ha risposto che non farà mai alcun nome. In effetti, non ne ha nessuno  a sua disposizione. Infatti, leggendo i rapporti delle Nazioni Unite, egli sa bene che i gruppi armati sono piuttosto appoggiati da ufficiali dell’Esercito e della Polizia che forniscono loro armi, munizioni, informazioni, uniformi e quant’altro. Mboso sapeva che stava muovendo un’accusa infondata, ma doveva farlo. Missione compiuta. Senza prove e senza procedure giudiziarie in corso, egli doveva semplicemente far passare nell’opinione pubblica l’idea che, nel Kivu, è la popolazione a essere responsabile dei massacri che essa stessa subisce. Perché? Per nascondere i fallimenti e le complicità interne dei servizi di sicurezza e difesa con il nemico.
Si tratta del modo di funzionamento del regime ruandese, che sta attualmente sostenendo il potere del Presidente Felix Tshisekedi, in continuità con l’alleanza Kabila – Kagame. Per il Fronte Patriottico Ruandese (FPR), il modo migliore per massacrare un popolo senza esserne ritenuto responsabile è presentare questo popolo massacrato come “responsabile” della propria sofferenza. È grazie a questa strategia di comunicazione che Kagame e i suoi alleati hanno massacrato innumerevoli Hutu, in Ruanda e Congo, dal 1994 in poi, senza essere considerati dei criminali. Il regime ruandese non lesina sforzi, affinché i crimini del suo esercito e delle sue milizie siano sistematicamente attribuiti alle loro vittime. Il presidente Félix Tshisekedi e i suoi alleati sono sicuramente diventati le gemme rare di Kagame perché, d’ora in poi, tutti i crimini che il suo esercito e le sue milizie hanno commesso, stanno commettendo e commetteranno sul suolo congolese saranno addossati, mediante le dichiarazioni delle stesse autorità congolesi, alle stesse popolazioni massacrate.[11]

In seguito alla polemica creatasi dopo la presa di posizione del presidente dell’Assemblea nazionale nei confronti dei deputati del Grande Kivu sulla questione dei gruppi armati, il capo di gabinetto della presidenza dell’Assemblea nazionale, Samuel Mbemba, ha firmato un comunicato stampa in cui egli precisa che «le osservazioni di Christophe Mboso vanno intese come un appello generale a un maggiore risveglio di coscienza e di patriottismo rivolto al popolo congolese. Non si tratta quindi di accuse mosse contro i deputati del Gran Kivu».[12]

Il 7 aprile, il Comitato di presidenza dell’Assemblea nazionale ha presentato un progetto di risoluzione sull’istituzione di una commissione parlamentare “speciale e temporanea” sulla situazione di insicurezza nell’est del Paese. La risoluzione è stata approvata, ma potrà essere ancora modificata. Le province interessate sono 8: Ituri, Nord Kivu, Sud Kivu, Maniema, Haut-Uele, Bas-Uele, Haut-Katanga e Haut-Lomami. La commissione avrà a sua disposizione un mese e sarà composta da 15 deputati esterni alle province interessate. La commissione avrà tre missioni principali: a. identificare i gruppi armati stranieri e locali e i loro responsabili; b. fare un inventario di tutti i mezzi messi a disposizione dei servizi di sicurezza e di difesa impegnati nella lotta contro questi gruppi armati stranieri e locali e c. chiarire le responsabilità di tutti quelli che vi sono implicati. L’inizio della missione resta ancora da definire.[13]

Già nel secondo trimestre del 2020, nell’ambito della commissione per la difesa e la sicurezza, l’Assemblea Nazionale aveva proceduto all’audizione del vice primo ministro e ministro dell’Interno e della sicurezza, Gilbert Kankonde, e del ministro della Difesa, Aimé Ngoy Mukena. Nel giugno dello stesso anno, la commissione per la difesa e la sicurezza aveva presentato delle raccomandazioni, tra cui:
– Organizzazione di un ambito di concertazione tra l’Assemblea Nazionale e il Governo, per riflettere sui modi e mezzi per mobilitare “risorse finanziarie fuori bilancio” a favore dell’Esercito e della Polizia, al fine di garantirne il funzionamento e l’acquisto delle attrezzature necessarie e di migliorare la retribuzione del personale militare;
– Costituzione di una commissione parlamentare d’inchiesta sul tema della complicità di alcuni politici, militari e autorità locali con i vari gruppi armati e sui casi di appropriazione indebita di fondi dello stato destinati al funzionamento dell’Esercito, all’approvvigionamento alimentare dei militari e alla pensione delle vedove e degli orfani dei militari deceduti sul fronte;
– Riabilitazione e costruzione di caserme militari su tutto il territorio della Repubblica;
– Appello rivolto al governo, affinché possa trasmettere al Parlamento il progetto di legge sulla programmazione militare su “Addestramento, Equipaggiamento e Caserme”, nell’ambito del piano di riforma militare;
– Rafforzamento della cooperazione giudiziaria tra la RDCongo e i paesi limitrofi, mediante accordi bilaterali di estradizione.
Queste raccomandazioni erano state approvate in seduta plenaria dell’Assemblea nazionale il 19 giugno 2020, ma non sono mai state attuate.[14]

4. UN DIALOGO INTERCOMUNITARIO PER LA PACE SUGLI ALTIPIANI DI FIZI, UVIRA E MWENGA-ITOMBWE (SUD KIVU)

Il 29 marzo, si è aperto a Kinshasa un dialogo intercomunitario per la pace sugli altipiani di Fizi, Uvira e Mwenga-Itombwe (Sud Kivu). Vi hanno partecipato varie personalità, tra cui il presidente del Senato, Modeste Bahati Lukwebo, anch’egli originario della provincia del Sud Kivu. I lavori si sono conclusi il 31 marzo.
Tra febbraio e dicembre 2020, erano già stati avviati alcuni incontri preliminari tra i rappresentanti delle diverse comunità, tra cui i Babembe, i Babuyu, i Bafuliiru, i Banyamulenge, i Banyindu, i Barundi e i Bavira. Secondo i dati diffusi dal Comitato Congiunto delle Nazioni Unite per i Diritti Umani (BCNUDH), il Sud Kivu è la terza provincia, dopo il Nord Kivu e l’Ituri, in cui si registra il maggior numero di violazioni dei diritti umani.
Nel suo intervento di apertura, il presidente del Senato, Modeste Bahati Lukwebo, ha riconosciuto che, già nel passato, si erano organizzati altri incontri sullo stesso tema, ma senza produrre i risultati sperati: «Nonostante tutti quegli incontri, la pace non è mai diventata realtà. Ci sono ancora molti morti, saccheggi, incendi di case private e di villaggi interi, distruzione di infrastrutture. I gruppi armati sono i primi responsabili di questi crimini e, purtroppo, spesso essi usufruiscono della complicità delle rispettive comunità … Questo dimostra a sufficienza che non siamo mai stati sinceri in quello che diciamo e facciamo … Auspico, quindi, che questo incontro sia quello della verità e che le raccomandazioni che da esso usciranno siano interiorizzate e messe in pratica da tutti i partecipanti».[15]

In un’intervista, il delegato della comunità dei Bafuliro, Kimweta Kangeta, ha affermato che, «affinché ci sia pace tra noi, quelli che si fanno chiamare Banyamulenge debbano abbandonare questo nome, perché è un nome che fa problema. Esso rappresenta come un furto di identità culturale, perché questo nome, Mulenge, indica una delle località del nostro territorio dei Bafuliro. In Congo, non esiste una tribù denominata Banyamulenge. In altre parole, quando essi usurpano quel nome, significa che vogliono appropriarsi delle nostre terre tradizionali e ancestrali … Quando vogliono essere riconosciuti come Banyamulenge, in fin dei conti dicono che Mulenge appartiene a loro, mentre noi siamo i veri proprietari di Mulenge. È questo che crea conflitto. Quando sono nato, li ho trovati lì, abbiamo vissuto insieme. Erano conosciuti come Banyarwanda. Perché hanno allora si sono inventati un nome diverso? Si tratta di uno pseudonimo e ogni pseudonimo nasconde qualcosa. Quindi hanno delle intenzioni nascoste. Hanno ricevuto la nazionalità congolese, alcuni di loro sono stati vicepresidenti della Repubblica, ministri, parlamentari, governatori, ecc. Con il nome Banyamulenge, cosa stanno cercando? Non possono essere congolesi senza quel nome? Se abbandonassero quel nome, il problema sarebbe finito e continueremmo a vivere insieme».[16]

Il deputato provinciale del Sud Kivu, presidente della commissione per l’ambiente, risorse naturali e miniere e rappresentante dei Babembe, Alimasi Malumbi Matthieu, ha affermato che «il problema riguarda la proprietà delle terre. La causa dei problemi delle nostre comunità e dei nostri rispettivi villaggi è la repentina e inaspettata creazione di una nuova entità territoriale. Non si può, per esempio, creare un nuovo comune (come quello di Minembwe) senza consultare l’insieme della popolazione residente. La creazione di un nuovo comune deve iniziare dalla base e non in  un ufficio qualunque. È necessario rispettare la legge sulla creazione delle entità territoriali e passare attraverso l’Assemblea provinciale. Non si può accettare che si prendano determinate decisioni senza consultare l’Assemblea provinciale o, addirittura, contro il suo parere».[17]

Il professor Sadiki Byombuka, uno dei delegati della comunità dei Babembe, ha affermato che questo ultimo incontro ha permesso di discutere i vari problemi che affliggono la regione. Egli è ritornato sulla spinosa questione della creazione del nuovo comune di Minembwe: «Nel complesso, sono soddisfatto che il dialogo ci abbia permesso di dialogare con le altre comunità in modo pacifico, sereno e senza pressioni. Tuttavia, tra noi e i Banyamulenge continua ad esistere una profonda divergenza che è quella relativa alla creazione del comune di Minembwe. Noi Babembe auspichiamo che esso venga abolito, perché rappresenta l’inizio della balcanizzazione del paese. Da parte loro, i Banyamulenge, cui interessa questo inizio di balcanizzazione, vogliono che essosia mantenuto. Noi Babembe vogliamo che lo Stato eviti di creare nuove entità territoriali che possono rivelarsi problematiche, perché invadono il territorio altrui, ledono il potere dell’autorità locale e aprono la strada a delle infiltrazioni provenienti dal Ruanda e dal Burundi».
La comunità dei Babembe è preoccupata anche per le diserzioni di alcuni ufficiali dell’esercito che, membri della comunità dei Banyamulenge, si sono ritirati sugli alti e medi altipiani: «Si tratta dei colonnelli Makanika e Sematama, della comunità di Banyamulenge. Quest’ultimo ha disertato un mese fa, con armi e munizioni. Il fondo del problema è che questi ufficiali Banyamulenge disertori sono in collusione con il Ruanda e il Burundi. Fino a quando degli ufficiali di una determinata tribù o comunità originaria del Ruanda lasciano l’esercito nazionale per integrarsi in un movimento ribelle, le tensioni intercomunitarie non si placheranno. La continua diserzione degli ufficiali Banyamulenge è un pericolo nazionale e alimenta quindi sempre più le tensioni … C’è un modo di parlare ufficiale e diplomatico in cui ci sono cose intercomunitarie che non vengono dette chiaramente. Si favorisce il discorso della convivenza intercomunitaria e si evita di riconoscere che c’è un movimento di ribellione in atto».[18]

Uno dei rappresentanti della comunità dei Banyindu, Willy Bush, ha sottolineato che, «da noi nel Kivu, non ci sono comunità, ma tribù. Il termine comunità viene utilizzato per includere gli altri. Tra le nostre tribù non ci sono mai stati problemi, ma li abbiamo con i Banyamulenge. Se vogliono rispettare le leggi congolesi, devono comportarsi come dei rifugiati arrivati in Congo. Allora non avranno più problemi. Ma fino a quando essi si comporteranno come conquistatori, noi non resteremo a mani incrociate».[19]

Secondo il capo della delegazione della comunità dei Bavira, Virgile Suhamili, questo dialogo intercomunitario che avrebbe dovuto fornire una soluzione ai problemi di insicurezza sugli alti e medi altipiani di Fizi, Uvira e Mwenga, non ha raggiunto il suo obiettivo. Egli deplora, ad esempio, il fatto che non ci sia stato un dibattito chiaro con la comunità dei Banyamulenge sulla situazione del raggruppamento di Bijombo dove , secondo lui, ci sono autorità parallele, benché appartenga alla comunità dei Bavira.[20]

Il presidente del consiglio degli anziani dei Bafuiliro, Kimwanga Kangela, ha affermato che, in questo ultimo incontro intercomunitario si sono compiuti dei passi avanti nella ricerca di soluzioni ai problemi che stanno lacerando la regione. Ma, secondo lui, la questione che non ha trovato una risposta soddisfacente è quella relativa all’identità culturale dei Tutsi congolesi che si fanno chiamare Banyamulenge: «è la nostra propria identità che essi hanno usurpato come loro identità di adozione».[21]

Per quanto riguarda l’identità dei Banyamulenge, il deputato nazionale Moïse Nyarugabo, membro della comunità dei Banyamulenge e presente all’incontro, ha affermato che essa non è negoziabile: «Per la comunità dei Banyamulenge, la sua identità, il suo nome e la sua nazionalità sono cose che non possono essere negoziate. Né ieri né oggi. È come se si chiedesse a questa comunità di negoziare la sua umanità».[22]

Il presidente della società civile dell’Itombwe, Andréa Amongu, ha affermato che questo dialogo non è che un altro dialogo in più che non può portare ad alcun risultato positivo, poiché i veri belligeranti sul posto, cioè i capi dei gruppi armati, non vi hanno partecipato. Ha quindi proposto che l’esercito conduca operazioni su larga scala sugli alti e medi altipiani di Fizi, Uvira e Mwenga, per sconfiggerli definitivamente: «Su questa situazione,ci eravamo già incontrati a Uvira e a Muresa, ma senza trovare alcuna soluzione. È per questo che diciamo che anche questo incontro di Kinshasa non porterà a nulla. Il grosso problema è che i veri attori non si sentono implicati. Anche se noi continuiamo ad incontrarci, Kibukila, Yakotumba e Makanika sono d’accordo con quello che stiamo facendo? Finché non convinceremo questi tre signori, niente funzionerà. Ecco perché lo Stato deve usare la forza contro di loro. È l’unica soluzione».[23]

I partecipanti al dialogo intercomunitario tenutosi a Kinshasa dal 29 al 31 marzo 2021 hanno concluso i lavori formulando le seguenti raccomandazioni:
I. Per quanto riguarda il miglioramento della governance locale:
– Organizzare le elezioni locali
– Completare le riforme relative alle entità territoriali decentralizzate (ETD), precisando i confini tra ETD e entità territoriali
deconcentrate
– Applicare la legge sullo statuto delle autorità tradizionali
– Rendere operativi i comitati consultivi di regolamentazione e di risoluzione dei conflitti relativi a questioni di tipo tradizionale
– Garantire l’inclusione delle varie comunità nella designazione degli amministratori delle entità
– Coinvolgere l’Istituto nazionale di geopolitica nella risoluzione dei conflitti tra ETD
– Reclutare gli amministratori di territorio nel rispetto delle norme (Bandi di gara)
– Favorire le vie di comunicazione e trasporto
– Applicare la giustizia a tutti
– Rendere effettiva la commissione “storia e pace” annunciata dal Capo dello Stato
– Organizzare degli spazi per ogni settore di attività (transumanza, agricoltura e habitat)
– Garantire l’applicazione dell’accordo sulla transumanza e trasformarlo in decreto legge provinciale
II. Per quanto riguarda il miglioramento della qualità dei rapporti tra le comunità:
– Vietare i discorsi di incitamento all’odio
– Rispettare gli accordi di pace conclusi tra le comunità e i relativi impegni presi
– Promuovere il rispetto reciproco
– Rispettare le identità culturali e gli usi e costumi degli uni e degli altri
– Rispettare le autorità tradizionali locali legalmente stabilite
– Promuovere lo spirito di tolleranza
– Facilitare il ritorno dei rifugiati
– Realizzare progetti comuni per la costruzione e/o il mantenimento delle infrastrutture
III. Per ridurre le violenze (massacri, saccheggi, sequestri) commesse dai gruppi armati:
– Identificare i mandanti e gli esecutori delle violenze, affinché rendano conto delle loro azioni davanti alla giustizia
– Applicare la giustizia di transizione
– Effettuare delle inchieste oggettive per inventariare i danni commessi
– Impostare un processo di Disarmo e Reinserimento (DDR) adattato al contesto e alle realtà locali
– Studiare una strategia nazionale di prevenzione e gestione dei conflitti.[24]

[1] Cf Isaac Kisatiro – 7sur7.cd, 12.02.’21
[2] Cf Actualité.cd, 26.03.’21
[3] Cf Isaac Kisatiro – 7sur7.cd, 06.03.’21
[4] Cf Déogratias Cubaka – 7sur7.cd, 24.02.’21
[5] Cf http://www.cenco.org/arretez-de-tuer-vos-freres/
[6] Cf Yassine Kombi – Actualité.cd, 15.07.’20; Ivan Kasongo – Actualité.cd, 09.01.’21
[7] Cf Radio Okapi, 12.01.’21
[8] Cf Jephté Kitsita – 7sur7.cd, 29.03.’21; AFP – Lalibre.be/Afrique, 30.03.’21; Prince Mayiro – 7sur7.cd, 30.03.’21
[9] Cf Berith Yakitenge – Actualité.cd, 30.03.’21
[10] Cf Glody Murhabazi – 7sur7.cd, 30.03.’21
[11] Cf Boniface Musavuli – Benilubero.com, 06.04.’21
[12] Cf Jephté Kitsita – 7sur7.cd, 30.03.’21
[13] Cf Berith Yakitenge – Actualité.cd, 07.04.’21
[14] Cf Actualité.cd, 07.04.’21
[15] Cf Ivan Kasongo – Actualité.cd, 29.03.’21; Jephté Kitsita – 7sur7.cd, 29.03.’21
[16] Cf Actualité.cd, 31.03.’21
[17] Cf Actualité.cd, 31,03.’21
[18] Cf Clément Muamba – Actualité,cd, 01.04.’21
[19] Cf Clément Muamba – Actualité.cd, 01.04.’21
[20] Cf Clément Muamba – Actualité.cd, 01.04.’21
[21] Cf Clément Muamba – Actualité.cd, 01.04.’21
[22] Cf Jephté Kitsita – 7sur7.cd, 01.04.’21
[23] Cf Lubunga Lavoix – Actualité.cd, 31.03.’21
[24] Cf Clément Muamba – Actualité.cd, 02.04.’21