Congo Attualità n. 415

TENSIONE AL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA E ALLA CORTE COSTITUZIONALE

INDICE

1. LE DIMISSIONI DEL MINISTRO DELLA GIUSTIZIA, CÉLESTIN TUNDA YA KASENDE
2. FÉLIX TSHISEKEDI E LA CORTE COSTITUZIONALE: I RETROSCENA DI UN BRACCIO DI FERRO

1. LE DIMISSIONI DEL MINISTRO DELLA GIUSTIZIA, CÉLESTIN TUNDA YA KASENDE

Il dibattito parlamentare sui tre progetti di legge relativi alla riforma giudiziaria e presentati dai deputati Aubin Minaku e Garry Sakata, ha messo in luce le numerose divergenze esistenti tra le due componenti politiche, il Fronte Comune per il Congo (FCC) e Verso il Cambiamento (CACH), membri della coalizione attualmente al potere. È in seguito a queste divergenze che, l’11 luglio, il vice primo ministro e ministro della giustizia, Célestin Tunda ya Kasende, si è dimesso dal suo incarico, presentando la sua lettera di dimissioni al primo ministro Ilunga Ilunkamba.
Cos’è successo?
Il 26 giugno, il Consiglio dei ministri presieduto dal Capo dello Stato, Félix Tshisekedi, doveva esaminare le osservazioni formulate dalla Commissione Interministeriale Permanente “Leggi e Testi Normativi” sui tre progetti di legge presentati dai due deputati e trasmessi al Governo per eventuali emendamenti, secondo l’articolo 130 comma 3 della costituzione.
Secondo alcune informazioni, il presidente della Repubblica e gli altri membri del Consiglio dei ministri sono rimasti sorpresi nell’apprendere che, su iniziativa personale, il Vice Primo Ministro e Ministro della Giustizia avesse già trasmesso all’Assemblea nazionale, il 18 giugno, il parere favorevole del governo sui tre progetti di legge relativi alla riforma giudiziaria, benché non fossero ancora stati discussi in Consiglio dei Ministri.
Infatti, il 15 giugno, la Presidente dell’Assemblea Nazionale, Jeanine Mabunda, invia al Primo Ministro, Sylvestre Ilunkamba, una lettera in cui gli chiede di comunicarle il parere del governo sui tre progetti di legge in questione.
Il 22 giugno, il Primo ministro trasmette la richiesta della Presidente dell’Assemblea Nazionale al Ministro della Giustizia Célestin Tunda: “Inoltro in vista di eventuali osservazioni da farmi pervenire entro il 26 giugno 2020, per poterle poi trasmettere all’Assemblea Nazionale”.
Il 26 giugno, il Consiglio dei ministri viene a conoscenza di una lettera datata del 18 giugno, in cui il ministro della Giustizia Célestin Tunda, ancor prima di ricevere la lettera del Primo ministro Sylvestre Ilunkamba, aveva già trasmesso all’Assemblea nazionale un parere favorevole del governo sui tre progetti di legge che, in quei giorni, erano oggetto di discussione da parte della Commissione Politica, Amministrativa e Giuridica (PAJ) della stessa Assemblea Nazionale.
L’opposizione ha denunciato il fatto che il ministro Célestin Tunda abbia oltrepassato il Consiglio dei ministri, per esprimere opinioni sue a nome del governo. Su Twitter, il deputato Claudel Lubaya ha scritto: «Trasmettendo personalmente al Parlamento delle osservazioni relative ai tre progetti di legge, ma non convalidate dal Governo, il ministro della Giustizia ha commesso un grave errore. Non essendoci più la fiducia, egli dovrà dimettersi o essere revocato».
Da parte sua, il presidente dell’Associazione Congolese per la Difesa dei Diritti Umani (ACAJ), George Kapiamba, ha chiesto al Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione di «aprire urgentemente un’inchiesta sulle circostanze in cui il vice primo ministro e ministro della giustizia, Célestin Tunda, ha inviato all’Assemblea Nazionale, a nome del Governo, delle osservazioni sui tre progetti di legge Minaku-Sakata, ancor prima che il Governo si pronunciasse in merito».
Con questi tre progetti di legge, i deputati Aubin Minaku e Garry Sakata propongono la creazione di una conferenza dei pubblici ministeri come organo di consultazione e di discussione. Questa conferenza sarebbe presieduta dallo stesso ministro della Giustizia che, tra l’altro, avrebbe anche la possibilità di segnalare eventuali errori commessi da un magistrato. Revocare, sospendere o rimproverare un magistrato rimarrebbe comunque di competenza del Consiglio Superiore della Magistratura.[1]

Il 27 giugno, Célestin Tunda Ya Kasende, vice primo ministro e ministro della giustizia, è stato arrestato mentre si trovava nella sua abitazione situata nel quartire di Delvaux, comune di Ngaliema (Kinshasa) e condotto presso l’ufficio del procuratore generale della Corte di cassazione. Sospettato di “creazione e uso di falso in documento”, è stato rilasciato dopo alcune ore di interrogatorio.
Questo arresto ha irritato il campo politico del ministro, il Fronte Comune per il Congo (FCC) che, detenendo la maggioranza in Parlamento, potrebbe porre fine all’attuale coalizione di Governo con CACH e rivendicare un regime di coabitazione che comporterebbe la creazione di un nuovo governo senza i membri del CACH del Presidente Tshisekedi.
Secondo Emmanuel Ramazani Shadary, segretario permanente del Partito Popolare per la Ricostruzione e la Democrazia (PPRD), il partito dell’ex presidente della Repubblica Joseph Kabila, «per poter arrestare un ministro, il tribunale deve chiedere l’autorizzazione dell’Assemblea nazionale, ciò che non è stato fatto. Perciò il PPRD ha l’impressione che si stia instaurando una dittatura ancor più forte di quella di Mobutu [dittatore della RD Congo (ex-Zaire) dal 1965 al 1997]. Ai nostri amici alleati diciamo: se non vogliono più un regime di coalizione, non resta che optare per un regime di coabitazione, in cui l’FCC gestirebbe il Paese da solo, in collaborazione con un Presidente della Repubblica membro di un altro schieramento politico».
Da parte sua, in una dichiarazione letta dal suo portavoce, il primo ministro Sylvestre Ilunga Ilunkamba ha denunciato un arresto “brutale e arbitrario”. Evocando, nello stesso tempo, un “atto di umiliazione”, in “violazione delle regole più elementari di uno Stato di diritto”, come l’immunità dei membri del governo e la segretezza delle deliberazioni, la dichiarazione del Capo del Governo manifesta un’indignazione senza precedenti. Il Primo Ministro avverte, infatti, che «questo grave incidente senza precedenti rischia di indebolire la stabilità e il funzionamento armonioso delle Istituzioni e di provocare le dimissioni del governo».[2]

La rimessa in libertà del ministro Célestin Tunda è stata intensamente negoziata tra le due coalizioni di governo. Secondo fonti prossime al presidente Felix Tshisekedi, il ministro non ha potuto essere liberato che dietro promessa delle sue dimissioni. «Il ministro ha detto che era disposto a dimettersi, pur di evitare eventuali procedure legali. È quindi solo in questo contesto che è egli stato rilasciato», ha affermato un collaboratore del Capo dello Stato, confermando che quest’ultimo ha effettivamente chiesto le dimissioni del ministro.[3]

Il 2 luglio, il presidente Félix Tshisekedi si è incontrato con Joseph Kabila per più di due ore nella sua residenza di N’sele, nella zona est di Kinshasa. Anche se il contenuto del loro colloquio non è stato reso pubblico, Félix Tshisekedi e Joseph Kabila si sono comunque detti d’accordo sulla “necessità di mantenere la coalizione”, nonostante le minacce proferite dall’FCC circa un eventuale regime di coabitazione con il capo dello Stato, membro di un diverso schieramento politico.
Secondo le informazioni ricevute, le due coalizioni al potere, CACH e l’FCC, dovrebbero istituire dei “meccanismi” per risolvere eventuali conflitti tra loro, mentre Félix Tshisekedi e Joseph Kabila dovrebbero “migliorare la loro comunicazione” per assicurare la gestione quotidiana della coalizione.[4]

Il 3 luglio, fonti della Presidenza della Repubblica hanno annunciato che, durante il Consiglio settimanale dei Ministri, tenutosi in videoconferenza dall’inizio della pandemia del Covid-19, il Vice Primo Ministro e ministro della Giustizia, Célestin Tunda Ya Kasende, è stato pregato di disconnettersi e hanno confermato che è stato lo stesso Capo dello Stato, Félix Antoine Tshisekedi, a chiedergli di non partecipare a questa seduta del Consiglio dei ministri, in cui egli ha fatto sapere che, il giorno precedente, incontrando l’ex presidente della Repubblica Joseph Kabila, gliaveva chiesto le dimissioni del ministro Célestin Tunda.[5]

L’11 luglio, Célestin Tunda Ya Kasende ha rassegnato le dimissioni al primo ministro Sylvestre Ilunga Ilunkamba. Lascia l’incarico di vice primo ministro e ministro della giustizia che ricopriva da settembre 2019. È accusato di aver trasmesso all’Assemblea Nazionale delle osservazioni del governo su tre progetti di legge relativi alla riforma del sistema giudiziario, senza aver ricevuto l’autorizzazione del Consiglio dei Ministri. Membro del Partito Popolare per la Ricostruzione e la Democrazia (PPRD) di Joseph Kabila, Célestin Tunda non aveva più preso parte al consiglio dei ministri già da due settimane, per decisione del Capo dello Stato Félix Tshisekedi Tshilombo.[6]

2. FÉLIX TSHISEKEDI E LA CORTE COSTITUZIONALE: I RETROSCENA DI UN BRACCIO DI FERRO

Sin dall’inizio del 2020, il programma socio-economico dei primi 100 giorni si è trasformato in un pantano. Molti i casi di corruzione e di malversazione di denaro pubblico. Il Covid-19 si è aggiunto all’Ebola. Il budget annuale dello Stato (11 miliardi di $) auspicato dal Presidente Tshisekedi si è avverato irrealistico e ridotto, de facto, della metà (5 miliardi di $) dal ministro delle Finanze, José Sele Yalaghuli. Per quanto riguarda l’insicurezza, nell’est del Paese, la lotta contro le ADF a Beni (Nord Kivu) sta dimostrando tutti i suoi limiti. La stessa situazione in Ituri, dove i gruppi armati continuano ad uccider. Centinaia di Congolesi vengono massacrati. A Kinshasa, la capitale, è il dollaro che traumatizza la popolazione. Il franco congolese perde sempre più il suo valore. Le misure intraprese per controllare l’inflazione si stanno rivelando insufficienti. I prezzi salgono, la gente di Kinshasa si sente soffocare e non sa più da che parte andare.
Diciotto mesi dopo il suo arrivo al potere, mentre la situazione socio-economica e la sicurezza del Paese continuano a peggiorare, il presidente della Repubblica Félix Tshisekedi interviene sulla Corte costituzionale, procedendo ad alcune nuove nomine che, secondo calcoli politici di vario genere, potrebbero servire a preparare il terreno per le prossime scadenze elettorali del 2023.
Costringere Lwamba a “dimettersi”  per prendere il controllo dell’Alta Corte.
Il 4 luglio, il presidente della Corte Costituzionale, Benoit Lwamba, si è recato dal Presidente della Repubblica Félix Tshisekedi, presso la Cittadella dell’Unione Africana. Il giudice aveva chiesto di essere ricevuto dal Capo dello Stato per presentargli una richiesta. In pieno loch down per la pandemia Covid-19, vuole andare a Bruxelles, per cure mediche. Ma, appena iniziata, la conversazione prende una piega inaspettata. Se il Presidente Felix Tshisekedi accetta prontamente di ricevere il giudice della Corte Costituzionale, è perché nella sua testa ha già una determinata idea. Secondo un collaboratore di Benoit Lwamba, il presidente Tshisekedi gli ha fatto una strana proposta: “se voleva andare a Bruxelles, doveva prima dimettersi”.
Altre persone precisano che Benoit Lwamba riceve immediatamente una lettera riguardante le sue dimissioni. “Di fronte alle sue esitazioni, è stato chiaramente minacciato”, rivela un altro suo collaboratore. Alla fine, il giudice si reca a Bruxelles. Sui social network viene diffusa una lettera firmata dallo stesso Benoit Lwamba che annuncia pubblicamente le sue dimissioni. La lettera è subito considerata autentica dai collaboratori del presidente Tshisekedi.
Il 10 luglio, in uno strano verbale anch’esso trapelato sui social, sette giudici della Corte costituzionale “prendono atto” delle dimissioni del presidente Benoit Lwamba. Tuttavia, lo stesso giorno, in una sua seconda lettera firmata a Bruxelles, Benoit Lwamba smentisce le sue dimissioni, definendole “voci di corridoio”. La Presidenza decide quindi di contrattaccare.
Il 12 luglio, agenti della Agenzia Nazionale di Intelligence (ANR) hanno fatto irruzione nell’edificio della Corte costituzionale, prendendo di mira soprattutto l’ufficio del giudice presidente, Benoit Lwamba. Secondo diversi rapporti, i servizi segreti congolesi sospettavano che il capo gabinetto del giudice Lwamba avesse prodotto un documento falso. Ma non hanno potuto confermare tale ipotesi, soprattutto perché è da Bruxelles che Benoit Lwamba pubblica la sua seconda lettera in cui smentisce le sue dimissioni e si considera ancora presidente della Corte costituzionale.
Il 13 luglio, a Kinshasa, il Presidente della Corte costituzionale e Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura “ad interim”, Funga Molima Mwata Evariste Prince, ha annunciato di aver trasmesso al Presidente della Repubblica il verbale del 10 luglio, relativo alla presa d’atto delle dimissioni di un membro della Corte costituzionale, Benoît Lwamba Bindu, dalle sue funzioni di presidente della Corte costituzionale. Da parte sua, la Presidenza della Repubblica risponde di aver registrato le dimissioni di Lwamba.
Il caso Lwamba non è stato che l’inizio.
Altre rivelazioni hanno fatto emergere la presenza di un’azione strutturata e voluta dal Capo dello Stato Félix Tshisekedi, procedendo rapidamente a una lunga serie di nuove nomine.
Infatti, il 17 luglio 2020, sulle onde della televisione nazionale, la vice portavoce del Capo dello Stato, Tina Salama, ha annunciato una lunga serie di ordinanze firmate dal presidente Tshisekedi. Molte delle nuove nomine riguardano l’esercito. Per quanto riguarda la Corte costituzionale, il Capo dello Stato cambia unilateralmente tre giudici, nonostante l’ambiguità che ha caratterizzato le dimissioni del giudice Benoit Lwamba, presidente di questa istituzione.
Tuttavia, queste ordinanze non sono state controfirmate dal primo ministro Sylvestre Ilunkamba, come richiesto dalla legge. Mentre quest’ultimo si trovava fuori Kinshasa per una missione nella provincia dell’Alto-Katanga, è stato il Vice Primo Ministro e Ministro dell’Interno, Gilbert Kakonde, membro del partito del presidente Tshisekedi, che l’ha fatto, evocando un interim tuttavia contestato dal Primo Ministro stesso.
Questioni giuridiche.
La Corte Costituzionale è stata istituita il 18 febbraio 2006. Tra le sue competenze, quella di giudicare il Presidente della Repubblica e il Presidente del Consiglio. In quanto istituzione di controllo, la Corte costituzionale è l’organo che deve assicurare l’equilibrio tra i vari poteri dello Stato e garantire lo Stato di diritto, verificando la conformità o meno delle leggi alla Costituzione.
Nel suo articolo 158, la Costituzione stabilisce le condizioni relative alle nomine presso la Corte costituzionale.
Non è stato che in luglio 2014 che il presidente Joseph Kabila nominò i primi nove giudici di questa Corte. Essi prestarono giuramento il 4 aprile 2015, davanti al Presidente della Repubblica, le due camere del parlamento riunite in Congresso e il Consiglio Superiore della Magistratura. Si trattava dei giudici Vunduawe Te Pemako, Jean-Pierre Mavungu, Banyaku Luape, Jean-Louis Esambo, Luamba Bindu, Corneille Wasenda, Funga Molima, Kalonda Kele e Kilomba Ngozi Mala.
Secondo la Costituzione promulgata nel 2006, la Corte costituzionale comprende nove membri nominati dal Presidente della Repubblica. Tre sono designati dallo stesso Presidente della Repubblica, tre dal parlamento riunito in Congresso e tre dal Consiglio Superiore della Magistratura. Il mandato dei membri della Corte costituzionale è di nove anni non rinnovabili. Sempre secondo la Costituzione, la Corte costituzionale si rinnova per un terzo ogni tre anni.
Così, tre anni dopo la creazione della Corte, Joseph Kabila firmò l’ordinanza n. 18/038 del 14 maggio 2018, nominando tre nuovi giudici, tra cui Norbert Nkulu, Jean Ubulu e François Bokona. Norbert Nkulu era stato designato dalla Presidenza della Repubblica, Jean Ubulu dal Consiglio Superiore della Magistratura e François Bokona, dal Parlamento riunito in Congresso.
Perciò, avendo Joseph Kabila nominato tre nuovi giudici il 14 maggio 2018, non era possibile che Félix Tshisekedi potesse nominarne altri tre, prima dei tre anni previsti dalla legge. Il Capo dello Stato avrebbe dovuto attendere fino a maggio 2021 per procedere al altre nomine. Inoltre, il presidente Félix Tshisekedi ha effettuato le tre nomine in modo unilaterale, mentre all’articolo 158, paragrafo 3 della Costituzione è chiaramente stabilito: “La Corte costituzionale si rinnova per un terzo ogni tre anni. Ogni rinnovo sarà effettuato tirando a sorte un membro per gruppo”.
Secondo Adam Chalwe Munkutu, segretario nazionale del PPRD, partito di Joseph Kabila, «queste nomine non contribuiscono alla concordia all’interno della coalizione al potere, perché illegali. La costituzione prevede che le nomine presso la Corte costituzionale da parte del Presidente della Repubblica siano effettuate ogni 3 anni, dopo estrazione a sorte. Il presidente Joseph Kabila aveva già nominato gli ultimi 3 giudici nel 2018. Quindi non c’era né alcun posto vacante, né la necessità di nominare nuovi giudici. Inoltre, i tre giudici dovevano essere designati da tre componenti diverse, ciò che non è avvenuto. Sono stati designati unilateralmente e provengono tutti da una sola  componente, la Presidenza della Repubblica. È totalmente illegale».
Due giudici si oppongono alle loro rispettive nuove nomine.
Il 4 agosto, i giudici Jean Ubulu Mpungu e Noël Kilomba Ngozimala, nominati presidenti della Corte di cassazione con ordinanza emanata il 17 luglio dal Capo dello Stato, Félix Tshisekedi, hanno rifiutato di prestare giuramento. Assenti alla cerimonia anche il Primo Ministro, il Presidente del Senato e la Presidente dell’Assemblea Nazionale. In quella data, i due giudici hanno reso pubblica una lettera datata 27 luglio e indirizzata al presidente Félix Tshisekedi: «Signor Presidente della Repubblica, è attraverso la televisione e senza previa consultazione che, il 17 luglio, abbiamo appreso la notizia di essere stati nominati Presidenti della Corte di Cassazione, secondo l’ordinanza n. 20 / 108 del 17 luglio 2020 e di essere stati immediatamente sostituiti nei nostri incarichi presso la Corte costituzionale. Tuttavia è da luglio 2014, per il giudice Kilomba, e da aprile 2018, per il giudice Ubulu, che, mediante le nostre rispettive lettere (…) avevamo optato di rinunciare al nostro lavoro presso la Corte Suprema di Giustizia, fino alla scadenza dei nostri mandati di nove anni presso la Corte Costituzionale e ciò in conformità con l’articolo 158, paragrafo 3 della Costituzione e con gli articoli 6 e 34 della legge n. 13/026 del 15 ottobre 2013, relativa all’organizzazione e funzionamento della Corte costituzionale». Evidentemente, i due giudici ritengono che, essendo i loro rispettivi mandati presso la Corte costituzionale di nove (9) anni ciascuno, essi non siano ancora terminati e che siano ancora in corso di validità.
Inoltre, i due giudici fanno notare al presidente Félix Tshisekedi che «l’ordinanza n. 20/108 del 17 luglio 2020, loro notificata, non allude minimamente alla legge organica sull’organizzazione e il funzionamento della Corte costituzionale, ma si basa piuttosto sugli articoli 69, 79, 82, 152 e 153 della Costituzione, che evidenziano la Sua autorità sulle giurisdizioni dell’Ordine Giudiziario e del Consiglio Superiore della Magistratura, mentre la Corte Costituzionale non fa parte di questo Ordine di giurisdizioni, di cui solo il suo Presidente è contemporaneamente Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura e non i membri della Corte».
Essi aggiungono: «Inoltre, l’ordinanza n. 20/108 del 17 luglio 2020 fa riferimento agli articoli 10 e 11 della legge organica n. 06/020 del 10 ottobre 2006, relativa allo statuto dei magistrati, modificata e completata dalla Legge Organica n. 15/014 del 1° agosto 2015, mentre all’articolo 90 della stessa Legge Organica si afferma espressamente quanto segue: le disposizioni di questa Legge non si applicano ai membri della Corte costituzionale». Di conseguenza, i due giudici indicano che «l’ordinanza n. 20/108 del 17 luglio 2020 non dovrebbe quindi essere applicata nei nostri confronti, perché la Legge organica a cui si riferisce lo vieta nel suo articolo 90 sopra citato».
Infine, i giudici Jean Ubulu Mpungu e Noël Kilomba Ngozimala precisano che «la Costituzione della Repubblica Democratica del Congo, nel suo articolo 158, paragrafo 4, prevede il rinnovo dei membri della Corte costituzionale di un terzo di ciascun gruppo ogni 3 anni» e sottolineano che questo rinnovo, previsto per aprile 2021, «non potrebbe riguardare contemporaneamente noi due (2), dato che entrambi facciamo parte dello stesso gruppo».
L’8 agosto, in un comunicato del gabinetto del presidente Félix Tshisekedi, la Presidenza congolese risponde: «Quando i due giudici affermano di non essere stati consultati prima della loro nomina, si può ribattere loro che sarà difficile citare un testo giuridico che preveda la previa consultazione degli interessati da parte del Presidente della Repubblica. Non vi è quindi alcun obbligo di consultazione».
Secondo la Presidenza, se si vuole affermare che gli interessati siano ancora membri della Corte Costituzionale, come essi sostengono, i due giudici dovranno sottostare alle prescrizioni dell’articolo 34, comma 1, della legge organica n. 0 13/026 del 15 ottobre 2013, relativa all’organizzazione e al funzionamento della Corte costituzionale che prevede: “ogni membro della Corte o della Procura generale che si trovi in ​​uno dei casi di incompatibilità di cui all’articolo 31 della presente legge organica, ha la possibilità di prendere una decisione entro otto giorni dalla data di comunicazione della sua nomina. In caso contrario, si ritiene che abbia rinunciato alle sue funzioni di membro della Corte o della Procura generale”. Sempre secondo il comunicato, nel presente caso, i due giudici sono stati informati della loro nomina presso la Corte di cassazione il 21 e il 22 luglio 2020, mentre la loro decisione di rimanere presso la Corte costituzionale è stata depositata presso l’Ufficio della Presidenza della Repubblica il 4 agosto 2020, ben oltre il “periodo degli otto giorni previsti dalla legge”.
Lo stesso comunicato stampa risponde anche sull’argomento dei mandati dei giudici: «Gli interessati stanno parlando del loro attuale mandato di nove anni. Non ignorano, tuttavia, le prescrizioni dell’articolo 31 punto 3 della legge organica, in cui si prevede l’incompatibilità della funzione di membro della Corte Costituzionale con l’esercizio di ogni altro incarico pubblico. Pertanto, il giudice costituzionale non può accumulare contemporaneamente due funzioni pubbliche. Si può ricordare il caso del giudice costituzionale Vunduawe Te Pemako, chiamato ad altre funzioni mentre era ancora vigente il suo mandato presso la Corte costituzionale».
Tuttavia, secondo altre informazioni, Vunduawe Te Pemako, allora giudice presso la Corte costituzionale, aveva chiesto personalmente e per iscritto a Joseph Kabila, di essere nominato a capo del Consiglio di Stato che era appena stato istituito nel 2018, dopo lo scioglimento della Corte Suprema. Questa richiesta aveva quindi creato un posto vacante presso la Corte costituzionale. Inoltre, nel frattempo, altri due giudici, Essambo e Baniaku, si erano dimessi, portando a tre i posti vacanti presso la Corte costituzionale, ciò che aveva permesso a Joseph Kabila di sostituirli senza sorteggio. D’altra parte, l’articolo 90 della legge sui diversi statuti dei magistrati afferma che le disposizioni contenute in tale legge non si applicano ai giudici della Corte costituzionale. Pertanto, benché i due giudici siano magistrati di carriera, diventando membri della Corte costituzionale, l’applicazione dello status di magistrato nei loro confronti è sospesa. A questo proposito, l’avvocato Jean-Paul Koso Yoha afferma: «Lo Status dei due giudici è definito dall’ordinanza che dettaglia le disposizioni relative allo statuto speciale dei membri della Corte costituzionale. Pertanto, finché svolgono le funzioni di giudici presso la Corte costituzionale, non si può pretendere di applicare loro lo statuto dei magistrati per imporre loro una nomina come magistrati di carriera».
Nello stesso comunicato, la Presidenza della Repubblica afferma che i due ex giudici della Corte costituzionale, Noel Kilomba Ngozi e Jean Ubulu Pungu, che sono stati recentemente nominati alla Corte di cassazione e che non hanno prestato giuramento, saranno da considerarsi dimissionari entro un mese dalla notifica ricevuta, nel caso in cui non prestino giuramento entro i limiti di tempo fissati dalla legge, Infatti, l’articolo 45 comma 3 della legge sullo statuto dei magistrati stipula che è considerato dimissionario il magistrato che non presta o non rinnova il giuramento entro un mese: «Avendo rifiutato di prestare giuramento davanti al Capo dello Stato, spetta a quest’ultimo prendere atto delle dimissioni automatiche di tali membri della Corte di Cassazione, secondo le disposizioni della legge». Sempre secondo il comunicato, «per quanto riguarda la loro funzione presso la Corte di Cassazione, l’articolo 45 comma 3 della legge organica n 06/020 del 10 ottobre 2006, relativa agli statuti dei magistrati prevede: è considerato dimissionario il magistrato che non ha prestato o rinnovato il giuramento previsto all’articolo 5, entro un mese dal giorno in cui gli è stato notificato l’invito scritto a farlo. Il comma 2 dello stesso articolo prevede che le dimissioni saranno constatate per ordinanza dal Presidente della Repubblica, su proposta del Consiglio Superiore della Magistratura».
Tshisekedi sta preparando un eventuale rinvio delle elezioni del 2023?
L’opposizione e il campo di Joseph Kabila contestano con forza le nuove nomine alla Corte costituzionale. Se si è accesa la polemica è perché tali nomine alla più alta istituzione giudiziaria del Paese potrebbero essere finalizzate ad obiettivi che fanno temere un tentativo di completo controllo sul prossimo ciclo elettorale. In effetti, secondo la Costituzione congolese, la Corte costituzionale è l’arbitro incontestabile dei contenziosi elettorali. È lei infatti che convalida l’intero processo elettorale, dalla pianificazione del calendario elettorale alla pubblicazione dei risultati finali, passando attraverso la convalida o meno delle varie candidature.
A Limete, il quartiere di Kinshasa dove si trova la sede dell’Unione per la Democrazia e il Progresso Sociale (UDPS), i sostenitori del Capo dello Stato non nascondono la loro volontà. In una serie di video postati sui social network, gli attivisti del “Parlamento Permanente”, un organo di discussione prossimo al partito di Felix Tshisekedi, hanno apertamente fatto sapere che, nel 2023, non ci saranno elezioni, come previsto per legge, anche se l’attuale mandato del Capo dello Stato scade in tale data. Essi sostengono apertamente un “rinvio” delle prossime elezioni.
Félix Tshisekedi si prepara quindi a un possibile rinvio delle elezioni del 2023, come l’ex presidente Joseph Kabila nel 2016? In ogni caso, è ciò che molti Congolesi temono, vedendo ciò che sta succedendo alla Corte costituzionale.
Il secondo anno del quinquennio dei cambiamenti promessi da Félix Tshisekedi si sta ormai avviando verso la fine, ma senza molti risultati tangibili. “Come si può rimanere al potere oltre il mandato costituzionale, se si teme di non essere rieletti? Rinviando le elezioni!”, scrive un utente di Internet.
Negli ambienti prossimi al Capo dello Stato si smentisce tale ipotesi, senza però spiegare i veri motivi sottostanti a queste ultime manovre effettuate presso la Corte costituzionale. Mentre i vertici politici prossimi al Presidente della Repubblica non hanno ancora menzionato apertamente un eventuale rinvio delle elezioni del 2023, le azioni intraprese e la realtà sembrano orientare in questa direzione. A tre anni dalle prossime scadenze elettorali, la Commissione Elettorale Nazionale Indipendente (CENI) non ha ancora avviato alcun tipo di preparazione, nemmeno per quanto riguarda la controversa designazione dei suoi nuovi membri e la necessità di riforme che, in realtà, potrebbe richiedere molto tempo. Si tratta di una porta aperta a un possibile rinvio?[7]

[1] Cf Politico.cd, 26.06.’20
[2] Cf RFI, 28.06.’20
[3] Cf Politico.cd, 29.06.’20
[4] Cf Politico.cd, 04.07.’20
[5] Cf Thierry Mfundu – Politico.cd, 03.07.’20
[6] Cf Patient Ligodi – RFI, 11.07.’20
[7] Cf Politico.cd, 14.08.’20  https://www.politico.cd/grand-angle/2020/08/14/felix-tshisekedi-la-cour-constitutionnelle-et-le-glissement-les-dessous-dun-coup-de-force.html/66598/
AFP – Lalibre.be-Afrique, 05.08.’20  https://afrique.lalibre.be/52980/rdc-deux-juges-de-la-cour-constitutionnelle-refusent-detre-mutes-a-la-cour-de-cassation/