Congo Attualità n. 248

LE FORZE DEMOCRATICHE ALLEATE / ESERCITO NAZIONALE

PER LA LIBERAZIONE DELL’UGANDA (ADF / NALU)

1ª parte – Presentazione storica del gruppo

FONTI:

– International Crisis Group [ICG] – L’Est du Congo: la rébellion perdue des ADF-Nalu – Briefing Afrique N°93 – Nairobi/Bruxelles, 19 décembre 2012.[1]

– Mission de l’Organisation des Nations Unies pour la Stabilisation en République Démocratique du Congo [MONUSCO] – Rapport du Bureau conjoint des Nations Unies aux droits de l’homme sur les violations du droit international humanitaire commises par des combattants des Forces alliées

démocratiques (ADF) dans le territoire de Beni, province du Nord-Kivu, entre le 1er octobre et le 31 décembre 2014, Mai 2015.[2]

INDICE

a) INTRODUZIONE: UN GRUPPO ARMATO QUASI COME GLI ALTRI [ICG]

b) GENESI DI UNA RIBELLIONE TRA SCONFITTA INTERNA E APPOGGIO ESTERNO

  1. Il movimento indipendentista Rwenzururu [ICG]
  2. L’esercito Nazionale per la liberazione dell’Uganda (NALU) [ICG]
  3. Il movimento musulmano Tabligh in Uganda [ICG]
  4. Le Forze Democratiche Alleate – Esercito nazionale per la liberazione dell’Uganda (ADF/NALU)

c) UNA RIBELLIONE DISFATTA MA NON SCONFITTA

  1. Le ADF-Nalu contro l’Uganda: Storia di un continuo fallimento [ICG]
  2. Dalle ADF-Nalu alle ADF: dalla lotta contro l’Uganda alla lotta contro la RDCongo [ICG]
  3. L’operazione Sukola I e i massacri del 2014 nel Territorio di Beni [MONUSCO]

d) UNA MINACCIA REDDITIZIA, DUNQUE DUREVOLE

  1. L’integrazione delle ADF nel tessuto socio-economico locale [ICG]
  2. Le FARDC: tra attività commerciali e operazioni militari [ICG]

e) RACCOMANDAZIONI

A. INTRODUZIONE: UN GRUPPO ARMATO QUASI COME GLI ALTRI [ICG]

Dalla sua creazione nel 1995, le ADF-Nalu sono il prodotto delle lotte interne ugandesi e della geopolitica regionale. Risultano dalla fusione di due movimenti armati che si oppongono al regime di Yoweri Museveni. Respinti dall’esercito ugandese, questi due movimenti hanno trovato rifugio presso il benevolo vicino congolese dove si fondono e formano una ribellione ibrida che nasce nella Repubblica Democratica del Congo e che vi si installa, non avendo potuto rimanere in Uganda. Combattute dall’esercito ugandese, ma stabilitesi in una regione montuosa di confine e di difficile accesso, le ADF-Nalu trovano in quella zona grigia dell’est congolese un terreno fertile per la loro sopravvivenza. In un contesto di crollo dello Stato centrale, le ADF/NALU cominciano a collaborare con la miriade di gruppi armati che formano la geopolitica ribelle convulsa e violenta di questa regione e in cui, ancora oggi, continuano ad operare.

B. GENESI DI UNA RIBELLIONE TRA SCONFITTA INTERNA E APPOGGIO ESTERNO

Nel settembre del 1995, a Beni, nella provincia congolese del Nord Kivu, Yusuf Kabanda, uno dei dirigenti dell’opposizione musulmana ugandese armata, e Ali Ngaimoko, comandante dell’Esercito Nazionale di Liberazione dell’Uganda (NALU), stipulano un’alleanza denominata Forze Democratiche Alleate – Esercito Nazionale per la Liberazione dell’Uganda (ADF-NALU). Conclusa fuori dell’Uganda, con l’appoggio dei servizi segreti sudanesi e congolesi, questa alleanza unisce due movimenti sconfitti dall’esercito regolare ugandese denominato Forza Popolare di Difesa dell’Uganda (UPDF). Senza alcun legame operativo o ideologico tra loro, questi due movimenti hanno in comune il fatto di opporsi al regime ugandese, di trovarsi sul suolo congolese nello stesso periodo e di essere ben visti, ciascuno da parte sua, dai nemici di Kampala: il regime sudanese di al-Turabi e quello congolese di Mobutu.

1. Il movimento indipendentista Rwenzururu [ICG]

Le radici storiche delle ADF-Nalu rinviano al primo movimento indipendentista “Rwenzururu”, il cui nucleo etnico è la comunità Bakonzo, una tribù minoritaria dell’Uganda occidentale. Con i loro cugini Nande che vivono al di là della frontiera, nella RDCongo, i Bakonzo costituiscono l’etnia Bayira. I Bakonzo e i Nande costituiscono un unico gruppo etnico transfrontaliero che ha saputo intessere relazioni molto strette (accettazione della stessa autorità tradizionale, raduno annuale dei notabili dei due gruppi, ecc) e che ha tratto profitto dalla sua posizione transfrontaliera, intessendo una fitta rete commerciale. I Bakonzo si sono opposti al governo centrale di Kampala sin dal periodo coloniale. Nel 1950, in seguito al rifiuto, da parte dell’amministrazione britannica, della creazione di un distretto dei Bakonzo, appare il movimento armato Rwenzururu. Oppositori del potere sorto dalla decolonizzazione, i Bakonzo creano il Regno di Rwenzururu il 30 giugno 1962.

Questo regno si proclama indipendente il 15 agosto 1962 e Isaya Mukiriana ne diventa re. Subito dopo avere ottenuto l’indipendenza, questo primo movimento insurrezionale, cui deve far fronte il governo ugandese, è violentemente represso dall’esercito. Nel 1964, Kampala riprende il controllo di questa parte del Paese, mentre i combattenti Rwenzururu si rifugiano sulle montagne del Rwenzori, alla frontiera tra il Congo e l’Uganda, in una zona montagnosa di difficile accesso e dove il movimento installa il suo regno indipendente. Nel mese di settembre 1967, l’esercito ugandese distrugge il campo in cui risiedeva il re di Rwenzururu e ne disperde la popolazione. Dal 1967 al 1982, il movimento Rwenzururu si trasforma in una guerriglia di bassa intensità, con l’obiettivo di ottenere dal governo di Kampala il riconoscimento del Regno di Rwenzururu. La sua lotta si conclude ufficialmente il 15 agosto 1982, quando Charles Wesley Irema- Ngoma Villingly, omusinga[3] dei Bakonzo, aderisce al governo di Milton Obote che concede l’autonomia al Regno di Rwenzururu, invece dell’indipendenza.[4]

2. L’Esercito Nazionale per la Liberazione dell’Uganda (NALU) [ICG]

Il precedente storico del movimento armato Rwenzururu, uno dei secessionismi dell’indipendenza ugandese, ha facilitato la creazione e lo sviluppo del Nalu. Nel 1986, solo quattro anni dopo che il regno di Rwenzururu ha ottenuto l’autonomia, un altro gruppo armato di opposizione a Kampala, il Nalu, si stabilisce nella ex zona di attività del Rwenzururu e entra in contatto con i suoi dirigenti e i suoi ex combattenti.

Dopo la caduta del regime di Milton Obote nel 1986 a favore di Yoweri Museveni, il capo dei servizi segreti del regime sconfitto, Amon Bazira,[5] crea il Nalu. Questa organizzazione è un raggruppamento dei seguaci di Milton Obote, ma anche di Idi Amin Dada.

Alla ricerca di sostegno e sulla base dei suoi precedenti contatti con il Rwenzururu, Bazira fa appello a Charles Wesley Irema-Ngoma Willingly, ma l’appoggio di quest’ultimo al Nalu è durato poco, perché nel 1988 passa dalla parte di Museveni. All’inizio, il Nalu è sostenuto finanziariamente e militarmente dalle autorità congolesi e keniane, che nutrono dei sospetti nei confronti di Museveni. Dal 1988, il Nalu è espulso dall’Uganda per opera dell’esercito e si stabilisce nei territori congolesi di Beni e di Lubero. Oltre a membri dell’ex Rwenzururu, il Nalu recluta dei combattenti congolesi, come i Mai Mai Kasindiens,[6] installati nei pressi di Kasindi, una città di confine tra l’Uganda e la Repubblica Democratica del Congo, ai piedi delle montagne del Rwenzori. Il Nalu recluta anche dei veterani della ribellione dei Simba del 1964, creata da Gaston Soumialot, il che lo rende un movimento congolo-ugandese. Nel 1990, il Nalu inizia la sua prima grande campagna e realizza 43 attentati a Kampala e a Jinga. Nell’agosto del 1993, Amon Bazira viene ucciso a Nakuru, in Kenya. La scomparsa del suo fondatore segna la fine del periodo di attività del Nalu.

3. Il movimento musulmano Tabligh in Uganda [ICG]

Dopo la caduta di Amin Dada nel 1979, i musulmani ugandesi sono oppressi dai regimi di Milton Obote e di Museveni. Negli anni 1980, il movimento islamico Tabligh[7] utilizza questa oppressione e il sostegno finanziario del governo sudanese per reclutare nuove leve tra la gioventù ugandese e diventare un gruppo importante all’interno della comunità musulmana locale. La lotta per il controllo sullo spazio religioso che ne consegue si traduce in atti di violenza.

Il 22 marzo 1991, a Kampala, i membri del Tabligh si scontrano con quelli del Consiglio Superiore dei Musulmani Ugandesi (UMSC), uccidendo cinque persone, tra cui quattro poliziotti. In seguito a queste violenze, i leader dei Tabligh, tra cui Jamil Mukulu, capo del movimento giovanile, sono arrestati e incarcerati dal 1991 al 1993. Dopo il loro rilascio, i membri del gruppo, guidato dallo sceicco Sulaiman Kakeeto, si ritirano presso Hoima, nell’Uganda occidentale.

È a Hoima che, nel 1994, creano il Movimento dei combattenti ugandesi per la libertà (UFFM), che subito riceve l’appoggio del regime di Khartoum. L’UFMM è anche conosciuto come l’Esercito Musulmano di Liberazione dell’Uganda (MULA). Kampala reagisce distruggendo il loro campo di addestramento nel 1995. In seguito alla distruzione della loro base, i membri dell’UFFM si rifugiano nella città congolese di Bunia, vicino al confine con l’Uganda, dove continuano a ricevere il sostegno del Sudan. I leader della setta Tabligh in Uganda, tra cui lo sceicco Sulaiman Kakeeto e Jamil Mukulu, fuggono in Kenya e in Tanzania.

4. Le Forze Democratiche Alleate – Esercito nazionale per la liberazione dell’Uganda (ADF/NALU) [ICG]

Nel settembre 1995, il comandante Ngaimoko, un ufficiale della Nalu, e Yusuf Kabanda, un compagno di Jamil Mukulu, stringono un’alleanza tra i loro due movimenti, dando origine ad un unico gruppo denominato Forze Democratiche Alleate – Esercito Nazionale per la Liberazione dell’Uganda (ADF-NALU). I combattenti musulmani stanziati a Bunia sono trasferiti a Beni, dove si installano con il Nalu. Sono accolti e seguiti dal colonnello Ebamba e dal maggiore Mayala.

In questo periodo, le ADF-Nalu reclutano nuove leve preferibilmente tra la comunità musulmana di Beni e con il sostegno del governo congolese. In quel tempo, secondo i servizi segreti ugandesi, Jamil Mukulu si trasferisce a Khartoum, nel Sudan.

In seguito, le ADF-Nalu si trasferiscono a Rugeti, fuori dalla città di Beni, ma sempre nel territorio di Beni, nel Nord Kivu, dove intessono rapporti con la popolazione locale. Quando le truppe dell’Alleanza delle Forze Democratiche di Liberazione (AFDL) di Laurent Désiré Kabila entrano nel territorio di Beni, le ADF-Nalu, alleate del regime di Mobutu, si ritirano sulle montagne del Rwenzori. È nel 1996 che questa nuova alleanza contro il regime di Museveni comincia a far parlare di sé. Stabilite nei pressi della frontiera tra la RDCongo e l’Uganda, il 13 novembre 1996, le ADF-Nalu lanciano la loro prima operazione militare, attaccando il posto di frontiera di Mpondwe e prendendo il controllo della città di Mbwera. A partire dal territorio congolese, si infiltrano nei distretti ugandesi di Kabarole, Kasese e Bundibugiyo, dove i loro primi obiettivi sono delle stazioni di polizia e degli edifici amministrativi.

C. UNA RIBELLIONE DISFATTA MA NON SCONFITTA

Senza base popolare, la storia delle ADF-Nalu nei confronti del regime ugandese è quella di un continuo fallimento. Respinto verso la RDCongo, il movimento si “congolizza” e vivacchia tra commercio transfrontaliero, furti locali e demotivazione. Perde la sua componente Nalu nel 2007 e, dopo essere stato ignorato per diversi anni, ridiventa attivo nel 2010 in seguito a un’offensiva condotta dall’esercito congolese contro di lui. La sua lotta si sposta quindi dal campo ugandese a quello congolese.

1. Le ADF-Nalu contro l’Uganda: Storia di un continuo fallimento [ICG]

Nel 1996, i combattenti delle ADF-Nalu sono circa 4.000 o 5.000. Le loro operazioni sono concentrate nei distretti ugandesi di Kasese e di Bundibugo, lungo il confine con la RDCongo. In quel periodo, è Yusuf Kabanda che guida il movimento a partire da Lubero, in RDCongo. Jamil Mukulu è solo il suo vice. Chris Munyangongo Tushabe, detto comandante Benz, un sergente disertore dell’esercito ugandese e che ha ricevuto una formazione militare in Sudan, dirige le operazioni contro l’Uganda a partire dalla RDCongo.

In giugno 1997, la prima grande operazione delle ADF-Nalu si prefigge di prendere il controllo della città di Bundibuyo, ma è repressa dalle forze ugandesi. Nel 1998, le ADF-Nalu organizzano dei reclutamenti coatti di nuove leve nelle scuole ugandesi. Nel 1999, attaccano la prigione di Katojo. Ma accumulando sconfitte militari e incapaci di prendere piede in Uganda, cominciano ad attaccare la popolazione civile, per costringerla a collaborare. Le ADF-Nalu moltiplicano gli attacchi contro i villaggi non protetti né dall’esercito ugandese, né dalla polizia. Commettono esecuzioni sommarie, mutilazioni e sequestri. Installano mine anti persone nei campi e sulle strade extraurbane. Prendono di mira il centro del potere: Kampala.

Il 14 febbraio 1999, gli attentati in due ristoranti della capitale ugandese sono il punto di partenza della loro campagna di terrorismo urbano. Tra aprile e giugno 1999, le ADF-Nalu organizzano sette attentati a Kampala. Le ADF-Nalu organizzano questi attentati il 10, l’11 e il 25 Aprile 1999 e poi l’1, il 7, l’8 e il 30 maggio 1999. Undici morti e 42 feriti. Tra il 1998 e il 2000, gli attacchi del gruppo causano un migliaio di vittime, 150.000 persone sfollate, tra cui l’85% della popolazione del distretto di Bundibugo. Le entrate fiscali del distretto di Kasese diminuiscono del 75%.

Il governo ugandese schiera dapprima le sue truppe nei centri urbani e lungo la strada che conduce da Fort-Portal a Kasese. I risultati di questa prima operazione sono scarsi, perché le ADF-Nalu utilizzano i monti Rwenzori come riparo e le forze ugandesi non sono né attrezzate né preparate per dei combattimenti in zone di alta montagna.[8] Verso la fine del 1997, con l’accordo del presidente congolese di quel periodo, Laurent Désiré Kabila, l’Uganda schiera delle sue truppe nel nord della provincia del Nord Kivu. In dicembre 1997, l’esercito ugandese schiera due suoi battaglioni sul territorio congolese, in collaborazione con le forze congolesi. Questo dispiegamento è formalizzato con un accordo sulla sicurezza delle frontiere firmato il 27 aprile 1998.

Il 9 novembre 1999, in collaborazione con ex combattenti del Rwenzururu, l’esercito ugandese lancia una grande operazione di rastrellamento sui monti della catena del Rwenzori: l’operazione Mountain Sweep. Durante questa operazione, alcuni comandanti e un gran numero di combattenti ADF-Nalu, vengono catturati o uccisi.

Il 14 gennaio 2000, il Generale ugandese Kazini annuncia che l’esercito ha raggiunto il suo obiettivo, quello di privare le ADF-Nalu del loro appoggio logistico sudanese nella RDCongo. Private dell’appoggio sudanese, le ADF-Nalu si riorganizzano e si avvicinano ad altri gruppi armati attivi sul territorio congolese: il Raggruppamento Congolese per la Democrazia – Goma (RCD -Goma) nel Nord Kivu e il Movimento Rivoluzionario Congolese (MRC) nell’Ituri, entrambi alleati con il Ruanda. Si finanziano ricorrendo al banditismo e spostano alcune delle loro truppe verso l’Ituri. Prendono contatto anche con le Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR), un gruppo ribelle di opposizione al regime di Paul Kagame.

Nel 2001, un tentativo di negoziazioni con il governo ugandese che, nel 2000, aveva adottato una legge sull’amnistia per i combattenti dei gruppi armati, fallisce. A partire da quella data, l’esercito ugandese ritiene che le ADF-Nalu non abbiano più di cento combattenti e che, quindi, non rappresentano più una minaccia significativa.

2. Dalle ADF-Nalu alle ADF: dalla lotta contro l’Uganda alla lotta contro la RDCongo [ICG]

Fine delle operazioni contro l’Uganda: il Nalu depone le armi

In dicembre 2005, le Nazioni Unite e le Forze Armate della Repubblica Democratica del Congo (FARDC) lanciano l’operazione North Night Final contro le basi delle ADF-Nalu. I principali campi sono distrutti e circa 90 combattenti sono uccisi. Tuttavia, essendo stati avvertiti, i capi fuggono e scompaiono sulle montagne del Rwenzori. È la prima volta che Kinshasa comincia a combattere contro il movimento che, un decennio prima, aveva contribuito a creare.

Nel 2007, le ADF-Nalu riprendono le loro attività, ma le operazioni di infiltrazioni sul territorio ugandese sono represse dall’esercito. Il 15 marzo 2007, l’esercito ugandese uccide due soldati ADF-Nalu nel quartiere di Mubende. Il 23 marzo, ne uccide altri due nel distretto di Bundibuyo. Il 27 marzo ne uccide 34 e cattura cinque comandanti.

In marzo 2007, le ADF-Nalu contattano la Missione dell’Onu in Congo (MONUC) per negoziare la loro resa. Se i negoziati falliscono, le sconfitte militari di marzo e aprile e l’amnistia concessa a sette prigionieri del gruppo, nel mese di novembre, hanno un forte impatto sui combattenti.

Duecento si arrendono il 4 dicembre. Altri sette membri del gruppo, che si presentano come gli ultimi capi della componente Nalu, abbandonano la lotta armata e entrano nel programma di disarmo, smobilitazione, rimpatrio, reinstallazione e reintegrazione (DDRRR) della MONUC.

Da quella data, Jamil Mukulu, che era già comandante militare delle ADF, diventa l’unico capo del gruppo. Le ADF-Nalu cessano quindi di esistere come alleanza di due movimenti. Il 17 marzo 2008, il presidente ugandese riconosce l’esistenza del Regno di Rwenzururu soddisfacendo, in tal modo, la principale rivendicazione degli ex combattenti Rwenzururu della componente Nalu.

Da luglio 2008, le ADF cercano di riprendere i negoziati con il governo ugandese, che si dice pronto per un dialogo. I negoziati iniziano nel mese di agosto 2009, ma falliscono.

Le ADF combattono nella RDCongo: le operazioni Rwenzori e Radi Strike

Il 25 aprile 2010, l’attacco al campo militare di Niyaleke, nei pressi di Beni, da parte di una coalizione ADF e Maï-Maï, fa rilanciare le operazioni militari contro le ADF nei territori di Beni e di Lubero.

Il 25 giugno, l’esercito congolese inizia l’operazione Rwenzori. Presentata come un’azione unilaterale, essa è preparata dalle FARDC in collaborazione con la MONUSCO. L’offensiva permette alle truppe congolesi di riprendere il controllo su diversi accampamenti delle ADF e di rompere alcune loro vie di approvvigionamento logistico.

Il 31 luglio, alla vigilia della visita del ministro della Difesa a Beni, le ADF distribuiscono dei volantini per denunciare gli abusi commessi dalle FARDC contro i civili e per accusare il Presidente Joseph Kabila di non rispettare gli accordi che egli avrebbe concluso con le ADF, secondo cui egli avrebbe permesso loro di rimanere nella RDC, in cambio di una loro non-interferenza negli affari congolesi.

Nonostante gli annunci di vittoria emessi dal portavoce del governo congolese, Lambert Mende, l’operazione Rwenzori prosegue anche nel 2011. In realtà, le operazioni anti-ADF si trovano impantanate.

L’esercito congolese subisce varie sconfitte e le ADF contro-attaccano. Alla fine del 2011, non ancora sconfitte, le ADF prendono contatti con vari gruppi armati (le Forze Democratiche di Liberazione del Ruanda – FDLR, il Fronte Patriottico di Resistenza dell’Ituri – FPRI e i Patrioti Resistenti Congolesi – PARECO) e tentano di rinforzarsi. Lanciata dal governo congolese nel 2010, l’operazione Rwenzori ha permesso all’esercito di prendere il controllo su alcune reti commerciali che le ADF avevano intessuto tra la Repubblica Democratica del Congo e l’Uganda, ma non di sconfiggere definitivamente questo gruppo armato.

Infatti, nei primi mesi del 2012, le ADF lanciano un altro attacco, benché senza successo, contro le posizioni dell’esercito congolese a Mukoko, nei pressi di Oïcha, in territorio di Beni. Per questo, il 20 marzo, le FARDC e la MONUSCO annunciano l’avvio di un’ulteriore operazione militare, denominata Radi Strike. Questa nuova azione risulta problematica sin dall’inizio[9] e troppo breve per avere un impatto significativo. L’operazione si conclude l’11 aprile 2012, quando il presidente Joseph Kabila annuncia la sospensione di tutte le operazioni militari nel Nord Kivu, in seguito all’apparizione della ribellione del Movimento del 23 Marzo (M23).

Tuttavia, l’operazione Radi Strike ha reso più difficile la collaborazione tra le ADF e la popolazione locale. Per questo, le ADF sono diventate più sospettose e violente nei confronti di quelle persone sospettate di collaborare con le FARDC. Un’inchiesta dell’Alto Commissariato per i Rifugiati (UNHCR) ha dimostrato che, nel primo semestre del 2012, almeno 40 persone sono state sequestrate dalle sole ADF. Sulla strada che porta da Erengeti verso Nadui, le ADF consentivano la circolazione solo tra le 9h00 e le 16h00. Al di fuori di questi orari, potevano circolare solo le persone che esse conoscevano o che li rifornivano. Le ADF non esitavano ad uccidere qualsiasi altra persona che avesse trasgredito tali disposizioni.

3. L’operazione Sukola I e i massacri del 2014 nel Territorio di Beni [MONUSCO]

Il 16 gennaio 2014, le FARDC e la MONUSCO hanno lanciato l’operazione militare Sukola I condotta congiuntamente contro le ADF. Questa operazione ha permesso di recuperare diverse posizioni occupate dalle ADF, tra cui diversi accampamenti situati tra le località di Mbau e di Kamango, nei pressi della frontiera con l’Uganda. Nel mese di aprile 2014, le FARDC hanno preso il controllo sull’accampamento di Medina, considerato come la base principale di Jamil Mukulu e situato all’interno della foresta, al chilometro 40 tra Mbau e Kamango. Tuttavia, degli abitanti di Beni hanno affermato di aver constatato un aumento delle violenze da parte delle ADF a partire da settembre 2014, in seguito ad un cambiamento effettuato nella catena di comando delle operazioni condotte dalle FARDC contro le ADF. Gli attacchi contro i civili si sono intensificati quando, a Beni, il 1° ottobre 2014, è iniziato il processo contro alcuni soldati delle FARDC e combattenti delle ADF accusati di aver ucciso, il 2 gennaio 2014, il Colonnello Mamadou Ndala, comandante delle operazioni militari nel nord della provincia del Nord Kivu e responsabile dell’operazione Sukola I.

In seguito a delle inchieste, il dipartimento dell’Onu per i diritti umani (BCNUDH) ha potuto confermare che, tra il 1° ottobre e il 31 dicembre 2014, in occasione di attacchi contro 35 villaggi del territorio di Beni da parte di combattenti ADF, almeno 237 civili sono stati vittime di esecuzioni sommarie, altri 47 sono stati mutilati, 2 sono stati vittime di stupro e almeno 20 sono stati sequestrati. Inoltre, un numero imprecisato di case sono state saccheggiate e distrutte.

Nel territorio di Beni, gli attacchi contro le popolazioni civili sono stati condotti in modo sistematico e con grande brutalità. Secondo l’inchiesta del BCNUDH, gli autori di questi attacchi hanno preso di mira indiscriminatamente uomini, donne e bambini. Il loro modus operandi ha permesso loro di uccidere il maggior numero possibile di persone in un tempo molto breve. Gli aggressori erano divisi in diversi gruppi mobili composti da sei a più decine di persone e hanno fatto ricorso a dei metodi che riducevano la possibilità di diffondere segnali di allerta. La maggior parte degli attacchi si sono infatti verificati durante il tramonto, quando le persone stavano tornando a casa dopo il lavoro nei campi o durante la notte. La maggior parte delle vittime sono state uccise con machete, asce e martelli, per evitare le detonazioni degli spari. Secondo le informazioni raccolte dal BCNUDH, gli aggressori colpivano le loro vittime soprattutto alla testa, non lasciando loro alcuna possibilità di sopravvivenza. Diverse vittime sono state decapitate dopo essere state legate. In alcuni casi, gli aggressori hanno usato le armi da fuoco contro le persone che cercavano di fuggire, al fine di ucciderle il più rapidamente possibile e impedire loro di fuggire e dare l’allarme.

Diversi attacchi sono stati commessi con la partecipazione di donne e bambini – ragazzi e ragazze – che accompagnavano gli assalitori. Secondo le testimonianze dei sopravvissuti, mentre gli uomini uccidevano, le donne e i bambini saccheggiavano le case e portavano via cibo, pollame e altri beni (vestiti e utensili da cucina) facilmente trasportabili. Secondo alcune fonti, in alcuni casi, dei bambini sarebbero stati costretti a sgozzare le vittime che erano già state precedentemente uccise dai combattenti delle ADF. Dopo gli attacchi, gli assalitori hanno incendiato diversi villaggi e alcune delle vittime sono rimaste bruciate vive nelle loro case.

In quattro occasioni, nelle località di Oicha, Mayimoya, Beni e Eringeti, gli attaccanti hanno diffuso dei volantini, in inglese e swahili, avvertendo la popolazione su futuri attacchi. In uno dei volantini, era stato scritto in lingua swahili: “Vi uccideremo, perché ci state provocando. Prima collaboravamo con le FARDC senza alcun problema. Ma adesso le FARDC ci attaccano. (…) Non meravigliatevi dunque se abbiamo deciso di uccidere i vostri bambini, le vostre donne e i vostri anziani (…). In nome di Allah, non vi lasceremo in pace“. Questo fatto dimostra la natura premeditata degli attacchi, presentati come atti di rappresaglie contro le popolazioni civili in seguito alle operazioni militari condotte dalle FARDC e contro alcuni capi località che non accettavano più di collaborare con le ADF.

Reazioni delle autorità congolesi

Tra ottobre e dicembre 2014, a Beni, nel quadro di operazioni di rastrellamento e di inchieste avviate dalle autorità per far luce sui massacri commessi nel territorio di Beni tra il 1° ottobre e il 31 dicembre 2014, sono state arrestate almeno 300 persone, fra cui almeno 33 militari delle FARDC.

Tra i civili, c’erano delle persone sospettate di collaborare con le ADF, dei commercianti locali e dei membri del partito di opposizione RCD-K / ML, considerato dal governo congolese come un alleato delle ADF.

Dal 3 novembre 2014, dato il modus operandi degli assalitori che organizzavano i loro attacchi ai villaggi al calare della sera o durante la notte, le autorità del territorio di Beni hanno instaurato un coprifuoco dalle 18h30 alle 6h00 del mattino su tutto il territorio di Beni. La misura avrebbe contribuito a limitare il rischio che la popolazione fosse colta di sorpresa dagli aggressori in luoghi privi di sicurezza.

A Beni, data la gravità degli incidenti, le FARDC hanno intensificato le offensive militari in collaborazione con la MONUSCO, soprattutto in occasione delle operazioni Mayangose, Umoja I, II e III, programmate tra novembre 2014 e gennaio 2015. Tali operazioni hanno portato allo smantellamento di diversi accampamenti delle ADF, compresi quelli di Braida, Issa, Canada, Pilota e Musana. Durante queste operazioni, sono stati uccisi vari combattenti ADF, sono state sequestrate armi da guerra e sono stati scoperti diversi documenti che riportavano utili informazioni sugli spostamenti dei combattenti stessi.

Azioni intraprese dalla MONUSCO

Sin dall’inizio degli attacchi delle ADF contro i civili, la MONUSCO aveva rafforzato la propria presenza nel territorio di Beni e il suo appoggio alle FARDC per operazioni congiunte. Il 29 ottobre 2014, una compagnia malawita della Brigata di intervento della Monusco è stata dispiegata come rinforzo a Beni. Inoltre, sono aumentati i pattugliamenti aerei diurni e notturni. Tra ottobre e dicembre 2014, sono stati effettuati almeno 60 pattugliamenti di ricognizione aerea, mentre gli elicotteri d’attacco MI-24 e Mi-27 hanno realizzato almeno 21 missioni a sostegno delle operazioni di terra. Tra ottobre e dicembre 2014, sono stati effettuati una media di 130 pattugliamenti notturni motorizzati, militari e di polizia. A partire dall’8 dicembre 2014, la Monusco ha usato i suoi droni per ottenere maggiori informazioni sulle posizioni dei combattenti delle ADF. Tutte queste misure hanno contribuito a una significativa diminuzione degli attacchi perpetrati dalle ADF nel Territorio di Beni, a partire da dicembre 2014.

Le difficoltà ambientali proprie di un territorio montagnoso e forestale e l’elevata mobilità dei combattenti delle ADF, hanno reso difficile l’intervento della forza militare della Monusco che ha istituito un numero verde, in collaborazione con le FARDC e le autorità locali, in modo che la popolazione possa dare l’allerta in caso di attacchi.

L’arresto di Jamil Mukulu

Jamil Mukulu è stato arrestato il 20 aprile 2015 dai servizi di sicurezza della Tanzania a Kagezi, alla frontiera tra il Kenya e la Tanzania. Interpol aveva emesso contro di lui un mandato di arresto su richiesta di Kampala. Egli è accusato di crimini contro l’umanità e di massacri di massa. È stato estradato in Uganda il 10 luglio 2015, per essere processato a Kampala.

D. UNA MINACCIA REDDITIZIA, DUNQUE DUREVOLE

La presenza delle ADF nella RDCongo si è rivelata durevole nel tempo non per il loro numero o per la loro superiorità militare, ma per la loro capacità di integrazione socio-economica nel contesto locale e per l’ambiguità e l’inefficacia delle operazioni militari intraprese contro di loro. In effetti, a causa del prolungarsi delle operazioni militari, gli ufficiali dell’esercito hanno potuto integrarsi maggiormente nell’economia locale e, soprattutto, nei suoi traffici illegali.

1. L’integrazione delle ADF nel tessuto socio-economico locale [ICG]

A causa della loro composizione, della loro presenza in un territorio ricco di risorse naturali e come i loro predecessori, le ADF-Nalu si sono inserite nell’economia transfrontaliera fin dalla loro creazione.

Il movimento Rwenzururu e il Nalu avevano creato delle relazioni commerciali, in particolare con Enoch Nyamwisi. Quando si sono formate le ADF-Nalu, queste relazioni economiche sono continuate. Anche durante l’Operazione Mountain Sweep, alcuni ufficiali ugandesi sono stati sospettati di fare del commercio con le ADF-Nalu, attraverso i loro alleati congolesi, soprattutto membri del RCD-KML.[10]

Attualmente, le ADF dispongono di un’ampia rete di finanziamento a partire dalla regione di Beni e di Butembo, nella RDCongo, proprio grazie ai contatti che hanno sempre mantenuto con la popolazione locale e alle loro attività di commercio transfrontaliero di legname e di minerali.

Alcuni documenti trovati durante la perquisizione della casa di Jamil Mukulu a Nairobi, nell’agosto 2011, hanno dimostrato che le ADF sarebbero coinvolte nel commercio di legname e d’oro. Nella zona sotto il loro controllo, le ADF hanno imposto una tassa di 300 $ per motosega utilizzata per tagliare gli alberi e delle multe fino a 500 $ per quelli che non pagano tale tassa. Secondo le informazioni raccolte da Crisis Group, tra quelli che sono implicati nel commercio illegale del legname in questa zona e che pagano questa tassa alle ADF ci sono anche degli ufficiali dell’esercito congolese. Grazie alle loro entrate, le ADF si riforniscono di prodotti manufatti attraverso intermediari che effettuano gli acquisti a loro nome. Tuttavia, questi intermediari non sono sempre volontari: spesso le ADF ricorrono a minacce, sequestri e rappresaglie per costringere alcune persone a svolgere questo ruolo.

Nell’est della RDCongo, il commercio permette ai gruppi armati di approvvigionarsi in prodotti di prima necessità e di reinvestire le loro entrate provenienti dall’imposizione di tasse illegali e agli agenti economici locali di trarre profitto della presenza dei gruppi armati.

2. Le FARDC: tra attività commerciali e operazioni militari [ICG]

Secondo uno schema riprodotto in tutto l’est della RDCongo, l’esercito congolese ha fatto delle operazioni militari contro le ADF un’occasione di business e di furto sistematico. Molte sono le complicità commerciali tra certi ufficiali congolesi, le ADF e le autorità locali ugandesi. Nel 2010, l’operazione Rwenzori contro le ADF è stata l’occasione, per molti ufficiali superiori dell’esercito congolese, di compiere angherie e soprusi sui commercianti Nande di Beni e di Butembo e di prendere il controllo sul commercio del legname. Il legname esportato dalla RDCongo verso l’Uganda è poi esportato verso paesi terzi sotto l’etichetta di legname prodotto in Uganda. Questo permette di non pagare le tasse di esportazione. Da parte sua, la società civile ha accusato le FARDC di approfittare delle operazioni militari contro le ADF, per compiere estorsioni e furti ai danni della popolazione civile e di essere alla base dei frequenti attacchi perpetrati contro i veicoli dei commercianti, con gli inevitabili furti di grandi somme di denaro.

E. RACCOMANDAZIONI           

Conseguentemente a quanto precede, il BCNUDH raccomanda:

* Alle autorità congolesi:

– Adottare delle misure urgenti per porre fine agli attacchi contro le popolazioni civili del territorio di Beni e per proteggere pienamente ed efficacemente la popolazione locale;

– Effettuare rapidamente delle inchieste indipendenti, credibili e imparziali sulle violazioni dei diritti umani e sulle violazioni del diritto umanitario internazionale commesse nel territorio di Beni.

Nel caso in cui si accertino elementi costitutivi di reato, è necessario consegnare alla giustizia tutti i responsabili di queste violazioni, inclusi i militari delle FARDC che vi sarebbero implicati, a qualsiasi livello e indipendentemente dal loro rango;

– Adottare le misure necessarie per arrestare ogni forma di sfruttamento illegale di risorse naturali del territorio di Beni che alimenta i conflitti armati nella regione.

* Alla comunità internazionale:

– Apportare l’appoggio necessario alle autorità congolesi nel perseguire i responsabili di gravi violazioni dei diritti umani e del diritto umanitario internazionale;

– Incoraggiare i Paesi firmatari dell’accordo quadro per la pace, la sicurezza e la cooperazione nella RDCongo e nella regione dei Grandi Laghi a mettere in atto i loro impegni, in particolare quelli relativi al ritorno nel loro paese di origine degli ex combattenti che hanno deposto le armi e che non sono implicati in crimini di guerra e crimini contro l’umanità.

Secondo International Crisis Group, la lotta contro le ADF non deve più essere considerata solo come una campagna militare, ma anche come un’operazione di intelligence.

Gli ufficiali del meccanismo congiunto di controllo delle frontiere dispiegati a Goma dalla CIRGL dovrebbero prestare particolare attenzione alle reti economiche e logistiche transfrontaliere delle ADF e collaborare con il gruppo degli esperti delle Nazioni Unite per produrre un rapporto dettagliato su queste reti. È sulla base di tale rapporto che si dovrebbe definire la strategia di lotta contro questo gruppo.

Questo lavoro congiunto di intelligence dovrebbe permettere di identificare gli individui coinvolti nelle reti di appoggio alle ADF, sia all’interno della RDCongo che all’estero, e iscriverli nella lista delle persone che appoggiano i gruppi armati. In quanto tali, dovrebbero essere oggetto delle sanzioni previste dall’ONU. In effetti, il congelamento dei beni e il divieto di viaggiare in paesi esteri dovrebbero ostacolare l’effettuazione di trasferimenti di denaro, la raccolta di fondi all’estero e la mobilitazione della diaspora in Africa, in Europa e in America. Inoltre, questo lavoro di intelligence dovrebbe permettere di identificare anche i soldati congolesi e ugandesi implicati nelle reti di appoggio alle ADF e la loro identificazione dovrebbe essere comunicata alle autorità dei due Paesi, in vista di appropriate sanzioni. Finché tale lavoro di intelligence non sarà fatto, non si dovrebbe attivare nessuna azione militare. Nel frattempo, Kampala e Kinshasa dovrebbero procedere a delle mutazioni periodiche degli ufficiali dispiegati nella regione.

In attesa della definizione di una strategia chiara contro le ADF, i combattenti disposti a arrendersi dovrebbero potere beneficiare di un programma di disarmo (DDRRR), il che permetterebbe di offrire una prospettiva di smobilitazione e di reinserimento ai membri delle ADF che non hanno commesso crimini di guerra e crimini contro l’umanità.

[1] Cf http://www.crisisgroup.org/~/media/Files/africa/central-africa/dr-congo/b093-lest-du-congo-la-rebellion-perdue-des-adf-nalu.pdf

[2] Cf http://www.ohchr.org/Documents/Countries/CD/ReportMonusco_OHCHR_May2015_FR.pdf

[3] Omusinga è il titolo del re dei Bakonzo d’Uganda e dei Nande del Congo.

[4] Il 15 agosto 1982, Charles Wesley Irema-Ngoma Willingly aderisce al governo di Milton Obote come capo degli anziani del distretto di Kasese. L’amministrazione ugandese nel regno autonomo di Rwenzururu diventa allora monopolio dei Bakonzo. Il regno è finalmente riconosciuto dal governo ugandese nel 2008. Il 19 ottobre 2009, Charles Wesley Mumbere, figlio di Charles Wesley Ngoma-Irema Willingly, è ufficialmente incoronato Omusinga del regno di Rwenzururu.

[5] Nato nel 1944, Amon Bazira fa parte dell’opposizione a Amin Dada. Alla caduta di quest’ultimo, nel 1979, Amon Bazira è nominato vice direttore dei servizi segreti ugandesi nel regime di Obote 2. Dal 1980 al 1982 conduce i negoziati con il movimento secessionista del Rwenzururu. Nel 1986, alla caduta di Obote, crea l’Esercito Nazionale di Liberazione dell’Uganda (NALU).

[6] I Mai Mai Kasindiens appaiono nel corso degli anni 1980, ai piedi delle montagne del Rwenzori. Si tratta principalmente di una milizia che fomenta l’insicurezza lungo la frontiera tra la RDCongo e l’Uganda, per camuffare le attività illegali di commercianti nande e ugandesi (commercio di caffè, avorio, droga e armi).

[7] La setta Tabligh è un movimento islamico che, apparso nel 1920 nel subcontinente indiano, sostiene un’interpretazione molto letterale e ortodossa dell’Islam. Al suo interno, si contrappongono due tendenze: la prima è non violenta e pacifica, la seconda è piuttosto radicale, fondamentalista e violenta. Questa setta è arrivata in Uganda verso gli anni 1970. Inizialmente, era un gruppo molto minoritario nella comunità musulmana ugandese.

[8] Le montagne del Ruwenzori arrivano fino ai 5.109 metri d’altezza. Lunga 120 Km. E larga 65 Km, la catena del Ruwenzori è composta di sei massicci separati da vallate.

[9] All’interno della Monusco, la cooperazione tra ufficiali indiani e truppe nepalesi si sarebbe subito rivelata difficile.

[10] Il Raggruppamento Congolese per la Democrazia / Kisangani – Movimento di liberazione (RCD-KML) è un gruppo armato emerso in seguito alle divisioni del RCD – Kisangani nel 2000. Guidato da Mbusa Nyamwisi, un Nande, fratello di Enoch Nyamwisi, è stato integrato nel governo di transizione nel 2003. Mbusa Nyamwisi è stato ministro nei governi di Joseph Kabila dal 2006 fino al 2011. Dopo le elezioni del 2011, è stato eletto e si è dimostrato molto critico nei confronti del potere. Il RCD-KML ha una forte base etnica Nande ed è, attualmente, il principale partito politico dei Territori di Beni e di Lubero, nella provincia del Nord Kivu.