Congo Attualità n.215

INDICE

1. KIVU: SITUAZIONE ANCORA INCERTA SUL PIANO DELLA SICUREZZA

a. Operazioni militari contro i gruppi armati

b. Rese

c. Attuazione del piano DDR

d. Amnistia

e. Frontiere colabrodo

2. LA SECONDA CONFERENZA NAZIONALE SULLE MINIERE

a. Il contesto

b. Lo svolgimento della conferenza

3. LA GIUSTIZIA NON PUÒ PIÙ ASPETTARE

4. RINNOVO DEL MANDATO DELLA MONUSCO

 

1. KIVU: SITUAZIONE ANCORA INCERTA SUL PIANO DELLA SICUREZZA

Le operazioni di neutralizzazione dei gruppi armati procede a rilento e in modo ambiguo. Da una parte, se l’esercito regolare riesce a liberare alcune zone occupate e a prenderne il controllo, dall’altra, i gruppi armati si ritirano nella foresta senza essere sconfitti. Questa strategia dà loro la possibilità di poter sopravvivere ed, eventualmente, di poter riorganizzarsi.

Anche l’attuazione del piano di disarmo, smobilitazione e reinserimento (DDR) degli ex combattenti dei vari gruppi armati suscita molte perplessità, perché si rischia di reintegrare nell’esercito regolare degli ex miliziani indisciplinati e con scarsa formazione militare.

a. Operazioni militari contro i gruppi armati

Contro i ribelli ugandesi dell’ADF

Il 9 marzo, le FARDC hanno preso il controllo della località di Makoyova 3, considerata l’ultimo baluardo dei ribelli ugandesi dell’ADF a Beni. Nei combattimenti, sono rimasti uccisi 22 miliziani dell’ADF e due militari dell’esercito. Secondo diverse fonti, l’ADF avrebbe preso la direzione del Parco Nazionale del Virunga e del massiccio del Ruwenzori.[1]

Il 13 marzo, le FARDC e i ribelli ugandesi dell’ADF si sono scontrati nel villaggio di Saasita-Sa, a 60 km da Beni. L’esercito ha lanciato l’assalto alla questa località per poter dirigersi verso il Parco Nazionale dei Virunga, dove si sono rifugiati alcuni ribelli e i loro comandanti, dopo aver perso il controllo sulla località di Makoyova 3.[2]

Il 18 marzo, il colonnello Olivier Hamuli, portavoce dell’esercito congolese nel Nord Kivu, ha affermato che, dopo l’inizio, il 16 gennaio scorso, dell’operazione militare Sokola 1 contro l’ADF nel territorio di Beni, non è ancora stato trovato nessuno dei circa seicento ostaggi nelle mani dei ribelli ugandesi dell’ADF. Secondo il portavoce militare, gli ostaggi sarebbero stati giustiziati o condotti verso una destinazione sconosciuta. Ma per l’amministratore del territorio di Beni, la speranza è ancora possibile perché, secondo lui, gli ADF in fuga si sposterebbero accompagnati da civili. Inoltre, egli afferma che alcuni ostaggi sarebbero stati arruolati nelle file dell’ADF, tesi sostenuta anche dal coordinamento della società civile del Nord-Kivu.[3]

Il 22 marzo, 251 rifugiati congolesi di ritorno dall’Uganda sono annegati nel Lago Alberto. Le vittime facevano parte di un gruppo di quasi trecento rifugiati congolesi che si trovavano «a bordo di un’imbarcazione privata che probabilmente non aveva le necessarie garanzie di sicurezza», ha dichiarato Lambert Mende, portavoce del governo congolese. Le probabili cause del naufragio possono essere state il sovraffollamento dei passeggeri a bordo e la vetustà dell’imbarcazione.
Questi rifugiati erano fuggiti dalla RDCongo in seguito ai ripetuti attacchi dei ribelli dell’ADF nella provincia del Nord Kivu ed erano stati installati nel sito di Kingwale, in Uganda. Secondo la dichiarazione del governo congolese, essi avevano deciso di abbandonare il sito di propria iniziativa, a causa della scarsa assistenza loro riservata. In seguito a questo dramma, continua la stessa dichiarazione, il governo congolese, il governo ugandese e l’UNHCR prenderanno le misure necessarie sia per un rimpatrio organizzato dei rifugiati rimasti in Uganda e che desiderano ritornare, sia per un miglioramento delle condizioni di vita di coloro che non hanno ancora deciso di ritornare.[4]

Il 7 aprile, rispondendo a un’interrogazione parlamentare richiesta dal senatore Ernest Hamuli, il ministro degli Interni, Richard Muyej Mangez, ha dato un nuovo bilancio del naufragio: 109 persone annegate, 101 disperse e 41 superstiti. Secondo il ministro degli interni, questi rifugiati erano tra i candidati al rimpatrio volontario, ma avevano deciso di organizzare il loro ritorno da soli. Secondo diversi osservatori, è un fatto grave che dei rifugiati abbiano potuto organizzare il loro ritorno all’insaputa delle strutture ufficiali, tra cui l’UNHCR, le autorità del paese ospitante e quelle del paese di origine.[5]

Contro i ribelli ruandesi delle FDLR

Il 10 marzo, le FARDC hanno ripreso il controllo della località di Miriki, da due anni occupata dai ribelli ruandesi delle FDLR, nel territorio di Lubero, a circa 200 km a nord di Goma (Nord Kivu). Secondo fonti amministrative locali, i ribelli ruandesi si sarebbero diretti verso ovest.[6]

L’11 marzo, le FARDC hanno cacciato i ribelli ruandesi delle FDLR dalla località di Kahumo, a 15 km a sud ovest di Kanyabayonga (Nord Kivu). Secondo fonti amministrative, la località era occupata dai ribelli già da due anni. Fonti locali indicano che i miliziani delle FDLR si sarebbero ritirati verso la località di Kimaka, a 15 chilometri a sud di Kahumo.[7]

Il 21 marzo, la società civile del territorio di Lubero ha denunciato la presenza di un centinaio di combattenti ruandesi delle FDLR tra la popolazione di Kyuto, un villaggio a 200 km a nord-ovest di Goma, nel Nord Kivu. Secondo il presidente di questa organizzazione, Joseph Malikidogo, si tratta di 5 ufficiali delle FDLR accompagnati dalle loro truppe. Proverrebbero da Mashuta, in territorio di Walikale, per sfuggire alle operazioni militari dell’esercito regolare e della brigata d’intervento della Monusco. Di giorno, si dedicano al lavoro nei campi, ma di notte riprendono le loro attività criminali. Joseph Malikidogo esorta le autorità a intervenire per porre fine a tale situazione.[8]

Il 24 marzo, la società civile del Nord Kivu ha rivelato che, da almeno due mesi e a causa dell’assenza dell’esercito nazionale, le FDLR hanno occupato sei località del raggruppamento di Busanza, nel territorio di Rutshuru. Questi villaggi sono: Rugarama, Shinda, Mutabo, Rutezo, Karambi e Kitagoma. Le popolazioni locali hanno abbandonato questi villaggi per evitare le angherie di questi miliziani.[9]

Il 31 marzo, durante la notte, miliziani delle FDLR hanno saccheggiato il villaggio di Rugarama, nel territorio di Rutshuru. Gli assalitori sono passati di porta in porta, saccheggiando case di privati, botteghe e farmacie e rubando denaro, viveri, materassi, pollame, medicinali e altri oggetti di valore.[10]

Annunciata diversi mesi fa, l’offensiva contro i ribelli ruandesi delle FDLR non avanza. Le truppe della brigata d’intervento delle Nazioni Unite e dell’esercito congolese sono dispiegate in molte zone controllate dalle FDLR, ma non si constata alcun attacco significativo contro i ribelli. Ufficialmente, la Monusco fa presente la complessità della situazione. I ribelli ruandesi sono sul posto da 20 anni e vivono tra la popolazione civile nella foresta, il che rende ogni attacco particolarmente complicato. Inoltre, altre fonti riferiscono di un possibile scambio di informazioni tra l’esercito congolese e le FDLR. Infatti, in passato questi ribelli hanno più volte dato una mano all’esercito congolese nelle sue operazioni contro altri gruppi armati, il che potrebbe spiegare questa “velata complicità”.[11]

Contro l’APCLS

Il 4 marzo, le FARDC hanno cacciato i miliziani dell’Alleanza dei Patrioti per un Congo Libero e Sovrano (APCLS) da Lwibo, nel territorio di Masisi (Nord Kivu). Ai primi di febbraio, questa milizia era già stata sloggiata dalle località di Kibarizo, Muhanga e Butare. L’APCLS è stata fondata all’inizio del 2008, è guidata da Janvier Kalahiri ed è composta da circa 500 combattenti appartenenti, per lo più, all’etnia hunde. In seguito a conflitti fondiari, combatte contro la presenza di Tutsi nel Nord Kivu.[12]

Il 15 marzo, le FARDC hanno cacciato i miliziani dell’APCLS dalla località di Lukweti, nel territorio di Masisi (Nord Kivu). Questa località era considerata il quartier generale e l’ultimo baluardo della milizia. I miliziani sono fuggiti prima dell’arrivo delle FARDC, abbandonando armi e munizioni e si sarebbero diretti verso la foresta di Mutongo, a circa 18 km da Lukweti. La ripresa di Lukweti è stata possibile dopo una settimana di pesanti combattimenti nei pressi della collina Sinaï. I militari congolesi avevano finalmente preso il controllo della collina il 13 marzo. Durante gli scontri, erano rimasti uccisi dieci miliziani.[13]

Dopo la sconfitta di Lukweti, l’APCLS tenta di allearsi con altri gruppi armati di Walikale. Si tratta del Nduma Defense of Congo (NDC) di Ntabo Taberi Cheka e dei Raïa Mutomboki, attivi lungo la strada Walikale-Bukavu. Il comando generale della coalizione sarebbe stato affidato a Ntabo Taberi Cheka, dell’NDC, il comando delle operazioni sarebbe coordinato dall’APCLS di Janvier Kalahire e la logistica sarebbe stata affidata ai Raïa Mutomboki.[14]

b. Rese

Il 3 marzo, a Uvira (Sud Kivu), il Movimento Popolare per la Difesa del Congo (MPDC) ha annunciato di porre fine alle sue attività militari e di continuare la sua lotta come partito politico.
L’MPDC sarebbe composto da circa 1.200 combattenti. Emmanuel Ndigaya Ngezi, presidente del movimento, ha affermato di aver affidato tutti i combattenti della sua milizia al Generale Delphin Kahimbi, coordinatore del programma DDR nel Kivu.[15]

Dalla fine di gennaio, più di un centinaio di miliziani si sono arresi alle Forze Armate della RDCongo (FARDC) in Ituri (Provincia Orientale). Appartenevano alla Coalizione dei Gruppi Armati dell’Ituri ( Cogai ), alla Forza di Resistenza Patriottica dell’Ituri (FRPI ) e all’Esercito di Liberazione del Popolo Congolese (ALPC). Secondo le autorità locali, queste arrese sono dovute alla promulgazione della legge sull’amnistia e se ne registrano ogni settimana. Tra i capi delle varie milizie dell’Ituri che si sono arresi, figurano John Ndjabu, ex colonnello dell’esercito che ha combattuto nelle file della Cogai, Bebwa, anche lui un ex colonnello delle FARDC che era entrato nei ranghi della ribellione dell’M23 e Ndrobu, un ex capitano dell’esercito regolare che si era unito all’ALPC, milizia ancora attiva nel territorio di Aru. I capi dell’FRPI, tra cui Mbadu Adirodu e Cobra Matata, esitano ancora anche se avevano già espresso il desiderio di rientrare nell’esercito regolare. Altri miliziani hanno paura di essere arrestati e sono fuggiti in Uganda e in Sud Sudan.[16]

c. Attuazione del piano DDR

Il 25 febbraio, duecentocinquanta ex-combattenti hanno lasciato il centro di raggruppamento di Bweremana, nel Nord Kivu, per il centro di addestramento militare di Kitona, nel Bas-Congo. Il comandante del centro Bweremana, Il colonnello Banza Mufwankolo ha affermato che questi ex – miliziani provengono da ventitre gruppi armati, tra cui l’APCLS, i Nyatura, i Maï-Maï Kifuafua e i Raia Mutomboki. La popolazione di Bweremana ha applaudito la partenza di questi ex miliziani. Molte persone non sono andate a lavorare nei campi per poter assistere a questo evento e hanno manifestato la gioia di essere, infine, liberati della violenza di questi ex miliziani. Raggruppati da qualche mese a Bweremana, questi ex miliziani praticavano il furto e l’estorsione, perché non erano adeguatamente assistiti. Il colonnello Banza Mufwankolo ha ammesso gli atti di indisciplina commessi da questi ex combattenti e ha assicurato che questa operazione di trasferimento proseguirà. Questi ex miliziani saranno mandati nei diversi centri di addestramento militare sparsi su tutto il territorio nazionale. Prima dell’inizio di questa operazione, il centro di raggruppamento di Bweremana ospitava circa quattromila ex-combattenti. Tuttavia, vari di loro, fra cui dei miliziani dell’APCLS e dei Maï-Maï Nyatura, avevano disertato questo centro di raggruppamento e sono ritornati nelle località che occupavano prima di arrendersi all’esercito.[17]

Tutto fa credere che la loro mutazione a Kitona sia il preludio alla loro integrazione nell’esercito nazionale, dopo aver seguito una formazione civica e militare adeguata. E questo è il guaio. Non si comprende come le autorità politiche e la gerarchia militare possano accettare di integrare nell’esercito dei criminali che, nella vita, non hanno imparato che un solo mestiere: uccidere, saccheggiare, stuprare e rubare. In questo caso, si può dubitare seriamente della volontà delle autorità congolesi di dotare il Paese di un nuovo esercito professionale e repubblicano. Non si ricostruisce un vero esercito con degli indisciplinati.[18]

Il 27 febbraio, duemila ex-combattenti raggruppati presso il centro di smobilitazione di Bweremana, hanno affermato di essere riluttanti ad accettare di essere trasferiti alla base militare di Kitona, nel Bas-Congo, per iniziare il processo del loro reinserimento nell’esercito regolare. Hanno detto di temere per il loro futuro. Sono preoccupati non solo per la sopravvivenza delle loro famiglie, ma anche per il loro ritorno ai loro villaggi, ormai occupati da gruppi armati rivali contro cui hanno combattuto. Inoltre, temono di essere abbandonati dallo Stato, una volta arrivati ​​a Kitona.
Questo è il motivo per cui vogliono che il processo della loro integrazione nell’esercito si effettui  nel Kivu, dove risiedono anche le loro famiglie.[19]

L’11 marzo, una delegazione di rappresentanti della Monusco / Lubumbashi e della sesta regione militare ha visitato il centro di smistamento presso la base militare di Kamina. In questo centro, ci sono più di 1.100 ex combattenti, tra cui 38 donne. Alcuni provengono dai diversi gruppi armati che hanno combattuto contro la ribellione dell’M23, nel Nord Kivu. Si tratta, in modo particolare, dei Raia Mutomboki, dell’APCLS, dell’FPC, dell’FPD e dei Nyatura Nyiragongo. La loro età varia tra i 15 e i 30 anni.[20]

Secondo un diplomatico occidentale a Kinshasa, il piano DDR III presentato a fine dicembre dal governo congolese per il disarmo, la smobilitazione e il reinserimento degli ex combattenti non offrirebbe agli ex ribelli dell’M23 «sufficienti garanzie per il loro ritorno presso le loro famiglie» nel Kivu, nel caso in cui non potessero essere integrati nell’esercito regolare. I beneficiari del programma saranno, infatti, raggruppati in tre centri di smistamento a Kitona (Bas-Congo), Kamina (Katanga) e Kotakoli (Équadeur), «a migliaia di chilometri dai loro villaggi». Tuttavia, secondo alcuni osservatori, la loro integrazione nell’esercito sarebbe da escludere, per evitare un nuovo ciclo di diserzioni e ribellioni. Anche il loro reinserimento nella vita civile sul posto, nel Kivu, sarebbe molto problematica, in quanto si troverebbero a dover vivere fianco a fianco con le loro vittime, il che potrebbe portare al perpetuarsi del conflitto.[21]

d. Amnistia

Per quanto riguarda l’applicazione della legge sull’amnistia, si tratta di una procedura amministrativa individuale e non collettiva. In altre parole, ogni potenziale beneficiario della legge sull’amnistia deve presentare personalmente la richiesta al Ministero di Giustizia, che la esaminerà in modo approfondito. In pratica, coloro che aspirano all’amnistia hanno sei mesi di tempo, a partire dall’11 febbraio, data di entrata in vigore della legge, per presentare la loro domanda. Quindi, dopo il mese di agosto, nessuna richiesta di amnistia sarà più ammissibile al Ministero della Giustizia.

Ogni candidato all’amnistia dovrà compilare un modulo, con una fototessera, presso un giudice civile o militare o, se non fosse possibile, presso un ispettore di polizia o capo di carcere. Una volta completata, la lista definitiva degli amnistiati sarà pubblicata, per decreto ministeriale, sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica.[22]

L’11 marzo, l’Associazione Africana per i Diritti dell’Uomo (ASADHO) ha denunciato l’esistenza di patteggiamenti per ottenere l’amnistia per fatti d’insurrezione. Nel corso di una conferenza stampa tenutasi presso il Centro Carter a Kinshasa, l’ASADHO ha parlato di persone che passano di carcere in carcere per redigere una lista “parziale” di candidati all’amnistia. Il presidente dell’ASADHO, Jean-Claude Katende, ha chiesto alle autorità congolesi di mettere fine a questa serie di patteggiamenti, anche se non ne cita gli autori. Secondo lui, alcune persone approfittano di questa opportunità per esigere tangenti.[23]

Il 18 marzo, la società civile del Nord-Kivu ha chiesto all’inviata speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite per i Grandi Laghi, Mary Robinson, di assicurarsi che i ribelli dell’M23, accusati di crimini di guerra e di crimini contro l’umanità, non usufruiscano dell’amnistia e siano, invece, processati. Il presidente della società civile del Nord-Kivu, Thomas d’Aquin Mwiti, ha affermato che i nomi di queste persone sono inclusi nella lista dei ribelli dell’M23 che il governo aveva escluso, durante i colloqui di Kampala, da qualunque amnistia e da qualsiasi reintegrazione nell’esercito regolare. Mary Robinson ha espresso la sua preoccupazione a riguardo di questo problema e ha promesso di assicurarsi che i presunti criminali non siano amnistiati. «È ovvio che queste persone non dovranno usufruire dell’amnistia», ha dichiarato, chiedendo che giustizia sia fatta.[24]

e. Frontiere colabrodo

Il 31 marzo, il Presidente dell’Assemblea Provinciale del Nord Kivu, Jules Hakizimwami, ha dichiarato che, dal 26 marzo, dei militari dell’esercito ugandese stavano occupando la riserva dei gorilla a Sarambwe, a un centinaio di chilometri a nord di Goma, nel territorio di Rutshuru.
Jules Hakizumwami ha precisato le posizioni occupate dagli Ugandesi occupano sol sul suolo congolese: «le truppe dell’esercito ugandese occupano le colline dei dintorni di Karambwe e Kisharo, nel raggruppamento di Binza. Le colline occupate sono quelle di Kazingiro, Kabumba, Risura e Kanyabusanane, a circa 20 chilometri dal confine tra la DCongo e l’Uganda». Sul posto, i militari ugandesi affermano di essere «venuti a proteggere i propri connazionali che li hanno preceduti per coltivare dei campi a Sarambwe». «Eppure Sarambwe è parte del territorio congolese», incalza il Presidente dell’Assemblea Provinciale del Nord Kivu che ha chiesto l’intervento delle autorità competenti a livello nazionale, regionale e internazionale per porre fine a tale presenza. Da parte sua, il portavoce militare della Monusco ha affermato che si tratterrebbe di un’incursione di militari ugandesi che non sarebbe durata a lungo.[25]

2. LA SECONDA CONFERENZA NAZIONALE SULLE MINIERE

a. Il contesto

Il 1° marzo, a Goma, è stato lanciato un sistema di tracciabilità dei minerali denominato Initiative Supply Chain (ITSCI). D’ora in poi, prima di essere esportati, la cassiterite e il coltan del settore di Rubaya, nel territorio di Masisi, saranno etichettati presso il sito di estrazione. Il ministro provinciale per le miniere, Jean Ruyange, ha però ammesso che, finora, sono solo 17 i siti minerari del settore di Rubaya ad essere stati riconosciuti come legali (bollino verde) con decreto ministeriale. Altri 11 siti minerari del territorio di Masisi e decine di altri in territorio di Walikale, tra cui il sito Bisié, non sono ancora stati convalidati. Il ministro provinciale delle miniere ha indicato che alcuni di questi siti sono ancora classificati con bollino giallo e altri con bollino rosso (operativo vietato), perché si trovano in zone occupate da gruppi armati e non possono ancora usufruire del sistema di tracciabilità.[26]

Il 26 marzo, in seguito a una missione ufficiale nel quadro di un censimento degli operatori semi industriali dell’oro a Mukenge (a 60 km a sud di Shabunda), nel Sud Kivu, il capo della Direzione Generale per le Entrate Amministrative e Demaniali (DGRAD, Eghe Bisimwa, ha rivelato che varie draghe scavano illegalmente nel fiume Ulindi da due mesi per estrarre oro. Secondo lui, più di trenta di queste draghe sono operative, ma senza alcun documento di autorizzazione.
La DGRAD di Shabunda non dispone di alcuna statistica sulla produzione d’oro a Mukenge, anche se le draghe scavano oro giorno e notte. Eghe Bisimwa valuta il deficit di entrate di oltre 35 mila dollari per trimestre. Inoltre, con l’uso delle draghe, i minatori artigianali non possono più lavorare in questa miniera e molti sono a rischio di disoccupazione.

Per questo, essi ritengono che l’estrazione dell’oro avvantaggi solo gli investitori, sia nazionali che internazionali, e i proprietari dei siti minerari. Da parte sua, il presidente della Federazione delle Imprese del Congo (FEC) di Shabunda, Kansilembo Musilwa Baraka, rammarica il fatto che i titolari delle draghe in funzione sul fiume Ulindi non rispettino la procedura di identificazione richiesta dai servizio dello Stato e chiede loro di registrarsi presso gli uffici della DGRAD, del SAESCAM e del Dipartimento provinciale delle Entrate.[27]

Alla vigilia della conferenza nazionale sull’attività mineraria nella RDCongo, la popolazione del Nord Kivu dice di sperare che questi incontri possano consentire un reale sviluppo del settore minerario in questa provincia. Un abitante di Goma ha fortemente criticato il contrabbando di minerali praticato da soggetti stranieri: «È un’occasione d’oro per dire agli investitori stranieri che partecipano a questa conferenza che le nostre miniere del Kivu devono più essere commissariate dai Ruandesi. Vogliamo che gli investitori trattino direttamente con noi. Non vogliamo più che le entrate finanziarie provenienti dalle nostre miniere del Kivu vadano a finire a Kigali e in Uganda. Devono arrivare direttamente nelle mani dei Congolesi».

Altri abitanti di Goma hanno colto l’occasione per lanciare questo messaggio al Capo dello Stato congolese: «Joseph Kabila impedisca alle autorità militari e di polizia e agli agenti di sicurezza di dedicarsi ad attività di estrazione e commercio di minerali». Secondo le varie organizzazioni della società civile provenienti dalle diverse province della RDCongo, la gestione delle risorse naturali pone ancora molti problemi e non va affatto a beneficio della popolazione. A questo proposito, un abitante di Goma ha denunciato una situazione paradossale: «Per essere concreti: le popolazioni locali chiedono che l’attività mineraria abbia un impatto visibile sulle loro condizioni di vita. Le entrate provenienti dall’attività mineraria dovrebbero servire per la costruzione di strade, scuole e centri sanitari e per la fornitura di acqua potabile e di energia elettrica. La strada da Goma a Walikale non esiste più e, tuttavia, è da quel territorio che provengono molti minerali. È una contraddizione».
Dal 2010, il Nord Kivu ha pagato il prezzo di varie misure che interdivano l’attività mineraria.

Ad esempio, il 9 settembre 2010, il presidente Joseph Kabila aveva sospeso, per sei mesi, l’attività mineraria di tipo artigianale. Due erano i fattori principali di tale decisione: l’eccessiva pratica del contrabbando nell’esportazione dei minerali e l’insicurezza legata a questa attività. Infatti, molti militari dell’esercito regolare e miliziani dei vari gruppi armati sfruttavano illegalmente i siti minerari di questa zona attraevano che si è impegnato in un disboscamento illegale. Tuttavia, nel suo comunicato stampa del 4 marzo 2011, l’Ong Global Witness denunciava il fatto che i militari dell’esercito regolare e i miliziani dei gruppi armati continuassero a praticare ancora il commercio illegale dei minerali, nonostante la sospensione decretata dal governo.

Inoltre, secondo la Federazione delle Imprese del Congo (FEC), c’è stato “un embargo di fatto” in seguito alla legge statunitense, la Dodd Frank Act, contro il traffico di “minerali di sangue” provenienti da zone di conflitto. Adottata nel luglio 2010 per scoraggiare lo sfruttamento e il commercio illegale di minerali provenienti da zone controllate da gruppi armati, il Dodd-Frank Act impone alle imprese statunitensi di pubblicare, ogni anno, la provenienza delle loro materie prime. Tuttavia, all’inizio della messa in atto della legge Dodd-Frank, nella RDC non c’era ancora alcun sistema di tracciabilità e di certificazione dei minerali. Secondo alcuni analisti, ancora oggi, “solo il 5% dei circa 800-900 siti minerari dell’est della RDCongo sono in possesso di un’autorizzazione legale da parte dello Stato. Involontariamente, la legge Dodd-Frank ha portato ad un embargo di fatto sui minerali del Kivu. Numerosi centri di esportazione hanno dovuto chiudere, molti minatori artigianali sono rimasti senza lavoro e sono entrati nelle milizie locali e il contrabbando è aumentato.[28]

b. Lo svolgimento della conferenza

Il 24 marzo, si è aperta a Goma la seconda conferenza nazionale sulle miniere nella RDC sul tema “gestione sostenibile e trasparente delle risorse naturali nella RDCongo post-conflitto”.
Il primo ministro congolese, Augustin Matata Ponyo, ha riconosciuto che le sfide nel settore delle risorse naturali sono ancora molte: «Molti settori, tra cui quelli delle miniere, acqua e foreste, fauna e flora, risorse idroelettriche e petrolio, non sono ancora stati trasformati in reale ricchezza per migliorare la vita delle popolazioni». Egli ha quindi espresso la volontà del governo di migliorare le condizioni sociali del popolo attraverso una buona gestione delle risorse minerarie. Per raggiungere questo obiettivo, il capo del governo ritiene necessario rafforzare, aggiornare e ottimizzare il quadro istituzionale, giuridico e normativo del settore minerario. Ha inoltre annunciato la revisione del codice minerario e della procedura di certificazione delle risorse. Egli ha sottolineato che «il governo intende promuovere la creazione di posti di lavoro nel settore minerario, la lotta contro la frode e la criminalità nelle zone minerarie e la valorizzazione dei prodotti minerari attraverso la loro trasformazione a livello locale».[29]

Il capo della Monusco, Martin Kobler, ha annunciato che la Monusco è pronta a sostenere l’estrazione, la produzione e l’esportazione di minerali “puliti”. Rivolgendosi ai partecipanti, ha affermato: «In tutti i vostri cellulari, ci sono dei minerali congolesi, ma questi minerali sono spesso intrisi del sangue delle vittime, delle lacrime dei bambini, dei gridi di dolore delle donne violentate». Secondo lui, «i gruppi armati nascono, crescono, si arricchiscono e si rafforzano attraverso introiti provenienti dallo sfruttamento illegale delle risorse naturali. Le FDLR, l’FRPI, i Maï-Maï, l’ADF, tutti sono implicati nel traffico transfrontaliero illegale delle risorse naturali». Martin Kobler ha ritenuto necessario fare tutto il possibile affinché i gruppi armati non possano più controllare il processo di produzione e di commercializzazione dei minerali. A questo proposito,  ha affermato che «il fatto che l’esercito congolese stia attualmente combattendo contro i vari gruppi armati è essenziale e positivo. Per questo, la Monusco lo appoggia fortemente, affinché possa riuscire a neutralizzare definitivamente tutti i gruppi armati». Secondo Martin Kobler, «queste risorse che finora hanno alimentato le principali cause dell’insicurezza devono ora alimentare le azioni di stabilizzazione e di consolidazione della pace, sia a livello nazionale che regionale».[30]

Secondo alcuni osservatori, si sperava che, a Goma, la discussione si fosse concentrata sulla revisione del codice minerario. Invece, si è scelto di concentrarsi su un argomento secondario: la gestione sostenibile delle risorse naturali. Secondo gli osservatori, la RDCongo avrebbe bisogno di un codice minerario veramente attrattivo per gli investitori, capace di proteggere gli operatori del settore minerario, pur salvaguardando gli interessi dello Stato congolese. Infatti, l’attuale codice minerario risale al 2002 e richiede una revisione. Probabilmente, a Goma, si è persa un’ottima occasione. Il futuro del settore minerario è rimasto ancora in sospeso. Tale futuro passa inevitabilmente attraverso un codice minerario capace di proteggere tutte le parti interessate, tra cui lo stato congolese, ma anche gli operatori minerari e la società civile. Il capo della Monusco, Martin Kobler, ha cercato di toccare il problema quando, ricordando la vera sfida per il settore, si è implicitamente riferito ai problemi relativi ai tassi troppi elevati della tassazione sul settore minerario da parte dello Stato e alle angherie esercitate dai vari servizi minerari dello stato. In questo contesto, egli ha ricordato che una gestione più equilibrata e trasparente dell’attività mineraria, “attraverso una tassazione chiara e onesta”, permetterebbe di aumentare anche gli introiti dello Stato.[31]

3. LA GIUSTIZIA NON PUÒ PIÙ ASPETTARE

Il 1° aprile, in una dichiarazione congiunta pubblicata a Kinshasa, 146 organizzazioni congolesi e internazionali per la difesa dei diritti umani hanno affermato che,  nella sessione parlamentare iniziata il 15 marzo, il parlamento congolese dovrebbe approvare il progetto di legge sulla creazione di tribunali specializzati misti, incaricati di processare gli autori di gravi violazioni dei diritti umani, e la proposta di legge sull’incorporazione dello Statuto della Corte Penale Internazionale (CPI) nel diritto congolese.

Il presidente Joseph Kabila e il suo governo si erano recentemente impegnati a rafforzare la lotta contro l’impunità di coloro che hanno commesso atrocità contro le popolazioni civili. Integrati nel sistema giurisdizionale nazionale, i tribunali specializzati misti dovrebbero concentrarsi sui crimini di guerra, crimini contro l’umanità e crimini di genocidio e usufruire, all’inizio, della presenza di personale non- congolese con esperienza in questo settore. La legge sull’attuazione dello statuto della CPI introdurrebbe nel diritto congolese le definizioni di questi crimini, in conformità con lo Statuto della Corte e regolamenterebbe la cooperazione con essa.

«La creazione di tribunali specializzati misti e l’approvazione della legge sull’attuazione dello statuto della CPI rafforzerebbero i tribunali nazionali nella loro capacità di portare finalmente davanti alla giustizia i responsabili delle indicibili atrocità commesse nella RDCongo», ha dichiarato Justine Masika Bihamba, presidente di Sinergia delle donne, una rete di organizzazioni congolesi per i diritti delle donne. La stragrande maggioranza dei responsabili di massacri, stupri, torture, reclutamento forzato di bambini soldato e incendi di villaggi commessi nella RDCongo negli ultimi due decenni, in particolare nell’est del Paese, restano ancora impuniti.
I processi che si sono svolti dinanzi ai tribunali militari congolesi hanno avuto molti problemi, in particolare per quanto riguarda la qualità delle indagini, la protezione delle vittime e dei testimoni, i diritti degli accusati e l’impossibilità di aprire procedure giudiziarie contro comandanti militari di alto rango che, tuttavia, portano la maggiore responsabilità per i crimini commessi.
La creazione di un nuovo meccanismo all’interno del sistema giudiziario congolese e specificamente incaricato di reprimere questi crimini, e l’approvazione della legge sull’inclusione dello statuto della CPI nel diritto congolese, potrebbero contribuire in modo significativo a rendere finalmente giustizia alle vittime e alle loro famiglie. «I continui cicli di violenza e impunità che affliggono la RDCongo hanno inflitto terribili sofferenze al popolo congolese», ha osservato Ida Sawyer, esperta di Human Rights Watch per quanto riguarda la RDCongo. «È urgentemente necessario creare un nuovo meccanismo all’interno del sistema giudiziario nazionale, per assicurarsi che i responsabili dei peggiori crimini siano finalmente consegnati alla giustizia. In tal modo, si invierebbe agli altri signori della guerra e comandanti dell’esercito, un chiaro segnale per far loro capire che i crimini gravi da loro commessi non resteranno impuniti».[32]

4. RINNOVO DEL MANDATO DELLA MONUSCO

Il 28 marzo, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato la risoluzione 2147 che proroga, per un anno, il mandato della Monusco, la Missione delle Nazioni Unite per la stabilizzazione nella Repubblica democratica del Congo, e della sua brigata d’intervento. I membri del Consiglio di Sicurezza hanno autorizzato la Monusco a prendere tutte le misure necessarie per assicurare la protezione dei civili, la neutralizzazione dei gruppi armati e il monitoraggio dell’attuazione dell’embargo sulle armi destinate ai gruppi armati. A proposito delle elezioni, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha chiesto al governo congolese di approvare un programma di massima per la tenuta delle prossime elezioni e il relativo finanziamento. Inoltre, autorizza la Monusco ad apportare il supporto logistico necessario per facilitare un processo elettorale trasparente e credibile. Rivolgendosi al Consiglio di Sicurezza, l’ambasciatore itinerante della RDCongo, Séraphin Ngwej, ha annunciato che il governo congolese sta preparando una forza di reazione rapida, destinata a sostituire, quando sarà il momento, la brigata d’intervento della Monusco.[33]

Il 2 aprile, a Kinshasa, il Rappresentante speciale del Segretario generale delle Nazioni Unite nella RDCongo e capo della Monusco, Martin Kobler, ha dichiarato che la missione lascerà gradualmente il paese. Tuttavia, ha avvertito che tale partenza richiede dei prerequisiti e un certo tempo. Tra i prerequisiti, il capo della missione ha citato la creazione di una forza di rapida reazione che dovrebbe sostituire la brigata d’intervento della Monusco.

La risoluzione 2147 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite invita la Monusco a “preparare una strategia di uscita” dal paese. Secondo Martin Kobler, «ci vorrà un po’ di tempo, ma è molto importante avere una visione e una strategia. È molto importante non creare l’impressione che siamo qui per l’eternità. Questo è l’obiettivo e lo scopo di questa risoluzione».

Secondo lui, il futuro delle Nazioni Unite nella RDCongo è l’équipe paese e non la Monusco.
L’équipe paese (United Nations Country Team) designa le agenzie, i fondi e i programmi delle Nazioni Unite nella RDC, senza dimenticare le istituzioni di Bretton Woods (Banca Mondiale e FMI).
Tuttavia, Martin Kobler ha precisato che la partenza della Monusco sarà discussa con il governo congolese, la società civile e i vari partner della missione nella RDCongo, ma ha affermato che «il primo compito è quello di creare stabilità e sicurezza, favorire il consolidamento dell’autorità dello Stato, promuovere uno stato di diritto, la riforma del settore della sicurezza e la creazione di una forza di rapida reazione che sostituisca la brigata d’intervento della Monusco».[34]

[1] Cf Radio Okapi, 10.03.’14

[2] Cf Radio Okapi, 13.03.’14

[3] Cf Radio Okapi, 18.03.’14

[4] Cf Radio Okapi, 27.03.’14

[5] Cf Radio Okapi, 08.04.’14

[6] Cf Radio Okapi, 12.03.’14

[7] Cf Radio Okapi, 13.03.’14

[8] Cf Radio Okapi, 21.03.’14

[9] Cf Société Civile du Nord-Kivu – Goma, 24.03.’14

[10] Cf Société Civile du Nord-Kivu, 01.04.’14

[11] Cf RFI, 01.04.’14

[12] Cf Radio Okapi, 05.03.’14

[13] Cf Radio Okapi, 15.04.’14

[14] Cf Radio Okapi, 17.03.’14

[15] Cf Radio Okapi, 04.03.’14

[16] Cf Radio Okapi, 19.03.’14

[17] Cf Radio Okapi, 26.02.’14

[18] Cf Kimp – Le Phare – Kinshasa, 28.02.’14

[19] Cf Radio Okapi, 28.02.’14

[20] Cf Radio Okapi, 12.03.’14

[21] Cf Jeune Afrique, 25.02.’14

[22] Cf Laurel Kankole – Forum des As – Kinshasa, 01.04.’14; Radio Okapi, 07.03’14

[23] Cf Radio Okapi, 11.03.’14

[24] Cf Radio Okapi, 19.03.’14

[25] Cf Radio Okapi, 01.04.’14

[26] Cf Radio Okapi, 02.03.’14

[27] Cf Radio Okapi, 27.03.’14

[28] Cf Radio Okapi, 23.03.’14;Trésor Kibangula – Jeune Afrique, 24.03.’14

[29] Cf Radio Okapi, 24.03.’14

[30] Cf Radio Okapi, 24.03.’14

[31] Cf Le Potentiel – Kinshasa, 26.03.’14

[32] Cf http://www.hrw.org/fr/news/2014/04/01/republique-democratique-du-congo-la-justice-ne-peut-plus-attendre-0

Per leggere la dichiarazione congiunta, si prega di visitare il sito: www.hrw.org/node/124317

Per leggere una nota di Human Rights Watch sull’iniziativa di istituire tribunali specializzati misti, visitare il sito: www.hrw.org/node/124315

[33] Cf Radio Okapi, 28.03.’14

[34] Cf Radio Okapi, 02.04.’14